CONSIGLIO DI LETTURA
Nicolás Gómez en la Hacienda Canoas Gómez.
Nicolás Gómez Dávila (1913-1994). Una rilettura libertaria a dieci anni dalla morte.
Il 17 maggio 1994 si spegneva, a Bogotá, uno dei più penetranti pensatori reazionari, o piuttosto conservatori cattolici dell’America latina; nel 1990, nella sua opera panoramica sulla saggistica ispano-americana, J M Oviedo lo definiva, seccamente, un “ilustre desconoscido”.
In effetti, anche nella sua natia Colombia, il nome di Nicolás Gómez Dávila era quasi ignoto. Vi sono diverse ragioni per questo. Innanzi tutto la sua opera si concentrava tutta, a parte due brevi saggi, in volumi di limitata diffusione e a carattere quasi esclusivamente aforistico. Poi, egli non aveva fatto nulla per diventare un “personaggio”, non amava la notorietà, non ostante le cariche pubbliche che gli erano state offerte nel suo Paese. E finalmente perché il suo pensiero era profondamente provocatorio, nella sua essenza cattolico-conservatrice, scandalosamente vicino a De Maistre, a Donoso Cortés, a tutta una tradizione scomoda, in quanto apparentemente del tutto antimoderna
Ecco perché non ostante il profluvio di opere e autori dell’America latina, che hanno invaso la world literature (come fa notare bene Franco Volpi, che lo ha presentato, come vedremo, al pubblico italiano con una silloge pubblicata da Adelphi nel 2001) e spesso non si elevano da una confortevole mediocrità, raccontando alla fine in toni oleografici e vagamente esoticheggianti, da lettura al Club Mediterranée, solo quel che gli europei e gli americani del Nord si aspettano di leggere su quei luoghi, questo autore è rimasto ignoto, e, a quanto ne sappiamo, neppure il decimo anniversario della sua scomparsa ha suscitato grandi attenzioni. Per altro, a partire dalla collocazione che le danno Marx ed Engels nel Manifesto del 1848, la stessa categoria di “letteratura del mondo”, (Weltliteratur) è da guardare con estremo sospetto.
Ad un acuto storico della filosofia dell’Università di Padova, Franco Volpi, già fine esegeta di un altro scomodo alla fine però (nella sua lontananza dal Cristianesimo, cosa che lo ha reso molto à la page in Italia per un certo periodo) più… accomodante, Schopenhauer, si deve l’edizione italiana citata di una scelta degli aforismi di Gómez Dávila, In margine a un testo implicito , nella bella traduzione di Lucio Sessa ( Adelphi, Milano 2001).
Per altro, vale la pena di segnalare che a Volpi si deve anche una recentissima, acuta sintesi sul Nichilismo (Laterza, 2004), e un ponderoso Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori, 2000). Gómez Dávila non amava viaggiare. Si era formato in un collegio benedettino a Parigi, e si era recato in Europa per la seconda e ultima volta nel 1949 con la moglie, viaggiando per sei mesi nel Vecchio Continente in automobile (ci domandiamo se esistano documenti scritti su quel viaggio, crediamo che sarebbero estremamente interessanti). Ma viaggiava, quanto il suo contemporaneo Borges, che peraltro lo stimava assai, solo nel mondo dei libri. Ne aveva raccolti, con enormi spese e altrettanta cura (ma era di famiglia assai ricca) circa trentamila, nella sua grande casa in stile Tudor, bianca ed elegante, a Bogotá.
Di questa casa la biblioteca era ovviamente il baricentro, egli vi trascorreva giornate intere leggendo, leggendo, leggendo e meditando. Da queste letture distillava aforismi pregnanti, acutissimi, che ben si inseriscono nella tradizione di un Rivarol, di un Cioran. La sua prima raccolta di aforismi, vastissima, è del 1977. La sua ultima, a completamento dei primi, del 1992.
Eco notevole, in Europa, l’ha trovato solo in Germania, paese notoriamente amante dello stile e genere aforistico, che ha avuto, da Lichtenberg a Horkheimer (l’ultimo, quello dei diari), a Deschner (fieramente anticattolico, lettura speculare a quella di Nicolás Gómez Dávila) abili e brillanti cultori. Ora, qual è quel “testo implicito” cui egli dedica i suoi commenti? Vi sono diverse interpretazioni, ne dà conto Volpi nella postfazione al volume adelphiano, ma alla fine ci pare che quel testo sia Dio stesso, o le sue espressioni, in quanto Dio cristiano, nei Vangeli, o altrimenti nel “libro della Creazione”, uno dei paradigmi di leggibilità del mondo (e Hans Blumenberg avrebbe certamente lodato lo scrittore colombiano, se lo avesse conosciuto, cosa che ignoriamo se sia avvenuta).
Nella generale rinascita, su profonde basi speculative, del pensiero libertario cattolico, Michael Novak soprattutto, ma anche altri, nella scia di Roepke e Adenauer, e, più liberale che libertario certo, il nostro Sturzo, Nicolás Gómez Dávila può essere agilmente riletto vedendolo come una stella déplacée di tale rivoluzionaria (non v’è rivoluzione del pensiero politico maggiore che quella auspicata, e realizzata al contempo, ai tempi nostri, dal pensiero libertario) costellazione.
Ed ecco dunque, per sostenere la mia tesi, più che un’interpretazione, una eloquente silloge della silloge “volpiana”: “Nel nostro secolo, ogni impresa collettiva edifica prigioni”. “Per Dio non ci sono che individui” (splendida verità…). “L’uomo democratico ha bisogno di credere che sta inventando ciò che gli altri gli suggeriscono”. “Man mano che cresce lo Stato decresce l’individuo”. “La politica saggia è l’arte di rafforzare la società e di indebolire lo Stato”. “Le virtù della povertà fioriscono solo nel ricco che si spoglia delle sue ricchezze”. “Lo scetticismo è l’umiltà dell’intelligenza”.
E, per tanti intellettuali italioti, di ieri ma anche di oggi: “L’adesione al comunismo è il rito che permette all’intellettuale borghese di esorcizzare la sua cattiva coscienza senza abiurare il suo essere borghese”. E, tanto per concludere in bellezza: “La democrazia celebra il culto dell’umanità su una piramide di crani”. Meditate (se lo Stato novello conte Ugolino non vi ha masticato anche il vostro ultimo lacerto di cervello), gente, meditate.
Paolo Bernardini
Fonte: Nuova Agenzia Radicale – Agenzia Stampa
Estratto da: News del 28-10-2004
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Nicolás Gómez Dávila – BREVI FRASI
“Il cattolicesimo non risolve tutti i problemi, ma è l’unica dottrina che li propone tutti”.
“La Chiesa contemporanea pratica di preferenza un cattolicesimo elettorale. Preferisce l’entusiasmo delle grandi masse alle convinzioni intellettuali”.
“I problemi metafisici non assillano l’uomo perché li risolva, ma perché li viva”.
“Respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre”.
“Se Dio fosse il punto d’arrivo di un ragionamento, non sentirei alcuna necessità di adorarlo. Ma Dio non è solo la sostanza di ciò che spero, è anche la sostanza di ciò che vivo”.
“Non parlo di Dio, per convertire qualcuno, ma perché è l’unico tema di cui valga la pena parlare”.
“Un libro che non abbia Dio, o l’assenza di Dio, come protagonista clandestino, è privo d’interesse”;
“Essere cristiani è trovarsi di fronte a colui cui non possiamo nasconderci, di fronte a cui non possiamo mascherarci. È assumersi il peso di dire la verità anche quando offende”.
“Quando smetterà di essere la presenza della Grecia nell’anima cristiana, l’Occidente sarà morto”
“La morte di Dio, è una falsa notizia messa in giro dal diavolo che mentiva sapendo di mentire”;
“Il più grande errore moderno non è l’annuncio della morte di Dio, ma l’essersi persuasi della morte del diavolo”;
“Da quando la religione si secolarizza, come unico testimone di Dio rimane Satana”. :
“L’uomo è il rifugio più fragile per l’uomo”;
“Per sfidare Dio l’uomo gonfia il proprio vuoto”.
“Ciò che non è persona in fondo non è nulla”.
“Non l’originalità della dottrina ma la divinità di Cristo determina l’importanza del cristianesimo”.
“Perché amare?” è l’unica domanda impossibile: L’amore non è mistero, ma luogo in cui il mistero si dissolve”.
“Solo la sottomissione a Dio non è vile. L’unica precauzione sta nel pregare in tempo… “.
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Glossa
Pregare in tempo ? Così, piegato dal tempo come un punto di domanda: ? E da lontano, ai gomiti e ai ginocchi ? Io non so se ci sarà davvero un Tu alla fine, e neanche se ci sarà mai fine al continuo venire all’esistenza di questa fiumana di gioie e di dolori che potremmo chiamare esistenza condizionata, o anche oceano della vita e della morte. Tuttavia qualcosa ( che non è un “qualcosa”) c’è – implicito in ogni minimo gesto raro di poesia, d’intelligenza o di compassione… Questi angeli perduti nel tempo e nello spazio, e che non sono una risposta, non ci liberano dal male, ma ci salvano dalla disperazione. E forse sono già presenti nell’attesa, non inerte, di una voce che risponda e non sia un’eco…
Complimenti, Gianni! Post molto interessante, segnalalo a Pesce vivo, Harry e Xtre
Paolo