Al vecchio continente appartiene anche la solare e piccola Italia, così intenta nei suoi propri affari da non voler stringere la mano al Dalai Lama per non disturbare la Cina : il mercato potrebbe soffrirne.
Un “pechino” di paura pervade lo stivale.
Tutto questo accade in un mondo caratterizzato in ogni ambito da ferree necessità artificiali, che assumono sempre più spesso i tratti disumani della “perfezione tecnica” e della gestione ottimale dei bisogni, a spese del desiderio e della libertà del singolo.
Nel contesto di una Europa trasformatasi – come per improvvisa amnesia – in una terra di Serbi e di Croati – mentre il cielo diventa sempre più scipito e blu – come forse sono tutti i cieli in cui predomina la cinica e disincantata burocrazia di Bruxelles*, l’innocenza immacolata della moneta unica e il sogno di vivere e morire in un lindo supermercato.
Non a caso, la bandiera Europea è un cerchio, simbolo della placenta e di una regressione intrauterina che invalida tutti gli stadi acquisiti in precedenza. Saremmo pronti per crociere di sogno immaginarie, simili a tanti feti allucinati, erranti e disponibili in un cerchio a cui vengono aggiunte sempre nuove stelline in espansione, come l’imago della placenta che fagocita i suoi figli per proteggerli, nutrirli e distruggerli… ( Cfr. "Senza confini. Il caso borderline dell’Europa Unita" di Iakov Levi
SU : http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/psicostoria/articoli/storia2.html )
Insomma i guardiani dei bisogni, inseriti nelle loro rispettive “organizzazioni” , ritengono prudente non ricevere il Dalai Lama in sedi istituzionali, religiose o governative. “Si vergognino e basta” – scrive Filippo Facci nel Giornale di oggi. Infatti, fanno figura di uomini e donne mediocri nei confronti di uno dei pochi uomini liberi del pianeta: il Dalai Lama, rappresentante degli ultimi esemplari di “gente all’antica”, in via di estinzione ovunque.
* Intanto il Parlamento europeo sottolinea “la gravità della situazione per quanto concerne la libertà religiosa nella Repubblica popolare cinese, dove le autorità continuano a reprimere qualsiasi manifestazione religiosa, soprattutto nei confronti della chiesa cattolica, molti dei cui fedeli e vescovi sono detenuti da anni e in alcuni casi sono morti in carcere”.
fonte dell’illustrazione: http://www.europaallalavagna.it
> La decomposizione dell’Europa in un ibrido chiamato “Eurabia” ( YouTube)
“L’Eurabia è vicina”
>Intervista a Bat Ye’Or ( YouTube)
In Svezia, intanto, si tagliano i testicoli al leone del Nordic Battlegroup dopo la protesta di un gruppo di soldatesse
il simbolo del Nordic Battlegroup evirato, senza palle e però con lo spadone feticcio ( emblema della madre fallica, ripristino di un’immagine ancestrale di potere materno) > Psicoanalisi – La Partenogenesi
…allo squallido teatrino bisogna anche aggiungere il diniego del papa!
Fabio D’Amico
…allo squallido teatrino bisogna anche aggiungere il diniego del papa!
Il Dalai Lama: “Italia, i miei rimpianti
Non boicottate le Olimpiadi in Cina”
di ANAIS GINORI
Il Dalai Lama: “Italia, i miei rimpianti
Non boicottate le Olimpiadi in Cina”
Il Dalai Lama a Roma
ROMA – “In Tibet è perfino proibito pronunciare il mio nome”. Il Dalai Lama, in questi giorni a Roma, parla delle persecuzioni del governo cinese nei confronti dei buddisti (“hanno tolto qualsiasi riferimento alla religione, è proibito fare pellegrinaggi”), nega di voler puntare all’indipendenza del Tibet ed esprime rammarico per non avere potuto incontrare Benedetto XVI. “Il Papa però rappresenta una importantissima spiritualità e la spiritualità deve essere ferma quando si tratta di principi”. Perché non ha incontrato il governo italiano? “Chiedetelo a loro” ribatte con un sorriso disarmante.
“Sono ingombrante, che posso farci?”. Piedi scalzi, seduto in posizione yoga e avvolto nella sua tunica giallo-arancione, “Oceano di Saggezza” ha modi semplici, informali. Stringe la mano con convinzione, fa spazio dentro alla suite dell’hotel Exedra di Roma. Eccoci dice, go on, parliamo. Perché non ha incontrato il governo italiano? “Già, perché? Chiedetelo a loro” ribatte, con il suo solito, disarmante sorriso. L’icona mondiale del pacifismo, 72 anni di cui 48 passati in esilio, torna serio. “Me ne dispiace. Un piccolo rimpianto c’è anche per non aver visto il Papa. Ma se ha trovato qualcosa di sconveniente, nell’incontrarmi, per me va bene, non c’è problema. Il Papa però rappresenta un’importantissima spiritualità. E la spiritualità deve essere ferma quando si tratta di principi”.
Sua Santità, crede che le pressioni della Cina abbiano condizionato il governo italiano?
“Ovunque io vada, cerco sempre di non recare disturbo, quindi se provoco imbarazzo a qualche governo rispondo “Ok, nessun problema”. Non sarò certo io a protestare. Il mio obiettivo più grande è la promozione dei valori umani e l’armonia tra le religioni. Ecco, l’unica cosa che mi sento di dire è forse che anche i governi e i leader politici dovrebbero fare qualcosa di più per promuovere i diritti umani e i valori (ride)”.
Lei ha parlato più volte di un genocidio culturale in Tibet.
“Nel nostro paese, è vietato tenere una statua di Budda in casa, o esibire qualsiasi oggetto religioso. E’ proibito fare pellegrinaggi ai templi. Nelle scuole, le autorità cinesi hanno tolto ogni riferimento alla religione, mentre nei monasteri buddisti sono incominciati gli indottrinamenti politici, divisi in punti. Il primo punto è quello che invita a criticare il Dalai Lama”.
In Tibet è addirittura proibito pronunciare il suo nome, giusto?
“Hanno anche tolto tutte le mie fotografie. Ma non fa niente. La cosa fondamentale è che nel nostro paese c’è un’insofferenza sempre maggiore e che qualsiasi manifestazione di protesta o critica alle autorità cinesi viene repressa con la violenza. Arresti e torture sono all’ordine del giorno. I tibetani vengono trattati come cittadini di seconda classe nel loro stesso paese. Anzi, come animali da bastonare, a cui è negata qualsiasi dignità”.
Le capita di provare rabbia o frustrazione?
“Non sono abituato a lasciarmi andare a questi sentimenti. E’ molto meglio rimanere calmi, proteggere la propria pace mentale”.
La Cina l’accusa di essere un leader politico che cerca l’indipendenza, un separatista.
“Sono accuse calcolate, perché da tempo i cinesi sanno che non cerchiamo l’indipendenza. Purtroppo è ormai chiaro che è in atto una strategia di denigrazione nei miei confronti. Volontaria e costante”.
Se non cercate l’indipendenza, quali sono gli ostacoli per trovare un accordo con Pechino?
Il Dalai Lama e Gorbaciov
“Dal 2001 ci sono stati sei incontri tra la nostra delegazione e il governo cinese. Fino all’anno scorso, nel nostro penultimo colloquio, avevamo fatto molti progressi. Nella primavera 2006 sono invece ricominciate le accuse nei miei confronti e la repressione all’interno del Tibet. Prima dell’estate, durante il nostro ultimo incontro, Pechino ha rotto il dialogo. Dicendoci soltanto: “Non c’è nessuna questione aperta sul Tibet”. Oggi devo ammettere che la situazione è molto critica, difficile. Da parte nostra nulla è cambiato. Siamo sempre in cerca di un riconoscimento della nostra autonomia, all’interno della Costituzione della repubblica popolare cinese”.
E’ a favore del boicottaggio delle Olimpiadi?
“No. Da subito, mi sono pronunciato contro il boicottaggio. La Cina è un grande paese, si merita le Olimpiadi. Penso però che per essere un buon ospite, Pechino dovrebbe prestare più attenzione alle preoccupazioni di governi e Ong sulle violazioni di diritti umani, libertà religiosa e di espressione, e sul rispetto dell’Ambiente”.
Cosa possono fare i governi occidentali per aiutare la causa tibetana?
“La mia opinione su questo è che la Cina non deve essere isolata dalla comunità internazionale. E se guardiamo all’economia, l’integrazione dei cinesi è già nei fatti, ma non è sufficiente. Il mondo libero ha la responsabilità morale di portare la Cina nell’ambito della democrazia. La relazione economica deve essere un’amicizia alla pari, in cui vengono tenuti fermi i valori delle società aperte e democratiche. Se ci si presenta solo per fare affari, ripetendo unicamente “Sì, ministro”, allora si rischia di perdere la faccia, e anche il rispetto dei cinesi”.
Se non fosse stato un Dalai Lama, cosa avrebbe fatto?
“Ma è impossibile! Un sogno! (ride) E’ vero però che la mia mente è molto scientifica. Anche Mao Zedong me lo aveva detto. Forse avrei fatto qualche mestiere attinente alla meccanica”.
E’ vero che ama riparare i motori?
“Certo, usando gli attrezzi e sporcandomi le mani di grasso. Quando ero giovane, però. Ora non lo faccio più”.
Come sarà scelto il prossimo Dalai Lama?
“Ci sono tre opzioni. La prima, prevede che il mio successore sarà eletto con una procedura simile a quella del Papa, scelto da un conclave di religiosi. La seconda, potrebbe essere la scelta del Dalai Lama prima della mia morte. E’ già successo. Infine, è possibile la mia reincarnazione, dopo la mia morte. In questo caso, se morirò in esilio, la mia nuova reincarnazione dovrà portare a termine quello che non ho potuto fare in questa vita. E quindi il prossimo Dalai Lama nascerà fuori dalla Cina”.
I cinesi potrebbero scegliere loro il suo successore, come già è accaduto per il Panchen Lama.
“Se fosse così non sarebbe un Dalai Lama, ma soltanto un pupazzo (ride). Speriamo non lo facciano, anche se lo temo: i nostri fratelli e sorelle cinesi sono molto furbi e amano complicare le cose (ride)”.
E lei si ricorda il momento in cui è stato riconosciuto come la quattordicesima reincarnazione del Dalai Lama?
“Avevo due anni, vivevamo in un remoto villaggio del Tibet orientale. Mia madre racconta che nei giorni precedenti all’arrivo della delegazione in cerca del nuovo Dalai Lama, ero stranamente eccitato. Poi quando i lama arrivarono, corsi verso di loro e riconobbi come miei gli oggetti del precedente Dalai Lama. E dopo due giorni, mentre andavano via, mi misi a piangere. Un comportamento molto strano: quale bambino vuole seguire degli estranei, invece che rimanere con la propria madre? (ride)”.
Non deve essere stato facile diventare improvvisamente, così piccolo, un Dio Re.
“Fortunatamente, venivo trattato come un bambino normale. Durante le cerimonie ero sul trono, ma quando giocavo con gli altri bambini ero uno di loro. Mi capitava spesso di perdere, e mi arrabbiavo parecchio. La sera, ci sedevano in cerchio a bere tè, mangiando zuppe. Mi ricordo che guardavo con invidia la ciotola degli inservienti, molto più grande della mia (ride). Noi bambini ci raccontavano storie di fantasmi, che di notte mi terrorizzavano (si copre gli occhi e ride). Ero davvero un bambino come gli altri, felice. Se io e mio fratello facevamo capricci per non studiare, il maestro ci prendeva a frustate. L’unica differenza era che il frustino per me era giallo, del colore sacro. Il dolore, però, era lo stesso! (ride)”.
Durante l’adolescenza, il suo paese è stato invaso e lei si è ritrovato a trattare con il Grande Timoniere, Mao Zedong.
“Lo incontrai nel 1954 a Pechino. Mi trattò come un figlio, mi diede consigli. Mi aveva quasi convinto ad iscrivermi al partito comunista. Ancora adesso mi considero metà buddista, metà marxista. Davvero, credo che il marxismo sia ancora la chiave di una giustizia sociale ed economica”.
Eppure nel marzo 1959 dovette scappare dal Tibet, in piena notte e a dorso di uno yak.
“Dal palazzo reale di Potala vedevo l’artiglieria cinese avanzare. Non ho scelto l’esilio, sono stato costretto. E adesso è quasi mezzo secolo che sono un homeless, un senza casa, per fortuna ho trovato tanti amici all’estero, anche in Italia (ride)”.
Ha voglia di esprimere un desiderio per il 2008?
“Spero che la Cina si aprirà al mondo, con fiducia e speranza”.
(15 dicembre 2007)
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Fabio D’Amico