Pier Vittorio Tondelli. Un amico da ricordare

PIER VITTORIO TONDELLI DIECI ANNI DOPO

UN AMICO DA RICORDARE
di Gianni De Martino

L’incontro con Tondelli è avvenuto nel gennaio del 1987, nell’imminenza dell’uscita in Francia, presso l’editore Seuil, della traduzione francese di Altri libertini, che da noi Feltrinelli aveva pubblicato nel 1980. Collaboravo da Milano alla redazione di Gai Pied, mensile allora diretto da Franck Arnal e da Hugo Marsan, che mi avevano chiesto d’intervistarlo. Tondelli si era da poco trasferito a Milano, in via delle Abbadesse.
Il 1986 francese, con il ritorno degli studenti e dei disoccupati nelle strade e nelle piazze sembrava avere le stesse caratteristiche sociali del 77 italiano, perché in Francia c’erano dei fermenti che potevano perlomeno ricreare certe condizioni in cui Altri libertini era stato scritto sette anni prima. Ad esempio quella grossa entrata in scena dei giovani, che sembravano muoversi secondo un altro ritmo, quello del desiderio e della libertà. Era questo il dato che costituiva meglio il racconto.
In Altri libertini si parla di università, si parla di giovani, ma soprattutto si parla di una condizione giovanile che non offre molti sbocchi ed è anche abbastanza tragica in alcuni episodi. Insomma, un momento abbastanza giusto perché uscisse in Francia, dove già era uscito Pao Pao, nel 1985. D’altra parte ricordo che Tondelli – che nel frattempo aveva già scritto RiminiBiglietti agli amici e già preparava Camere separate – si trovava un po’ imbarazzato a parlare di quel libro e dover ripiombare in quelle storie, in quell’ universo testuale…
Sette anni sembravano tanti per Tondelli. Aveva allora 32 anni e diceva che sette anni, colti fra i ventidue ventitré e i trenta, producono notevoli scarti all’interno della propria personalità.
Quello che colpiva era questa attenzione al tempo – credo che sia una caratteristica di certi scrittori, perlomeno dei più decisivi – e l’accenno all’interiorità. In quell’occasione mi disse di essere stato molto colpito dalla lettura del Trentesimo anno della Bachman e di essere interessato alla lettura di Isherwood, gli sembrava straordinaria la tranquillità e la grazia con la quale questo scrittore parlava del mènage con il suo amante, durato trent’anni… Eravamo già lontani dalle turbolenze di Altri libertini.
Caso raro tra gli scrittori italiani, che in genere hanno anche un altro mestiere, Pier viveva di scrittura, anche di collaborazioni a numerose testate. Cosa che gli pesava un po’, avrebbe voluto vivere una vita di riflessione, più ritirata. Diceva : non voglio che la mia attività letteraria diventi un’azienda… Forse per questo amava pubblicare anche con i piccoli editori, oppure lavorare con realtà editoriali più grandi e complesse come la Bompiani o la Mondadori, ma in maniera, diceva, artigianale, fra amici. Aveva il senso dell’amicizia e una generosità soft – come sanno coloro che hanno collaborato con lui, una generosità “davvero tipica e unica”, come osservava Arbasino.
Pier, così sensibile e riflessivo, sembrava nato apposta per scrivere. A me sembrava un monaco, e forse lo era veramente perché la dedizione al suo lavoro e anche a quello dei giovani scrittori, era tale da farmi dire che egli era entrato in letteratura come si entra in convento… Non a caso, l’intervista a “Gai Pied” ( G.H.P. n.279/11 juillet 1987) apparve con il titolo: ” Tondelli, loin des couilles de tous le monde”…
Cominciammo a frequentarci, venne a casa un paio di volte, una volta prima di partire in Tunisia, doveva fare un servizio giornalistico per l’Espresso… Era un po’ inquieto, i suoi viaggi preferiti erano verso il Nord Europa e diceva di non essere attratto dalla cosiddetta “bisessualità mediterranea”, anche se ne era incuriosito, tanto è vero che quando intraprese con Giordano Bruno Guerri la collaborazione con la Mondadori, dove dirigeva la collana Mouse to mouse, mi offrì la possibilità di pubblicare l’Hotel Oasis, una storia ambientata in Nordafrica.
Ricordo una persona molto seria, educata, rispettosa, nemico dell’oltraggio… Dava la vita per la letteratura, e tuttavia quest’attività non sembrava interessarlo che come un mezzo di esplorazione della realtà e di trasformazione intima. La scrittura è un’attività solitaria, se “non salva”, permette però di allenare lo spirito a qualche trasformazione. L’esperienza letteraria comporta, perlomeno per le persone più sensibili e riflessive, tensioni molto forti, tensioni decisive in relazione al tempo e alle figure luminose o oscure che uno scrittore invia, al suo posto, nel caos del mondo. Non sono figure di “salvezza”, la letteratura ha dei limiti, “non salva, mai”, per usare le sue parole. Sentirsi responsabili dell’uso di una parola che “non salva”, che non arriva mai in qualche porto sicuro, e che al limite può solo alludere tramite forme che i linguisti ci dicono “vuote”, può essere una situazione disperante. Forse per questo gli scrittori in genere sono persone piuttosto malinconiche. Ma Pier mi sembrava un po’ troppo malinconico. Scherzando, talvolta lo chiamavo monacone… non abitava forse in via delle Abadesse ? Lo provocavo. Quando cercavo di scuoterlo un po’ con qualche battuta, mi faceva sentire siocco e importuno, perché storceva il naso in una maniera unica e inimitabile, non rispondeva con un’altra battuta, ma con una specie di sorriso triste. Sembrava dire: rida chi può… Forse non gli piaceva ironizzare, anche se c’è una parte della sua opera che, se non camp, è ironica e divertente. La parola letteraria, tuttavia, per lui non era fatta ( “fatta”, come si dice nel gergo dei drogati) per ridere, forse perché talvolta, nelle scritture decisive, essa conserva ancora l’antico e misterioso potere di rivolgersi all’anima. O meglio, a quello che una volta si chiamava “anima” e che oggi, riduttivamente e forse per tranquillità chiamiamo “interiorità”. In ogni caso, Tondelli non aveva niente a che fare con la più comune letteratura “depotenziata” tipica di certi disinvolti scrittori italiani, felici, beati loro, non solo di giocare con la lingua, con le parole – il che in un’opera narrativa va benissimo – ma anche di apparire cinici e disincantati, e di scherzare di tutto e su tutti forse per dimostrare agli altri di avere dello spirito. Un tratto – quello di scherzare riduttivamente di tutto e su tutti – che per Pasolini connotava l’origine piccolo borghese di tanti scrittori italiani, medio-italiani.
Nella sua opera l’omosessualità non era problematizzata, anche se comporta dei problemi , era un dato della realtà e lui era interessato all’aspetto relazionale della questione, e anche a quello emotivo e sentimentale. Non era un sociologo o un giansenista dell’omosessualità e non faceva letteratura omosessuale, ma una letteratura in cui i modi di vita, le pratiche e i sentimenti omosessuali avevano un loro posto nel racconto, nella vita dei suoi personaggi: sia che fossero descritti durante il servizio militare , come in Pao Pao, sia che viaggiassero o cercassero di emergere nella riviera romagnola degli anni Ottanta… A un altro livello, a una lettura di secondo grado, egli tuttavia non cessava d’interrogarsi su questa specie di mistero virile che, forse per meglio respingerlo, è stato ridotto alla “sessualità”. Continuo a pensare che questa invenzione sociologica, sia come una rottura permanente della spina dorsale, un’amputazione dell’integrità della persona orientata con un corpo e con un’anima verso la relazione con l’altro, con la presenza-assenza dell’Altro. Insomma, continuo a pensare che per lui l’amore fosse una questione troppo importante per essere affidato alla sociologia e ridotto alla cinica monarchia del sesso che ci governa.
Prima di allora, cioè prima dell’incontro-intervista per “Gai Pied”, avevo visto Tondelli a casa di amici, a Bologna, di sfuggita, non ci eravamo parlati… La prima volta che avevo sentito parlare di Tondelli era stato nel 1980, sei sette anni prima dell’intervista in via delle Abbadesse, quando Aldo Tagliaferri, allora direttore editoriale della Feltrinelli, pubblicò Altri libertini. Allora collaboravo con “L’erba voglio” di Elvio Fachinelli, che era rivista e casa editrice che nel marzo del 1979 aveva fatto uscire Boccalone di Enrico Palandri, una storia d’amore e di viaggi e spostamenti sullo sfondo della Bologna del 1977… Anche in questo primo libro di Palandri i ragazzi si riappropriano del loro corpo e soprattutto hanno dei sentimenti. Altri libertini ci era sembrato, a torto, quasi un clone di quel libro dell’Erba voglio… Ricordo che Elvio Fachinelli ironizzava dicendo: ” Si vede che un boccalone tira l’altro…”.
In realtà Altri libertini fa un’operazione, anche abbastanza sofisticata, sull’irruzione della scena politica e sociale dei cosiddetti soggetti emarginati, a cui dare dignità di parola, di letteratura e di storia. Su questo Tondelli fa un’operazione romanzesca. Non è un libro autobiografico, ma studia l’autobiografia, un percorso autobiografico quasi generazionale. Non a caso Tondelli si stava laureando in estetica proprio sui temi dell’autobiografia come genere letterario. Verso la fine degli anni Settanta questo sembrava il dato nuovo su cui lavorare. L’omosessualità dei personaggi è data quasi per scontata, è un episodio di vita nell’oggi, nel presente, e forse fu questo che colpiva sia gli editori che i lettori. Gilberto Severini ha ricordato che prima di Tondelli, in letteratura, i corpi dei ragazzi non si vedevano, perché appartenevano alla famiglia, alla parrocchia, all’ideologia.
L’accusa per il reato di oscenità che colpì Altri libertini, con il processo assolutorio che ne seguì, dimostrò che per i benpensanti ciò che sembrava e forse ancora oggi sembra intollerabile non è tanto l’atto omossessuale ma la relazione affettiva gay e la trasformazione sociale e culturale dei modi vita che ciò comporta. I lavori di Foucoult sulla formazione storica delle omosessualità hanno dimostrato che il governo della sessualità occidentale non passa attraverso la repressione della sessualità, ma attraverso l’invenzione della scientia sexualis e del suo discorso. L’omosessualità viene costituita come margine dell’eterosessualità e relegata per definizione nella sessualità per meglio governarla e per respingere le pratiche di libertà, di nuovi rapporti sociali, cioè di una nuova cultura a cui dare luogo facendo della sessualità ( dell’omosessualità) una pratica in cui la relazione, l’affetto, l’amicizia e i piaceri assumono un valore positivo.
In tal senso, Tondelli viene in parte rivendicato e come annesso alla cultura gay. “Gay” non è categoria sessuale, né tantomeno la rivendicazione di un’identità formata a partire dal sessuale, bensì una discutibile posizione esistenziale, politica, culturale, utopica. Ma questo, questa utopia della fraternità, quest’alba di fraternità come diceva il poeta, Rimbaud, è forse un discorso che ci porterebbe lontano. Voglio solo dire che in tal senso, il contributo di Tondelli è stato rilevante per la cultura gay e, più in generale, per una cultura delle libertà, cioè per la formazione, tramite la pratica letteraria, di un reale più largo di quello che vorrebbero i puritani persuasi dell’assoluto privilegio della norma e i fascisti di ogni genere rinchiusi nelle loro certezze , le loro fortezze. Insomma, nonostante tutto, nonostante anche la troppo breve parabola creativa stroncata brutalmente dall’Aids, mi piace ricordare di Tondelli un aspetto non indifferente della sua opera: il contributo dato – tramite la pratica letteraria e il racconto di molte storie possibili, o anche impossibili – alla creazione di una vita più libera e più felice.

SPALLA
Il 16 dicembre 2001 cade il decimo anniversario della morte di Pier Vittorio Tondelli, uno scrittore che voleva “scoprire i nervi” della sua generazione , che è molto amato anche dalle nuove generazioni che scoprono i suoi libri e che forse è già diventato un Classico suo malgrado. Dopo il primo volume, dedicato ai romanzi, racconti, teatro, Bompiani fa uscire il secondo volume delle Opere che raccoglie cronache, saggi, conversazioni, entrambi corredati da un ampio apparato critico-bibliografico e curati con puntiglio e affetto da Fulvio Panzeri. Si svolgono inoltre numerose manifestazioni, fra cui quella organizzata da Gianni Delle Foglie e Fulvio Panzeri il 25 novembre 2001 alla libreria Babele di Milano.
Trascrizione della comunicazione di Gianni De Martino alla libreria “Babele”, Milano, 25 novembre 2001. Il testo, con qualche variante, è pubblicato in “Babilonia” n. 206/gennaio 2002.

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