Referendum & stream of consciousness

BLOOMSDAY

Milano, gay pride. Manifestante per quattro “Sì”, travestito da ovocita. Foto TGCOM.IT

Si sono da poco chiusi i seggi elettorali e la notizia che a votare un referendum sbagliato siano andati quattro gatti mi arriva dalla radio accesa mentre rileggo l’Ulisse. E’ un libro che ho sul comodino da circa trent’anni, e che finora non ero mai riuscito a leggere per intero e fino in fondo: inevitabilmente fin dalle prime pagine incominciavo a sbadigliare e mi veniva una strana voglia, dopo aver fatto alle pagine qualche orecchietta, di lasciarlo lì. Intanto, penso che si tratti di una piccola vittoria dell’ Italia profonda e di quel che ancora resta della saggezza di un popolo a lungo calunniato. Non sono esattamente una  vecchia tartaruga, una "pia vecchietta con il fazzoletto in testa" e neanche un politologo: vorrei da semplice lettore commentare quanto accade in maniera indiretta, per obliquo.

L’Ulisse si svolge in un giorno ben preciso, il 16 giugno 1904: il Bloomsday, come lo chiamano gli appassionati dell’opera di James Joyce. Bloom, infatti, è il nome del protagonista della riscrittura in chiave moderna dell’Odissea omerica, con l’agente di commercio Leopold Bloom al posto di Ulisse, sua moglie Molly nel ruolo che fu della fedele Penelope e l’aspirante poeta Stephen Dedalus impegnato a ripetere le peregrinazioni del buon Telemaco alla ricerca del padre dato per disperso dalle parti di Troia…

Fin dalle prime battute assistiamo all’apparizione dall’alto delle scale del solenne e paffuto Buck Mulligan che leva in alto un bacile di schiuma su cui sono posati in croce uno specchio e un rasoio, mentre intona “Introibo ad altare Dei” e poi, dopo un attimo di sospensione, chiama berciando Kirch ( “ Vieni su, pauroso gesuita”). L’ Ulisse è un libro che ha fatto discutere anche per quanto riguarda la particolare posizione religiosa di Joyce. La presa in giro sembra fin dall’inizio un’ evidente manovra di allontanamento dello scrittore dall’ autorità di un cattolicesimo del quale si sente causalmente vittima , come si ricava dal continuo riaffiorare – in alcuni passaggi decisivi del romanzo – di un riconoscibilissimo sottotesto teologico che pare scritto da un riformatore a cui per intanto riesce solo lo sberleffo, la protesta e la negazione.

A dire “Sì” sarà alla fine la moglie di Bloom , lieta per il ritorno del marito. Il libro sta per finire ( finalmente!) e Joyce-Penelope-Molly si rallegra di non dover più tessere un drappo o lenzuolone di parole senza fine, permanendo in quell’angolo che mai si chiude, vale a dire una scrittura che si fa e si disfa fra l’ordito e la trama… Nell’ultimo capitolo dell’ Ulisse, intitolato “Penelope”, il ritorno a casa di Bloom sveglia Molly che comincia il celebre monologo in otto frasi senza punteggiatura che inizia e finisce con la parola "Sì". Mentre Bloom si addormenta, molte cose passano per la testa di Molly, come nel dormiveglia accade a molti…. Venuta meno la vigilanza della coscienza, Molly si lascia andare e senza alcun freno inibitorio entra nel dettaglio delle sue pulsioni sessuali. La sua è una trance, o piuttosto un sogno lucido tra libere associazioni, sogni, rimpianti e ricordi. Nel dormiveglia, gira come l’enorme palla terrestre con moto sognante, uniforme e monotono, essendo i suoi 4 punti cardinali i seni, il culo, l’utero e la figa, espressi dalle parole because, bottom, woman, yes.

La parola di Molly è prodiga di “Sì”, risentita e franca. Sfotte gli uomini, superficiali e viziosi, e giustifica il loro utilizzo per la riproduzione della specie. Critica suo marito ma gli riconosce grandi qualità umane e lo accetta per ciò che è, come al loro primo incontro, nel “sì” finale. Molly-Penelope, carnale e infedele, viene peraltro descritta dall’autore come dotata di humor e perfettamente sana piena amorale fertile falsa sottile limitata prudente indifferente. «Weib. Ich bin des Fleish der Stets bejaht » (Joyce a F. Budgen).

La signora Bloom ( che il 17 giugno 1904, alle due del mattino all’incirca, saltando tempo e spazio che non sono una risposta come del resto non lo è neanche la storia, ma forse solo l’Incondizionato, se fosse davvero una risposta e non un’eco ancora ci parla da Dublino, al numero 7 di Eccles street, facendoci segno dal suo letto, mentre si sente afferrare dal sonno) è  un personaggio cartaceo, e tuttavia sembra una persona viva, addirittura molto più viva di tanti suoi lettori e lettrici. In ogni caso, Molly appare al mondo così come ella sente di essere: una boccalona ( come siamo anche noi, talvolta), un corpo individuale di carne autogestita che trasuda sesso mentre si rigira nel proprio “personale”, mangia cioccolattini, fa qualche scoreggina all’insegna di una piccola idea di spirito come forza che, mirando in basso, deve dischiudere, liberare la lettera, e intanto aspetta il ritorno del marito per scopare alla pecorina, di sponda o alla cosacca “un attimino” ( “… sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì… eccetera”).

Il monologo della signora Bloom sembra esprimere una rivolta, ancora attuale, contro il moralismo edificante dei buoni sentimenti e un “bene” tradizionale, percepito come un tiranno che impedisce la possibile espansione della ricchezza corrosiva della vita reale. Da questa rivolta ottocentesca, fattasi nel solco della letteratura del Novecento e trapassata nelle piazze rosso sangue, non ci siamo ancora ripresi. “Rivolta di schiava nella morale”, sarebbe un motto nietzscheano non inadatto a Molly. Insomma, oggi Molly potrebbe inserire nel suo monologo un “ più autodeterminazione e meno vaticano”, riecheggiando quello che in questi giorni strillano gli auto(no)mi, le donne liberate ( sebbene non del tutto) dal cosiddetto ganzo e i fetocrati arcobaleno.

TUTTI FIGLI DI MOLLY

Per coloro che ancora oggi si sentono legati a una morale troppo volte presentata in modo conformista, angusto e asfittico, sbattere per così dire la realtà sul pavimento e offrirsi a un riconoscimento “obiettivo” da parte degli altri del proprio mondo e del proprio “essere in quel modo” è sentito come un elemento liberatorio. Dopo la breccia aperta da Joyce, dalla psicanalisi , dalla letteratura del Novecento e la valorizzazione del “caro corpo” ( come ironicamente e profeticamente scriveva Rimbaud) , la volontà di dirsi ( ovvero di ESprimersi) è entrata nel costume sotto l’insegna della “riscoperta del corpo”, scolorendo su tutta la società e dando luogo a un vero e proprio regime di confessione pubblica generalizzata e spettacolare.

La storia che così si esteriorizza va dal tipico comunista da salotto, felice di esporre nella sua seconda casa al mare o in montagna l’icona di Che Guevara per dire obiettivamente, una volta tanto, com’è fatto il suo mondo sempre innamorato dell’uomo sbagliato, alle pubbliche confessioni delle sorelle Lecciso o ai coming out dei Pecoraro Scanio, dei Cecchi Paone oppure di filosofi come Vattimo che tra veglia e sonno, adesso non ricordo esattamente, confessano chi in tv e chi a Vanity Flair gli amori, poco corrisposti, per questo o quel cubista. Il dilagare delle storie di piccola sessualità italiana, medio-italiana ( direi medio-europea) e anche i coloratissimi gay pride servono per dire obiettivamente ( i gay pride solo una volta all’anno) in chiave liberatoria e presunta rivoluzionaria, com’è fatto il mondo degli sfigati e di un’Europa di benestanti satolli, cinici ed annoiati, un’Europa trasformatasi, per improvvisa amnesia, nel salotto di Maria De Filippi, insomma nel mondo dei progressisti in cerca di libertà fra tante stelle e stelline sullo sfondo di un cielo scipito e blu. Sembriamo tutti usciti fuori dai conventi e dai seminari, dai misteri delle sacrestie , dei talk show e dei confessionali, dalle regole degli istituti preteschi di “paurosi gesuiti” o défroqués , fra cui oggi taluni con la kefiah, la chitarra ed il sombrero. Saremmo tutti figli di Molly ?

Non a caso recentemente Simone Morgagni, rievocando il “Sì” reiterato della signora Bloom ha potuto scrivere con semiologia disinibita che “ La nostra società si pone in un rapporto con la classe politica che può in qualche modo essere rappresentato attraverso un flusso di coscienza come il lungo monologo di Molly Bloom nell’Ulysses di Joyce, ricco all’inverosimile di spunti propositivi celati però dietro un caos apparente di suoni voci e colori” ( cfr. Molly Bloom e l’assassino del partito di Simone Morgagni).

Se il monologo di Molly piace tanto alla società letterata di sinistra, e al suo seguito di lettori che lo prende come paradigma della “liberazione del corpo” e dell’offerta di “spunti propositivi”, predispondendolo allo sfogo della barbarie, è che quasi tutti vi vedono un’illustrazione delle idee ancora in voga: la bontà originaria della natura umana, la sua corruzione ad opera della legge sociale, della civiltà, delle istituzioni, della proprietà, della decenza e anche il pregiudizio che la fede cristiana sia ostile al corpo e a una sessualità che il progresso prima o poi riuscirà a ridurre a gestione ottimale dei bisogni .

Se n’è accorto persino l’acrobatico Fini, a capo di An, quando – chissà con quanta lungimiranza – ha creduto opportuno sciogliere d’un colpo certi lacci, nodi o trecce al nuovo vento zapatero. O meglio, con le parole dell’acuminato Baget Bozzo, quando in occasione dei referendum : “ ha voluto rompere con le radici cattoliche della tradizione missina motivate dall’identità nazionale, ha tenuto conto che l’Europa marcia sulla linea di Zapatero e ha di colpo modificato la figura del partito facendogli adottare la scelta che in tutti i Paesi d’Europa è una scelta che ha per centro la sinistra”.

I lacci, purtroppo – nota Morgagni – sono sempre duri da rompere”. Chissà come mai tutte le iniziative prese dal Progresso sotto forma di movimenti e di partiti di sinistra “per cercare di raggiungere la nuova società ed i giovani in particolar modo si sono rivelate ampiamente fallimentari”. La colpa dello stallo sarebbe della mancata presentazione al popolo di “ forti programmi che stacchino direttamente col passato più prossimo, proponendo un nuovo attivismo militante che sostenga un’istruzione informatica e comunicativa di base rivolta alla popolazione in modo da renderla immune alle campagne di disinformazione che ci avvolgono quotidianamente e che rendano la partecipazione il più possibile collettiva”. La colpa, sempre dello stallo, sarebbe anche della mancanza di coraggio ( che – nota Morgagni – “non sembra abbondare”: il che riecheggia il celebre slogan di Sade : “Cittadini, ancora un passo per essere rivoluzionari!”).

In definitiva per il clero giacobino-marxista la colpa sarebbe soprattutto delle solite forze reazionarie. A livello di tali forze, infatti, lo stallo in cui ci veniamo a trovare provocherebbe “come reazione secondaria – sempre secondo Morgagni – la vittoria del centro destra alle ultime elezioni, in particolar modo per la sua componente forzista”.

LA SUPERIORITA’ DEI SINISTRATI

Scommetto che a sinistra il flop referendario verrà interpretato in questi stessi termini, ovvero come l’esito “di un’istintiva autodifesa delle classi meno istruite che si rifugiano sia nel disinteresse politico che in soluzioni politiche di stampo fondamentalmente autoritario e populista come riteniamo sia da leggere la recente sconfitta dei referendari, ovvero dell’Italia più istruita e progressista eccetera…”. La cultura, la superiorità morale e le classi più istruite, vale a dire acculturate, si troverebbero sempre e solo a sinistra. E’ il versante dal quale l’avanguardia del clero laicista pretende di liberare il popolo, o meglio i soggetti, da una specie di polizia metafisica imposta all’umanità libera, innocente e progressista con abile inganno vaticanesco. Negare alla Chiesa ogni sapere sul bene è una forma di odio: l’odio dell’abbacinato che crede di trarre un beneficio dal coprire la luce, o del prigioniero che scambia il deserto sconfinato per il paradiso. Insomma, i soliti tic della sinistra utopica e sanculotta , che allorché trapassano in programmi da applicare alla realtà provocano quei fallimenti che sono sotto gli occhi di tutti, se non proprio miseria e morte, per non dire delle vandee.

Anche nel monologo di Molly  ( come in genere non a caso accade nei monologhi )  c’è ben poco di libero e d’innocente. Ed è proprio questo monoideismo, questa indifferenza, questo solipsismo, questa noncuranza per niente benevola che Joyce-Molly dimostra per l’altro e per la sensibilità propria e del lettore, a inquietare e innervosire. “ E’ uno stare a sé, – osservava Jung in La realtà dell’anima del 1932 – una fredda non-relazione dello spirito, che sembra procedere dalle regioni dei sauri: una conversazione nelle e con le proprie viscere…”.

Trasposta dalla letteratura alla vita, quella che sembra la rivolta di un inconscio rizomatico, propositivo e desiderante contro gli automatismi sociali si riduce nella maggior parte dei casi all’espressione dell’inconscio meschino e polipesco di una massa di James Joyce in sedicesimo e di Molly stralunate. Rinchiuso nell’egoismo del piacere e del dispiacere, il cosiddetto soggetto collettivo de sinistra non supera il regime dell’ordine e/o della trasgressione, in un sistema in cui Kant finisce con allearsi con Sade. In pratica – mentre in televisione crollano torri e cattedrali in un tripudio di teste mozzate a cristiani, ebrei, buddhisti, indù e musulmani “tiepidi” – si assiste a uno scoppio spettacolare di vesciche, al disfarsi di un accumulo di simbolicità e di una storia che è la nostra, al vomitare l’indignazione, la rabbia, lo schifo che si prova nei confronti della propria identità di occidentali animati da un cupio dissolvi molto triste e che tuttavia durante i girotondi vuole apparire allegro.

Intanto, i pensieri di Molly scorrono freddamente e obiettivamente in un mondo “sdivinizzato” e preso al rovescio del cristianesimo e della pietà per la vittima quale Nietzsche non se lo sarebbe mai sognato, accumulando mobili ricordi e le considerazioni più prosaiche, in un flusso o stream of consciousness comparabile a quello da lei urinato sul suo vaso da notte, il cui yes! yes! echeggerà come un Es-o-Es in tutto Finnegans Wake. Qui, dopo aver teso l’orecchio all’inondazione delle parole della carne prudente, impaurita e che invecchia , l’artista Stephen Dedalus ( parziale raffigurazione di Joyce stesso da giovane), partirà verso l’ Oriente alla ricerca di una resurrezione del corpo nel testo: in una scrittura che se non lapide tombale resta come una lunga veglia funebre che tenta di recuperare la vita in tutte le lingue e in tante storie cercando invano di tracciare un significato nel caos del mondo: “ Finnegans Wake”.

Adesso mi sembra di capire perché non ero mai riuscito a leggere l’Ulisse di Joyce: perché ero giovane, non avevo ancora conosciuto la morte e la tragedia, e non sopportavo le lunghe veglie funebri. Anche oggi, del resto, non credo che sia proprio di un lutto, anticipato o post rem, quello di cui si ha veramente bisogno. E non dite, per carità!, che la letteratura o l’arte siano delle vie d’uscita.

P.S.

DOPO BABELE

“Più autodeterminazione meno vaticano”, come strillano gli auto(no)mi ? Se Benedetto Croce ( nomen omen ) padre nobile del liberalismo italiano fosse vivo, forse riconoscerebbe che "noi non possiamo che essere cristiani", anziché dire il suo "noi non possiamo non essere cristiani". Non possiamo che essere cristiani, non fosse che per obbedienza a quei limiti che per i nostri padri che dettavano e le nostre madri che cantavano erano parole come “fedeltà” o “disinteresse”. Erano parole pronunciate con affetto e sollecitudine da persone ferite, proprio come noi. C’è qualcosa, in noi refrattari, tuttavia aperti all’Incondizionato, se non all’inaudito, che sembra ancora capace di venerazione, di lingua madre e di memoria. Sia pure di una memoria densa, agglutinante, come pare sia la memoria di tutti gli esseri incompiuti… Dal momento che siamo in tema di stream of consciousness, lasciate che ve lo scriva in un blog un soggetto non spiritualista e non materialista, che resta e vuole restare – nel bene e nel male – gravemente cattolico, apostolico e – se non proprio romano – perlomeno “un po’” romantico…

Quei referendum sbagliati e tutti quei “Sì” ci opprimono, ci chiamano “il figlio di Ruini” e insinuano l’orribile suggestione che noi refrattari si possa essere – in un giro senza fine di travestimenti multipli – ora una massa di ovociti, ora un grappolo di feti in persona, e ora un’orda di bastardi smemorati, dei reazionari o un girotondo di orfanelli e di mullah. Queste sinistre suggestioni cercano di mettere addosso agli astensionisti consapevoli una paura tremenda. E’ imperdonabile ! Già! si perdona più facilmente a qualcuno che ci ha offesi che a qualcuno che ci ha fatto paura. Troppi “ che che che”. In ogni caso, noi refrattari cerchiamo di non cancellare ( come di solito fa la morte, riempiedo i buchi), e ci ribelliamo non andando a votare per macellare una legge che pone qualche limite al Far West. Insomma, se qualcosa ci opprime, noi ci ricordiamo chi siamo e ci ribelliamo, va da sé.

Per i cristiani ex-embrioni e tuttavia incompiuti gli ideali e i gesti concreti d’intelligenza, di poesia o di pietà, restano degli atti creatori: piccole luci e fari, non carceri o carcerieri, oppure una specie di polizia metafisica imposta con abile inganno vaticanesco all’umanità in caduta libera, innocente e progressista. Ricordo ancora, per esempio, le parole – quasi un paracadute – di Giovanni Testori, scritte nel marzo 1988, dopo la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro da parte dei compagni che sbagliavano: Perché almeno ieri, almeno oggi, almeno adesso, non si pone fine al sistema delle retoriche, opposte eppur eguali, e non si aiuta l’uomo a porsi con terribile chiarezza di fronte alla realtà? Perché chi ha la possibilità e, dunque, il dovere di farlo, non l’aiuta a capire come sia proprio la realtà sociale a naufragare una volta che essa venga privata del suo sangue sacro e religioso? Perché s’è avuto e si ha ancora il timore di dire che il Dio rifiutato è un vuoto che nessuna demagogia del benessere e dell’eguaglianza, o d’ambedue assieme, può colmare; e che quel vuoto, a riempirlo, sarà solo il cupo inferno della materia impazzita e della sua impazzita cecità e solitudine? (…) ”.

Cecità e solitudine, disperazione di massa. Incapace di vera irrisione e di rivolta, impantanata nelle sabbie immobili accademiche, editoriali e giornalistiche, l’intellettuale avanguardista giacobino-marxista crede che sia la paura dell’eccesso e non l’amore per il limite ( che dà significato alle cose, alla stessa cultura e alla vita ) a inquietare quello che resta di una coscienza, malgrado le condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza.. Sarei tentato di aggiungere : “ a inquietarci nell’attesa, non inerte né sognante, e attraverso il nichilismo, dell’incontro del mistero di gloria della croce e della risurrezione con un’anima ed un corpo di tutto quello che sembra perso fra di noi, compresa la parola”. Cancellerò quest’aggiunta. E’ un passo, al limite, impossibile. E poi non è vero che la verità è della coscienza, al limite si potrebbe dire che è nella coscienza. Ma vacci tu a districarti, in massa referendaria, dai tanti equivoci di ciò che pe tranquillità chiamiamo una coscienza, oppure anche l’inconscio. Dopo aver rinunciato ai dèmoni del Novecento e al politeismo dell’esperienza, non vorrei affliggere i quattro lettori dicendo loro di avere incontrato Gesù come quelle attricette che compaiono in tv, “con il culo ancora fresco di calendario”( lo ha notato il critico Malvino , forse sanamente ateo, grazie a Dio, eppure stranamente pur sempre attratto dall’incenso) . D’altra parte è anche vero che non avremmo potuto incontrare il vero liberatore adesso, se non lo avessimo già incontrato nella più lontana infanzia, grazie ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri maestri, filosofi, artisti, poeti, musicisti, scultori e al Vaticano.

Insomma, ciò che nella Chiesa cattolica e nel popolo italiano e cristiano resiste a un referendum sbagliato, così come anche all’interpretazione, e si rifiuta a quella vera e propria crudeltà che consiste nel mettere in pratica l’Idea, potrebbe anche essere un soggetto spirituale che resta tale anche se nessuno lo interpreta e nessuna massa lo segue: un soggetto spirituale con un’anima ed un corpo per il quale la libertà non è un obiettivo futuro, ma è sempre presente.

SOTTOTESTO

GRAZIE, MOLLY

Resisti alla tentazione di ritornare ai giochi dei ragazzetti e a un corpo simile, magari a quello di un tuo doppio “eternamente giovane”, non necessariamente di un cubista, e dai alla bella addormentata nel bosco ( talvolta anche nel basco) un bacetto per svegliarla. Per dirla in gergo canagliesco, il solo linguaggio che oggi pare comprensibile, benché qui possa apparire politicamente scorretto ma “vivace”: dove sono più i pezzi di figa ? Basta rimpianti. E’ da perlomeno ventimila anni, se non dai tempi degli Assiro-san-babilonesi, che mentre la barca affonda e tutti gridano “ Dacce le staminali… N-non v-vogliamo morirrre”, i sopravvissuti ora alla peste nera, ora alla Rivoluzione, alla restaurazione o allo sterminio, hanno dei rimpianti: il rimpianto, per esempio, di essere tra quelli che non sapevano, e che non avranno mai saputo, anche perché nella maggior parte dei casi è proprio quando si vuole sapere che ci si sbaglia…

In ogni caso, la baci – la bella addormentata – come se le lucciole fossero ritornate giù in giardino o in quel bosco e in cuor tuo speri di non aver risvegliato in lei anche Molly, Euridice, una qualche pupa travestita da ovocita militante se non da Cappuccetto rosso persa, con il dito in bocca, ai margini del bosco. Speri di non avere addirittura risvegliato Biancaneve, quella testarda, convinta di dover restare per sempre come ostaggio consenziente nella baracca dei sette nani resistenti e di non doversi svegliare mai più da quel suo tipico, caratteristico sogno d’amore che dice “per sempre un attimino… sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse del Manifesto o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì… eccetera””. All’infinito ? Sì, va’ citrullo! Vacci morsicando ( con piccoli denti) il vuoto oppure una mela verde, non ancora perduta in quel giardino che sembra piantato in noi da prima che comiciasse la storia, mentre lei fa, “ E’ da stamattina che digiti, adesso sono le 22,05  ma quando lo finisci sto post?”.

Grazie Molly, se non ci fossi tu, o zavorra adorata, saresti ( chi? ) ancora un girino nello stagno, un embrione scartato, forse a correre con una copia del quotidiano “Liberazione” nella tasca del paltò non tanto dietro alle ragazze o ai cubisti, ma proprio a correre dietro la vita; e – nel punto esatto della fenditura di un soggetto – saresti rimasto chissà quanto tempo a fare un duetto con Antonin Artaud, chiedendo al pubblico chi ha imputridito la vita e persino l’idea di vita.

Mentre sorgono tanti arcobaleni ( ovvero il tipico alone o iridiscenza dei corpi, anche sociali, splendidamente decomposti )  dacci tu una voce, signora Bloom, e chiamamaci tutti dalla casa al numero 7 di Eccles street, facendoci segno dal tuo letto, mentre ti senti afferrare dal sonno.

Grazie , Molly, se non ci fossi tu forse il fessacchiotto sarebbe rimasto a camminare avanti e indietro nella nebbia con Cèline un attimo prima di finire nel solito mare di pus.

Tante tante grazie, Molly, scoreggiona adorata: se non ci fossi tu a chiamarci a casa per uno stufato e alla festa dell’Unità per una bonaria piadina emiliana sarei rimasto con le fette di prosciutto sugli occhi seduto con i miei fratelli feti sull’uscio di casa, oppure insieme ai tanti bimbi morti  che giocano in cielo con Ruini e con Gesù.

Era la spirale, ecco cos’era. E occorre essere davvero adulti per svegliarsi e scoprire con un brivido un corpo di donna carnale e infedele, la compagna Molly che dorme o finge di dormire di traverso nel tuo letto.

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Una risposta a

  1. Paolo-di-Lautreamont scrive:

    Eccellente “flusso di coscienza”.

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