ARABICA
IL MURO DELLA LINGUA
E’ necessario semplificare e liberare dai suoi arcaismi la lingua araba, rimasta immutata nella sua grammatica, sintassi e coniugazione da millecinquecento anni, incomprensibile al 90% dei musulmani e resa impraticabile per comunicare nel mondo di oggi: per averlo scritto nel 2004 in un libro da poco tradotto in italiano (La sciabola e la virgola , ObarraO edizioni), Chérif Choubachy ha scatenato al Cairo la collera degli islamisti egiziani e di altri difensori della sacralità della lingua, al punto da essere costretto a lasciare il suo posto di vice-ministro egiziano della cultura.
Ricordiamo che tra i “guardiani del tempio” contrari a ogni riforma dell’arabo, il deputato islamista Hamdi Hassan fu il più virulento: “L’autore di questo libro parla il linguaggio dell’occupante colonizzatore.” Un luminare della presidenza dell’Università del Cairo vi vide addirittura “uno dei segni del complotto imperialista-sionista.” Tesi grottesca, ancorché molto diffusa nei paesi arabi, dove ogni critica viene percepita come segno di malevolenza, se non di un colossale complotto per “umiliare” gli Arabi e l’islàm. La polemica tra chi vuole conservare l’arabo così com’è, ripiegandosi in se stesso in una specie di curvatura psicotica, e chi vuole invece innovarlo e impedirne la mummificazione, potrebbe sembrare una specie di remake della “querelle des Anciens et des Modernes” che agitava l’Académie française alla fine del XVII secolo. Nella polemica scoppiata in Egitto si affrontano due visioni politiche. I salafiti che difendono il classicismo e la presunta perfezione degli Antichi difendono anche una forma di conservatorismo culturale e religioso in piena decomposizione.
Mentre le vecchie certezze vanno a pezzi e la lingua araba classica rischia di scomparire a vantaggio dei dialetti e delle lingue madri dei popoli, i termini religiosi della lingua del dod ( come talvolta si dice della lingua araba classica, dal nome della lettera dod che solo gli Arabi sanno pronunciare ) ritornano secolarizzati, in un misto di teologia, nazionalismo e scientismo. Così, per esempio, per parlare in arabo classico di “comunità” o di “nazione”, compreso delle Nazioni Unite, si impiega il termine umma. Ma questa secolarizzazione di un classico termine coranico, di essenza spirituale, è davvero possibile?
L’oscurità e l’ambiguità accecano gli strumenti di analisi della realtà, che sono imprecisi proprio a partire dalla lingua. “Di fatto, l’ambiguità persiste e autorizza tutte le manipolazioni politiche, come i termini di jihād [arabo:جهاد] o di mujāhid [arabo:مجاهد ].” L’osservazione è dello storico tunisino Mohamed Talbi, in Plaidoyer pour un islam moderne”, uscito a Tunisi per le edizioni Cérès nel 1996 ( e nel 1998 a Casablanca, in Marocco, per le edizioni Le Fennec, nella collana “Islam et Humanisme” diretta dalla sociologa Fatema Mernissi e Abdou Filali-Ansary, direttore della Revue Maghrebine du livre). Anticipando la tesi sostenuta in Egitto da Chérif Choubachy, Mohamed Talbi sollevava la questione di una lingua segreta e bella, che però in quanto precisione e rigore costituisce per gli Arabi stessi un problema. “Noi, scriveva Talbi, siamo prolissi, mentre l’Occidente preferisce la concisione. Andiamo al di là di quello che vogliamo dire, mentre l’Occidente resta al di qua. Uno dei doveri essenziali degli esperti della nostra lingua è di occuparsi della questione di concetto di base, indispensabile per mettere ordine nelle nostre strutture di pensiero. Perché abbiamo gran bisogno di chiarire i nostri concetti e di farlo partendo dai nostri schemi mentali. Saremo allora in grado di accedere a un comportamento più razionale che ci permetterà di vivere con il nostro tempo e di non restare ai margini della modernità.”
Purtroppo l’arabo classico, disperazione degli studenti in ogni parte del mondo arabo, finisce con il costituire una barriera che impedisce di pensare e di comunicare liberamente. E, poiché è la lingua del Corano e dei commentatori coranici, diventa una posta di potere politico per poter continuare a monopolizzare il sapere religioso a fini politici e lavare il cervello a giovani senza difese. Ogni minima sciocchezza, purché “scritta” dagli Antichi, viene sacralizzata. Riaprire il dibattito sulle regole della lingua del Corano metterebbe in pericolo un potere rimasto immutato dai tempi dei Faraoni ( come a partire da una interrogazione sulla servitù volontaria ha peraltro sostenuto anche Moustapha Safouan, nel suo recente Perché il mondo arabo non è libero. Politica della scrittura e terrorismo religioso , Spirali edizioni, Milano 2008 ).
Non a caso il presidente Hosni Moubarak, abile nel produrre terrore di Stato all’interno del Paese ed esportazione del terrorismo religioso all’esterno ( Cfr. De l’exportation du terrorisme à l’exportation de la répression, di Caroll Azoulay – Guysen International News, pubblicato dall’Institut du Caire pour les études sur les droits de l’Homme, su > http://www.guysen.com/print.php?sid=8638 ), ha sostenuto il campo dell’immobilismo linguistico e culturale. In un discorso pronunciato in piena tempesta attorno al libro di Choubachy, non ha infatti esitato a fare appello agli ulema e al loro narcisismo affinché vigilino contro gli “appelli di taluni alla modernizzazione dell’islam, che si sono tradotti in iniziative e reclami per la modifica del vocabolario e della grammatica arabe, lingua scelta da Allah per far discendere il suo messaggio sul Profeta.” Come se Dio avesse scelto Muhammad come suo inviato perché parlava l’arabo.
Ogni tentativo di riformare la lingua araba usata per captare la forza del nome e irradiare ignoranza, devastazione e terrore sarebbe sacrilegio ? Una lingua sacra? Ma è nata diversi secoli prima dell’islàm, nota Chérif Choubachy. I quattro quinti dei musulmani del pianeta non la parlano. Riservata sempre più al solo insegnamento religioso islamico, sempre più spesso diffuso da imam semianalfabeti e da gruppi di fondamentalisti acculturati, in alcuni paesi si proibisce ai non-musulmani d’insegnare la lingua araba classica, quando cristiani ed ebrei hanno svolto un ruolo preponderante per la sua salvaguardia e il suo sviluppo. Da sempre, cioè dagli inizi pre-islamici della lingua fino al giornalismo arabo, passando per le traduzioni in arabo dei testi latini e greci.
L’arabo “grammaticale” si riduce a diventare monopolio degli ulema, che la ritengono la Lingua Una, sacra, perfetta, superiore a tutte le altre lingue e immutabile. E chi la pronuncia, sia pure in forma incantatoria, senza capirne il significato, si avvicinerebbe magicamente al Sublime Modello, se non all’ Onnipotente. Non a caso numerosi termini della spiritualità musulmana sono diventati come i mantra della tradizione indù. “Nel nome dell’islam”, captato dalla politica e i processi di secolarizzazione che dissolvono e fanno cadere a pezzi, in pezzi, le certezze tradizionali di un islàm fino a pochi decenni fa conviviale e accogliente, ci si arroga il diritto di gridare Morte Morte Morte alle orecchie di Dio. Come se dal mondo arabo e da quello musulmano fosse scomparsa la saggezza.
" Un tempo – scrive lo storico del pensiero islamico Mohamed Arkoun ( in L’Islam: morale et politique ) nel linguaggio coranico si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". Il culto dell’arabo sacralizzato e immutabile permette l’ utilizzazione oltraggiosa di un vocabolario e di referenze religiose per travestire processi di secolarizzazione radicali.” Come nota lo psicoanalista Fethi Benslama ( in La psychanalise à l’épreuve de l’Islam, Aubier, Parigi 2002) – l’espressione “nel nome dell’islam…” è oggi diventata l’invocazione macabra, la folle litania di coloro che si arrogano il potere assoluto di distruggere, non risparmiando né la vita umana, né le istituzioni, né i testi, né l’arte, né la parola.
Sui popoli del mondo arabo incombe un vero e proprio fossile o Moloch linguistico, che impedisce la libertà di parola e lo sviluppo della cultura e del lavoro della cultura. Politiche segregazionistiche e immobilismo linguistico perpetuano “una specie di prigione in cui il genio arabo si spegne”. A farne le spese sono soprattutto i sogni, i progetti e le speranze di una verdeggiante gioventù araba in piena effervescenza, mantenuta ignorante del proprio mondo, ridotto a un cumulo di assurdità.
Oggi la classificazione The World Almanac non considera l’arabo classico tra le lingue vive, ma rende conto dei dialetti arabi realmente parlati, come l’arabo egiziano, marocchino, algerino, mesopotamico ecc.. Sebbene siano oggi le varianti locali dell’arabo, gli idiomi e i dialetti a giocare un ruolo comunicativo e inventivo considerevole, specialmente nei movimenti musicali e le controculture giovanili, la lingua del popolo ( il “volgare”, come diceva Dante, contribuendo al passaggio dal latino all’italiano) non è ritenuta capace di creare e trasmettere saperi e cultura. Del resto, sono Paesi in cui non esiste una letteratura in grado di dare significato al critico passaggio al moderno di moltitudini malamente e superficialmente ammodernate.
“Pretendere di escluderci dagli altri mortali brandendo la nostra superiorità linguistica ed etnica – osserva ancora Choubachy rivolgendosi agli idolatri della lingua araba – è contrario alle basi stesse della logica musulmana. Continuare a sostenere il primato della nostra lingua, della nostra appartenenza etnica e della nostra religione su qualsiasi altra sarebbe, per usare un termine moderno, una forma di razzismo puro e semplice. Senza contare che una pretesa così segregazionista, lungi dal distinguerci, ci emarginerebbe dal complesso delle nazioni.”
Ogni processo di modernizzazione e di apertura alle sfide del mondo di oggi, così come alla possibilità di condivisione e di “dialogo” , richiede necessariamente la revisione e l’aggiornamento della lingua araba diventata “un giogo che incatena il cervello arabo e ostacola le nostre energie creative, una briglia, nota Chérif Choubachy, che strangola e frena i nostri pensieri… Noi abbiamo bisogno di una lingua chiara e precisa, non di ornamenti di stile e prodezze verbali.”
IL LIBRO
Choubachy Chérif, La sciabola e la virgola. La lingua del Corano è all’origine del male arabo ?, traduzione dal francese di Luisa Cortese, prefazione di Ahmed Youssef, O Barra O Edizioni, Milano, 2008