CHIACCHIERE, DISTINTIVO E MUTANDE ARCOBALENO
di Valter Binaghi
Non ho votato, per la prima volta in trent’anni, e dunque proprio non spetterebbe a me commentare il risultato elettorale, e infatti mi ero ripromesso di non farlo, ma una cosa la dico. Ho fatto un giro sui blog che dettano la linea in rete (non li nomino, tanto ci scrive più o meno la stessa gente) ed è tutto un piagnisteo per il mancato ingresso della Sinistra Arcobaleno in Parlamento.
I toni sono quelli della cattività babilonese: alti lai, accuse al popolo bue, e ridicoli richiami all’antifascismo militante. Per la debauche di una sinistra che si è ridotta a chiacchiere e distintivo di una manciata di scribi (per lo più ultrapotenti nell’editoria e in rete, ma che si piangono emarginati), animatori di grandi battaglie civili come i matrimoni omosessuali, l’altolà agli inceneritori e alle grandi opere, canna libera in libero Stato, l’ateismo come unica professione di fede intellettualmente corretta, giustamente snobbati dal popolino che invece vuole valori praticabili, lavoro e sicurezza.
A nessuno viene in mente che quando una forza politica si è ridotta al lumicino è perchè ha perso i contatti con il sentire comune e non rappresenta più nessuno. Con quel misto di superbia intellettuale e di stolida servitù all’ideologia, preferiscono denigrare il popolo votante, reo di avergli voltato le spalle.
Bene, non sarò certo io a rallegrarmi di altri cinque anni di governo Berlusconi (un gaglioffo), la cui unica opposizione credibile è rappresentata dai furbetti del quartierino, ma almeno la disfatta delle mutande arcobaleno è da celebrare. Con tutto che là dentro ho molti amici (ex, probabilmente, dopo questo sfogo), ai quali dico da tempo: cari miei, quando i tempi si fanno oscuri, la gente semplice che ha figli da crescere non capisce più il nichilismo gaio della rivoluzione permanente. Urge convertirsi al dato di realtà, imparare a parlare a lavoratori e famiglie, o tornare a giocare con le figurine dei surrealisti e lasciar fare agli adulti.
Glossa ( di G.d.M.) . “ Urge convertirsi al dato di realtà, imparare a parlare a lavoratori e famiglie, o tornare a giocare con le figurine dei surrealisti e lasciar fare agli adulti.”
Infatti, come scrive egregiamente Giampaolo Rossi : “ Utopia ci distanzia dall’altro, ci infila dentro un simbolico non appartenere a questo mondo. Irrealtà allo stato puro, Utopia libera l’irrazionalità e nega la politica, la proietta fuori dalla storia, fuori dai confini della consuetudine, delle istituzioni. (…). Quando la dimensione letteraria si fa evocazione politica naufraga inevitabilmente, perché il "luogo che non c’è" può essere abitato solo "dall’uomo che non c’è". Utopia diventa quindi un progetto drammaticamente anti-umano. Non a caso il ‘900 è stato il tempo delle utopie realizzate nelle ideologie che hanno reso macabra la storia dell’Occidente. Chi oggi fa lezioni di politica, spiegando la necessità del dialogo e del recupero di una dimensione razionale non dovrebbe richiamarsi a Utopia.” ( via Martin Venator , su > http://blogdellanarca.blogspot.com/2008/02/debellare-utopia-dalla-nuova-politica.html )
—
UN LIBRO DA LEGGERE. Dopo il precedente I tre giorni all´inferno di Enrico Bonetti cronista padano (Sironi, 2006), esce in questi giorni in libreria Devoti a Babele, il nuovo romanzo di Valter Binaghi. Definito da Giampaolo Serino “ un crudele e spietato ritratto di una generazione” (La Repubblica Milano, 6 aprile 2008 ), è pubblicato da Perdisa editore ed è lo scritto più testimoniale che allegorico di uno dei pochi narratori veri. Da non perdere.