Islam e modernità. Catastrofi del sacro

 Islam e modernità

CATASTROFI DEL “SACRO”


Un manifesto di Hamas. Lo shahid ( lett. “Testimone della Fede”) a destra dice: "Sei pronto?"
L’altro martire-killer risponde: "Sì, sono pronto. Ci vediamo in Paradiso".

Non possiamo calarci un velo sugli occhi e non constatare la prosperità dei fondamentalismi religiosi che inclinano più verso la morte che verso la vita, più verso lo squilibrio del terrore che verso un mondo di tranquillità mentale e fisica.

In un mondo interconnesso in cui, come dice il Dalai lama, “ ognuno desidera evitare la sofferenza e realizzare la felicità”, a inclinare più verso la tragedia che verso la compassione e la saggezza è, oggi, specialmente il fondamentalismo radicale di matrice islamica e transnazionale: quello che proclama a gran voce di operare “nel nome dell’islam” contro “il mondo dell’arroganza e “il complotto dell’ignoranza”.

Quando la forza di un venerabile nome irradia tanta devastazione non possiamo e non vogliamo ritenere che quello che accade sia indifferente o capiti incidentalmente. Né possiamo ritenere di una qualche utilità la teoria di Luciano Violante, allorché teorizza – in chiave terzomondista, veteromarxista ed obsoleta – la “lotta di poveri fanatici contro i i ricchi tecnologici”. Né può essere di qualche consolazione dirsi che nel corso della storia altri nomi che pretendevano di “purificare” il mondo, di instaurare la giustizia e di portare la salvezza in qualche paradiso nei cieli o sulla terra ( cristianesimo, comunismo, nazismo, imperi coloniali, ecc.) abbiano anch’essi autorizzato le più crudeli esazioni e ridotto, periodicamente, il mondo a un inferno.

Alimentato – a fronte di alcune voci discordi come per esempio, fra pochi altri innovatori, quella di Talbi ( cfr. Il futuro dell’islam: assimilare la modernità – intervista a Mohamed Talbi )dai grandi ideologi musulmani del secolo scorso come Abu Ala al Mawdudi, Hassan al Banna, Sayyid Qutb, Ruhollah Khomeini, l’islam politico aspira a riportare il mondo all’età dell’oro, identificata con l’epoca aurorale dell’islam (l’epoca di Medina e poi quella del Califfato), quando levatosi allo zenith il sole di Allah sembrava dovesse risplendervi per sempre, eliminando, tra gli ultimi fuochi dell’Antichità, tutte le ombre della storia e assoggettando o distruggendo ogni forma di vita inferiore, non-musulmana, ignorante del messaggio profetico e non disposta alla sottomissione alla luce di Allah.

L’islam politico nasce dall’amara constatazione che l’islam, predicato alla “migliore delle nazioni”, non ha trionfato per sempre. Per i teorici dell’islam politico, incapaci di elaborare la minima sconfitta, il mondo sarebbe regredito all’epoca oscura della Jahiliyya, ovvero dell’ante-islam, perché l’impero di Allah non si è realizzato neanche nei paesi e i regimi che si dicono musulmani, a causa del “complotto dell’ ignoranza” che sarebbe iniziato con le Crociate, continuato con il colonialismo e oggi attestato nella difesa dello Stato d’Israele, avamposto del “mondo dell’arroganza”, vale a dire l’Occidente – che peraltro in arabo è indicato come el maghreb, ovvero come il territorio del tramonto, dell’oscurità e dell’esilio.

Posto dinanzi a questo impossibile trionfo, l’islam politico cerca, con le buone o con le cattive, di re-islamizzare i musulmani oscillanti fra occidentalizzazione ( ightirab) e arabizzazione ( itirab), e di islamizzare la modernità. E, nelle sue frange più estreme, l’islam politico dispera della storia e del tempo, e – gigantesco nella Fede, ma nano nella Speranza e cieco e sordo nella Carità – esplode in maniera aggressiva e spettacolare sulla scena mondiale e la consapevolezza pubblica con l’ “operazione martirio” lanciata dal miliardario wahhbita Bin Laden, che rade al suolo le Torri di New York e un pezzo di Pentagono, per emendare ed ammonire il mondo del tramonto “nel nome dell’islam” e dei “dannati della terra”.

Con le parole di René Girard: "Se le scienze umane non avessero trattato la religione e l´aspetto religioso della vita umana come un´arcaica favola primitiva, escogitata giusto per spiegare l´origine del mondo, forse ciò che è avvenuto l´11 settembre 2001 a New York e le rovine di Ground Zero avrebbero suscitato meno stupore, in un pianeta che vive ancora nella convinzione della propria eternità. È una convinzione sbagliata di origine aristotelica e che non mette in conto la possibilità che il nostro universo un domani possa essere distrutto…". ( Cfr."Il Dio dell´apocalisse" , colloquio con René Girard di Attilio Scarpellini – L´espresso" n. 25 del 12 giugno 2003).

Sarebbe dunque l’Ammonire le creature al timor di Dio e tormentare i vicini e i lontani, il prossimo, il compito di un islam ridotto all’applicazione pratica, pragmatica, di poveri slogan globalizzati e di una piccola idea di shariah, ovvero di Via che finirebbe con il confondere Fede e Stato in maniera totalitaria e tiranna ?

Qui, nel regime dei barbuti, il diritto che s’identifica con la trascendenza viene ridotto, insieme alla trascendenza, alla credenza stessa. E per i fedeli ad oltranza, gli islamisti di tutte le tendenze sunnite o sciite, la “colpa” per il fatto di non vivere in un reale perfettamente islamico, sicuro e privo di dubbi e di pericoli pare che non possa che essere degli altri, di tutti gli altri, e in particolare degli ebrei e dei cristiani ( ovvero di quello che ne resta) , la cui sola esistenza e amore per la libertà mette in dubbio la credenza nella assoluta ed inevitabile Vittoria di un islam destinato ad estendere la propria Legge a tutto l’universo mondo.

L’islam politico radicale, che già prima di ground zero aveva oscurato l’Iran con l’instaurazione della Repubblica islamica degli ayatollah, viene oggi ripreso, tra gli altri, dal Presidente iraniano Ahmadinejad ( in versione sciita) sul punto di dotarsi di armi atomiche, dal Presidente della Siria Bashar Assad , da Abdul Aziz Ibn Saud Mohammed Hussein Fadlallah ( leader di Hezbollah ), e predicato nei discorsi dei maestri dell’Università di al Azhar, la più illustre e antica per il mondo sunnita, e ripetuto da leader e intellettuali oggi egemoni culturalmente e politicamente in una parte determinante dei paesi arabi e dell’islam.

Derivato dalla decomposizione della religione islamica tradizionale e ricomposto nei termini del teo-nazismo-islamico con il quale oggi occupa e domina la scena, l’islam politico più che un asse o una linea retta, assume una forma di schegge di prisma infranto, di medusa che si moltiplica, di network di dimensioni planetarie e bordeline, ovvero senza confini, portandoci a interrogarci sullo statuto della sanità e della follia di moltitudini in preda a una vera e propria “disperazione di massa” ( l’ espressione è dello psicoanalista tunisino Fethi Benslama).

Disperazione di massa”, ovvero un misto di rancore, di gelosia, d’invidia, di rivalità mimetica tra depressione ed esaltazione, come se i processi di secolarizzazione in corso nei paesi musulmani si trovassero improvvisamente privi di ponti culturali per attraversare il tempo, e non potessero che implodere, provocando una tipica “crisi d’identità “ e di cesura nel soggetto islamico. Il tutto, nel corso della storia , sarebbe accaduto alle sue spalle; e sarebbe dovuto unicamente all’esistenza dei complotti orditi dai crociati, dagli ebrei e dai musulmani “tiepidi”, non abbastanza musulmani. Non a caso, quasi dopo ogni evento catastrofico o tragico (come l’attentato jihadista alle Torri di New York, la morte di Arafat, il maremoto nel Sud-Est asiatico, eccetera), il discorso islamista tinto di nostalgia dell’Età d’Oro mobilita giornalisti, semintellettuali e mullah semianalfabeti per elaborare su basi coraniche le ricorrenti teorie del complotto sionista-atlantico iniziato fin dai tempi dei Crociati per mettere l’ ummah, “la migliore delle comunità”, in cattiva luce , far perdere la faccia ai musulmani e denigrare l’Islam, ovvero la religione, la civilizzazione e la cultura islamica.

Disperazione di massa”, come se il contatto con la modernità della gioventù verdeggiante, furibonda, esplosiva, a un tempo esaltante, lunatica ed oppressiva del Terzo o Quarto mondo non potesse – in mancanza di ponti ermeneutici e culturali – che ridurre la lettura del proprio mondo e l’intelligenza della propria storia a un cumulo di assurdità “complottiste” e virare alla vendetta e al disastro.

Un disastro dai tratti paranoico-sacrificali che cova minacciosamente, in forme ubiquitarie e diffuse, specialmente fra la classe media e i semintellettuali del mondo arabo e islamico; ed esplode a corto circuito, e con forti cariche simboliche, come dimostra purtroppo l’attualità del moltiplicarsi delle “operazioni martirio” anche in Europa e l’allevamento, l’indottrinamento e la giustificazione ideologica delle bombe-umane “nel nome di Allah”.

L’immagine del mondo è ormai offerta dai terroristi e il disastro sfolgora in mondovisione tra invocazioni macabre e folli, litanie e ammonimenti ripetuti , il pianto e lo stridore dei denti dei suppliziati ebrei, “crociati”, cristiani e “apostati”, le urla belluine dei carnefici amplificate e moltiplicate dallo spettacolo offerto all’ora di cena da giustizieri incappucciati e sadici brancolanti con il dito puntato verso il mondo e il sangue che gronda dai muri delle loro e delle nostre case. Sottomettere, umiliare, terrorizzare, è proprio questo il perverso progetto messo in atto dal network islamista e i burattinai del terrore fin nell’infosfera ( cfr. p.e. un blog inneggiante all’uccisione degli ‘infedeli’, e quest’ altro ai martiri-killer ) .

Che questo ardore violento – osserva Benslama derivi nello stesso tempo da un contesto storico e geopolitico, in una situazione generale le cui fratture proiettano il peggiore dei mondi a venire, è quello che dobbiamo integrare in analisi pazienti. Ma quello che dobbiamo interrogare in primo luogo è la breccia da cui si sprigiona nell’area dell’Islam una tale volontà disperata di distruggere e autodistruggersi. Quello che dobbiamo pensare e ottenere è una liberazione, senza concessioni, dai germi che hanno prodotto tale devastazione.”

IL TERRORE ALL’OMBRA DEL CORANO ?


I germi dell”odio e del disprezzo per la propria e l’altrui vita e per la storia e l’altrui storia esplosi in maniera spettacolare nel mondo musulmano contro l’altro concepito essenzialmente come ostacolo, avrebbero, secondo alcuni osservatori, radici ataviche, fondate in una interpretazione letteralista e asfittica del Sublime Corano.

L’odio che permane e non disarma sarebbe “sacro”, più precisamente haram ( termine che designa, ambiguamente, la cosa interdetta, illeggittima, l’offesa, il peccato, ma anche la cosa sacra, sacrosanta. Per esempio haram è il porco, l’alcool e in una certa misura il non-musulmano, ma anche la moschea o il Codice del Corano, che, se stampato in lingua araba, non può essere toccato dalle mani dell’infedele o kafir né portato in toilette o lasciato per terra: profilassi, questa, che in alcuni paesi arabi e musulmani, si estende anche ai giornali stampati in lingua araba, lingua considerata sacra in quanto prescelta da Allah per far “discendere” la Sua Parola, l’Ammonimento e il Comando nel petto immacolato di Maometto – l’Illetterato, l’Orfano, il Sublime Modello – nel corso di una Rivelazione “discesa” a brani, nel corso di circa ventidue anni, nel VII secolo ).

L’odio nei confronti dei non-musulmani sarebbe , con termine giuridico-religioso, halal, ovvero puro, consentito, legittimo, perché sarebbe prescritto chiaramente – sebbene su sfondo oscuro ( Cfr. Uno studio sulle origini storiche del Corano) –, dal Libro Sacro. Per esempio Allah direbbe a chiare lettere nella Surah al-Baqara: “ Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciato: la persecuzione (fitna) è peggiore dell’omicidio… (Corano II. Al-Baqara, 190-191). E anche: “Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia (reso solo) ad Allah” (Corano II. Al-Baqara, 193) .

Ma il significato delle parole in arabo del Corano, così come delle loro parafrasi in altre lingue, non consiste nella a-temporalità della lettera. Le lettere vanno lette, interpretate e contestualizzate, sapendo che le interpretazioni fondamentaliste del Corano non provengono da Allah. Le interpretazioni coraniche derivano in gran parte da tutta una tradizione esegetica rimasta fissa al medio-evo e immuta. Vengono tuttavie diffuse a gran voce “nel nome di Allah” da uomini che si arrogano il potere assoluto di porsi al di sopra della verità, della storia e del rispetto per la vita, e di distruggere ( cfr. Così i «cattivi maestri» del Corano insegnano a odiare ebrei e cristiani ). " Un tempo – scrive Mohammed Arkoun in L’Islam morale et politique – nel linguaggio coranico si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". Nell’assedio di un mondo in continua mutazione, posto sotto il segno della volontà di potenza politica ed economica, nonché delle nuove ambizioni di alcuni potentati e Stati islamici, burattinai del terrore, la sakina sembra scomparsa dalla sensibilità musulmana.

Se la verità fa corpo con l’a-temporalità della Lettera Sacra e non è che Volontà o Comando, allora gli eccessi fanatici degli islamisti non hanno più niente a che fare con la terra, con la distinzione fra bene e male, con la coscienza e lo sguardo sereno e critico su se stessi, il discernimento spirituale e un pensiero morale e politico responsabile.

In altri termini, anche se Allah, il Dio che non è il padre ma l’Unico tutore e padrone delle creature, fosse il Più Grande, resta certamente vero che i cervellini dei barbuti siano fra i più piccoli mai comparsi su questo pianeta e alquanto limitati. Nel loro rifiuto della complessità e il loro disprezzo per il pensiero si annida, ancora una volta, la tirannia. Il loro servilismo non è verso Allah ma verso una tradizione che, sia pure venerabile, si vuole mantenenere fissa e contratta, a misura della loro crispazione, anche intellettuale, e indigenza fondamentale.

C’incombe un dovere d’inquietudine e di non sottomissione, all’interno di noi stessi e verso quei servili barbuti che hanno portato al sequestro dell’Islam e a questa oppressione.

Se, con le parole di Fethi Benslama, “ allo stesso modo in cui l’Europa non è solo l’affare degli Europei, l’Islam non è la cosa esclusiva dei musulmani”, a maggior ragione l’Islam non è la cosa esclusiva dei barbuti.

Di fatto, lasciando sia i movimenti islamisti tradizionali sia quelli radicali, spesso collusi con il jahidismo, questa posizione conduce sempre più numerosi “ islamisti contrariati” ( l’espressione è di Patrick Haenni, autore del recente L’Islam de marché ) a privilegiare la ricerca di una salvezza personale, di una realizzazione di sé e del successo economico, stufi delle affabulazioni delle grandi gesta islamiste e jihadiste che appaiono, ai loro occhi, sempre meno seducenti. Non sempre, quindi, l’accentuazione della pratica religiosa musulmana è posta sotto il controllo degli islamisti, come per esempio qui in Italia, soprattutto dei Fratelli Musulmani dell’Ucooi, confrontati alla concorrenza di nuovi impresari religiosi, di predicatori o imam affrancati dall’ossessione militante, di intellettuali riconciliati, perlomeno all’apparenza, con le categorie della modernità occidentale, moralisti musulmani di ogni specie, animatori di pii talk-show, predicatori di salotto, gruppi di musica e danza medio-orientali oscillanti tra l’ispirazione sacra, la drammatizzazione della poesia sufi e volontà di proselitismo.



P.S.

Mentre gli “islamisti di mercato” quasi si confondono con il new age e gli islamisti radicali praticano il sequestro dell’Islam tramite il letteralismo e l’evacuazione della metafora e dell’intelligenza spirituale, e a seconda dei rapporti di forza esistenti e dell’opportunità, praticano la dissimulazione o taqiya , l’ingiuria, la minaccia dell’inferno nell’aldilà e nell’aldiqua, l’utilizzazione selettiva di versetti fuori dal loro contesto storico, la lettura ripetitiva del Testo sacro e comparazioni con le turpitudini della Bibbia e della Cristianità, i musulmani più sensibili e riflessivi, come ad esempio Abdelwahab Meddeb , Mohamed Charfi, Rahid Benzine, Mohamed Arkoun, Soheib Bencheikh, Nasr Hamid Abu Zaid ( costretto, quest’ultimo, a fuggire dall’Egitto e a riparare in Olanda) e altri che possono essere definiti I nuovi pensatori dell’Islam , restano in una situazione di quasi-impossibilità nel tentativo di “interpretare” criticamente, ovvero fra “crisi” e “giudizio”, le venerabili parole del Corano.

Continuo a pensare che se ci si basa sull’esegesi tradizionale del Corano ferma al IX secolo d.C. e ci si rinchiude, in maniera asfittica, nell’idea che il Sublime Corano sia il linguaggio perfetto e a-temporale di Dio, espresso in una lingua araba intangibile e sacra, allora nessuno può ragionare sul Corano e farsene l’avvocato per renderlo compatibile con il rispetto della vita dei non-musulmani e con una società rispettosa dei diritti umani e di un minimo d’intelligenza spirituale, di cultura, di poesia o di pietà per le vittime ( Cfr. Islam e diritti umani ).

Al limite, la barbarie teo-nazi-islamica in ascesa sfolgorante non ha niente a che fare neanche con il Corano, ma con la permanenza, la forza espansiva e il rigurgito di un immaginario religioso in movimento aggressivo e disperato. Se ci si rinchiude nell’idea tradizionale ed assiomatica che il linguaggio del Corano sia la realizzazione dell’utopia del linguaggio perfetto, contenente nell’a-temporalità della lettera l’espressione chiarissima di una Volontà e di un Comando perfettamente udibile dall’orecchio carnale, allora lo "sforzo anche estremo sulla via di Allah" ( al jihad fi sabilillah) diventa una parte della difesa della religione-stato. E la religione invece di mettersi al servizio di creature fallibili e dotate di poteri precari si trasforma in una formidabile arma politica e strumento di potere.

Nota: Allorché “islam” è scritto in minuscolo s’intende la religione ( din ) islamica, allorché “ Islam” è scritto in maiuscolo s’intende la civilizzazione islamica – che peraltro oggi in piena mutazione e marasma contiene in se stessa gli anticorpi ai germi islamisti radicali. Basti pensare alla determinazione e al coraggio con il quale oggi numerosi irakeni si recano, ancora una volta alle urne sfidando il terrorismo e protetti dal sacrificio dei nostri soldati in missione di pace necessariamente purtroppo armata ( cfr. E’ esportata, ma è democrazia di Khaled Fouad Allam; e Difendere e incentivare la libertà di Daniel Pipes ) ; o alle organizzazioni di uomini, di donne e di giovani musulmani liberali e democratici ( Cfr. Distinguere tra stato e religione, il manifesto islamico della libertà- L’Opinione) .

Oppure, nell’insieme del mondo musulmano, specialmente in Turchia, in Egitto, in Marocco o in Tunisia, alla conversione dei movimenti islamisti non jihadisti al mercato e a una politica della morale ( islamica) e delle opere intessute di compromessi pragmatici con l’Occidente e di cultura manageriale come sostituto delle pesantezze degli Stati post-coloniali e iperburocratici.

E anche, per limitarsi solo a qualche classico dell’Islam e fare qualche nome, a Omar Kayyam ( che scriveva: "Rinchiudi il tuo Corano; pensa e guarda liberamente al cielo e alla terra”) e a altri poeti che come Abu Nuwas amavano il vino che rinfresca, il vento che dà aria alle stanze chiuse e la poesia ; o agli spirituali come Rumi e ai sottili ermeneutici della parola coranica come Ibn Arabi, oppure ai tanti liberi pensatori dell’islam e a quegli scettici, perché no?, come Aboul’âlaa al Maari ( vissuto tra il 973 e il 1057), che – a mio giudizio buttando il bambino insieme all’acqua sporca – scriveva con una disperazione che non può che rendercelo più simpatico e redimibile di tanti superuomini, santocchi convinti e pii tagliagole : “ Il Corano, la Torah, i Vangeli… a ogni generazione le proprie menzogne”.

L’ immaginario paranoico-sacrificale del teo-nazi-islam, oggi comune a grandi masse di persone , viene scambiato come "vero Islàm". In realtà non esiste il “vero islam”, perché – in mancanza di un’autorità centralizzata ( come per esempio il Vaticano, capace ancora, per fortuna, di moderare le derive, spesso idiote, e gli eccessi dei fedeli fanatici) – ogni versione dell’islam è parimenti valido, su un piano orizzontale. Al di sopra c’è solo Allah, ed il problema secolare mai risolto dei musulmani, è proprio questo: come articolare e attraverso quale autorità umana la parola a-atemporale del Corano al tempo e alla storia. Attraverso quale mediazione, necessariamente umana e quindi altra da Allah, la Volontà espressa a chiare lettere dall’Onnipotente, che in quanto tale non può essere moderato da alcunché, si realizza in questo mondo ?

Per gli obiettivi fallaci che si propone e i metodi crudeli adottati certamente l’islam poltico radicale in versione jahidista non vincerà, ma resta tuttavia determinato a fare molto male “nel nome dell’islam”. Per lunghi anni a venire avremo sia la civiltà sia la barbarie. Al limite, la barbarie teo-nazi-islamica in ascesa sfolgorante non ha niente a che fare neanche con il Corano, ma con la permanenza, la forza espansiva e il rigurgito di una “disperazione di massa” e di un immaginario fondamentalista in movimento regressivo verso la barbarie e il deserto di un Origine mitizzata e allucinata come una grande ummah: una Matria islamica popolata da tanti fratelli-feti morti, esplosi o allucinati nel paradiso delle urì.

Quando i perfidi barbuti ci propongono la shahada, ci propongono di rinunciare alla vita e di sottometterci alle pulsioni di morte non come avviene naturalmente, quando vuole Allah, allorché inevitabilmente moriamo, ma tramite un corto circuito tra pulsione di vita e pulsione di morte perversamente “montato” da loro “nel nome di Allah”. Qui, in piena “catastrofe del sacro”, si potrebbe aprire uno studio su islam radicale e regressione intrauterina, ma per non continuare oltre misura con il presente lenzuolone, mi limiterò a ricordare le osservazioni, più sotto, del professor Iakov Levi ( vedi: EROS E THANATOS. HO TROVATO UN COMMENTO).

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Una risposta a Islam e modernità. Catastrofi del sacro

  1. anonimo scrive:

    Splendido articolo.

    Quello che e’ andato perso a causa dei barbuti, e’ il tawhid, l’unita’ di Dio.

    I fondamentalisti l’hanno frammentata.

    Come tutte le religioni, ancor piu’ se secolare, l’Islam e’ soggetta ad interpretazioni.

    La tendenza a incolpare tutti tranne che se stessi nulla o poco ha a che fare con l’essere Musulmani: al contrario Dio ci spinge ad esercitare il libero arbitrio concesso. E’ pero’ una tendenza Araba, quello si.

    Vorrei si capisse, per quanto difficile, che la maggior parte dei Musulmani come me, Arabi e non, ha capito il trucco di OBL e soci e non sta affatto con loro.

    Ma anche cosi’ trova difficile esprimere il suo disappunto proprio perche’ vittima di una forma mentis e di tradizioni abusate per secoli.

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