Psicostoria
CHIESA MADRE E PATERNITA’ DI DIO
Mi pare che i credenti non possano negare che la paternità di Dio, e tutto ciò che comporta una tale Imago Dei in termini di vicissitudini del complesso paterno, sia un elemento decisivo della fede cristiana.
Per la psicanalisi il complesso di Edipo ha un ruolo strutturante per la psiche umana, e si annoda e si scioglie in una crisi storicamente reperibile, alla quale la clinica pone qualche rimedio per impedirne il misconoscimento e l’esito nevrotico. D’altra parte, il pensiero teologico si configura come pensiero del reale e dell’impossibilità del reale, illuminando l’ angoscia ( forse un altro nome dell’inevitabile senso di colpa, meno antico e meno criminale del credersi innocenti o indifferenti ) e il desiderio di felicità, talvolta abbagliato dal desiderio di onnipotenza infantile, senza tuttavia ridurre necessariamente la religione a una nevrosi collettiva.
Per quanto diversificato possa essere il credito che i fedeli accordano all’analisi freudiana della loro religione come “illusione” che ha nondimeno il merito di liberare dalla disperazione, hanno molto da imparare dall’analisi su ciò che significa il fatto di riconoscere e confessare Dio come Padre, Figlio e Spirito santificante ( a differenza dell’islam che a partire dal Corano afferma più volte che Dio non è il padre, e a differenza dell’ebraismo che in misura meno rigida, astratta e violenta dell’islam mi pare si limiti al salutare riconoscimento del posto di Dio ( = Padre) e all’osservanza della Legge, che non mira a salvare tanto dal peccato quanto a liberare dalla schiavitù).
Il genio del cristianesimo, la novità del credo cristiano è lo svincolarsi paolino dal “vecchio” rapporto letterale tra la Cosa e la Legge: un salto effettuato da Paolo – e con lui da un’intera cultura – che con una nuova formulazione ( “che non è certo una sostituzione o un riassunto della vecchia Legge”, cfr. Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi 1989 ) dà atto del “pungolo nella carne”, cerca di promuovere il piccolo ma sconvolgente eros a charitas e si sottopone alla novità dello Spirito e non più ai dèmoni, a una pletora di tirannici dèi del giorno e della notte, e alla vetustas litterae.
Il Credo cattolico confessa pertanto che Dio si è fatto uomo, incarnandosi “per opera dello Spirito santificatore”, in Cristo, “ Dio da Dio, Luce da Luce”, nel seno della Vergine Maria, ha espiato sulla croce ,“sotto Ponzio Pilato”, per amore di tutti gli uomini le colpe di ognuno, di ognuna, ed è risuscitato secondo Le Scritture: “ è salito al cielo, siede alla destra del Padre; e di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”.
Nell’attesa, non inerte, della venuta del “solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli”, il cristiano opera nel mondo come se appartenesse e non appartenesse a questo mondo, libero dalla disperazione, se non dal necessario senso di colpa, perlomeno “un po’”, e pratica concretamente i modi dell’aiuto reciproco e della preservazione delle ragioni di una vita che è fragile dono proveniente dagli altri ( dai padri e dalle madri) e dall’Altro, e nella credenza che l’uomo sia fatto a Immagine di Dio e la donna sia la Gloria di Dio, sostituendo peraltro i miti con il lavoro che ora si fa nella carne-coscienza, e gli idoli con l’Icona e la trasparenza teofanica dell’Icona che rimanda alla tomba vuota e all’Altro.
La religione illumina il desiderio e rivela l’inconscio. L’inconscio non è una tara. D’altra parte, dubito che tutto ciò, ovvero il desiderare di essere con il Figlio-Dio alla destra del Padre, sia nient’altro che espressione del desiderio di onnipotenza infantile, narcisismo o più semplicemente il sogno di una creatura dotata di poteri precari di ritornare sano e salvo finalmente a casa. Questo resistere nel bianco, controcorrente, esprime la sempiterna lotta del Sole con la Morte. E’ uno scrivere contro la propria dissipazione, ed è quasi un ES-o-ES che corrisponde al desiderio di evitare la sofferenza e realizzare l’illuminata felicità. Ovvero il voto di non soffrire mai più quello che tutti – malgrado i diversivi, gli anestetici, la promessa bio-tecnologica della grande Aspirina planetaria e gli accomodamenti di supeficie soffriamo ( la caducità, la malattia, la morte e la fragile felicità che prima si fa strada in un corpo giovane, liscio, fresco e piacente e poi in un corpo prudente, impaurito e che invecchia nel vuoto ).
Immersione necessaria, macerazione e – attraverso il nichilismo – l’incontro con il mistero, ovvero con la Realtà così com’è, vale a dire impossibile. Ecco un vuoto non nichilista, un vuoto come fresca traccia. Da un punto di vista antropologico e anche dell’esperienza che ognuno può fare nella vita corrente , è che la fede cattolica illumina il desiderio. La religione lungi dall’essere ( come pretende la bestialità dei Lumi, la cui veglia ha spesso generato mostri) nient’altro che un complotto dei preti per asservire le masse, si articola a una teologia che è pensiero del reale, e sul reale : vicino cioè alla realtà del corpo, delle emozioni e dell’anima vivente. La realtà ( cioè proprio quello che non va, ovvero l’impossibile) non è dialettica. E le reali, contraddittorie e complesse vicissitudini del desiderio possono darsi in diverse forme, assumere per esempio quella del bisogno più elementare, e anche essere desiderio senza oggetto, desiderio di assoluto, totalizzante, se non totalitario. E non solo in termini di brama, o concupiscenza, ma anche di voto, augurio di una vita più libera e più felice, di un reale più largo per tutti.
E’ come se ( non per menar Lacan per l’aia, perché no? ) pur nell’annientamento del vivente qualcosa ( ma i cattolici preferiscono dire qualcuno, una Persona, una Presenza, un “Tu”) preservasse irriducibilmente la sua parte. E’ da questo “irriducibile” Iddio, mi pare, che “bevuto” a grandi dosi come una specie di droga, oppio, anfetamina o veleno, derivano anche le estasi criminali dei martiri-killer islamici, in pieno marasma regressivo, se non paranoico-sacrificale, ed anche il movimento delle religioni che edificarono le piramidi, i templi, le torri, le fortezze e quelle meravigliose cattedrali che – perlomeno fino al XVI secolo, prima della scristianizzazione dell’Occidente, ovvero con l’inizio dell’espansione di attività secolari o mondane instaurate al di fuori dell’economia cristiana del desiderio – non erano costruite per essere visitate da turisti con il naso in aria sotto splendidi affreschi, insomma per incrementare il turismo e lo spettacolo in genere limitato solo all’occhio corporeo e alla moltiplicazione di un “misto” di nuove escatologie. Escatologie peraltro talmente triviali da farmi preferire di gran lunga, personalmente, non fosse che per fedeltà alla “mia” storia, l’escatologia cristiana.
Insomma, non posso e neanche voglio fingere di non essere “schiavo del battesimo” ( Rimbaud), ed anche della cresima, né che paradossalmente se non fossi schiavo del battesimo non sarei mai libero, neanche di scrivere nel modo in cui ne scrivo, all’ombra di uno spaventoso povero padre cristiano che dettava e di una madre ( anch’essa ferita, come tutti noi ) che cantava.
I FANTASMI ESISTONO
I fantasmi esistono. Vengono sia dall’esterno che dal profondo di noi stessi. Solo per tranquillità li chiamiamo fantasmi, che non sono botoli innocui, ma portatori di qualche rimorso ( ovvero di un’altra figura della colpa, reale, altrimenti forse non si darebbe rimorso). Morti dell’alba, morti fratelli, non vi affrettate, non ci assalite. Sono i morti che ci governano. E i fantasmi, un coro di fantasmi ( Hegel direbbe “ potenze interne”). Chi potrà scongiurarli ?
Potrei cavarmela forse con una battuta e dire ai morti che escono dai muri di casa con la testa vuota da dietro e si affollano come ombre, sollecitando i vivi come se questi fossero capaci di salvarli – ebbene potrei dire loro: “ Nessuna paura, anch’io sono un fantasma!”. Ma mio padre ( morto all’alba) e mia madre ( morta di sera) non erano fantasmi, ombre passate sulla polvere e neanche io lo sono. O perlomeno non sono ancora diventato un fantasma, riapparendo come un fosforo nella memoria dei miei figli, o passando tra due righe come s’imporpora un viso, con un gran bel naso da Pinocchio, oppure apparendo e scomparendo come un bianco viandante sulle rive dei sogni di un lettore fra cent’anni. In ogni caso, Tempo e Spazio non sono una risposta e il dèmone dell’interpretazione e della decostruzione, così come anche l’arte, non sono delle vere via d’uscita.
A parte pianti e lamentele, il vento che batte, la chioma che cade, ecco un’osservazione. Ella, professor Levi, afferma che “ Dio solo (= la Chiesa) detiene il monopolio sulla vita in tutte le sue forme. Per la Chiesa è proibito persino masturbare. L’uomo non ha diritti “soggettivi”, ma solo il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza”. Se è vero che il cattolico crede la Chiesa ( non “nella” Chiesa) “una santa cattolica e apostolica”, è anche vero che questa, ovvero la Chiesa non è = Dio. Mi pare che nella religione cattolica la Chiesa sia la madre degli uomini-figli di Dio. E gli dèi non masturbano, perlomeno non ufficialmente, specialmente se figli di Vergine. La tradizione cristiana, aliena all’infantile touche-pipi e ai giochi dei ragazzetti, specialmente in seminario, infatti attribuisce alla Chiesa i titoli di Vergine, Sposa e Madre.
Sposa di Cristo in quanto umanità che accoglie il Cristo, e san Paolo, riprendendo la narrazione biblica, comparerà la loro unione a quella degli sposi ( fino a ieri unione dell’uomo e della donna, in Spagna non più ). Madre dei figli di Dio, lo è per il fatto che a renderla feconda è lo Spirito di Dio, in quanto la nascita degli uomini al loro statuto di Figli di Dio non è opera di carne né di sangue, bensì una seconda nascita secondo lo Spirito e l’acqua, il battesimo che rigenera i cristiani essendo opera congiunta dello Spirito e della Chiesa. San Paolo chiama la Chiesa “Corpo di Cristo”.
Con le parole di papa Benedetto XVI: “ La Chiesa è corpo di Cristo nel modo in cui la moglie insieme al marito diviene un solo corpo e una sola carne. In altre parole: essa è corpo non secondo una identità indifferenziata, ma in virtù dell’atto pneumatico-reale dell’amore che unisce gli sposi. Detto ancora con altri termini: Cristo e la Chiesa sono corpo nel senso in cui marito e moglie sono una sola carne, così che pur nella loro inscindibile unione fisico-spirituale restano tuttavia non mescolati e non confusi. La Chiesa non diventa semplicemente Cristo, essa rimane la serva che nel suo amore egli innalza a sua sposa che cerca il suo volto in questa fine dei tempi. Ma in questo modo sul fondamento dell’indicativo che si annuncia nelle parole «sposa» e «carne», appare anche l’imperativo dell’esistenza cristiana. Diviene perciò evidente il carattere dinamico del sacramento, che non è una realtà fisica predeterminata, ma qualcosa che si realizza a livello personale. Proprio il mistero d’amore come mistero sponsale manifesta l’immensità del nostro compito e la possibilità di caduta nella Chiesa. Sempre di nuovo, attraverso l’amore unificante, essa deve divenire ciò che essa è, e sottrarsi alla tentazione di rifiutare la propria vocazione per cadere nell’infedeltà di un’arbitraria autonomia. Diviene evidente il carattere relazionale e pneumatologico dell’idea di corpo di Cristo e della concezione sponsale, e la ragione per cui la Chiesa non è mai giunta a perfezione ma ha sempre bisogno di rinnovamento. Essa è sempre in cammino verso l’unione con Cristo: ciò che comporta anche la sua propria, interiore unità che diviene, viceversa, tanto più fragile, quanto più si allontana da questo rapporto fondamentale” ( cfr.La dottrina paolina della Chiesa come corpo di Cristo. (J. Ratzinger, La Chiesa, Edizioni Paoline 1991, pp.23-28) .
TERRA CELESTE E CORPI DI RISURREZIONE
dipinto del primo ‘500 intitolato "Allegoria Cristiana" di Jan Provost, esposto al Louvre.
Nella città dei risorti con un corpo pneumatico, la Gerusalemme celeste presentata come una giovane sposa preparata per il suo sposo ( Apocalisse 21, 2), tutti sono chiamati vergini (14,4) perché si sono dati a livello personale interamente a Cristo, la Chiesa ( = l’umanità che accoglie il Cristo come Signore ) è unita con Cristo e le vicissitudini e l’enormità del desiderio hanno trovato grande pace e compimento nel “tu” che è Lui: nostro Signore Gesù Cristo, il Vivente nei secoli dei secoli.
( Come forse tutti gli innamorati sarei nel bel melone e sogno un bel finale su una specie di belvedere, e come se fossi su un palco all’Opera forse mi sto assopendo, forse mi sto svegliando. Non è forse quando ci si accorge di sognare che ci si sveglia? Una volta mi chiedevo, tra illuminazione e abbaglio: “ Svegliarsi dentro il proprio sogno, esiste forse un’altra terra per l’approdo?”. Altre volte ho sognato il ritorno alla placida orizzontalità dell’animale, dicendomi che era quello il paradiso, senza osare curiosare ancora più indietro: nella placenta, dove confluiscono e si confondono le acque della vita e della morte. Ad ogni modo, per raccontare il proprio sogno occorrerebbe essere infinitamente svegli. Svegli nel proprio sogno e nella lingua che lo dice. Non per un oltrepassamento dei sensi, ma per una loro trasmutazione a partire da una responsabilità e un lavoro che incominciano dai sogni, da una lingua e una memoria. La memoria di una una lingua madre, per esempio, che aperta all’inaudito non può esprimere – come in Dante, il doppio nella lingua – la totalità divina desiderata che attraverso la voce mite, modesta, dell’acqua trasparente, della neve “che al sol si disigilla”, del “vento nelle foglie lievi” ( dove “si perdea la sentenza di Sibilla”), del raggio di luce in cui – per superare la “corta favella” con l’invenzione di quelle parole nuove che tanto imbarazzo pongono ai linguisti – Dante dice l’ inventrarsi, l’ inluiarsi, il trasumanar per un’esperienza che è insieme concreta e inimmaginabile, reale e fuori del tempo. Se “nomina sunt consequentia rerum” ( Vita Nova, XIII), allora occorre smetterla di fare giochetti intraverbali, ed accogliere la lezione che Pound ricavava proprio da Dante, quando suggeriva di un “fare al bisogno”, del tutto diverso dall’inseguire o il fare “novità vocabolaresche”.
Non avendo imparato a camminare sulle acque, mi dico che forse è il caso di costruire qualche barca, diga o ponte su cui far passare in maniera bella, utile e significativa il mutamento. E poi, proprio come l’assassino che per un caratteristico impulso ritorna sempre, o perlomeno nella maggior parte dei casi , sui luoghi del delitto, sono di nuovo tentato di andare sui limiti. Proprio qui, nel punto esatto della fenditura di un soggetto, ovvero nel punto, intenso e feroce, in cui la vita va al di là dell’io, del mio, e dell’egoismo del piacere o del dispiacere.
La chiamano Morte, in gergo canagliesco. E il poeta, Mallarmè, per tranquillità volle dirla “un modesto ruscello a lungo calunniato”. Il varco, il segreto delle energie mutanti e l’acqua viva della creazione è qui, dove “ripullula il frangente?” ( Montale). “ Das ding!”, esclamerebbe il buon Lacan, prima agitando il fazzoletto e poi, alla fine, immobile, muto, a fare e disfare nodi borromiami su una lavagna nera ).
“Sto morendo, Signore ?”. Sveglia, Giovanni, sveglia, spalanca gli occhi degli occhi, tendi la mano per altro che per masturbare il secolino o per prendere da un Oriente in ascesa sfolgorante e un Occidente al suo tramonto: noi siamo arrivati, o meglio giunti al Polo attorno cui ruotano le stelle, e abbiamo saputo che sei un viandante, la rugiada sui piedi, un po’ di nebbia nella testa e sulle spalle. Insomma, proprio mentre il Sole smette di litigare con la Morte e noi lasciamo una macchia, non c’è più ombra, né sesso né Cosa in Paradiso. E non c’è neanche la bellezza, che è parola nostalgica.
Licenziato e messo in pensione l’Arcangelo con spada fiammeggiante che impediva l’accesso a quel giardino piantato in noi da prima che cominciasse la storia, tutti i morti – liberi e felici come dovrebbero essere tutti i cari morti – aprono mille braccia, spalancano mille occhi e dicono: “ Venite, entrate tutti in giardino a riposare un poco in pace”. Suppongo che la musica sarà molto più importante dell’odio, dell’amore e degli equivoci della sempiterna lotta dell’odio e dell’ amore; e che laddove non c”è dove e niente trascina o spinge, potremo trasumanare la danza lieve e immacolata dei beati e forse discorrere eternamente su un cuscino di vere rose con Gesù.
Dico “forse” perché la scrittura non è una lapide e non ho poi tutta questa fretta di andare in Paradiso, e non vorrei neanche sembrare uno che ha la pretesa di dire a Dio come andrebbero fatte le cose nella casa del Padre.
IL TERZO TERMINE FRA LA CARNE E IL SACRO
Ora debbo lasciarla: è l’appello della campanella, è mamma-Chiesa (che, lo confesso, mi sta a cuore) che chiama tutti i suoi figli a casa per la santa Messa, quelli che siedono umilmente al suolo e quelli persi ai limiti della percezione e giocano in cielo con i bimbi morti. Sì, è mamma-Chiesa che chiama per la confessione dei peccati, l’eucarestia ( in cui il Signore ci da il suo corpo e fa di noi un solo corpo per la rinascita della Chiesa ) e la gioia di una poetica rinnovata della comunione.
Prima di alzarmi e andare a confessarmi ( costa molto meno di una seduta a pagamento di 45 minuti da uno psicoanalista) , resta del tempo per un’ultima, sia pure non definitiva osservazione. Se è nello Spirito che anima la Chiesa che diciamo con Cristo: «Abbà», perché siamo diventati figli (cfr. Rm 8,15; Gal 4,5), il conflitto tra Padre e Figlio si scioglie, o perlomeno così pare. Il terzo termine, necessario per uscire dal conflitto, è quell’apertura spirituale a Cristo che è la Chiesa, che allorché “rinasce” – personalmente, molecolarmente e cattolicamente – mi pare più in quella posizione che la psicoanalisi chiama “fallica” ( terzo termine, conseguenza della relazione d’amore Padre Figlio, che si pone nella linea paterna, e che rappresenta la potenza del desiderio) , che non nella posizione Chiesa=Dio.
In altri termini, si osserva una sovrapposizione della posizione fallica all’elemento femminile accogliente, aperto e materno della Chiesa di cui il Fallo è precisamente il luogo comune e il medio termine.
«Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,17). “Anche qui – scrive il santo Padre , la parola «spirito» non dev’essere intesa secondo la sensibilità linguistica moderna, ma dobbiamo leggerla nell’accezione paolina; in tal caso non è così lontana dal «corpo» nel significato. Essa vuole indicare una sola esistenza spirituale con colui che nella risurrezione è divenuto «Spirito» dallo Spirito Santo ed è rimasto corpo nell’apertura dello Spirito Santo. Ciò che poco fa è stato sviluppato a partire dall’immagine del nutrimento, diviene ora più trasparente e comprensibile a partire da quella dell’amore; nel sacramento come atto dell’amore avviene questa fusione di due soggetti che superano la loro divisione e divengono una cosa sola. Il mistero eucaristico, proprio nell’applicazione metaforica dell’idea sponsale, rimane il nucleo del concetto di Chiesa e della sua definizione mediante la formula «corpo di Cristo»( cfr.La dottrina paolina della Chiesa come corpo di Cristo. (J. Ratzinger, La Chiesa, op.cit.).
E’ in effetti sempre in termini di amore, di fecondità e di potenza generatrice che la tradizione cristiana ha presentato la persona dello Spirito Santificatore, tanto nell’articolazione o processione o dialettica trinitaria che per l’opera che esso svolge nel seno della Chiesa e nel mondo. Potenza maschile, è il soffio sovrannaturale che feconda la Vergine Maria, che anima la Chiesa e che genera i cristiani a nuova vita; è tale potenza ( non a caso lo Spirito Santo non viene mai rappresentato in forma umana) che manifesta la nascita e la risurrezione di Gesù ( cfr. ( cfr. A Phallic Shadow. Interview by Jacques Henric, art press no. 262, november 2000 ).
Nota. Nel lavoro La significazione del fallo Lacan esplicita il fatto che l’inconscio freudiano non tiene conto della differenza anatomica tra i sessi, ciò significa che una diversa ratio domina l’inconscio, a partire da ciò, Lacan introduce l’idea che è un ordine diverso da quello anatomico a reggere la ratio inconscia, che suppone essere l’ordine significante.
Milano, 21 giugno, san Luigi Gonzaga, Solstizio d’estate 2005
Dalla rete
Phallophanies: les images du livre
Fallofanie, la Carne e il Sacro, Éditions du Regard, 2000 , espone una scoperta. Una Cosa, nell’arte cristiana, che nessuno aveva ancora visto ( come nella “lettera rubata” di Poe, di cui parla Lacan), d’improvviso appare: sul corpo del Cristo battezzato o crocifisso affiora un fantasma fallico che interroga lo spettatore. ( Grazie al dottor Luigi Puddu per la segnalazione).
Nota 2. Nel lavoro La significazione del fallo, Jacques Lacan esplicita il fatto che l’inconscio freudiano non tiene conto della differenza anatomica tra i sessi, ciò significa che una diversa ratio domina l’inconscio, a partire da ciò, Lacan introduce l’idea che è un ordine diverso da quello anatomico a reggere la logica inconscia, che suppone essere l’ordine significante. Entriamo così nella dimensione del simbolico, il simbolico è propriamente l’inconscio ma nessuno lo sa… e se qualcuno lo vuole sapere va in fallo, fallisce, si sbaglia. Come il soggetto infante, il falloso ( in genere ripetitivo, palloso: non esattamente come questa nota che invece è una ripresa della nota 1 ) attraverserà delle fasi di erranza, prima tra tutte lo «stadio dello specchio», arrivando ad un punto in cui il desiderio sfugge al soggetto, inconscio, rimosso celato com’è nell’Altro, ciò equivale a mentire e a negare la mancanza ad essere che si traduce in angoscia ( con termine usato da Kierkegaard, poi da Lacan).
La legge del desiderio è appresa dal nostro corpo quando nel nostro mero o puro movimento ci imbattiamo nella presenza /assenza della madre, primo vero Altro- il quale risponde, solo se può e quando vuole alla nostra insaziabile domanda d’Amore. Anche quando il bambino piange perché ha fame esprime una domanda d’Amore, ciò vuol dire che l’apprendimento del linguaggio nel bambino è funzionale alla sua urgenza di significare la mancanza, per non patirne più il muto ed angoscioso peso. Al centro del grafo Lacaniano troviamo la teoria della castrazione simbolica, con cui egli cerca di significare l’indicibile di quest’assenza.
Il fallo ha una doppia valenza, immaginaria e simbolica, esso diverrà appunto, da oggetto immaginario per il possesso della madre a significante dell’impossibile soddisfacimento del desiderio.
Partendo dal complesso di Edipo il bambino, cercherà un rimedio alla dolorosa consapevolezza di non essere tutto per la madre (Altro) e lo troverà nella Parola che, dicendola, proprio per questo vela , occulta, rimuove la propria mancanza ad essere. Si chiude così il grafo con l’accettazione della mancanza che è la sola verità del desiderio.
Nota 3. Di un desiderio che nelle persone rimaste bambine, invece di diventare come bambini, si traduce nel tipico e abietto desiderio di essere amate “per come sono e mi pongo, perché pago le tasse e siamo in democrazia siamo tutti uguali e diversi”.
Tutti degni di essere amati ed accolti come vuole il cuore da qualche don Pirla con la kefiah: fossero pure il mostro di Dusseldorf, i poveri stupratori extracomunitari di Milano o di Bologna ( non senza logica ed etica inconscia proposti dalla Lega per la castrazione chimica) ** oppure i “diversi” in generale solo perché “diversi”: a partire dai poveri “resistenti” irakeni costretti dalle circostanze a torturare e a sgozzare cristiani, indù, buddhisti e musulmani “tiepidi” in mondovisione, passando per i kamikaze portati da “un vento divino” e i martiri-killer costretti, sempre dalle circostanze e dal vittimismo organizzato, a farsi esplodere per amore tra i nemici, fossero pure dei civili; per non dire di Leonarda Cianciulli, la tormentata saponificatrice di Correggio – autrice di “Confessioni di un’anima amareggiata”, scritto nel manicomio criminale di Aversa dove per fortuna fu rinchiusa prima che cominciasse a regalare, come le suggeriva il suo buon cuore e desiderio di essere amata “per come sono e mi pongo”, saponette di grasso umano ai vicini.
** LA LEGA E LA CASTRAZIONE CHIMICA DEI MIGRANTI
«Castrare con un colpo di forbice, e non necessariamente sterilizzata» gli stupratori . Per lanciare la sua "proposta" il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega Nord) ha preso carta e penna e ha diffuso una nota ufficiale senza dubbio ricca di spunti . «In una sola settimana — scrive Calderoli — a Milano sono state stuprate quattro donne e, guarda caso, i delinquenti sono tutti d’origine extracomunitaria. Si tratta di una situazione intollerabile» La soluzione ? Presto detto «Per prevenire simili reati serve una sola cosa. la castrazione fisica di quei delinquenti. Un tempo si parlava di castrazione chimica, ma personalmente sono propenso a metodi più semplici un colpo di forbice, non necessariamente sterilizzata»CALDEROLI (VICE PRESIDENTE DEL SENATO), Fonte: Il Sole 24 ore 1 luglio 2002. Questo accadeva tre anni fa. Oggi la situazione si ripete. Dopo la recente violenza subita da una quindicenne nel parco di Villa Spada a Bologna ad opera di due marocchini , caso che è stato al centro delle polemiche innescate dalle assurde dichiarazioni del capo procuratore della città Enrico Di Nicola ( in un’intervista al Corriere della Sera ha dato la colpa a Berlusconi e alla “classe dirigente”, praticamente attenuando la responsabilità dei poveri stupratori in quanto sarebbero, tanto per cambiare, vittime delle circostanze ) giunge la notizia di un ennesimo crimine di abuso sessuale commesso da un gruppo di migranti, la cui vittima è una diciannovenne milanese che si era appartata in zona Fiera con il suo compagno. Dalla Lega, tramite il ministro Calderoli, viene ribadita la proposta di effettuare la castrazione chimica sugli autori di questo genere di crimini.
COMMENTO: Non mi pare che Berlusconi operi nel parco di Villa Spada di Bologna o nella zona Fiera di Milano. Quanto alla proposta del Ministro, il suo linguaggio sembra strutturato come un inconscio non del tutto civilizzato ( il che non è una tara), o perlomeno non all’altezza della civiltà cristiana e dei comandamenti “ Ama il prossimo tuo come te stesso” e “ Ama i tuoi nemici”, che poi sono lo stesso, spesso incompreso se non incomprensibile, comandamento. Pagano, più che padano, un tale inconscio esprime un’etica che pare quasi naturale: la solo etica che soddisfa veramente l’inconscio, quella che trova una formulazione nella cosiddetta Legge del Taglione. Si tratta di una verità psicologica rigorosamente proibita, specialmente oggi in tempi di democratica dittatura del political corretness. A dare espressione a tale verità psicologica dovrebbero però essere i poeti non i politici responsabili. A tale proposito, in una nota a margine a Il disagio della civiltà (1929) , Freud riporta uno scritto del grande poeta Heinrich Heine, che in Gedanken und Einfalle vol. II , così confessa : “ Ho un temperamento il più pacifico che esista. I miei desideri sono: un’umile capanna con un tetto di paglia, ma un buon letto, buon cibo, latte e burro freschissimi, fiori davanti alla finestra, qualche bell’albero davanti alla porta, e se il buon Dio mi volesse rendere del tutto felice, mi dovrebbe procurare la gioia di vedere sei o sette dei miei nemici impiccati a questi alberi. Prima che muoiano, con cuore commosso perdonerò loro tutti i torti che mi hanno fatto in vita: certo, si deve perdonare ai propri nemici, ma non prima che siano stati impiccati.”
Il perdono sembra avere ben poco a che fare con l’inconscio umano, è categoria davvero divina. Come lo è del resto la castità, che togliendo alla concupiscenza il suo orientamento nel tempo, trasmuta i sensi – con l’aiuto di Dio – nella luce e il calore del grande abbraccio della vita al servizio della vera Vita e "per" il Regno ( cfr. Il valore della castità evangelica) .
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Francesco di Giorgio, “La Castità” (sec. XV)
Il cuore della questione di Andrew Cohen ( In questa intervista con Andrew Cohen, Padre Thomas Keating parla del celibato e della rinuncia come qualcosa di molto intenso, come l’amore di Dio che giunge a compimento dentro di noi). Nella “notte oscura” di san Giovanni della Croce, uno dei maestri del misticismo cattolico, sono descritte tre grandi prove o tentazioni, una delle quali è definita lo “spirito della fornicazione”: in essa vi sono continue ed enormi tentazioni di attività sessuali e di abbandono del celibato. Ed è in questa lotta intensa che la virtù della castità viene testata. Il rinunciante viene spinto dalle tentazioni al fondo della carne-coscienza e della sua anima, dove diventa realmente saldo di fronte a tutte le tentazioni. Fonte: innernet.it – Genere e sesso