SOTTO IL VELO
L’obbligo del “velo” – reclamato oggi a gran voce in Italia dalla setta dei fondamentalisti dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) come uno dei pilastri dell’islam – in ogni epoca è stato contestato dall’interno stesso del mondo musulmano. “ A cominciare dalla nipote di Maometto, Sukaïna Bint El Hussein, che rifiutava di portare il velo e affermava che se Allah le aveva fatto dono della bellezza, sarebbe stato stupido nasconderla sotto un velo”. Lo ricorda in un recente articolo del quotidiano tunisino La Presse il professor Iqbal al Gharbi, dell’università islamica Zeïtouna.
Nel IX secolo a Bagdad – ovvero nella forse troppo idealizzata età d’oro della civilizzazione islamica – un imam sosteneva che il Corano prescriveva il velo solo alle donne di Maometto e che ogni donna che si velava il volto commetteva la colpa di prendersi per la sposa di Maometto ed era punibile con 80 colpi di frusta.
Nel XIX secolo un movimento riformista egiziano, la nahdha, reclamava la scolarizzazione delle giovani donne e l’abbandono dell’obbligo di portare il velo. Seguendo l’esempio della leader Hoda Charaoui, fondatrice della Lega delle donne egiziane, le musulmane abbandonarono il velo negli anni 1920. Nel 1924, la Turchia proibisce il velo e l’Iran fa lo stesso nel 1935.
Negli anni Sessanta nei paesi del vicino Maghreb le donne vivevano e circolavano negli spazi pubblici a viso scoperto e solo alcune, in genere le più povere o le prostitute, portavano l’haik tradizionale. Non è che con la rivoluzione khomeinista del 1979 in Iran che il “velo” è diventato una vera ossessione da parte degli integralisti e dei fondamentalisti. Questa volta è il chador iraniano che si pretende d’imporre a tutte le musumane, anche in Maghreb dove questo rivestimento era totalmente sconosciuto.
Quanto allo hidjab, portato dalle musulmane occidentali, non esiste in alcuna tradizione vestimentaria. E’ una creazione dei Fratelli Musulmani egiziani degli anni 70, che con le loro “macchine ossessive” hanno sostituito sulla scena le cosiddette “macchine desideranti” degli anni Sessanta.
Che l’odio per la vita femminile costituisca un’ossessione dei barbuti e degli imam semiletterati che oggi occupano la scena, è stato più volte osservato da numerosi intellettuali musulmani. Da Soheib Bencheikh, per esempio, quando come gran mufti della moschea di Marsiglia denuncia le derive wahhabite e salafiste, “ dei gruppi che vogliono imporre un’interpretazione unica, letterale e oscurantista dei testi”.
Il 16 ottobre scorso, l’ossessione islamista dell’ hijab indossato dalle donne e delle barbe ostentate dagli uomini, ha portato il presidente della Tunisia Zine El Abidine Ben Ali a considerare tali segni come delle vere e proprie divise dei gruppuscoli islamisti e a pronunciarsi contro il velo « d’ispirazione settaria importata dall’esterno». Il ministro degli Interni, Rafik Belhaj Kacem, ha da parte sua dichiarato che l’hijab è il « simbolo di un’appartenenza politica che si nasconde dietro la religione e cerca di far regredire la realtà sociale alle più antiche ere ». Lo stesso accade in Marocco, dove – dopo l’approvazione del nuovo statuto della donna – il governo scoraggia l’uso del velo.
I primi casi in Europa di rivendicazione islamista dell’ hidjab a scuola si sono verificati non a caso nel 1989. E’ l’anno in cui il Fronte Islamico di Salvezza ( FIS) lancia la sua campagna di proibizioni e d’imposizione del velo in Algeria, appoggiato dal Gruppo islamico armato ( GIA).
Negli anni successivi, dall’Algeria all’Afghanistan passando dall’Arabia Saudita e l’Iran, migliaia di donne sono state battute, frustate, violate, sfigurate con il vetriolo, lapidate, assassinate ( come centinaia di giovani donne algerine sgozzate) per aver esposto troppi capelli e troppa epidermide secondo il gusto delle milizie fondamentaliste.
Per la scrittrice iraniana Chahdortt Djavann, il velo non è che “un simbolo pornografico che autorizza ogni forma di violenza contro le donne e le pone nel non-diritto.” Non è segno di un un diritto alla differenza ma il segno di una differenza di diritto.
E l’hidjab non viene mai solo. Come afferma il filosofo Raphaël Lellouche :
« Se si tira il filo dell’ordito del velo, è tutto il sistema antropologico, giuridico, culturale e politico dell’islam che affiora. Il velo è una metonimia dell’islam integrista. Non è che la parte di un tutto. Dietro il velo, c’è la superiorità del musulmano sull’infedele, l’interdizione dell’apostasia, il rifiuto della libertà di coscienza, il codice della famiglia, la poligamia, i matrimoni combinati, il rifiuto dei matrimoni intereligiosi, lo statuto di minorità delle donne, la loro ineguaglianza nella successione ereditaria e la testimonianza, la ripudiazione, la lapidazione, l’omofobia, l’intolleranza, l’antisemitismo, ecc.. Insomma, è tutta la sharia che viene a noi e pone un grosso problema di costrizione interna ed anche esterna a una società democratica.»
Il filosofo esagera ? Ecco una dichiarazione fatta alla televisione francese TF1 da una giovane musulmana (Alma o Lila ), scolarizzata alla scuola pubblica laica: « Se fossi una donna che tradisce suo marito, accetterei di farmi lapidare » !
“ L’imposizione del velo rivela – secondo Souad Sbai – una concezione del mondo che non vela soltanto la donna ma anche l’uomo, la società, la mente. Che mortifica la sua parte migliore, la sua storia di civiltà e di creatività. Ogni immigrata che rinuncia al velo non lo fa perché sceglie l’Occidente corrotto. Lo fa perché sceglie e ama il vero islam, non la sua copia deforme”.
Per lo psicoanalista francese di origine tunisina, Fethi Benslama, il velo ( questa “antica alienazione” come osserva Mohamed Kacimi) non appartiene al linguaggio sull’identità ma a un sistema di proibizioni:
« Porre la questione del velo sotto l’angolo della semiologia religiosa è un errore, perché il velo è uno strumento che si pone in tutto un sistema di segregazione e di esclusione della donna: mira a proibire il corpo della donna, pensato come perverso e minaccioso per l’ordine sociale islamico, inteso come ordine maschile. Tutto il resto sono chiacchiere. Gli islamisti usano il velo come un’astuzia: poiché non possono rinchiudere completamente la donna, propongono di includere questa chiusura nello spazio pubblico. Gli islamisti ci mettono questa esclusione sotto gli occhi. Accettando il velo, ammettiamo che la donna resta sotto la tutela teologica ».
Quello dell’obbligo del “velo” è un discorso che regge i rapporti tra i sessi e che afferma in maniera tangibile, ostentatoria, l’assoggettamento delle donne, percepite come portatrici di cieca energia tellurica da dominare e trasformare in una fabbrica di credenti, solo all’interno del matrimonio detto nikha – ovvero “l’acquisto, da parte del credente, dell’apparato generatore della donna con l’intenzione di goderne” – come recita un passaggio della giurisprudenza islamica. Il velo è uno strumento di controllo del desiderio maschile e delle turbe del desiderio maschile. In altre parole, la regola sostenuta dai barbuti che ritengono il velo un comando di Allah consiste nel credere di poter godere della donna e nell’odiare il desiderio femminile.
Courbet, L’Origine del Mondo, 1866
L’ odio islamista del desiderio femminile è odio della vita e della ricchezza della vita. "Noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita", dichiarano i nazislamici iconoclasti nel loro tentativo paranoico di ripulire l’aria da ogni forma di vita considerata "impura" e tornare al deserto. Vita e desiderio femminili sono all’origine di ogni vita e di un mondo che – in un ‘epoca di ascesa sfolgorante, e quindi non vista, dell’oscurantismo – forse ancora per poco diciamo umani.
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In rete
– News > Libero Blog – velo: sì o no ? – Simbolo religioso o di sottomissione della donna?
– Magdi Allam al Corriere – Gli strateghi che guidano la guerra pro-hijab ( http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/10_Ottobre/26/allam.shtml)
Aggioramento
SYDNEY — «Se porti fuori della carne nuda… e i gatti arrivano e la mangiano… di chi è la colpa, dei gatti o della carne lasciata scoperta? La carne nuda è il problema. Se la donna rimanesse nella sua stanza, in casa, con il velo, non ci sarebbe alcun problema». Lo ha detto in un sermone il più alto esponente musulmano in Australia, il mufti Taj El-Din Hamid Hilaly . Le sue parole, pubblicate dal giornale The Australian, hanno scatenato polemiche.
Gentile autore,
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concordo perfettamente con quanto tu dici, complimenti per il tuo blog. Se ti fa piacere dai un occhiata anche al mio.
Ciao
Il velo deve essere indossato unicamente come simbolo di una federe religiosa e mai come una forzatura culturale. Deve essere la donna a dover scegliere per se stessa e non noi.
SIDOLI.ORG
ma i poverini cristiani criminali sono purissimi!!
I ” poverini cristiani” non sono più legati, da duemila anni, al concetto arcaico di purezza rituale e non pensano di poter trascendere il corpo e la fisicità facendo le abluzioni e credendosi pertanto “purissimi” o come angeli.
Nobody’s Perfect. E credere che la “purezza” della “pura” società islamica totalitaria, non-criminale & immacolata si possa basare sulla persecuzione e sull’annullamento della vita femminile assume i tratti di una follia parareligiosa da talebani.
In ogni caso, la questione del velo non si pone in termini religiosi, bensì di diritti civili. In una società per fortuna o sventura secolarizzata, democratica, liberale, nessun “purissimo barbuto” può imporre alle donne di nascondere il volto “in nome dell’islam”o della sua “purezza”.
Ovvero, sempre più spesso, in nome della versione settaria e arcaica di un islam che – per mancanza di ponti, specialmente culturali – sembra virare al disastro al contatto con la modernità e il vento, dissolvitore, del tempo della modernità.
Una nuova ideologia si sta impadronendo di noi. Quella del presunto e tutto da dimostrare “conflitto di civiltà” , ottimo alibi per progetti oscuri e totalitari. Diceva bene tempo fa un sacerdote noto al pubblico che attualmente il demonio è spiritualista e non materialista. L’ideologia che stiamo vivendo è di tipo spiritualista e sta colpendo tutti, sta creando una nuova perniciosa mentalità pseudo religiosa. La questione del velo, anzi, il modo con cui viene trattata la questione , ne è solo un piccolo , ma significativo esempio. E paradossalmente la “civiltà occidentale” che ha prodotto diritto, leggi , costituzioni e quant’altro è incapace di trattare la questione in una maniera laica, ma deve arruolare ormai i nuovi sacerdoti teocons, atei devoti ed altri maggiordomi del potere.
E per difendere la democrazia da chi la vuole usare per distruggerla si distrugge la democrazia per (ipocritamente si dice) poterla usare
Anche tu hai questo anonimo commentatore al #6?
E’ venuto a scrivere pari pari le stesse cose sul mio blog.
Scusa se mi scompiscio, io ti leggo spessissimo e con attenzione, ma difficilmente curioso tra i tuoi commenti e coincidenza…
A te sembrerà un’inezia, ma per me è illuminante circa il profilo psichiatrico del soggetto filoislamico che è in circolazione.
Un abbraccio (scusa l’OT)
Ruby
Proprio così, ruby:quel soggetto anonimo e senza volto sembra avere un velo anche nella testa. E quando scrive, ottusamente, che la ” ‘civiltà occidentale’ ha prodotto diritto, leggi , costituzioni e quant’altro…”, quel “quant’altro” sembra una specie di chador linguistico…ecc.