“ Beati coloro che custodiscono i propri genitali, eccetto che con le loro spose e con le schiave che possiedono – e in questo non sono biasimevoli, mentre coloro che desiderano altro sono i trasgressori ” ( Corano, LXX, 29-31).
Perché scegliere l’islam piuttosto che il cristianesimo? “Per la sua virilità”, risponde non senza provocazione lo psicanalista e antropologo franco-algerino Malek Chebel, autore, presso Perrin, di un saggio sul pensiero musulmano: L’islam et la raison. Nonostante “le grandi avanzate intellettuali e filosofiche” verificatesi in passato all’interno della civilizzazione islamica, i pensatori musulmani avrebbero troppo spesso la tendenza a situare “la ragione” nella barba, nel pene e nella spada.
I pensatori islamici distinguono radicalmente secondo il sesso maschile o femminile: dhakar e ountha, entità complementari ma ordinate secondo una gerarchia di valori stabilita dai teologi-giuristi.
Dhakar, che significa metaforicamente sia “la spada” sia “il membro virile” , designa il maschio. La parola dhakar deriva da dikr ( ricordo, rimemorazione), dal verbo dakara ( ricordare, rimembrare). E’ un termine in cui risuona, come nell’inglese man , l’idea di portatore di mentula e di memoria, e indica il maschio come creatura dotata di “deposito virile” (amana) comprendente pene, ragione e fede.
Ountha (così come anche mar’a, pl. nissa) indica invece la femmina, creatura dotata di meno ragione e fede, simile a un grasso pascolo, a un campo fertile e all’erba tenera. La donna, più debole e delicata dell’uomo, sarebbe dotata di un po’ meno di “ragione”, di “fede” e di “memoria”. Pertanto è all’uomo che spetta tenere alto lo stendardo di quel più di ragione confidatogli da Allah.
Tanto più che il membro virile è anche naf-su e ruhu, “anima e spirito” dell’uomo. In maniera variamente consapevole, si viene a creare una coincidenza fra pene e pensiero, mente e mentula, fallo e appello alla fede islamica.
Fu nell’orecchio ancora vergine del giovane Adamo che ALMUSAWWIR ( Colui che dà forma a tutte le cose ), indicandogli il suo membro virile appena creato, disse:
“ Ecco un prezioso deposito, te lo concedo in tutta confidenza. Usalo saggiamente. Se saprai controllarlo ti preserverà; se ne abusi ti perderà!”
L’arcangelo Gabriele, continua il teologo andaluso El Qorrobi ( m. 1272), si avvicinò e precisò al primo musulmano l’esortazione di Allah:
“ Questo pendaglio di carne sarà il calamo con il quale inscriverai la tua posterità nel libro dei secoli, la vanga con la quale lavorerai la terra e il ventre della madre dei tuoi figli. Fiaccola, ne trasmetterai il fuoco alle moltitudini che racchiudi in te; scimitarra, fenderai i ranghi dei nemici di Allah. Abbine cura come la pupilla dei tuoi occhi perché ti condurrà più lontano dello sguardo. Ma tieni ben ferme le redini di questo cavallo alato sennò si trasformerà in dito accusatore, in bruciante tizzone, in corda per impiccarti.” Così conclude una popolare tradizione maghrebina, ma Allah ne sa di più”.
Il maschio è forte e adora Allah, nel ricordo del " sacro deposito” ( amana ) costituito dal pene, dalla spada e dalla penna per tramandare il proprio nome e la memoria del messaggio del Profeta ( “sublime modello” in ogni suo detto e atto, compresa una virilità talmente gagliarda da permettergi, secondo gli hadith, “di fare il ‘giro “ delle sue nove o undici mogli in una mattinata”).
La femmina invece è debole, smemorata e in un certo senso assomiglia a Iblis, il Diavolo che è privo di pene. Anche l’uomo non sposato, il celibe (azab = “abbandonato”, “solo”), assomiglia al solitario Iblis.
A parte Satana il Lapidabile, privo di compagna, solo Allah, l’Unico, non va in coppia. Il Dio è infatti AS-SAMAD ( l’Assoluto, il Tutto Pieno, letteralmente il “non fissurato”). Egli, fuso in un sol blocco come l’ Essere di Parmenide, non è sessuato come lo sono gli uomini e le donne da lui creati al solo scopo di essere adorato.
Egli non è solo il Creatore (al-Khâliq ), ma IL CREATORE INCESSANTE ( AL-KHALLÂQ), in quanto nel creato non esisterebbero “cause seconde”, e senza la sua incessante azione di continua sorveglianza, controllo e salvaguardia i sette cieli e i mondi andrebbero tutti a rotoli. E si vedrebbero donne andare a lavorare in automobile e senza velo fuori casa e uomini che invece di fare il Ramadan vanno con le trans facendo traballare il Trono dell’Altissimo.
Chi osa turbare la coerenza simbolica dell’universo e dell’ordine sociale islamico ? La democrazia, la permissività sessuale, il liberalismo economico, l’avanzamento scientifico e tecnologico, vale a dire il Diavolo, naturalmente. Quell’invidioso di Satana si nasconde sotto la pelle dell’uomo e s’infila sotto i veli delle donne, passando dalla coscia al cuore, dall’orecchio all’occhio, dalla vergine alla verga mal guidata – alzandosi in volo un po’ per questa e un po’ per quello. Quindi, con logica geometrica, occorre che i servi di Allah, naturali guardiani della Virtù e repressori del Vizio, tengano separati gli spazi pubblici maschili e femminili. E spingano la donna, tutte le donne, a rivelarsi – altrimenti l’esposizione insostenibile ai genitali femminili occidentali potrebbe risolvere una condizione borderline in paranoia galoppante.
COLUI CHE CIRCONDA DA OGNI PARTE (AL-MUHÎT), CHE COSTRINGE AL SUO VOLERE (AL-JABBÂR);CHE DIMINUISCE E UMILIA (AL-KHÂFID ), oppure ELEVA ( AR-RAF ) , si innalza al di sopra di tutti i mondi e di quel che le parole umane gli attribuiscono. E non è associabile ad alcunché IL COSCIENTE DELLA SUA GRANDEZZA ( AL-MUTAKABBIR) è l’Altezzoso , il Sublime, l’Altero per eccellenza. Naturalmente il Sublime (AL-MUTA’ÂL) non è figlio di nessuno e non ha relazioni con le sue creature. Neanche con i suoi profeti, inviati o fattorini (rasul) , generalmente barbuti, ai quali egli ordina di ricevere e di recitare i suoi comandi e avvertimenti tramite l’arcangelo Gabriele e a rate nel corso di rapimenti estatici o stati di trance intermittenti, che possono anche durare venti o ventidue anni.
Insomma, IL SUPREMO DOMINATORE (AL-QAHHÂR = COLUI CHE PREVALE) è assoluta, pura trascendenza dai tratti astratti e violenti. A notarlo, fra gli altri filosofi ed analisti, è stato Hegel: “L’astrazione dominava i Maomettani; il loro scopo era di far prevalere il culto astratto, e vi hanno teso con il più grande entusiasmo. Questo entusiasmo era fanatismo, cioè entusiasmo per un’astrazione, per un’idea astratta, che ha un’attitudine negativa rispetto all’esistente ” (Friedrich Hegel, 1837).
La ricchezza corrosiva della vita, così come il “sacro” del politeismo e dell’esperienza umana, viene riassorbita nell’Uno. Ogni idealizzazione si trova così concentrata sull’esistenza dell’ UNICO e al di fuori dell’idea del Dio Unico non resta che un mondo provvisorio, certamente da accettare, ma privo di interesse e destinato alla distruzione. La pluralità dell’esistenza reale non è degna di curiosità, di analisi, di lavoro e di cura. Una volta assorbita la natura fisica, conta solo la cavalcata verso L’INDISTRUTTIBILE e il delizioso Giardino promesso agli uditori e ai fedeli, specialmente se fedeli ad oltranza.
I tratti astratti dell’Uno talvolta sono violenti e oppressivi (AL-QÂHIR= IL DOMINATORE, L’OPPRIMENTE) come quelli di un Super-io che fallisce nell’articolare la dimensione etica, talvolta clementi ( AR-RAHMÂN) e misericordiosi (AR-RAHIM come quelli più femminili e quasi uterini di un buon tutore ( AL-WÂLI = il Protettore).
La vita di Dio non partecipa dell’anima e dell’essere dell’uomo, più « servo » che « figlio » e « amico », in un mondo che è solo l’ombra del Creatore – un mondo che al massimo è buono solo se serve per una cavalcata verso l’aldilà. L’islam è una credenza che si è costruita sull’affermazione coranica, finora rimasta impensata, secondo cui Dio ( MÂLIKU-L-MULK= il Padrone del Regno ) non è il padre.
« Sono certamente miscredenti quelli che dicono: “In verità Allah e il terzo di tre”. Mentre non c’’è dio all’infuori del Dio Unico! » (Sura 5:73). Nel cristianesimo il Dio Unico si dà come un mistero intradivino di completa unione tra volontà, azione e amore : Dio Padre non è « il terzo di tre », ma il Dio Uno che ama e salva le creature, fatte a sua immagine, tramite Dio Figlio-Verbo-Immagine attraverso Dio Spirito Santo. Di Allah, invece, si conosce solo la Volontà trasmessa nel Corano a Maometto.
Secondo l’affermazione coranica, il Dio ( Allah) è un padrone onnipotente ( AL-MUQTADIR), non limitato da qualsivoglia ragione e assolutamente separato dall’umano per via dell’abisso delle qualità. Al massimo, l’altro mondo si degna di venire in questo sotto forma di Sacro Libro, che quaggiù appare scritto una volta per tutte ( mektoub) in “perfetta lingua araba”, mentre l’Archetipo o “Madre del Libro” ( um al kitab) è custodito in cielo su tavolette di smeraldo.
Può l’Onnipotente essere moderato? Sottomettendosi e alleandosi al PIU’ FORTE (AL-QAWIY) non si può che vincere. Non a caso numerosi nazisti adoravano l’islam. Nel 1943 Himmler scriveva di non vederlo di malocchio: “ Non ho nulla contro l’islam, perché questa religione s’incarica essa stessa d’istruire gli uomini, promettendo il cielo se si fanno uccidere sul campo di battaglia”. E così concludeva, affascinato da una religione molto pragmatica, in adorazione soldatesca di una specie di rais cosmico : “In breve, è una religione molta pratica e seducente per un soldato”. In pratica, l’islam, portatore di un’antropologia “diversa”, non sfugge al contesto del dispotismo orientale e al deserto dove trovò la sua prima formazione storica e dove ha tendenza a ritornare. Specialmente presso i fautori post-moderni del ritorno all’islam aurorale dei tempi di Medina e dei compagni del profeta.
In confronto al cristianesimo – religione del “ SE VUOI, seguimi”, dell’incarnazione del Dio che si rivela al mondo come crocifisso-risorto, della teologia che osa contemplare la sconfitta, dell’affettuosa santissima Trinità, della novità dello spirito sulla lettera, della libertà, della compassione, della bellezza che traspare dalla verità di Cristo, di un reale più largo e delle chiese vuote – l’islam è una forma di teismo più “semplice” e più “maschile” – nella cui “virilità” il filosofo marxista Alain Soral ha detto recentemente di intravedere “ un grande potenziale rivoluzionario».
“Grande potenziale rivoluzionario” ? A un islam rivoluzionario e idealizzato rende omaggio anche lo scrittore di Catania Pietrangiolo Buttafuoco, che in un libro denso di maiuscole, Cabaret Voltaire. L’ Islam, il Sacro, l’ Occidente, si dice convinto che « per le future generazioni dell’Occidente – una volta asciugatosi l’olio dei Lumi – soltanto l’Islam potrà diventare ciò che il mondo ellenico fu per la gioventù tedesca dell’età romantica”. Per poi passare dalle maiuscole ai muscoli e, facendo appello all’antica Tradizione dei masculi di Saracenia, chiedere con galanteria quasi talebana: “Se voi foste musulmani e sentiste che in occidente il matrimonio gay e l’eutanasia sono pratiche comuni, viceversa l’aborto è ritenuto un diritto, non mettereste mano alle scimitarre ? “.
Chissà perché la classe letterata europea – ieri innamorata di Stalin, di Pol Pot, delle “bandiere di Troskij al vento” e del sigaro di Che Guevara, oggi affascinata dall’islam delle scimitarre – s’ innamora sempre dell’uomo sbagliato, specialmente se promette “grandi cose”.
“Una cosa che amo molto nell’Islam – scrive per esempio Pietro Citati – è la vastità del suo mondo, assai più esteso di quello ebraico e di quello cristiano. Il Corano parla di due creazioni, quella di Adamo nell’Eden e quella di un mondo stellare dove non esiste colpa, non esiste sesso, non esiste storia, esiste solo una beatitudine infinita. Per ebrei e cristiani il peccato e l’uscita dall’Eden significano l’ingresso nella storia. Il mondo astrale islamico non ha, invece, contatti con quello umano, anche se la tradizione vuole che Maometto vi sia asceso, in sella al suo meraviglioso cavallo, per portarvi la notizia dell’Islam”.
La proposta islamica di ritornare a un mondo stellare dove non esiste colpa, non esiste sesso, non esiste storia” è un invito a ritornare al deserto dei sublimi guerrieri dell’astrazione – senza sesso, senza sensi di colpa e senza storia, in un “mondo stellare” ripulito da ogni forma esistente di vita concreta, specialmente se femminile e “impura”.
Mentre la situazione della donna è oggi oggetto di dibattito nel mondo musulmano, quella della virilità, che la determina, resta impensata. Tuttavia, come ognuno lo intuisce, benché il Fallo dopotutto non sia un pene, la fallocrazia e le turbe del maschile non sono estranee ai malesseri identitari e alla guerra dell’islam fondamentalista contro i musulmani considerati “tiepidi” o “apostati”e contro chiunque si opponga alla propagazione del fanatismo virilista “nel nome dell’Uno, il “Più Grande”.
Di fronte al profondo déréglement del reale e delle forme simboliche che affiora negli estremismi, l’analisi conduce verso questioni rimaste impensate, come appunto il maschilismo nell’islam e il rifiuto, fin da piccoli, del mondo femminile, se non del mondo al femminile. Due psicoanalisti, Nadia Tazi e Fethi Benslama, affermano in un loro studio, La virilité en Islam, che questa riposa su un duro zoccolo teologico-politico indiscusso e non viene riconosciuta come tale e a maggior ragione neanche analizzata attraverso il suo linguaggio e i suoi riti, il suo immaginario e le sue regole, nelle sue incidenze con la politica, in pubblico così come nel privato.
Il fondamentalismo attinge all’idea dell’autorità immediata dell’uomo (rajoul) , portatore del “deposito fallico” ( amana), pilastro di un’ortossia a un tempo naturalistica e teologica. L’autorità immediata dell’uomo è scossa dall’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e della politica, ma viene continuamente ribadita. Questa mescolanza di desiderio di potenza e di dominazione è una delle componenti del maschilismo ed è all’origine di molte forme, tragicamente attuali, d’incomprensioni e di violenze.
Naturalmente le turbe dell’identità maschile non sono una prerogativa del mondo musulmano. .. La generale demoralizzazione del pene in Occidente in contrasto con il perdurare del predominio sessista in Medio-oriente e altrove, complica – tramite fenomeni di mimetismo o attraverso la reazione che essa solleva – la crisi che oggi attraversa il mondo arabo-musulmano e le sue tradizioni. Diventa sempre più raro quel coraggio davvero virile che consiste nell’essere teneri ( senza per questo lasciarsi violentare – sia pure simbolicamente, in quanto Europei aperti e disponibili – dai virtuosi portatori di sciabole e di sacri minareti.
Occorre, mi pare, tener conto delle imbricazioni delle culture e delle economie al seguito della mondalizzazione. Tuttavia è nell’area islamica che oggi si osserva, in maniera più massiccia, l’adesione cieca di queste società a un ordine androcentrico e alla perpetuazione di una cultura sessista. Lungo le linee di separazione radicale degli uomini e delle donne, la crisi si annoda con tratti specifici e maggiore violenza che altrove.
(منارة, o anche مئذنة al-manāra, ;torre lucente”, “faro”)
* FARO E BAIONETTA . Lo disse il vecchio fondamentalista Recep Tayyip Erdogan, oggi primo ministro turco, quando era sindaco di Istanbul, proclamando con le parole del poeta turco Gökalp: “La democrazia è soltanto il treno sul quale saliamo fino a quando saremo arrivati all’obiettivo. Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, le cupole i nostri elmi e i credenti i nostri soldati”.
Queste parole esprimono chiaramente la concezione tracotante e militaresca di un islam in piena decomposizione e ricomposizione in un neo-islam globale che non distingue fra religione e stato. E’ comprensibile che alla vista di un minareto-baionetta la gente, non solo in Turchia, provi qualche timore. Insomma, non occorre essere svizzeri per prendere sul serio l’avanzata dell’oscurantismo islamista e cercare di pararsi il culo.
A tale proposito risuonano attuali le osservazioni di Freud scritte nel 1929, durante l’ ascesa sfolgorante e quindi non vista del regime nazista: “Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!”. Quella di Freud è un’osservazione in nota a “Il disagio nella civiltà”, a proposito del precetto “ama il prossimo come te stesso”. Dopo aver riconosciuto la funzione civilizzatrice di tale precetto, osserva : “ Eppure, chi nella presente civiltà s’attiene a tale precetto si mette solo in svantaggio rispetto a chi non se ne cura. Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!”.