Il massacro di Fort Hood

IL MASSACRO DI FORT HOOD
UNA STORIA DA MATTI

Il sorridente maggiore Nidal Malik Hasan, l’autore della strage di Fort Hood , sarebbe « un buon cittadino americano » e « musulmano osservante » improvvisamente uscito fuori di testa e di taghia  a causa del disagio provato alla notizia di dover partire per l’Iraq. Una prospettiva che lo "umiliava", come raccontano la zia e altri membri della famiglia. Esemplare la versione del « Manifesto » che titola : « Sconvolto dalla guerra, Nidal spara sul suo incubo », non spara con perfidia sui suoi compagni inermi uccidendone 13 e ferendone altri 30, ma sul suo incubo.
 
Le vite concrete delle vittime sfumano a fronte delle appassionate tenebre del cuore di Nidal. Proprio come nel film Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang, quando l’ assassino di bambine rivendica risentito, con accenti di commozione,  la sua diversità e le tempeste del suo animo che – incomprensibili a quei freddi giudici che vorrebbero condannarlo – lo spingono a quegli atti infami. E’ così che il carnefice si crede assolto dalla responsabilità e dal confronto con la sua storia. Solo che non si tratta di un film. Perlomeno così pare, perché mentre le principali associazioni musulmane degli Stati Uniti hanno condannato l’episodio, e hanno porto le loro condoglianze alle famiglie delle vittime, ribadendo che nessun motivo  ideologico,  politico o religioso giustifica una violenza di quel genere, altri gruppi Usa arabi e musulmani , come quelli di «Revolution Muslim», uno dei siti più estremisti della galassia islamica americana,hanno eletto il maggiore Nidal Malik Hasan nuovo profeta del jihad,  confondendo lo psichiatra suonato con il Richard Gere del film « Ufficiale e gentiluomo ».
 
Su un altro forum un iscritto al Cair (Council on American Islamic Relations) si dissocia invece dalla dichiarazione di condanna espressa dalla sua organizzazione, descrive Nidal Malik Hasan come «l’ultima vittima della persecuzione islamofobica» e indica alla popolazione americana l’unica via per evitare altre stragi. «Noi musulmani vi supplichiamo di comprendere meglio l’islam, vi chiediamo di leggere il Corano *, vi esortiamo a digiunare durante il Ramadan… soltanto così favorirete e svilupperete la buona armonia della società. Non appena vi deciderete a diventare tutti musulmani queste cose non succederanno più». Come dice anche Sayd Qutub, l’ideologo dei Fratelli mussulmani, autore del libello di ecologia futurista Il futuro sarà dell’Islam  : «  Solo l’islam offre questa salvezza psicofisica e tutti devono crederci. » Altrimenti Nidal, poverino, avrà gli incubi e, giustamente a disagio per la guerra e risentito per non aver trovato una moglie musulmana come si deve, scatenerà l’inferno.
 
La società dei musulmani fedeli ad oltranza  appare, nella maggior parte dei casi, come un conosciuto bonhomme, che gira tranquillamente in gellaba e con in testa la taghia in un supermercato, mentre moglie e figlie se ne stanno placidamente rinchiuse in casa. Chissà perché una società del genere è abitata da « buoni cittadini » che talvolta improvvisamente esplodono in maniera peculiare, a corto circuito e con forti cariche simboliche, realizzando una specie di matrimonio con la morte.
 
Più in generale, nella società troviamo ‘dispiegati’ quei  sentimenti, quelle pulsioni, quelle contraddizioni che sono alla base di ogni gesto criminoso, anche il più efferato e bestiale. Si tratta, con le parole di Elvio Fachinelli ( nella Freccia ferma: tre tentativi di annullare il tempo), di “ una serie di posizioni che l’individuo necessariamente concentra in sé; questo dispiegamento nelle varie articolazioni della società consente di comprendere abbastanza agevolmente problemi che, nell’individuo, per la forzata compenetrazione di queste stesse posizioni, risultano spesso inafferrabili”.  ( “Non possiamo sapere tutto ciò che conduce un uomo a fare una cosa simile", ha detto prudentemente Obama per non evocare i pericoli, ubiquitari e diffusi, del jihadismo fai-da-te promosso da una lettura fondamentalista del Corano,  e così rinfocolare il narcisimo vittimario della comunità ).
 
Insomma, ogni individuo, a pensarci, sia o no musulmano, ci appare quasi sempre suscettibile di ‘ dar fuori di matto’. Naturalmente non tutti i matti sono islamisti in crisi d’identità e suscettibili di quell’ "improvvisa sindrome da jihad instinct " in base alla quale dei tranquilli musulmani diventano all’improvviso violenti. Né la sparatoria di Fort Hood è il peggiore o più folle omicidio di massa della storia.Tuttavia molti torti non fanno una ragione. Se, come osservava recentemente Claude Lévi-Strauss, siamo “contaminati dall’intolleranza islamica”, chi può sapere da dove verrà il prossimo bonhomme pronto a impallinare  i vicini scambiandoli con gli incubi di una sua  propria storia?

This photograph taken on Friday, Nov. 6, 2009 in Killeen, Texas, ...


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Nota. Corano IV : 89. Vorrebbero che foste miscredenti  come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Ma non sceglietevi amici tra loro finché non emigrano per la causa di Allah. E se poi vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate...

P.S. Secondo i tabloid newyorchesi, nel 2001 Midal Malik Hasan frequentava una moschea dei dintorni di Washington, insieme all’imam Anwar al-Aulaqui, che dallo Yemen dove risiede attualmente ha definito la strage di Fort Hood «un atto eroico».

Intanto da Ramallah lo zio, Rafiq Hamad, dice ora che suo nipote era un ragazzo così sensibile che quando morì l’uccellino, che lui allevava con amore, pianse per due mesi e gli scavò perfino un loculino. Quell’uomo così sensibile è lo stesso che lascia la moschea Masjidu-Ttaqwa di Killeen il mattino di giovedì 5 novembre e poche ore dopo santifica la sua preghiera al grido di Allah Akbar  nell’ inferno di Fort Hood: 13 morti, tra cui una soldatessa incinta di tre mesi, 31 feriti.

Tra sentimentalismo criminale,  estremismo islamico e la cura politicamente corretta con cui si cerca di indorare l’amara pillola e minimizzare il caso per non rinfocolare il narcisimo vittimario della comunità, Midal Malik Hasan, più che un mistero ancora tutto da indagare, sembra una tragedia annunciata, se non un tipico caso, ricorrente, di sindrome da jihad instinct. Davvero preoccupante se, come riferisce il New York Times: per molti fra i 3.500 musulmani nell’esercito Usa , in conflitto tra la loro devozione per l’islam e la fedeltà alle forze armate americane, andare in Iraq o in Afghanistan è come combattere una guerra civile.


 

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