La morte moderna

LA MORTE MODERNA
di Sherwin Nuland
 
 
… La morte moderna avviene in un ospedale moderno, dove può essere occultata, depurata dalla decomposizione della materia organica e infine confezionata per il funerale moderno. Siamo ora in grado di negare il potere non solo della morte, ma anche della stessa natura. Ci copriamo gli occhi per non vederla in volto e, nel contempo, apriamo leggermente le dita perché qualcosa in noi ci spinge irresistibilmente a guardare di sfuggita.
 
[… ] la fede nella probabilità di una « morte dignitosa » è il tentativo sia da parte nostra, sia da parte della società, di far fronte a una realtà che troppo frequentemente è costellata di eventi devastanti, i quali, per la loro natura, implicano la distruzione dell’umanità del morente. Personalmente non ho visto, in genere, molta dignità nel modo in cui si muore.
 
[… ] Non è la morte il vero nemico, ma la malattia: essa è la forza maligna con la quale dobbiamo confrontarci. La morte è la resa finale, che avviene quando ormai la battaglia estenuante è stata persa. Persino il confronto con la malattia dovrebbe essere considerato alla luce del fatto che numerosi mali che colpiscono la nostra specie sono semplici mezzi per compiere quel viaggio inesorabile mediante il quale ogni uomo ritorna allo stato fisico, e forse spirituale, di non esistenza in cui si trovava prima del concepimento. Qualsiasi trionfo su una patologia grave, anche se assoluto, non è altro che un rinvio dell’inevitabile sentenza.
 
La scienza medica ha dato all’umanità la preziosissima possibilità di distinguere i processi patologici reversibili da quelli irreversibili, facendo in modo, tra l’altro, che l’ago della bilancia si sposti sempre più verso il prolungamento della vita. La biomedicina moderna ha però contribuito anche ad alimentare fantasie fuorvianti che ciascuno di noi impiega per negare il concretizzarsi definitivo della nostra condizione di mortali.
 
Nonostante quanto sostengono molti medici, convinti assertori della scientificità della medicina, questa rimarrà sempre, come già sostenuto dagli antichi Greci, un’ arte. Uno dei compiti più impegnativi che la natura «artistica» di tale disciplina impone al medico è proprio l’acquisizione di una certa familiarità con quel campo scarsamente definito che è la terapia, il cui successo può essere certo, probabile, possibile o inconcepibile.
 
 Gli spazi insondabili fra il probabile e tutto ciò che sta al di là di esso rappresentano in effetti il territorio che un medico serio è frequentemente costretto a percorrere, dotato unicamente della sua capacità di discernimento, dettata dall’esperienza, per poter fare ogni scelta con saggezza e condividerla con i malati.
 
Da "Come moriamo" di Sherwin Nuland, Mondadori, 1997 
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Immagini
In alto, Il medico di Sir Luke Fildes (1891)
In basso, Difterite di Goya ( 1802)
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