LETTERATURA
Il Nobel di letteratura a Le Clézio, “esploratore dell’umanità”
Nel romanzo L’africano ( pubblicato in Italia da instar libri nel 2004), J.M.G. Le Clézio si dice “appartenuto al silenzio, confuso con tutto ciò che non si esprime e nascosto dai nomi e dai corpi degli altri”. Attribuendogli il premio Nobel di letteratura 2008, l’Accademia svedese ha in qualche modo risposto e salutato uno “scrittore della rottura, dell’avventura poetica e dell’estasi sensuale, l’esploratore dell’umanità al di là e al di fuori della civilizzazione imperante.”
Il romanziere francese – ma anche d’altrove – si recherà il 10 dicembre a Stoccolma per ricevere uno chèque di dieci milioni di corone svedesi ( 1,02 milione di euro).
Naturalmente non si tratta soltanto dell’emergenza di un caso personale e di una meritata “rivincita”. Durante una conferenza stampa nei locali delle edizioni Gallimard, lo scrittore ha espresso, ancora una volta, la sua fede nella letteratura: “Continuare a leggere dei romanzi, è un buon modo d’interrogare il mondo attuale, senza avere risposte troppo schematiche. Lo scrittore non è un filosofo, né un tecnico della parola, ma qualcuno che scrive e che pone delle questioni.”
Jean-Marie Gustave Le Clézio nasce a Nizza nel 1940, da una madre delle isole Mauritius e un padre britannico che lo porta in Nigeria e in Cameroun – esperienza evocata nell’Africano . In viaggio da sempre, J.M.G. Le Clézio, come firma i suoi libri, non può che essere portatore di questioni di “rottura”, profondamente radicate al cuore del suo pensiero, delle sue emozioni e del suo sentimento, insomma della sua vita intima. Di una intimità “nomade” fin dalla prima infanzia, mai esposta direttamente e della quale peraltro lo scrittore non fa mostra – preferendo volgerla verso un fuori impossibile: "J’ai toujours cru que la littérature c’était comme la mer, ou plutôt comme le vol d’un oiseau au-dessus de la mer, glissant très près des vagues, passant devant le soleil", scriveva nel 1985.
Forse perché sapere che al mondo, nonostante la durezza dei rapporti sociali, esiste la poesia, e volare sul mare della significazione, fare il surf su cavalloni immensi e passare davanti al sole dovrà loro essere sembrato troppo limpido, i colleghi letterati del piccolo milieu parigino & de-costruzionista hanno ironizzato sull “ utopiste Le Clézio”. E il nostro Pietro Citati, il saggista che favoleggia di un mondo infinito, sublime e mortifero, lo accusa di essere “uno scrittore molto mediocre” (“ Non si capisce perché gli accademici di Stoccolma debbano giudicare ‘provinciali’ dei grandi scrittore americani e poi premiare uno scrittore come Le Clézio che aveva cominciato bene ma che poi ha continuato mediocremente”, ha commentato il principe dei critici italiani, schiumando rabbia e bollando l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura come “una scelta del tutto infelice”).
Non pochi colleghi letterati forse consideravano J.M.G. Le Clézio un semplicione, un ingenuo, se non un po’ naif. Specialmente quando, opponendosi al degrado nostro e della natura, lo “scrittore filubistiere” difendeva le tribù fagocitate dalla civilizzazione in corso e le nobili balene minacciate di sterminio, insieme al mare e all’immensità di una coscienza che oggi sembra che nessuno abiti più ; oppure, quando nel 1979, in L’Inconnu sur la terre, con un tono lirico che non sempre, anzi raramente, egli si autorizza nelle sue pagine, affermava:"Je veux écrire pour la beauté du monde, pour la pureté du langage. (…) Je veux écrire pour être du côté des animaux et des enfants, du côté de ceux qui voient le monde tel qu’il est, qui connaissent toute sa beauté…".
Non ci può che rallegrare del riconoscimento tributato al discreto, cancellato, anti-mondano, inaudibile JMG Le Clézio : uno dei pochi narratori veri, uno scrittore per il quale l’altrove non mette sul cammino di una perdita di sé ( magari per finire, con Cèline, nel solito “mare di pus”).
Mentre il mondo, anche nella civiltà letterata, si predispone, forse per gran senso di noia o di sazietà, allo sfogo della barbarie incombente, non pochi letterati ( come per esempio M. Houellebecq e Bernard-Henri Levy in Francia, David Remnick, direttore del "New Yorker", uno dei portavoce dell’intellighenzia chic della sinistra americana, e da noi P. Citati o un certo Mancuso del quotidiano “il Foglio” ) fanno storie per questo Nobel e quasi si torcono per restare a galla.
Meglio tornare sulla terra e il corpo in cui siamo nati. E rileggere L’africano da così lontano, vedere più da vicino il mondo attraverso gli occhi di Le Clézio: "Guarderò la febbre salire nel cielo del crepuscolo, i lampi rincorrersi silenziosi tra le scaglie grigie delle nuvole aureolate di fuoco. A notte fonda ascolterò i passi del tuono, sempre più vicini, il vento che fa oscillare la mia amaca e soffia sulla fiamma della lampada. Ascolterò la voce di mia madre che conta i secondi dallo schianto del fulmine e ne calcola la distanza moltiplicandoli per trecentotrentatré. E poi il vento della pioggia, gelido, che investe la cima degli alberi con tutta la sua forza, sentirò ogni singolo ramo gemere e scricchiolare, l’aria della stanza riempirsi della polvere sollevata dall’acqua nell’urto con la terra".
Insomma ecco un altrove che ha il coraggio di essere tenero, febbricitante e vero, che non è il nouveau roman, l’estenuante e vacuo gioco degli sperimentalismi intraverbali o la dèrive ( questa idiozia! ); e neanche il mondo di Pietro Citati ( “un mondo stellare dove non esiste colpa, non esiste sesso, non esiste storia, esiste solo una beatitudine infinita”) . L’infinito? Sì, và, citrullo! Nel 2003, in Révolutions, lo scrittore ci consegna un altro desiderio: "Etre à la fois ici et ailleurs, appartenir à plusieurs histoires." Appartenere a molte storie, non per fare dell’esotismo, ma per ritrovare – attraverso un lavoro solitario e immenso – il grande abbraccio della vita oltre il foglio bianco: in quel “là fuori” della scrittura che per l’autore, tra l’ altro, dell’ Extase materielle e di Voyages de l’autre côté resta quell’ “innumerevole esistere” e quell’ “essere vivente” di cui la letteratura non cessa di ricostruire la traccia, ponendo questioni di “rottura” ogni volta inattese e sorprendenti.
Chi vive ? Forse è la vivida fluttuazione delle sensibili parole febbricitanti e ferite di Le Clézio, l’altezza delle sue piccole estasi terrestri e l’ampiezza dell’irriducibile speranza in una letteratura aperta al mondo, ai tanti mondi possibili, o anche impossibili, e agli altri viventi, anch’essi feriti, che il Nobel di letteratura ha voluto onorare.
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Intervista allo scrittore, il 9 ottobre scorso, invitato di France-inter,
prima dell’attribuzione del premio Nobel >