LE RADICI DELL’ODIO E LA DISPERAZIONE DEL TEMPO
Dopo la strage di Bali, preceduta da condanne di apostasia “che hanno scatenato sia la caccia ai musulmani riformatori e laici sia una recrudescenza nella repressione della comunità cristiana”, un articolo di Magdi Allam invita a non sottovalutare anche da noi la gravità delle accuse di apostasia emanate da esponenti del «partito italiano del takfir », anticamera ideologica del terrorismo maligno.
Dall’Indonesia alla Gran Bretagna, dall’Iraq a Israele, dall’Algeria alla Turchia, è l’apostasia il male dell’islam che scatena il terrore. La radice dell’odio che trasforma una persona in robot della morte risiede nella condanna di tutti coloro che non sarebbero dei «veri musulmani», finendo per legittimarne il massacro. Un male e un odio che hanno messo radici anche in Italia.
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Le accuse agli apostati, anticamera dell’orrore (Corriere della Sera – 3 ottobre 2005)
Ad aver perduto un “luogo sicuro” – se mai è esistito un luogo separato da tutti i pericoli del mondo – non sono solo i musulmani colpiti dalle fatwe dei terrificanti figli di una Umma idealizzata e transnazionale, senza territorio e tuttavia ubiquitaria e diffusa fin nell’infosfera. L’deologia islamista generalizzata dalle prediche e dagli scritti degli stessi dirigenti islamisti, secondo una strategia discorsiva che include la doppiezza, la dissimulazione e il ricorso a un vocabolario religioso di condanna a musulmani additati anche in Italia come apostati, riguarda tutti.
Tutti hanno perso – oltre a Bali, a Sharm, a Casablanca, a Istanbul, a Madrid, a Londra, a Milano o a Roma come “luoghi sicuri” – New York, dove ai tempi dell’ascesa sfolgorante del nazismo in Europa erano numerosi quelli che scappando laggiù erano sicuramente salvati. Abbiamo perso tutti – non solo i musulmani additati come “apostati”- la libertà dalla paura e la stessa idea che in qualche luogo del tempo o dello spazio possa esserci per noi un “luogo sicuro”. Abbiamo perso un mondo che avremmo desiderato un luogo di tranquillità mentale e fisica, un mondo la cui immagine – per sempre sfregiata dal crollo di torri, case, mercati, bar, ristoranti, metropolitane e luoghi di vacanze che grondano sangue – ci è ormai offerta dai terroristi.
Ad aiutare lo jihadismo sono anche quegli italiani – forse la maggior parte dei nostri concittadini – che temono di passare per “nemici dell’islam” e politicamente scorretti se non permettono che moschee collegate a gruppi fondamentalisti come quello dei Fratelli Musulmani ottengano finanziamenti dalle amministrazioni locali; e che gettando subito falsi ponti ( tanta è la voglia di essere lasciati in pace e l’ansia di negare l’esistenza, purtroppo, del “nemico”) corrono, agitando bandierine arcobaleno, ad accogliere in Italia e a portare in giro a fare conferenze qualsiasi islamista, nemico delle nostre libertà, disposto a fare ambigue dichiarazioni “contro il terrorismo”. Quando, sempre per l’ansia di essere lasciati in pace, non disturbano le esercitazioni anti-terrorismo di Roma al grido di “Pace subito” e di “Buffoni, buffoni, che state a fa…”.
“La stupidaggine insiste sempre , – scriveva Camus ne La peste – ce se ne accorgerebbe se non si pensasse sempre a sè stessi”. I nostri concittadini con il velo o il passamontagna arcobaleno calato sugli occhi , al riguardo, sono come tutti quanti, pensano a sè stessi. E non vogliono che si prenda qualche precauzione, perché le barriere difensive sono brutte, mentre i ponti sono un sacco bello e il mondo sarebbe un Paradiso se non ci fosse, ahimè, qualche brutto Muro. In altre parole, se non proprio degli umanisti, quelli che hanno solo voglia di essere lasciati in pace sono dei buonisti aggressivi, dei pacifisti con le bombe lacrimogene, certi di trovare non poche scusanti e condiscendenza illimitata nell’opinione pubblica. “L’opinione pubblica, cosa sacra:- niente terrore, soprattutto niente terrore”*. Sì, niente problemi: solo dibattiti ! Così, mentre alcuni fiancheggiatori no-global cercano di convincerci sinistramente che la colpa è sempre e solo dell’Occidente “buffone”, specialmente degli Amerikani, e che basterebbe ritirare le truppe dall’Iraq per essere al sicuro, altri ci rassicurano con dei versetti: gli atti di terrorismo sono proibiti nel Corano che recita: “ che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera” (5,25). Ecco finalmente il luogo sicuro, il Testo sacro dei musulmani!
Per meglio goderne, si va a verificare il versetto , e si legge “chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra…”. E chi dunque decide se quest’uomo, che l’islamista vuole uccidere, non abbia “sparso corruzione sulla terra” ? E’ l’islamista stesso, o il suo gruppo. E questo perché l’islamista segue il Corano puntigliosamente, e la Carta del suo network pone chiaramente – sebbene su sfondo oscuro – che l’apostata sparge corruzione sulla terra e che – come pure gli Americani , gli Ebrei e i Crociati – non solo sparge corruzione e commette violenze ma è, in quanto tale, la corruzione stessa. E dunque, quando il pio islamista legge : “ Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione ( fitna) è peggiore dell’omicidio” ( 2,191), lo fa con tutto il cuore perché è secondo “giustizia” che l’islamista si fa giustiziere dei suoi fratelli e del mondo.
Legittimato dalla shari’a, eccolo dunque auto-immunizzato, pronto a “re-islamizzare” i musulmani e a liberare il mondo dalla fitna ( ovvero da “tutti i fenomeni, i comportamenti e le intenzioni connessi a persecuzione, sedizione, sovversione, scandalo, vizio, inquinamento, corruzione, discordia, disordine, disobbedienza, ribellione, contro Allah, le Sue leggi, le Sue creature” – come si legge nel commento fondamentalista alla traduzione del Corano oggi più diffusa in Italia, quella della Newton & Compton Editori, Roma, 1966, p. 49).
Per l’islamista non si tratta di aver fede nell’uomo con un avvenire, e neanche di costruire, utopicamente, l’ “uomo nuovo”, ma di far ripassare i musulmani “tiepidi” per l’origine dalla quale questi “pseudo-musulmani”, gli apostati e le stesse società che si dicono musulmane si sarebbero staccati, regredendo verso il tempo della jahiliyya ( l’epoca dell’ignoranza della Legge di Allah, prima dell’islam).
Come si legge nei testi dell’egiziano Hassan al Banna ( 1906-1949) e dell’afghano Abu Ala Mawdudi ( 1903-1976), i quali nel secolo scorso hanno, fra gli altri, gettato le basi teoriche dell’islamismo, occorre far “ripassare” i musulmani per l’origine. E’ quello che gli emiri fanno realmente, fino a far firmare a uomini e donne musulmani delle attestazioni di entrata nell’islam , datate e recanti geneneralmente la formula seguente: “ oggi sono entrato nella religione dell’islam sotto la mano dell’emiro ( un tale)”. Lo riferisce lo psicanalista tunisino Fethi Benslama. La teoria che pone i musulmani fuori origine, autorizza peraltro i gruppi estremisti violenti a uccidere e massacrare senza scrupolo, come in Algeria, ripetendo gli argomenti della regressione e dell’apostasia: sono dei simulacri di musulmani la cui morte renderebbe servizio all’islam.
E’ per questo che nel caso dell’islamismo la condanna di “apostasia” non è un’opinione innocua o semplice diffamazione, e neanche una metafora per indicare un allontanamento dalla pratica religiosa, ma un delirio costruito come una teoria da applicare realmente, annientando ogni interpretazione. L’omicidio compiuto dal giustiziere del mondo che si dice musulmano assolve i musulmani colpevoli di essere regrediti verso la pre-origine, di essere diventati dei musulmani solo in apparenza. I pii massacratori, sporgendosi verso le vittime per immolarle come si fa con i capri alla fine del Ramadan, durante la festa dell’Aid el kebir, annunciano loro la “buona novella” del ripristino allucinato dell’originaria Legge di Allah, tramite l’effusione del sangue espiatorio della vittima di turno. Generalmente la vittima è un innocente, spesso un “diverso” per non aver esibito i segni della sottomissione ai barbuti ed essersi opposto alla propagazione di una versione settaria dell’islam e del terrorismo .
Un terrorismo maligno che salda in maniera spettacolare la comunità all’origine allucinata e che trova aiuto anche nella nostra ignoranza dell’islam, del suo rapporto mistico con la morte, e nel rifiuto della sua complessità. “Nei rapporti con il fondamentalismo islamico – scrive Angelo Panebianco nell’ultimo numero di Panorama – la nostra tradizionale incapacità di apprendere dagli errori può rivelarsi assai pericolosa, mortale. A quattro anni di distanza dall’11 settembre noi italiani non disponiamo ancora di una politica per fronteggiare la sfida jihadista. Ci arrabbattiamo, come altri occidentali, per cercare di prevenire attacchi terroristici. Ma non abbiamo ancora compreso che per combattere il terrorismo non basta la polizia, occorre una politica di sistematica neutralizzazione della propaganda fondamentalista, tesa cioè ad essiccare le radici culturali del jihadismo”.
Nell’ideologia islamista sembra essersi ripetuta, su grande scala, l’ abrogazione dell’origine che si verificò l’8 agosto del 1164 ad Alamut, giorno in cui il gran maestro degli sciiti ismaeliti proclamò la fine della legislazione positiva dell’islam e annunciò ai seguaci della sua setta – poi conosciuta come la setta degli Assassini – l’inizio della religione esoterica, in cui ognuno poteva credersi in rapporto diretto con gli ordini dell’Onnipotente espressi alla lettera dal Libro sacro e i comandi dell’Imam occulto nascosto su qualche montagna dell’Iran. In ogni caso, il voler ripristinare un’età dell’oro islamica, in cui l’uomo islamicamente e interamente compiuto non sarebbe più in conflitto con l’esterno, somiglia alla credenza islamista nella perfezione dell’Origine che abolisce ogni futuro, ogni speranza, ogni orizzonte ulteriore, che non sia un ritorno a una Umma, o grande Matria, che sia perfettamente islamica.
Per l’islamista il meglio è già avvenuto, ed è l’islam sognato. Il Libro realizza il sogno di un linguaggio perfetto e il sole di Allah è sempre fisso allo zenith dal giorno della sua rivelazione ( a partire dal VII sec. d.C. ), dissipando ogni ombra dalla terra. L’apoteosi, così come l’Apocalisse, è dunque alle spalle : in un passato glorioso e insigne che il divenire – con la complicità di apostati, pseudo-musulmani, crociati e soprattutto, tanto per cambiare, ebrei – non può che decomporre. Tutto il possibile è stato dato nel passato, non resta che opporsi al divenire. Se alla prova della realtà e dei fatti l’islam sognato non trionfa è perché la realtà e i fatti sbagliano, non hanno letto il Corano. Anzi ne hanno ostacolato e perseguitato il Comando. Stando così le cose, in mancanza di ponti culturali ( questi sì necessari) il contatto dell’islam delle moltitudini con la modernità vira al disastro. E all’islamista non resta che oscillare fra una terribile depressione e una grande esaltazione. Una malinconica sottomissione , magari dissimulando e baciando la mano che non si può mordere ( come recita un proverbio arabo), è allora la sola posizione in attesa del Giudizio finale, a meno di una precipitazione nel terrore – incominciando a fare casino ovunque ci si trovi, soprattutto se a casa d’altri e specialmente dei kafir o kafirun , questi “ingrati verso Allah”, come comunemente vengono definiti con linguaggio polemico i non-musulmani.
Il letteralismo, il comunitarismo e la perdita di ogni capacità spirituale impongono, non a caso, all’islamista di avere una sensazione fisica della cosa originaria allo stesso livello del corpo, di corpi-gruppo imbricati gli uni negli altri nelle madrase, le moschee e le scuole islamiche fuori da ogni controllo, consegnate a predicatori estremisti. Qui, taluni vengono per fortuna a rassicurarci, a dirci che la massa dei musulmani non li approva e condanna gli atti osceni che procedono dalle loro prediche e dalla loro perfidia. Noi crediamo loro, abbiamo interesse ad accordare credito alla loro voglia di vivere e di far vivere affinché essi combattano fra di loro i terroristi. Ma come potranno combattere i “fratelli che sbagliano” se è scritto (mektub) che tutti i musulmani sono “ la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini”, e che Allah prescrive “raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Allah” ? Tanto più se ne sono convinti fino alla conclusione del versetto 110 della Sura 3 che recita: “ Se la gente della Scrittura [ebrei e cristiani, benché i cristiani non siano propriamente “gente del Libro”come erroneamente credono i musulmani] credesse , sarebbe meglio per loro; ce n’è qualcuno che è credente, ma la maggior parte di loro sono empi”. Fino a che punto i musulmani credono che gli altri siano davvero dei perversi o “empi”?
Da qui il problema: il cristianesimo ha messo venti secoli , numerose guerre e la Shoah per fermare – anche attraverso Vaticano II – i propri integralisti e i propri deliranti falsi profeti, e bandire dai propri testi la vendetta verso l’altro. L’islam può dunque prendere il suo tempo – tanto più che la civilizzazione islamica ha davvero conosciuto qualche periodo di relativo benessere proprio quando è riuscita, per breve tempo nella Baghdad di Harun ar Rachid o nell’Andalusia spesso favoleggiata dagli orientalisti – ad arginare le crudeli pretese dell’islam legalista, politico e puritano, se non purificatore. Ma il pianeta reggerà il doppio sogno o scisma del mondo islamico, scisso fra democrazia e lotta all’Occidente? Forse il sogno islamista si concluderà con un amaro risveglio e una presa di responsabilità dei propri guai . La cui colpa non è essenzialmente, come si ripete continuamente, dei crociati, degli ebrei, degli apostati e della politica Usa .
Intanto, aspettando che il mondo islamico nel suo complesso – e non solo l’Iran dei lugubri ayatollah – smetta di sostenere e di giustificare in permanenza, o anche “saltuariamente”, i terroristi kamikaze “ per la difesa dell’islam”, fino a quando si potrà tollerare che uomini musulmani riflessivi e sensibili vengano additati come “apostati” e minacciati impunemente di morte, in Italia, da questo o quel “fratello” mafioso che s’arroga il diritto di rappresentare il “vero islam” ?
D’altra parte, nell’attesa – non priva di una certa vena espiatoria – che l’islam si aggiorni e si disintossichi, sembra che la Umma dia prova di una certa maturità: mentre i caporioni urlano troppo forte morte morte morte alle orecchie del loro dio, offrendo all’odio una semplicista metafisica estroversa, un comune vocabolario religioso e le parole d’ordine più semplici e più adatte a sollevarla e spingerla verso il suicidio-omicidio, sembra non volerli seguire – come se si fosse stancata dei propri bambinoni difficili, i propri figli terribili. Certo, si comportano da bastardi e sequestrano vergognosamente l’islam e l’immagine dell’islam, tuttavia, come una Madre esaurita e sempre sull’orlo di una crisi di nervi, domanda soprattutto di vivere – sia pure bofonchiando qua e là in loro favore. Come recentemente a Venezia, per esempio, dove durante l’incontro tra politici italiani e rappresentanti musulmani su “Islam e democrazia”, promosso dai Democratici europei, insieme al comune di Venezia, sono stati diffusi i risultati di un’inchiesta che “la Repubblica” del 30 settembre definisce “shock”. E i “risultati shock” sarebbero quelli dei dati, a tutti noti da tempo, del sostegno dato dal mondo islamico alla shaada, ovvero della fabbricazione e della pratica dei martiri-assassini “per la difesa dell’islam”. Il giornalista di “Repubblica”, Roberto Bianchini, non poteva concludere il suo articolo che così: “ Colpa essenzialmente della politica Usa, condannata soprattutto da Giordania, Turchia e Pakistan”. Oltre che naturalmente condannata da Romano Prodi, quando afferma che se l’Unione andrà al Governo l’Italia ritirerà le «truppe occupanti dall’Iraq». ( cfr. Corriere della Sera – «Da Prodi incentivo a colpire truppe»).“L’opinione pubblica, cosa sacra:- niente terrore, soprattutto niente terrore”.
Qui, mentre cerchiamo di imparare a distinguere e a non commettere l’idiozia di confondere islamisti e musulmani ( con la conseguenza, propizia alla depressione, di trovarsi di fronte un miliardo d’integristi con gli occhi iniettati di sangue), gli islamisti non cessano di mascherarsi da “moderati” e, nello stesso tempo, di velarsi e di inalberare le loro insegne, dando a vedere essi stessi, pubblicamente, in maniera ostentata, minacciosa e lunatica le multiple manifestazioni di questo fenomeno di “re-islamizzazione”. Si tratta della testimonianza ( così evidente da non essere vista, come nella “lettera rubata” di Poe ) di una risorgenza organica della peste identitaria e del mito dell’Origine comune sul modo dello stigma e dell’organizzazione del vittimismo organizzato. E tuttavia occorre prendere misure di contrasto del fondamentalismo, prima che lo spazio accordato ( per ignoranza, per lassismo o per timore) all’islam politico radicale porti, ancora una volta e anche in Italia, i suoi frutti di odio e di morte. Restano da pensare le condizioni storiche, psicologiche e culturali che portano a tali stati di marasma paranoico-sacrificale, così diffusi e ormai generalizzati all’ombra di un antimessianismo pestifero, se non un vero e proprio anticristianesimo come disperazione di massa, disperazione del tempo.
Nota
* “ I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati. Il dottor Rieux era impegnato, come lo erano i nostri concittadini, e in tal modo vanno intese le sue esitazioni. In tal modo va inteso anche come egli sia stato diviso tra l’inquietudine e la speranza. (…) I nostri concittadini non erano più colpevoli d’altri. Dimenticavano di essere modesti, ecco tutto, e pensavano che tutto era ancora possibile per loro, il che supponeva impossibili i flagelli. Continuavano a concludere affari e a preparare viaggi, avevano delle opinioni. Come avrebbero pensato alla peste, che sopprime il futuro, i mutamenti di luogo e le discussioni ? Essi si credevano liberi, e nessuno sarà mai libero sino a tanto che ci saranno i flagelli.” ( Albert Camus, La peste, Bompiani, 1964, p. 38).
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