Letture / Pasolini e Israele

PASOLINI E ISRAELE
Pier Paolo Pasolini nell’aprile del 1967, sulla rivista “Nuovi Argomenti” diretta da Alberto Moravia, accusa la sinistra italiana di essere autolesionista e prende le difese di Israele minacciato da alcuni paesi arabi. Un testo profetico, o perlomeno che ancora risuona purtroppo attuale, scritto nell’imminenza della guerra dei sei giorni – che ebbe inizio il 5 giugno 1967 e si annovera nella storia del conflitto arabo-israeliano come il terzo scontro militare a cui, ancora oggi,  è costretta la piccola e coraggiosa democrazia israeliana per proteggersi dall’aggressività * prima delle lugubri dittature arabe e poi del  maligno terrorismo islamista .
Perché pubblico questi versi esclusi dalla sezione Israele, in Poesia in forma di rosa (1964)? Li pubblico perché non si dica che, adesso, ho facilmente ragione di pensarla in un certo modo. E inoltre, poiché il lettore è giustamente pigro, alla pubblicazione di questi inediti rifiutati per ragioni puramente letterarie, aggiungo la citazione di altri versi di quel capitolo, che non pretendo che il lettore vada a rileggersi da solo (…).
Giuro sul Corano che io amo gli arabi quasi come mia madre. Sono in trattative per comprare una casa in Marocco e andarmene là. Nessuno dei miei amici comunisti lo farebbe, per un vecchio, ormai tradizionale e mai ammesso odio contro i sottoproletariati e le popolazioni povere. Inoltre forse tutti i letterati italiani possono essere accusati di scarso interesse intellettuale per il Terzo Mondo: non io. Infine, in questi versi, scritti nel ’63, come è fin troppo facile vedere, sono concentrati tutti i motivi di critica a Israele di cui è ora piena la stampa comunista.
Ho vissuto dunque, nel ’63, la situazione ebraica e quella giordana di qua e di là del confine. Nel Lago di Tiberiade e sulle rive del Mar Morto ho passato ore simili soltanto a quelle del ’43, ’44: ho capito, per mimesi, cos’è il terrore dell’essere massacrati in massa. Così da dover ricacciare le lacrime in fondo al mio cuore troppo tenero, alla vista di tanta gioventú, il cui destino appariva essere appunto solo il genocidio.
Ma ho capito anche, dopo qualche giorno ch’ero là, che gli israeliani non si erano affatto arresi a tale destino. (E così, oltre ai miei vecchi versi, chiamo ora a testimone anche Carlo Levi, a cui la notte seguente l’inizio delle ostilità, ho detto che non c’era da temere per Israele, e che gli israeliani entro quindici venti giorni sarebbero stati al Cairo.) È dunque da un misto di pietà e di disapprovazione, di identificazione, e di dubbio, che sono nati quei versi del mio diario israeliano.
Ora, in questi giorni, leggendo l’«Unità» ho provato lo stesso dolore che si prova leggendo il più bugiardo giornale borghese. Possibile che i comunisti abbiano potuto fare una scelta così netta? Non era questa finalmente, l’occasione giusta per loro di «scegliere con dubbio» che è la sola umana di tutte le scelte? Il lettore dell’«Unità» non ne sarebbe cresciuto? Non avrebbe finalmente pensato – ed è il minimo che potesse fare – che nulla al mondo si può dividere in due? E che egli stesso è chiamato a decidere sulla propria opinione? E perché invece l’«Unità» ha condotto una vera e propria campagna per «creare» un’opinione? Forse perché Israele è uno Stato nato male?
Ma quale Stato, ora libero e sovrano, non è nato male? E chi di noi, inoltre, potrebbe garantire agli Ebrei che in Occidente non ci sarà più alcun Hitler o che in America non ci saranno nuovi campi di concentramento per drogati, omosessuali e… ebrei? 0 che gli ebrei potranno continuare a vivere in pace nei paesi arabi? Forse possono garantire questo il direttore dell’«Unità», o Antonello Trombadori o qualsiasi altro intellettuale comunista? E non e logico che, chi non può garantire questo, accetti, almeno in cuor suo, l’esperimento dello Stato d’Israele, riconoscendone la sovranità e la libertà?
E che aiuto si dà al mondo arabo fingendo di ignorare la sua volontà di distruggere Israele? Cioè fingendo di ignorare la sua realtà? Non sanno tutti che la realtà del mondo arabo, come la realtà della gran parte dei paesi in via di sviluppo – compresa in parte l’Italia – ha classi dirigenti, polizie, magistrature, indegne? E non sanno tutti che, come bisogna distinguere la nazione israeliana dalla stupidità del sionismo, così bisogna distinguere i popoli arabi dall’irresponsabilità del loro fanatico nazionalismo? L’unico modo per essere veramente amici dei popoli arabi in questo momento, non è forse aiutarli a capire la politica folle di Nasser, che non dico la storia,ma il più elementare senso comune ha già giudicato e condannato?
0 quella dei comunisti è una sete insaziabile di autolesionismo? Un bisogno invincibile di perdersi, imboccando sempre la strada più ovvia e piú disperata? …
da Nuovi Argomenti  n. 6, aprile-giugno 1967
* Un filmato sui 60 anni dello Stato di Israele > http://www.walktheland.org/israel_video
Con le parole di Freud, in nota a Il disagio della civiltà : “Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!”. Freud lo ha scritto nel 1929, durante l’ ascesa sfolgorante dell’aggressiva barbarie nazista. Quella di Freud è un’annotazione a proposito del precetto “ama il prossimo come te stesso”. Dopo aver riconosciuto la funzione civilizzatrice di tale precetto, osserva : “ Eppure, chi nella presente civiltà s’attiene a tale precetto si mette solo in svantaggio rispetto a chi non se ne cura. Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!”.
“Un giovane leone è Giuda, dalla preda, figlio mio sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare?” (Gn., 49,9)
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