L’APRENTE
IL CORANO TRADITO / 2
SECONDA PUNTATA
… Quando Bernardine Coverley si convertì all’islam e incominciò a pregare in arabo cinque volte al giorno, rivolgendo il tappetino verso la Mecca e dicendomi che voleva “assolutamente” andare in Algeria, a Mostanaghem, a trovare i maestri sufi, le dissi: “ Vai pure, ma restiamo amici”; e la lasciai subito. ( Con rimpianto? Lasciamo stare… ci divise e separò Maometto, ecco! Credo che se Bernardine è ancora viva , forse a Londra, se ne ricordi ancora…).
Insomma, un Dio che non era persona nel padre, nel figlio e nello spirito , ma unicamente il “ padrone dei mondi “ e il tutore ( wali ) delle sue creature, non m’interessava, non molto.
Ritenenevo illiberale l’impossibilità legale per il musulmano di cambiare religione o di dichiararsi non credente, pena l’imputazione del crimine-peccato di “apostasia ”. Una volta entrato nell’islam – recitando la shahada o professione di fede islamica: La ilaha il Allah, Muhammad-ur-Rasoul-Allah davanti a tre testimoni, e preferibilmente un emiro o un adoul ( un notaio) in grado di attestarlo – il neo-converso non avrebbe mai più potuto ritornare sui suoi passi e uscirsene – come accade nella mafia o in taluni circoli esoterici della massoneria. Avevo inoltre notato che i neo-convertiti occidentali all’islam, ovvero i cristiani di Allah, non dico i rinnegati, nella maggior parte dei casi diventavano fedeli ad oltranza, monolitici e più realisti del re, più musulmani dei musulmani stessi.
Tuttavia volli mettere come epigrafe al mio libro sul Marocco ( Marocco-Nordafrica. Una guida diversa per viaggiare differente ) una sura del Corano per amicizia verso il Paese e le persone di cui ero stato ospite per tanti anni, e anche perché mi piaceva il suono e la musicalità della recitazione della prima sura. Ce l’avete sotto gli occhi, va letta da destra verso sinistra:
Bismillah Ar-Rahman Ar-Raheem
Al-hamdu lillahi Rabb il-‘alamin
Ar-Rahman Ar-Raheem
Maliki yawmi-d-Din
Iyya-ka na’budu wa iyya-ka nasta’in
Ihdina-sirat al-mustaqim
Sirat al-ladhina an’amta ‘alai-him
Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin
La versione in italiano o parafrasi della sura al Fatiha da me adottata era:
“ 1) Nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso. 2) Lode a Dio, Signore dei mondi. 3) La Clemenza e la Misericordia l’accompagnano. 4) O Re del giorno del giudizio, 5) è Te che noi adoriamo ed a Te che chiediamo soccorso. 6) C’incamminiamo sul sentiero diritto. 7) Cammino di quelli che Tu colmi di grazia. Non di quelli che hanno meritato la collera e che errano.( Marocco-Nordafrica, Arcana editrice, Roma 1975, p. 4).
Alessandro Bausani invece traduce: «6)… guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, 7) la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!» (Il Corano, Alessandro Bausani, Rizzoli ).
E questo per evidenziare, con maggior fedeltà alla lingua araba, la forma negativa di “Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin – غَيرِ المَغضُوبِ عَلَيهِمْ وَلاَ الضَّالِّين” .
Tutte le sure de Corano, eccetto la nona (at-Tawba), incominciano con la frase rituale Bismil-lâhi ar-Rahmâni ar-Rahîm – بِسْمِ اللّهِ الرَّحْمـَنِ الرَّحِيمِ, : una frase che si può ascoltare ovunque in paese arabo e islamico. La básmala viene recitata e manducata spesso, a ogni ora del giorno o della notte: durante i salamelecchi quando si riceve a casa qualcuno o lo s’incontra per strada, prima d’intraprendere qualsiasi azione, come bere un bicchiere di tè, lavarsi i denti, iniziare un pranzo, o prima di firmare un qualsiasi contratto. E viene tradotta abitualmente come “ nel nome di Dio, il Clemente il Misericordioso”.
I NOMI DIVINI
Avevo notato ( su un quadernetto dalla copertina verde, sui cui era impressa una gazzella ) che il radicale arabo R-H-M – da cui provengono i Nomi Rahmân e Rahîm o piuttosto gli epiteti Rahmân e Rahîm ( in quanto al-lâh – Il Dio – non ha un vero e proprio nome proprio) – fanno riferimento all’utero materno, alla matrice. Partendo da tale radice R-H-M André Chouraqui avrebbe poi tradotto la básmala in un modo nuovo: “ Nel Nome di Al-lâh il Matriciante, il Matriciale” (il testo francese dice: Au nom d’Allah, le Matriciant, le Matriciel, nella traduzione del Corano per l’editore Robert Laffont, 1990. Si tratta di una parafrasi del Testo Sacro intitolato L’Appel, perché in effetti al-qur’ân può essere reso con “ La Recitazione” o “L’Appello” ).
D’altra parte, come ricorda il mistico maestro Ibn ‘Arabî (1165-1240), nel suo Trattato dei Nomi divini, il Nome ar-Rahmân sembrava strano già agli arabi del suo tempo.
Il carattere matriciale di Al-lâh fa pensare al Dio Creatore che ama visceralmente le sue creature, come potrebbe amare una madre. Ma Al-lâh non è un parente, un padre, una madre o un fratello. Le proclamazioni coraniche dell’unicità del Dio dei musulmani bandiscono radicalmente ogni nozione di generazione, di parentela o di procreazione divina. Tanto è vero che nella sura Al-Ikhlas ( detta sura del Puro Monoteismo) Al-lâh viene proclamato as-Samad, tradotto generalmente con “l”Eterno”, con un termine arabo che definisce ciò che è assolutamente pieno e completo, ovvero “ l’Impenetrabile”. Qui la compiutezza divina, non fissurata da alcunché, si contrappone formalmente alla natura aperta e sessuata degli uomini e delle donne – poiché il sesso è il farji, ovvero “ il buco, l’interstizio, il difetto” ( cfr. Fethi Benslama, “Le sexe absolu”, Cahiers Intersignes n.2, Paris, 1991, pp. 105-124 ).
Anche a Napoli, peraltro, i ragazzi dei vicoli il sesso lo chiamano “ o’ guaie”. D’altra parte, secondo l’imam al Qortobi il farji dell’uomo, il sesso maschile, è anche amana o amanatun, vale a dire un “deposito”, nel senso di un oggetto inestimabile da portare come insigne contrassegno della dignità dell’uomo. “Ciò che, per primo, Al-lâh creò nell’uomo – scrive il giurista Qortobi – fu il sesso ( farji ). Egli disse: ‘ Questo è il mio deposito, ve lo affido’ “. E l’uomo accettò una tale amenità, ovvero il sesso in quanto amâna o amânatun, che in arabo deriva dalla stessa radice dell’amen ebraico ed indica il “sì” e il “così sia” primordiale che dovrebbe colmare la mancanza originaria nella conformazione umana.
Ma questo ameno deposito fiduciario costituisce, nello stesso tempo, la fonte del dramma cardinale e del problema etico centrale dell’uomo, così definito dal Corano: “ Abbiamo proposto il deposito ( amânata ) ai cieli, alla Terra e alle montagne. Tutti hanno rifiutato di custodirlo e ne hanno avuto timore. Tutti tranne l’uomo, che ha accettato perché è ingiusto ed incosciente” – 33.72.– إِنَّا عَرَضْنَا الْأَمَانَةَ عَلَى السَّمَاوَاتِ وَالْأَرْضِ وَالْجِبَالِ فَأَبَيْنَ أَن يَحْمِلْنَهَا وَأَشْفَقْنَ مِنْهَا وَحَمَلَهَا الْإِنسَانُ إِنَّهُ كَانَ ظَلُوماً جَهُولاً
Inna AAaradna al-amanata AAala alssamawati waal-ardi waaljibali faabayna an yahmilnaha waashfaqna minha wahamalaha al-insanu innahu kana thalooman jahoolan ( XXXIII, 72).
Pertanto il “sì” originario al sesso si fonda su una presunzione senza pari e appare come l’accettazione di una soggettività “ignorante”, come l’assunzione di una responsabilità immensa nei confronti del divino depositante, come un “punto cieco” dell’incontro con la psiche. Non a caso una delle metafore del sesso in arabo – per esempio secondo lo sceicco Muhammad-Al-Nafzaoui – è, oltre che “lo strumento”, “l’oggetto che si allunga”, “il fanfarone”, eccetera, anche “il guercio”, ovvero il cieco da un occhio. ( Cfr. Muhammad-Al-Nafzaoui, La Prateria profumata, Edizioni il Brigantino, Ravenna, 1989, p. 131). Per limitare i rischi e i danni dell’incoscienza umana, a ragione l’islam instaura il nikah, ovvero il contratto che legalizza il godimento sessuale, tramite “l’acquisto – come recita la giurisprudenza di scuola malekita – dell’apparato generatore della donna con l’intenzione di goderne”, acquisto limitato solo a quattro spose legali ( cfr. Gianni De Martino, “La relazione uomo-donna nei Paesi islamici”, in Rosamaria Vitale, L’Amore altrove , Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2004 )
LA RINUNCIA AL PADRE
L’intera spiritualità dell’islam si basa su questa separazione fra l’Uno che è l’Essere ingenerato, saturo, radicalmente altro da tutto, e le generazioni fissurate, piegate ai gomiti e ai ginocchi, alle quali è richiesta la sottomissione alla Legge e l’adorazione del Creatore in cambio della ricompensa nell’Aldilà. La scissione è quindi radicale: da un lato Al-lâh è fuori del sesso, della generazione e della procreazione; dall’altro, l’umanità – plasmata attorno a un buco, a una mancanza a essere fondamentale, e in un certo senso inguaiata dal sesso, sull’orlo del baratro divino – segno di una trascendenza con la quale non si è in rapporto, se non tramite la “discesa” o “invio” di un Comando, di un Ammonimento Scritto e della “rivelazione” di una Volontà unilaterale.
Nel discorso dell’islam l’universo è considerato unicamente dal punto di vista di Al-lâh, così com’è desiderato dall’Altissimo ( Al-‘Aliyy ), Immenso ( Al-‘Azim ) e Irresistibile ( Al-‘Aziz) Dominatore ( Al-Mouhaymin) e Costrittore ( Al-Djabbar) . E il Libro costituisce in tal senso un tentativo di guidare il credente a vincere le resistenze che la propria volontà e i propri desideri ignoranti rischiano di opporre al progetto, alla volontà e al desiderio di Dio di essere adorato ed amato in quanto Creatore e “ Padrone dei mondi”.“In nessuna parte del Corano – nota Fatima Mernissi dell’università di Rabat – abbiamo accesso direttamente al punto di vista del debole, del servitore, dello schiavo, ovvero al punto di vista del credente di cui Dio esige la sottomissione. Non conosciamo il servitore che attraverso il padrone” ( La femme dans l’incoscient musulman, Editions Albin Michel, Paris, 1986, p. 148).
L’ultima religione monoteista, sorta nel secolo VII in Arabia, si presenta come una formidabile obiezione alla teologia trinitaria della paternità di Dio – “ impostando – come nota lo psicoanalista tunisino Fethi Benslama – un deserto genealogico tra l’uomo e Dio, con conseguenze multiple e a tutti i livelli” ( cfr. Fethi Benslama, “La rinuncia al padre”, Vivarium 70/2004, p. 57).
Il Corano depone anche il fondatore dell’islam dallo statuto di padre: “ Muhammad non è il padre di nessun uomo tra di voi” ( Corano XXXIII, 40). Il Buon Modello dei musulmani viene subito messo in posizione di figlio ed orfano, una delle primissime apostrofi con la quale Al-lâh si rivolge al suo Inviato è “l’orfano”.
Cos’è dunque l’islam? Sul piano dello sviluppo storico, per Hegel era una formidabile macchina da guerra, che doveva la celerità con la quale divenne “un impero universale”( frapponendosi peraltro anche con la spada fra l’occidente e l’oriente, ed impedendo un loro ricongiungimento ) “all’elevato grado di astrazione del suo principio”. Nel suo libro I sette pilastri della saggezza, Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia , qualificò la regione in cui sono nati il Corano e l’Islam come “ una ghiacciaia spirituale dove si conserva in eterno, pura da ogni contatto ma anche da ogni miglioramento, la visione dell’unità divina”. Sul piano di una ricognizione psicoanalitica l’islam pare invece costituire “ la regressione – come osserva lo psicoanalista Giacomo Contri – dalla generazione alla creazione, dal Padre all’astrazione Dio, che poi si chiami Allah fa esattamente lo stesso. La regressione dal rapporto al comando, dal pensiero di natura al puro imperativo, dalla vita psichica come vita giuridica alla vita psichica soggetta al dominio, potremmo anche dire alla geometria”. ( La geometria, tuttavia, non è un’arte banale, di facile accesso e capace di produrre nient’altro che un’arte decorativa. Può darsi che l’arte geometrica sia impiegata per ornare e riempire dei vuoti. Ma se gli Arabi – venuti da un deserto del quale esistono numerose ragioni per aborrirne il vuoto – hanno sviluppato l’arte geometrica, hanno anche, con lo stesso vigore, appreso, sviluppato e trasmesso le scienze matematiche, come ad esempio l’algebra. Come mi faceva notare l’amico pittore Mohamed Melehi, nel lontano 1967 giovane professore alla Scuola di Belle Arti di Casablanca, “ l’arte geometrica araba non resta a livello lineare come sembrerebbe a prima vista, corrisponde a una geometria in profondità, che lascia un’apertura a una pluralità di supposizioni mentali”. D’altra parte però è anche vero che “ l’Islam non è in alcun modo propenso a una polidealizzazione. Al di fuori dell’Idea di Dio, il resto è un mondo materiale votato alla distruzione. Ogni idealizzazione si trova allora concentrata sull’esistenza di un solo dio.” ( Cfr. Mohamed Melehi, in “Souffles. Revue maghrèbine littéraire culturelle” n. 7-8, Rabat, 1967, p. 61).
Dall’Uno è esclusa ogni idea di procreazione, ma un carattere matriciale di Al-lâh resta nondimeno suggerito dalla radice araba R-H-M contenuta nei termini Rahmân e Rahîm. E’ molto interessante, perché in paese arabo e islamico l’amore parentale portato verso la progenitura non è tanto legato al petto e al cuore quanto al ventre e al fegato: la madre non parla del suo bebè che utilizzando il termine El kabda ( il fegato). Somma espressione dell’amore e della tenerezza non è “cuore, cuoricino mio” – come direbbero le nostre mamme – bensì El kabda, kabdati ( “fegatino mio”).
Nelle visioni del corpo nell’Islam il ventre è inoltre coperto dal tabu della ‘aoura, la parte cieca, nascosta, proibita allo sguardo. Il tabu della ‘aoura va dall’ombelico al ginocchio – sia neglii uomini che nelle donne, alle quali l’ ‘aoura però si estende, secondo i talebani, anche al volto che pertanto dovrebbe essere velato. La parte interessata da questa misura piuttosto controversa tra i musulmani stessi è evidentemente quella genitale, ma il ventre è spesso sinonimo di parte genitale ed è associato all’idea dell’esteriorità dell’utero, luogo misterioso della gestazione. E’ allora simbolo della madre e del calore materno, della profondità, della tenerezza, della protezione.
Il carattere matriciale di Al-lâh fa pensare anche al teologo della liberazione Leonardo Boff quando dice che bisogna recuperare “l’aspetto materno di Dio” che si sarebbe perso nel corso della dottrina cristiana, allontanando da essa i credenti. Cosa che non mi trova per niente d’accordo, in quanto la preghiera insegnata da Gesù ai cristiani è : “ Padre nostro che sei nei cieli”, per cui Dio resta, per me, padre e Dio dei padri, non madre.
D’altra parte, se Al-lâh, il dio che secondo l’affermazione coranica non è il padre, è matriciale, lo sarebbe, gnosticamente, in quanto matrice di tutto l’esistente, ovvero della Creazione come atto d’incubazione di tutto il visibile in sé stesso, prima del Fiat Lux e del Big Bang… In tal caso, l’idea di Al-lâh come “matrice” o “seno” della Creazione completerebbe l’idea di Al-lâh come al-Jâliq, il Creatore, in riferimento all’esistenziazione dei mondi a partire da Lui con un atto di parola, un soffio istantaneo e misterioso… “ I mondi sono portati dal soffio della Sua misericordia”, osservava lo Shaykh Muhy-d-Din Ibn ‘Arabi.
La Sura al-Fatiha, se la si legge con attenzione, riflettendo e meditando sui suoi molteplici e prismatici significati, non è affatto semplice e scontata: è misteriosa, arcana; e come tutte le scritture ritenute “sacre” mette una certa ansia. La lettura delle Sacre Scritture è la meno gratuita che esista, la più pericolosa. Parafrasando Hume si potrebbe dire che se gli errori della filosofia possono essere semplicemente ridicoli, quelli della religione sono pericolosi.
LA RETTA VIA
Non avevo voluto tradurre Ihdina-sirat al-mustaqim con :“ guidaci sulla diritta via”, bensì l’avevo reso ( facendomi aiutare da Moulay Magid Abdeslam Sherif perché non ho che una conoscenza superficiale dell’arabo ) con : “C’incamminiamo sul sentiero diritto”, invece che con: “ Guidaci sulla retta via”. Volevo così salvaguardare un minimo d’iniziativa personale nell’aderire o meno a un sentiero su cui incamminarsi verso Dio. Un sentiero, per la verità, piuttosto aggrovigliato, ma che tramite prove ed errori, la verifica, il pentimento e un po’ di grazia, poi ritorna di nuovo dritto. Insomma, non volevo fare il verso a Dante, che scrive nel primo canto di apertura, all’inizio del viaggio nell’Oltretomba: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura / che la diritta via [sirat al-mustaqim] era smarrita”.
( continua… )
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Amazing come l’uomo ami complicare tutto, religione inclusa.
Rinnegati ci sta bene, m’hanno chiamato in tutti i modi ma mai cosi’ :p
Balqis aka pizzaqueen
Cara pizzaqueen, il fatto è che spesso nel rifiuto della complessità si annida la tirannia ( spero di approfondire la questione nella terza puntata…). Quanto ai neo-conversi, NON DICO “rinnegati”, preferisco dire “cristiani di Allah”, con amicizia, e nel rispetto delle reciproche differenze e della vita, senza gettare subito falsi ponti.
un Dio che non era persona nel padre, nel figlio e nello spirito , ma unicamente il “ padrone dei mondi “ e il tutore ( wali ) delle sue creature, non m’interessava, non molto.
Il problema e’ che ognuno Dio se lo costruisce come vuole.
Non e’ che siamo piu’ Musulmani dei Musulmani, anche se tutti i cosiddetti born Muslims ammirano noi reverts per quello: e’ che andiamo con l’approccio vecchio verso il nuovo, come se pregare 5 volte al giorno o digiunare facesse di noi un buon Musulmano e non semplicemente un tecnicamente sufficiente devoto.
pq
“…Ritenenevo illiberale l’impossibilità legale per il musulmano di cambiare religione o di dichiararsi non credente, pena l’imputazione del crimine-peccato di ‘apostasia ‘ ”…
Il problema è che ognuno Dio se lo costruisce come vuole? Senza voler escludere i particolari positivi della “costruzione” teologica, esegetica o personale dell’ Idea islamica di Dio, esagerando solo un tratto che potrebbe apparire astratto e legalista , ti chiederei se è vero che oggi faccia problema il fatto che “ La conversione dei musulmani ad un’altra religione è punita con la morte in Arabia Saudita, Mauritania, Sudan e Iran, e che altri Paesi islamici colpiscono i convertiti con la privazione dei diritti civili ”.
e con l’apostasia torniamo alle dolenti note di un Islam diviso : se da un lato ci troviamo bene o male quasi tutti d’accordo sul fatto che nel Corano l’apostasia e’ menzionata ma non punita, dall’altro ci affidiamo alle Hadeeth o detti del Profeta.
Vi e’ una sola di queste, da alcuni classificata come forte e da altri come debole nella catena di trasmissione, secondo la quale egli avrebbe detto che chi rigetta la religione deve essere ucciso. In piu’ non sono stati riportati episodi di messi a morte, sempre risalenti all’epoca di Rasulullah, a meno che le circostanze fossero piu’ complesse.
Un’altra complicazione deriva dal definire chi e’ apostata : tu mi citi la Mauritania non a caso suppongo (chiedo scusa per il tu ma e’ un tono che uso abitualmente derivatomi inoltre dal frequente uso dell’Inglese). Da quelle parti e’ apostata uno che non prega per piu’ di tre giorni e senza motivi, e viene condannato a morte.
Un mio amico Americano che io definisco anti Islam nonostante sia una cara persona, dice che la nostra religione e’ rimasta all’eta’ della pietra. Io dico semplicemente ancora una volta che e’ l’uomo a fare la differenza nel momento in cui interpreta la religione e non perche’ l’Islam sia piu’ facilmente malleabile di altre come molti sostengono ma perche’ la religione diventa argomento personale.
Io credo in un Dio buono quando c’e’ da essere buoni e deciso quando ve ne sono le condizioni.
Esempio : presa dal tuo post, al mio ritorno a casa, ho saltato il Maghreb e sono a 20 min dalla preghiera successiva. Che faccio?
Fatta la doccia recupero e prego Isha che ho bisogno di pulizia fisica e spirituale. Saro’ punita ? Uno scholar dira’ sicuramente di si, io dico no perche’ il tempo trascorso qua a meditare sulle tue parole e a cercare di interagire con te e’ tempo prezioso. Adesso qualcuno dira’ “ma ti serviva l’Islam per capire certe cose, non bastava essere Cattolica?”
Probabilmente non e’ stato sufficiente ma necessario per il percorso.
pq
Vero, pizzaqueen ( ma non hai un tuo blog e un nome ?), il Corano non è esplicito sul castigo dell’apostata.
Dei quattordici passi che vi alludono, solo sette parlano di “castigo”, e sempre in riferimento a qualcosa che avverrà nell’aldilà, mai durante la vita. In un caso (2, 217) si parla del fuoco eterno; in un altro (2,161) della “maledizione di Dio, degli angeli e degli uomini tutti insieme”; e in quattro casi (3,91; 3,177; 5,73 e 16,106) di “castigo doloroso”. In un solo versetto, nella sura del Pentimento (9,74), viene prescritto “un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro” ( Mi pare che sura 9,74, parli del rinnegamento, kufr, degli ipocriti dopo aver abbracciato l’islam – occorre verificare…).
“Tutti i commentatori – nota l’islamologo Samir Khalil Samir ( nella Prefazione di un libro edito da Piemme: “I cristiani venuti dall’islam”di Giorgio Paolucci e Camille Eid) – riconoscono la vaghezza di questa prescrizione rispetto alle altre pene coraniche. Infatti, mentre per il furto o per l’adulterio il Corano indica la punizione con estrema precisione (ad esempio, il numero dei colpi di frusta), c’è da stupirsi che per un reato tanto grave come l’apostasia parli soltanto di “un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro”.
il Corano non stabilisce nessuna punizione specifica contro l’apostasia ( irtadda e al-kufr ba’d al-islam. ) Ma la pratica tradizionale islamica del “ castigo dell’apostasia” ( hadd al-riddah), praticata nei secoli per poter giustificare l’eliminazione di qualcuno, viene oggi ripresa nei regimi islamisti e fra i gruppi islamo-politici radicali. Tale pratica in contrasto con i più elementari diritti umani si basa su due hadith del Profeta, instancabilmente ripetuti anche da llo sceicco radicale egiziano Yusuf Al-Qaradawi, oggi uno dei più intolleranti e purtroppo anche dei più ascoltati nel mondo arabo: quello dell’imam Awza’i (nato a Baalbek nel 707) e quello di ‘Ikrimah ( morto nel 723, era lo schiavo di ‘Abdallah Ibn ‘Abbas, cugino di Rasullah, e fu liberato dopo la morte del suo padrone).
L’hadith di Awza’i attribuisce a Rasullah il detto: “Il sangue di un musulmano non è lecito al di fuori di uno di questi tre casi: la vita in cambio della vita, l’uomo sposato che commette adulterio, quello che abbandona la sua religione e si separa dalla sua comunità”. L’hadith di ‘Ikrimah invece fa dire a Rasullah: “Chi cambia religione, uccidetelo”.
Entrambi questi hadith appartengono alla categoria degli hadith al-ahad, cioè dei detti riferiti da una sola persona. In generale, gli ulema considerano non validi questi detti nella definizione delle pene e dei castighi corporali, hudud. Nella sua Prefazione al libro citato più sopra, l’islamologo Samir Khalil Samir riassume l’argomentazione di alcuni autori, particolarmente quella dello sceicco Ahmad Subhi Mansur che fa un’ analisi storica e giuridica degli hadith in questione.
In Europa ( con l’eccezione della persecuzione comunista dei credenti nel blocco sovietico e delle cosiddette leggi razziali promulgate durante il nazifascismo) è da circa trecento anni che la religione non costituisce motivo di discriminazione fra i cittadini. Nelle nostre democrazie chi cambia religione non è oggetto di punizioni barbariche e privazione dei diritti civili. La religione non è specificata sui documenti di identità e tutti coloro che vi vivono e lavorano nelle nostre fragili democrazie hanno i diritti e i doveri descritti nelle leggi dello Stato. Ed ogni cittadino, aborigeno, indigeno o ospite, è libero di manifestare o no la propria fede.
Ma lo sa che lei ci starebbe bene come Mufti :p
Happy New Year
Balqis
Grazie, Balqis, per il mufti.*
MUFTII è chi dà una risposta decisiva, un giureconsulto che nella religione di Rasullah risolve in ultimo appello, con funzioni superiori a quelle del Cadi, i punti controversi in materia di diritto, ahimè, insieme civile e religioso. ( MUFTII , la cui sentenza resa si dice FEFTA, è participio del verbo arabo FATAA – alla 4° forma AAFTAA – giudicare, far conoscere la verità conforme all’islam con un responso giuridico – FATWA = giudicato, sentenza ).
Lo prendo come un complimento, anche se da noi in Italia il termine “mufti” fa pensare al muffo, alla muffola e al muflone.
Auguri di Felice Anno Nuovo
* P.S. In merito ai punti controversi in materia di “apostasia”, per la verità ho solo riferito quanto emerge dallo studio dell’ islamologo Samir Khalil Samir ( nella Prefazione di un libro edito da Piemme: “I cristiani venuti dall’islam”di Giorgio Paolucci e Camille Eid).