Dambruoso in galera, i terroristi eroi della libertà?

 Sottosopra. Le monde à l’envers

 Dambruoso in galera, i terroristi eroi della libertà?

 

Sono stati assolti dall’accusa di terrorismo internazionale i tre islamici già prosciolti in primo grado dal giudice per l’udienza preliminare Clementina Forleo che li definì "guerriglieri" e non "terroristi", condannandoli solo per reati minori. La terza Corte d’assise d’appello ha assolto il marocchino Mohamed Daki e i tunisini Maher Bouyahia e Ali Ben Saffi Toumi dall’accusa di terrorismo internazionale, il reato 270 bis del codice penale. la Corte d’Appello di Milano si spinge anche oltre alla tesi della Forleo, ha infatti derubricato per Bouyahia e Toumi il reato di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale in associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, facendo arrivare la pena a tre anni. Più favorevole questa sentenza d’Appello anche per Daki visto che la Forleo assolse il marocchino dall’accusa di terrorismo internazionale, ma lo condannò a 2 anni e 10 mesi per ricettazione di documenti falsi. Invece, i giudici di secondo grado hanno ritenuto Daki innocente anche su quest’ultima accusa. Dopo la sentenza i tre imputati in aula hanno urlato "Allah è grande" e "Viva l’Italia", e da accusati si sono trasformati in accusatori . Daki, parlando con i giornalisti ha ribadito una sua denuncia: «Il 6 e 7 ottobre 2003 sono stato preso dal carcere, portato qui a Milano al sesto piano nella stanza del dottor Dambruoso, e interrogato da gente americana. Ho chiesto il mio avvocato – ha affermato Daki – e hanno detto che non ce n’era bisogno». Daki ha spiegato che le domande riguardavano le persone che conosceva e ha aggiunto di essere anche stato minacciato. Altrettanto, ha affermato l’avvocato Gabriele Leccisi, sarebbe capitato al suo assistito Ali Ben Sassi Toumi.

«Si tratta di una sentenza che va rispettata ed eventualmente impugnata, naturalmente dopo aver valutato le motivazioni», ha commentato Stefano D’Ambruoso, l’ex pm della Procura di Milano che per anni si è occupato di terrorismo internazionale e ora è consulente dell’Onu a Vienna. In merito alle accuse lanciate da Mohammded Daki ha risposto: «Chiunque è libero di dire ciò che vuole pur rispettando i limiti e senza, quindi, far scattare gli estremi del reato di calunnia».

Così ha commentato Magdi Allam :

Ormai è del tutto evidente che la norma 270 bis che in Italia è preposta all’azione giuridica di contrasto del terrorismo internazionale, si presta a una miriade di interpretazioni contrastanti a secondo dell’orientamento culturale, politico e ideologico del magistrato. Se si arriva persino a mettere in dubbio l’esistenza o la pericolosità di Al Qaeda e di altre sigle del terrorismo islamico come Ansar al Islam, vuol dire che la confusione e l’arbitrio valutativo hanno raggiunto il culmine. Non c’è più altro tempo da perdere. La classe politica nel suo insieme dia vita a una procura nazionale antiterrorismo retta da giudici specializzati che conoscano veramente la materia e assicurino una univocità di lettura dei fatti di terrorismo che ci minacciano. Prima che si rischi il ridicolo di vedere un pubblico ministero serio e competente come Dambruoso in galera e dei terroristi islamici osannati come eroi della libertà. Prima che si scopra sulla nostra pelle che il terrorismo non è un reality-show ma un sanguinario nemico che è di casa e ovunque nel mondo”. Magdi Allam a “Studio Aperto”, telegiornale di Italia1.

da: Terroristi ? Macchè. Guerriglieri . Fino a bomba contraria.

di S. Baiocchi

… Mi fa piacere che gli imputati assolti abbiano potuto dichiarare che questa sentenza fa onore all’Italia, ma per la verità io non mi sento affatto onorato di un Paese che (giustamente) vieta l’arruolamento dei propri cittadini per conto di uno Stato straniero ma ritiene non costituisca reato il fatto che cittadini di un Paese straniero ospiti nel territorio della Repubblica e terzi rispetto al conflitto irakeno possano finanziare attività di “guerriglia” di gruppi armati anch’essi terzi rispetto alle parti in conflitto, tanto più se tale attività viene svolta per conto di una organizzazione che è internazionalmente riconosciuta come affiliata a quella sorta di centrale del terrorismo islamista che è Al Qaeda.

Non capisco proprio il senso di questa sentenza che, al di là di ogni disquisizione di carattere puramente tecnico e giurisprudenziale, ha finito a mio avviso per cadere laddove voleva evitare, cioè in una implicita ‘ingiustificata presa di posizione per una delle forze in campo’.

E siccome faccio il poliziotto, ho un minimo di esperienza e cultura investigativa, so bene che non sempre ciò che sembra è ciò che é. E qui sembra tutto molto ‘confuso’ ma in realtà è ben chiaro: manca una legge che riconosca inequivocabilmente come reato ciò che oggi è suscettibile di interpretazioni estensive a favore dell’assoluzione di questi criminali; una legge che non lasci spazio a dubbi tanto che il giudice che è chiamato ad esprimersi (compito comunque sempre arduo) possa non cadere nell’equivoco ed esprimersi con un margine di errore ridotto al minimo, considerato che quando lo fa è nel nome del popolo italiano.(S. Baiocchi, Ideatore e Coordinatore di poliziotti.it )

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Aggiornamento

CASO DAKI E LE IPOCRISIE ITALIANE

di Pierluigi Battista

  

Il marocchino Mohamed Daki, assolto in appello 

«Intelligence», ecco la formula magica. A chi chiede cosa occorra fare concretamente per colpire il terrorismo senza ricorrere alla guerra, l’anti-guerrafondaio usa rispondere così: «migliorare il lavoro di intelligence». Come evitare bombe e interventi militari? Con l’«intelligence». Quale alternativa alla linea bellicista? Un maggiore impegno «nell’intelligence». Poi però, come dimostrano le reazioni smodate di chi deplora l’attenzione dell’«intelligence» negli interrogatori del Mohammed Daki recentemente assolto, anche l’«intelligence» diventa improvvisamente cattiva. L’«intelligence»? Un’indebita interferenza. Il lavoro oscuro e coperto dell’«intelligence»? Una intollerabile violazione dello Stato di diritto. Lucia Annunziata ha avuto il merito di svelare il pericolo dell’ipocrisia che si annida negli ondivaghi sostenitori delle virtù salvifiche dell’«intelligence». Chi «applaude come a una vittoria dello Stato di diritto l’assoluzione di Daki», ha scritto sulla Stampa , «derubrica evidentemente il terrorismo internazionale a una minaccia alla nostra società inferiore a quella della mafia; giudica l’importanza di un aiuto dato a uno dei cervelli dell’11 settembre minore del crimine di protezione di un mafioso». E infatti, ricorda molto opportunamente Lucia Annunziata, tra «i servigi prestati dal terrorista Daki, per sua stessa ammissione» si annovera «l’aiuto dato da lui, mentre viveva ad Amburgo tra il 1989 e il 2002, a uno degli uomini considerati la mente dell’attentato dell’11 settembre», mentre «l’ospitalità nella sua casa italiana era stata invece riservata a Ciise, un somalo, accolto da lui su ordine della Siria».

Un tribunale italiano ha giudicato queste ammissioni insufficienti come base di una condanna per terrorismo e le sentenze vanno rispettate anche se, come nota Annunziata, qualora al posto del «terrorista» ci fosse stato un «picciotto», difficilmente l’ospitalità a pezzi grossi di Cosa Nostra non sarebbe stata giudicata prova solidissima di «partecipazione ad associazione mafiosa». Il garantismo è salvo, ma chi è riuscito a mettere le mani sull’ospitale aiutante di noti terroristi se non la più volte invocata e poi subitaneamente malfamata «intelligence»?

È l’«intelligence» che agisce con i mezzi che le sono propri e con le necessarie modalità che ne assicurano l’efficacia. Ed è grazie all’«intelligence» se si è riusciti ad arrivare, se non a un «terrorista», a un amico compiacente e, per sua ammissione, palesemente complice di pericolosi terroristi. Ora chi ha sempre indicato nell’«intelligence» l’unica alternativa praticabile e moralmente accettabile alla guerra guerreggiata, eccepisce indignato sui mezzi poco ortodossi e assai discutibili sul piano dei princìpi dello Stato di diritto che l’«intelligence» ha adoperato (e non avrebbe potuto non adoperare) per smantellare la rete degli amici e dei complici (adibiti alla fornitura di case, documenti, «ospitalità») del terrorismo internazionale.

Ma allora, se i metodi dell’«intelligence» sono deprecabili, che senso ha reiterare la liturgia dell’«intelligence da attivare» ogni volta che si vuole indicare una credibile variante della guerra come strumento di aggressione al terrorismo internazionale? Non si rischia così di svuotare di senso, fino a diffondere attorno ad essa un insopportabile sentore di ipocrisia e di doppiezza, una legittima battaglia contraria alla guerra? Non sarebbe il caso di chiarire cos’altro dovrebbe fare l’«intelligence» se non individuare la rete di complicità di cui i terroristi godono in tutto il mondo? E allora perché delegittimare il lavoro di un magistrato anti-terrorismo che si avvale della collaborazione dell’«intelligence»? A meno che non si voglia, assolvendo Daki, condannare senza appello l’«intelligence» stessa, un tempo amata, e ora, chissà perché, detestata. ( Pierluigi Battista – Corriere della Sera , 1 dicembre 2005).

 

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Una risposta a Dambruoso in galera, i terroristi eroi della libertà?

  1. helloyllypinky scrive:

    …e bhè m sn imbattuta in un blog un difficilino x me!!!…ma nn xkè io sia suxficiale…ma è solo xkè nn m piace parlare d qst cose…cmq complimenti!!!a presto!!!bacini baciosi…se vuoi c’è spazioxte nel mio blog!!!

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