ADDIO A SYD BARRETT
E’ morto a sessant’anni il “diamante pazzo” dei primi Pink Floyd. “Ricordo quando eri giovane, splendevi come il sole… Ora c’è uno sguardo nei tuoi occhi, come buchi neri nel cielo… Hai raggiunto il segreto troppo presto, hai pianto per la luna… Splendi, folle diamante” (Roger Waters , 1975).
Links: The History of Rock Music. Pink Floyd: biography, discography … |
“hai pianto per la luna…”
In realtà ‘to cry for the moon’ significa ‘chiedere la luna / l’impossibile’.
Il Griso
In realtà ( che terribile espressione!), egli ha pianto e gridato per la luna, reclamando l’impossibile ( come Rimbaud) *. Ovvero chiedendo proprio quello che non va, vale a dire la realtà…
*L’impossible
Ah ! cette vie de mon enfance, la grande route par tous les temps, sobre surnaturellement, plus désintéressé que le meilleur des mendiants, fier de n’avoir ni pays, ni amis, quelle sottise c’était. – Et je m’en aperçois seulement !
(…)
S’il était éveillé toujours à partir de ce moment, nous serions bientôt à la vérité, qui peut-être nous entoure avec ses anges pleurant !… – S’il avait été éveillé jusqu’à ce moment-ci, c’est que je n’aurais pas cédé aux instincts délétères, à une époque immémoriale !… – S’il avait toujours été bien éveillé, je voguerais en pleine sagesse !…
Ô pureté ! pureté !
C’est cette minute d’éveil qui m’a donné la vision de la pureté ! – Par l’esprit on va à Dieu!
Déchirante infortune !
RIMBAUD, ‘L’impossible’, da “Une saison en enfer”
E’ che ‘piangere per la luna’, nella realtà dell’italiano, per terribile che tu o Rimbaud la possiate trovare, non s’usa.
Non è un caso se gli unici esempi di ‘pianto per la luna’ che puoi trovare su Google sono altrettante traduzioni (goffamente letterali) di quella canzone.
Chiedo scusa, il commento #3 è mio, ho postato prima di firmarlo.
Il Griso
…poi, già che sono in vena:
“Hai raggiunto il segreto troppo presto”
Nella realtà dell’inglese contemporaneo, ‘to reach FOR sth’ significa ‘stendere la mano per toccarlo o prenderlo’, ma non necessariamente arrivarci (come quando si chiede la luna, appunto).
Il Griso
E’ vero: la traduzione che si trova su Google non è esatta. Griso, grazie per l’acribia.
D’altra parte, nel tradurre, così come nell’atto dello scrivere, c’è quasi sempre uno scarto, quasi un fraintendimento, e tradire la lingua non sempre è un peccato… Mi viene in mente un esempio , non so se di Bloom o di Steiner ( dovrei cercare) in cui un traduttore invece di tradurre esattamente “i tuoi capelli bianchi/ debbo morire, Signore?” traduce “la luce cade dall’alto/ debbo morire, Signore? ”, rendendo immortale il verso di non so più quale poeta tradotto da un’altra lingua e in qualche modo felicemente tradito…
E’ il “clinamen” di Lucrezio, lo “scarto leggero degli atomi” in quanto libertà…
E così che affiora tutta una generazione, forse una pessima generazione, che ha cominciato con il volere la luna e ha finito con il piangere per la luna…
L’osservazione è interessante: ” ‘piangere per la luna’, nella realtà dell’italiano, non s’usa”. In ogni caso, confesso che “hai pianto per la luna” continua a sembrarmi più poetico, meno banale che ” hai chiesto la luna” o “hai voluto la luna”. E quindi credo che dovrai scusarmi se lo userò ancora. Che male c’è ? Avrei forse sfigurato qualcuno o qualcosa ? ( “Arriverò a godere di uno sfiguramento della lingua – scriveva ironicamente Barthes nel ” Piacere del testo” – e i benpensanti grideranno allo scandalo, perché non sta bene sfigurare la Natura” ).
P.S. Ma non è che tanta meticolosità, se non amore per l’ordine e la precisione, nasconde un po’ di acrimonia per quello sciagurato di Syd Barret e il suo precursore Rimbaud ?
Nessuna acrimonia per Barrett (con due ‘T’), da me maramaldescamente definito ‘il Cassano della musica rock’: è che non mi piacciono le traduzioni sciatte.
Qui non si tratta di ‘grecizzare il tedesco’ come voleva fare Goethe (o chi per lui), è che le traduzioni dei testi delle canzoni troppo spesso sono fatte coi piedi, il che non rende loro un gran servigio, anzi: un traduttore può anche permettersi d’inventare qualcosa, a patto di essere bravo e di aver capito esattamente cosa volesse dire l’originale, prima di travisarlo coscientemente e non per pura incompetenza (senza scomodare Steiner e il suo ‘four-beat model of the hermeneutic motion’.
Poi può anche capitare che qualcuno legga ‘cammello’ invece di ‘corda’ che passa per la cruna dell’ago e ci regali un’immagine più felicemente paradossale dell’originale, ma sono casi fortuiti.
Il Griso
Sì, sì, certo, il Griso, sono casi fortuiti.
Capitò qualcosa del genere anche al barone Jacques d’Adelsward Fersen, nato a Parigi nel 1880, da una famiglia proprietaria di importanti acciaierie in Lorena, e discendente dal nobile casato svedese dei Fersen. Nel 1904 sbarcò a Capri, prendendo in affitto villa La Certosella a via Tragara .
Ritenendo però Tragara troppo piena di turisti sciattoni e troppo vicina al paese, il barone di Fersen decise di costruirsi una villa su una rupe a picco sul mare, che prese il nome di Villa Lysis. Qui scrisse il primo romanzo ambientato a Capri, dal titolo “Et le feu s’èteignit sur le mer” , dove si divertì a sparlare, quasi maramaldescamente, un po’ di tutti , rendendo peraltro facilmente riconoscibili gli isolani “chiattoni” e i residenti stranieri “sciattoni”. Senonché sul la copertina e il frontespizio del libro, l’editore stampò ( ooops, stavo per scrivere “stappò” ) ” Opera di Jacques d’Adelsward barone di Felsen”.
Un caso fortuito gli aveva storpiato il nome, ma il barone di Fersen accusò l’editore d’incompetenza e di sciatteria, e seguì una lunga corrispondenza e addirittura un processo.
Insomma, come direbbe Salvador Dalì ( inventore del metodo paranoico-critico ) a proposito di un incongruo rocchetto dipinto in non so quale quadro: “ proprio per la sua quasi impercettibilità, quel lapsus chiedeva a gran voce una spiegazione”. Poi il caso ha voluto che, forse per colpa di qualche scalpellino un po’ sciatto, sulla tomba del barone Fersen, morto suicida, oggi si legga: ” Qui giace il barone di Felsen”.
P.S. Non ricordo in quale opera di Steiner ( sei sicuro che sia di Steiner ?) si trovi l’esempio di quel traduttore o amanuense che, per caso fortuito, in luogo di “ i tuoi capelli bianchi” ci ha regalato l’immagine : “ La luce cade dall’alto/ debbo morire/ Signore ?”). Come nella Bibbia da te citata, dove qualcuno ha letto “ cammello” invece di “corda” che passa per la cruna di un ago. O nel Corano, aggiungerei, dove la ricompensa costituita da “uva passa bianca, di chiarezza cristallina o perlacea – houri ( in arabo “hur al-ayn” o “hur ayn” , anglicizzato come “houri “)” , viene tradotto con “ “fanciulle bianche dai grandi occhi neri, come perle nascoste” ( LV, 72) , regalandoci un’immagine che ancora oggi attizza i devoti ad oltranza più di quanto non passa fare qualche acino di uva passa.
Poi può anche capitare, per esempio, di voler bravamente cospirare in una parentesi e di lasciarla, per caso fortuito, aperta … Tira vento ? ( Volendo scomodare Steiner e il suo “Dopo Babele” : “ L’uomo agisce come se fosse lui a forgiare e a dominare il linguaggio, mentre è il linguaggio che resta il signore dell’uomo”. ) Perlomeno così pare.
P.P.S. Perché “Cassano della musica Rock” ?
O suvvia, una parentesi aperta sarà anche sciatta, ma in un commento ci può tranquillamente scappare – e non crea problemi d’interpretazione, se non ai filologi più ‘creativi’ (sono i peggiori, fan più danni loro che la critica roditrice dei topi).
“Cassano della musica rock” è spiegato qui.
PS: non scherziamo, se Dalì lasciava rocchetti in giro era per qualche suo scopo, ‘incongruo’ solo per i criticastri; altra cosa sono le pennellate maldestre e incongrue degli imbrattatele.
PPS: tu leggi l’arabo? Non è che potresti tradurre la scritta in fondo al volantino affisso fuori dalla sinagoga di PD, pubblicato a p. 17 del Corriere di oggi?