Baci proibiti

BACI  PROIBITI
NUOVE SEQUENZE DI BROKEBACK MOUNTAIN
Il Presidente Bush e il Principe Bandar dell’Arabia Saudita a Brokeback Mountain. Forse lo hanno nascosto anche a Rai2* . Ma alla fine non può essere negato. L’amore è una forza della natura.  
 baiser à la russe Bush
 
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La forza istintiva di un profumo

ODORI
IMPARIAMO AD ANNUSARE
Posto alla cerniera dei sensi della distanza ( la vista e l’udito) e di quelli del contatto ( il gusto e il tatto) , l’olfatto è radicato nel fondo della corporeità e di una fisicità che non cessa d’imbrazzare i numerosi studi multidisciplinari sull’argomento. A Freud dobbiamo l’inizio di quel discorso che constatata la scarsa capacità di discriminare gli odori manifestata dagli esseri umani ne fa l’indice di una perdita di significato per loro, quasi come se fosse un segno della loro avvenuta civilizzazione. 
Non c’è dubbio che gli esseri umani privilegino la vista, fin dai primordi, ma con il sollevarsi da terra, come sostengono gli evoluzionisti, non hanno comunque perso del tutto il loro naso. L’olfatto riesce ad avvertire un odore presente nell’aria per un millesino di milligrammo ( per alcuni gas, come per esempio il metilcarptano, che conferisce ai piedi il loro odore caratteristico, un milionesimo di mg per litro d’aria). Nonostante il prevalere delle immagini  e della riduzione dei contatti diretti nell’era di internet, l’olfatto non è tanto atrofizzato quanto messo in ombra dallo status culturale attribuito agli odori “naturali” – da eliminare appena è possibile e sostituire con profumi artificiali per « personalizzare » i propri messaggi.
Esaltati in passato da sacerdoti e maghi, i profumi evocano il più misterioso e il più spirituale dei sensi e, nello stesso tempo, si legano alle radici dell’oscurità umana, al fondo basso della corporalità. Ambigui e inafferrabili, nella loro doppia valenza sacra e profana, i profumi naturali che hanno accompagnato la liturgia di tutte le religioni, legati al culto degli dèi ed anche al culto dei morti, tendono a dileguarsi dalla scena contemporanea avvolta dalla nube della polluzione planetaria e la prevalenza degli odori sintetici.
Esplorato discretamente dalla letteratura, dalla filosofia e dalle scienze, talvolta dalla poesia, l’olfatto ha conservato uno statuto ambiguo, perché insieme al senso del sacro, del ricordo e dell’immaginazione ha nutrito anche l’erotismo e le arti della seduzione.
Senso incerto, un po’ labile e soprattutto incapace di astrazione, l’olfatto percepisce gli odori biologicamente significativi e costituisce il cammino più corto per l’intimità sessuale. Naturalmente non basta un’annusatina per innamorarsi, ma grazie al nostro quinto senso    si realizza una comunicazione aromatica, misteriosa, arcana, che forse è quella confusione che si chiama amore. « Nel vedere si resta chi si è, nell’odorare ci si perde », ha scritto il filosofo Theodor Adorno. 
Sebbene nella nostra « civiltà del deodorante » questo senso dimenticato, quasi rimosso, non abbia un’importanza preminente, senza i molteplici ricettori delle nostre umide fosse nasali non potremmo apprezzare il cibo, sentire l’odore dei nostri amanti e chiudere il gas. Anche il campo della nostra immaginazione ne risulterebbe ridotto. Ma né l’ambiente, né l’esperienza, né la cultura ci hanno insegnato a prenderci cura della varietà degli odori, come se questi non fossero necessari alla nostra vita interiore quanto le immagini e i suoni.
(Con qualche variazione e il titolo redazionale « La forza istintiva di un profumo », nel dossier ‘ Corpo mente. Il senso delle feste ’, Psychologie Magazine, Dicembre 2008, pp. 120-121 )
 
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Raymond Roussel: Le soleil est en moi

NON – LUS
RAYMOND ROUSSEL: LE SOLEIL EST EN MOI
…Ce que j’écrivais était entouré de rayonnements, je fermais les rideaux, car j’avais peur de la moindre fissure qui eût laissé passé au dehors les rayons lumineux qui sortaient de ma plume, je voulais retirer l’écran tout d’un coup et illuminer le monde. Laisser traîner ces papiers, cela aurait fait des rayons de lumière qui auraient été jusqu’en Chine, et la foule éperdue se serait abattue sur la maison. Mais j’avais beau prendre des précautions, des rais de lumières s’échappaient de moi et traversaient les murs, je portais le soleil en moi et je ne pouvais empêcher cette formidable fulguration de moi-même.
(Dr. Pierre Janet, "Les Caractères psychologiques de l’extase", in Raymond Roussel, Comment j’ai écrit certains de mes livres,  Paris, J. J. Pauvert, 1977)
 
Che fa, in italiano :
… Quello che scrivevo era circondato da irradiazioni, tiravo le tende, perché avevo paura della minima fissura che avrebbe potuto lasciar passare i raggi luminosi che fuoriuscivano dalla mia penna, volevo togliere lo schermo d’un sol colpo e illuminare il mondo. Lasciare in giro queste carte, avrebbe fatto sì che dei raggi di luce sarebbero andati fino in Cina – e la folla sconvolta si sarebbe abbattuta sulla casa. Ma avevo un bel prendere precauzioni, i raggi di luce sfuggivano da me e attraversavano i muri, portavo il sole in me e non potevo impedire questa formidabile folgorazione di me stesso. ( trad. di G.d.M. )
Link
 
Raymond Roussel (1877-1933). Le plus célèbre des " non-lus”
 
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Il nuovo "Altrove"

RIVISTE
 
IL NUOVO "ALTROVE"
immagine della copertina       Esce in libreria "Altrove. Hofmann & Lapassade ", nuova serie, a cura della SISSC Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, Ed. Colibrì, Milano,  2008, pp. 144
 
 SOMMARIO
 
– Gilberto Camilla, Addio Albert, addio Georges
– Giorgio De Martino, "… una granatina alla menta …"
– Nicoletta Poidimani, Uno dei miei più importanti "cattivi maestri"
– Gianni De Martino, Georges Lapassade in Marocco
– Albert Hofmann, Elogio del Puro Contemplare
– Carl Ruck, Mithraism. The Drug Cult that Civilized Europe
– Vincenzo Ampolo, Divinità e sostanze psicoattive nell’antica Religione della Luce
– Manuel Villaescusa, Efectos subjectivos a corto palzo de tomas de ayahuasca en contexto occidental urbano
– Fiorenzo Tassotti, Ipnosi e poesia. Ricerca delle componenti ipnotiche in una poesia di Giovanni Pascoli
– Gilberto Camilla e Fulvio Gosso, Allucinogeni e Cristianesimo: nuove acquisizioni
– Fulvio Gosso, Amanita muscaria: note e bibliografia
– Massimo Centini, Erba sardonica. Appunti di una ricerca
– Maurizio Nocera, Elogio alla transe
– Camillo Duc, Sintomi visivi nell’intossicazione mescalinica
 
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Il muro della lingua araba

ARABICA
IL MURO DELLA LINGUA
E’ necessario semplificare e liberare dai suoi arcaismi la lingua araba, rimasta immutata nella sua grammatica, sintassi e coniugazione da millecinquecento anni, incomprensibile al 90% dei musulmani e resa impraticabile per comunicare nel mondo di oggi: per averlo scritto nel 2004 in un libro da poco tradotto in italiano (La sciabola e la virgola , ObarraO edizioni), Chérif Choubachy ha scatenato al Cairo la collera degli islamisti egiziani e di altri difensori della sacralità della lingua, al punto da essere  costretto a lasciare il suo posto di vice-ministro egiziano della cultura.
Ricordiamo che tra i “guardiani del tempio” contrari a ogni riforma dell’arabo,  il deputato islamista Hamdi Hassan fu il più virulento: “L’autore di questo libro parla il linguaggio dell’occupante colonizzatore.”   Un luminare  della presidenza dell’Università del Cairo vi vide addirittura “uno dei segni del complotto imperialista-sionista.”  Tesi grottesca, ancorché  molto diffusa nei paesi arabi, dove ogni critica viene percepita come segno di malevolenza, se non di un colossale complotto per “umiliare” gli Arabi e l’islàm.  La polemica tra chi vuole conservare l’arabo così com’è, ripiegandosi in se stesso in una specie di curvatura psicotica, e chi vuole invece innovarlo e impedirne la mummificazione, potrebbe sembrare una specie di remake della  “querelle des Anciens et des Modernes” che agitava  l’Académie française alla fine del XVII secolo. Nella polemica scoppiata in Egitto si affrontano due visioni politiche. I salafiti che difendono il classicismo e la presunta perfezione degli Antichi difendono anche una forma di conservatorismo culturale e religioso in piena decomposizione.
Mentre le vecchie certezze vanno a pezzi e la lingua araba classica rischia di scomparire a vantaggio dei dialetti e delle lingue madri dei popoli, i termini religiosi della lingua del dod ( come talvolta si dice della lingua araba classica, dal nome della lettera dod che solo gli Arabi sanno pronunciare ) ritornano secolarizzati, in un misto di teologia, nazionalismo e scientismo. Così, per esempio, per parlare in arabo classico di “comunità” o di “nazione”, compreso delle Nazioni Unite, si impiega il termine umma. Ma questa secolarizzazione di un classico termine coranico, di essenza spirituale, è davvero possibile?
L’oscurità e l’ambiguità accecano gli strumenti di analisi della realtà, che sono imprecisi proprio a partire dalla lingua. “Di fatto, l’ambiguità persiste e autorizza tutte le manipolazioni politiche, come i termini di jihād [arabo:جهاد] o di mujāhid [arabo:مجاهد ].” L’osservazione è dello storico tunisino Mohamed Talbi, in Plaidoyer pour un islam moderne”, uscito a Tunisi per le edizioni Cérès nel 1996 ( e nel 1998 a Casablanca, in Marocco, per le edizioni Le Fennec, nella collana “Islam et Humanisme” diretta dalla sociologa Fatema Mernissi e Abdou Filali-Ansary, direttore della Revue Maghrebine du livre). Anticipando la tesi sostenuta in Egitto da Chérif Choubachy, Mohamed Talbi sollevava la questione di una lingua segreta e bella, che però in quanto precisione e rigore costituisce per gli Arabi stessi un problema. “Noi, scriveva Talbi, siamo prolissi, mentre l’Occidente preferisce la concisione. Andiamo al di là di quello che vogliamo dire, mentre l’Occidente resta al di qua. Uno dei doveri essenziali degli esperti della nostra lingua è di occuparsi della questione di concetto di base, indispensabile per mettere ordine nelle nostre strutture di pensiero. Perché abbiamo gran bisogno di chiarire i nostri concetti e di farlo partendo dai nostri schemi mentali. Saremo allora in grado di accedere a un comportamento più razionale che ci permetterà di vivere con il nostro tempo e di non restare ai margini della modernità.”
 Purtroppo l’arabo classico, disperazione degli studenti in ogni parte del mondo arabo, finisce con il costituire una barriera che impedisce di pensare e di comunicare liberamente. E, poiché è la lingua del Corano e dei commentatori coranici,  diventa una posta di potere politico per poter continuare a monopolizzare il sapere religioso a fini politici e lavare il cervello a giovani senza difese. Ogni minima sciocchezza, purché “scritta” dagli Antichi, viene sacralizzata. Riaprire il dibattito sulle regole della lingua del Corano metterebbe in pericolo un potere rimasto immutato dai tempi dei Faraoni ( come a partire da una interrogazione sulla servitù volontaria ha peraltro sostenuto anche Moustapha Safouan, nel suo recente Perché il mondo arabo non è libero. Politica della scrittura e terrorismo religioso , Spirali edizioni, Milano 2008 ).
Non a caso il presidente  Hosni Moubarak, abile nel produrre terrore di Stato all’interno del Paese ed esportazione del terrorismo religioso all’esterno ( Cfr. De l’exportation du terrorisme à l’exportation de la répression, di  Caroll Azoulay – Guysen International News, pubblicato dall’Institut du Caire pour les études sur les droits de l’Homme, su > http://www.guysen.com/print.php?sid=8638 ),   ha sostenuto il campo dell’immobilismo linguistico e culturale. In un discorso pronunciato in piena tempesta attorno al libro di Choubachy, non ha infatti esitato a fare appello agli ulema e al loro narcisismo affinché vigilino contro gli “appelli di taluni alla modernizzazione dell’islam, che si sono tradotti in iniziative e reclami per la modifica del vocabolario e della grammatica arabe, lingua scelta da Allah per far discendere il suo messaggio sul Profeta.”  Come se Dio avesse scelto Muhammad come suo inviato perché parlava l’arabo.
Ogni tentativo di riformare la lingua araba usata per captare la forza del nome e irradiare ignoranza, devastazione e terrore sarebbe sacrilegio ? Una lingua sacra? Ma è nata diversi secoli prima dell’islàm, nota Chérif Choubachy. I quattro quinti dei musulmani del pianeta non la parlano. Riservata sempre più al solo insegnamento religioso islamico, sempre più spesso diffuso da imam semianalfabeti e da gruppi di fondamentalisti acculturati,  in alcuni paesi si proibisce ai non-musulmani d’insegnare la lingua araba classica, quando cristiani ed ebrei hanno svolto un ruolo preponderante per la sua salvaguardia e il suo sviluppo. Da sempre, cioè dagli inizi pre-islamici della lingua fino al giornalismo arabo, passando per le traduzioni in arabo dei testi latini e greci.

L’arabo “grammaticale” si riduce a diventare monopolio degli ulema, che la ritengono la Lingua Una,  sacra, perfetta, superiore a tutte le altre lingue e immutabile. E chi la pronuncia, sia pure in forma incantatoria, senza capirne il significato, si avvicinerebbe magicamente al Sublime Modello, se non all’ Onnipotente. Non a caso numerosi termini della spiritualità musulmana sono diventati come i mantra della tradizione indù. “Nel nome dell’islam”, captato dalla politica e i processi di secolarizzazione che dissolvono e fanno cadere a pezzi, in pezzi, le certezze tradizionali di un islàm fino a pochi decenni fa conviviale e accogliente,  ci si arroga il diritto di gridare Morte Morte Morte alle orecchie di Dio. Come se dal mondo arabo e da quello musulmano fosse scomparsa la saggezza.

" Un tempo – scrive lo storico del pensiero islamico Mohamed Arkoun ( in  L’Islam: morale et politique )  nel linguaggio coranico si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". Il culto dell’arabo sacralizzato e immutabile permette l’ utilizzazione oltraggiosa di un vocabolario e di referenze religiose per travestire processi di secolarizzazione radicali.” Come nota lo psicoanalista Fethi Benslama ( in La psychanalise à l’épreuve de l’Islam, Aubier, Parigi 2002)  – l’espressione “nel nome dell’islam…” è oggi diventata l’invocazione macabra, la folle litania di coloro che  si arrogano il potere assoluto di distruggere, non risparmiando né la vita umana, né le istituzioni, né i testi, né l’arte, né la parola.
Sui popoli del mondo arabo incombe un vero e proprio fossile o Moloch linguistico, che  impedisce  la libertà di parola e lo sviluppo della cultura e del lavoro della cultura. Politiche segregazionistiche e immobilismo linguistico perpetuano “una specie di prigione in cui il genio arabo si spegne”. A farne le spese sono soprattutto i sogni, i progetti  e le speranze di una verdeggiante gioventù araba in piena effervescenza, mantenuta ignorante del proprio mondo, ridotto a un cumulo di assurdità.
Oggi  la classificazione The World Almanac non considera l’arabo classico tra le lingue vive, ma rende conto dei dialetti arabi realmente parlati, come l’arabo egiziano, marocchino, algerino, mesopotamico  ecc.. Sebbene siano oggi le varianti locali dell’arabo, gli idiomi e i dialetti a giocare un ruolo comunicativo e inventivo considerevole, specialmente nei movimenti musicali e le controculture giovanili, la lingua del popolo ( il “volgare”, come diceva Dante, contribuendo al passaggio dal latino all’italiano) non è ritenuta capace di creare e trasmettere saperi e cultura. Del resto, sono Paesi in cui non esiste una letteratura in grado di dare significato al critico passaggio al moderno di moltitudini malamente e superficialmente ammodernate.
 “Pretendere di escluderci dagli altri mortali brandendo la nostra superiorità linguistica ed etnica – osserva ancora Choubachy rivolgendosi agli idolatri della lingua araba  – è contrario alle basi stesse della logica musulmana. Continuare a sostenere il primato della nostra lingua, della nostra appartenenza etnica e della nostra religione su qualsiasi altra sarebbe, per usare un termine moderno, una forma di razzismo puro e semplice. Senza contare che una pretesa così segregazionista, lungi dal distinguerci, ci emarginerebbe dal complesso delle nazioni.”
Ogni processo di modernizzazione e di apertura alle sfide del mondo di oggi, così come alla possibilità di condivisione e di “dialogo” , richiede necessariamente la revisione e l’aggiornamento della lingua araba diventata “un giogo che incatena il cervello arabo e ostacola le nostre energie creative, una briglia, nota Chérif Choubachy, che strangola e frena i nostri pensieri… Noi abbiamo bisogno di una lingua chiara e precisa, non di ornamenti di stile e prodezze verbali.”  
 
IL LIBRO
  Choubachy Chérif,  La sciabola e la virgola. La lingua del Corano è all’origine del male arabo ?, traduzione dal francese di Luisa Cortese, prefazione di Ahmed Youssef, O Barra O Edizioni, Milano, 2008
 
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Ultime tribù

 ULTIME TRIBU’
  Les Nambikwara résolvent aussi le problème d’autre manière : par les relations homosexuelles qu’ils appellent poétiquement : tamindige kihandige, c’est-à-dire "l’amour-mensonge". Ces relations sont fréquentes entre jeunes gens et se déroulent avec une publicité plus grande que les relations normales.
Claude Lévi-Strauss – 1955
Guarda l'immagine nelle sue dimensioni reali. 
 
 
Jeune homme Nambikwara
 
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IRAN: VITE STRONCATE

IRAN : VITE STRONCATE “NEL NOME DI ALLAH”
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 Si chiamano Hamzeh Chavi e Loghman Hamzehpour, sono due ragazzi iraniani di appena 18 e 19 anni. Il loro arresto è avvenuto a Sardasht, nell’Azerbaijan iraniano il 23 gennaio scorso. L’accusa, emessa nei loro confronti dal tribunale islamico, è di “mohareb" ( nemico di Allah) e “liwat” ( sodomia).
 
Le autorità hanno usato metodi di tortura fisica e psicologica per ottenere la confessione dei due giovani. In Iran gli omosessuali sono considerati nemici di Allah, quindi destinati alla forca. Adulteri e specialmente donne adultere vengono invece lapidate ( da uomini che si considerano « puri e pii ». )
Per i due adolescenti rimandati a giudizio dal tribunale islamico iraniano non è stata ancora formulata la condanna a morte, né è stata fissata una data per l’esecuzione, benché le imputazioni non lascino troppi dubbi.
 
Lo scorso anno le foto di due loro coetanei ( Ayaz Marhoni, 18 anni , e Mahmoud Asgari, 16 anni ), appesi per il collo  da pii sacrificatori hanno fatto il giro del mondo. Secondo alcuni dati più di 4000 persone sono state giustiziate per il « crimine » di omosessualità da quando nel 1979 i leader religiosi hanno preso il potere « nel nome di Allah » . Il loro torto, in un Paese come l’Iran dove le omosessualità sono sommerse e diffuse, invece che visibili e concentrate ( come nei Paesi occidentali ad alto livello di sviluppo) sembra quella di non essere riusciti a isolarsi e nascondersi – come non da oggi sono costretti a fare gli amanti. 
 
Nel tentativo di salvare la vita di Hamzeh Chavi e Loghman Hamzeh, il Gruppo EveryOne ha lanciato una petizione  che è possibile firmare sul loro sito:
La petizione è destinata a figure istituzionali che vanno dall’Onu al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e al suo ministro della Giustizia, dalle ambasciate a organismi Ue quali la presidenza del Parlamento europeo e della Commissione Ue.
 
P.s. L’applicazione pratica di un’idea di coerenza simbolica e di purezza “nel nome di Allah” non risparmia né la vita umana, né le istituzioni internazionali, né i testi, né l’arte, né la parola. E sfocia in una crudeltà che è sotto gli occhi del mondo, compresi gli occhi degli iraniani più sensibili e riflessivi che se ne vergognano e non meritano un tale regime.  Ieri l’agenzia iraniana Irna ha riferito che il capo supremo della magistratura di Teheran, l’ayatollah Mahmoud Hashemi ha stabilito tramite decreto che nel Paese non si terranno più le esecuzioni pubbliche. Il decreto prevede inoltre la messa al bando della pubblicazione di fotografie e della trasmissione di immagini relative alle esecuzioni. Lo faranno quindi di nascosto, censurando ancora di più la stampa e i blog.
L´accanimento nella pena capitale ha allargato ancora la distanza fra l´Iran e la comunità internazionale, già in rapporti difficili per la politica nucleare e per le dichiarazioni di Mahmoud Ahmadinejad. Anche ieri il presidente iraniano ha definito Israele «uno sporco microbo nero» e «spaventapasseri dell´Occidente», che uccide «uomini puri e pii». Lui invece uccide solo gli « impuri » ; e cominciando con omosessuali, adultere,  dissidenti, ebrei, giornalisti, uomini, donne e ragazze accusati di non essere « puri », prima o poi con la bomba atomica islamica vorrà ripulire l’aria , dal Medioriente alla Scandinavia, da ogni forma di vita. A meno che non arrivi prima la bomba atomica del Pakistan, che però non è sciita, ma sunnita, e quindi sembra fare agli Arabi meno paura.
 
Intanto, opponendosi all’iniziativa della Francia che non vuole solo depenalizzare le omosessualità, ma rischia di porre «sullo stesso piano ogni orientamento sessuale», la Chiesa cattolica ha dato l’impressione di volersi allineare in tutto e per tutto con le macabre dittature islamiche che – confondendo reale, immaginario e simbolico – difendono l’idea della “famiglia”  con la forca. Oltre che  perseguitare e  mettere a morte i cristiani.
La Chiesa teme che un domani qualsiasi espressione di un’opinione contraria al “matrimonio gay” venga ritenuto contraria ai “diritti umani” onusiani, non “politicamente corretta”, se non espressione di “omofobia”, e diventi perciò stesso atto di discriminazione. Questa preoccupazione di principio, legittima, sembra minimizzare il fatto che in numerosi stati gli omosessuali vengono messi a morte. "Beh", sembra dire Mamma Chiesa, "volete fare i gay? Poi non venite da me a lamentarvi ! ".
 Forse sarebbe stato meglio, invece di dire solo « no » al testo in 13 punti presentato dalla Francia, distinguere fra i vari punti, dicendo Sì alla “depenalizzazione universale” delle condotte omosessuali, considerate “reato” in numerosi stati mediorientali ed africani; e  No  all’introduzione del “matrimonio gay”  negli ordinamenti degli Stati.
Il punto è che la Chiesa considera un “peccato” le condotte al di fuori del matrimonio, comprese le condotte omosessuali. Non potendo favorirle finisce con il trovare ambigue convergenze con quegli assassini che  considerano omosessualità e adulterio sia “peccato” che “reato”, punendoli in nome del “diritto di Dio”. Un Dio che non è lo stesso Dio di chi era contrario alla lapidazione delle adultere, ma non per questo intendeva favorire l’adulterio.
 
( In rete si trova il testo, tradotto, dell’iniziativa della Francia :  
 
 Va ricordato che la Chiesa all’Onu non vota in assemblea, e che il suo parere esprime unicamente un orientamento contrario al concetto di identità di genere, secondo il quale esisterebbe un essere naturalmente gay, bi, transgender, oltre agli uomini e alle donne. D’altra parte, il movimento lgbt si rinchiude nella credenza quasi religiosa dell’ “identità” omosessuale lgbt e s’incaponisce nel rilanciare il “matrimonio gay” nel nome dei “diritti umani”.
 
Nel rifiuto della complessità della grave situazione politica internazionale e della posta simbolica e antropologica messa in gioco dall’assurdità del “matrimonio gay”, la Chiesa viene accusata di essere complice degli assassini islamici. A pensar male, si potrebbe anche credere che la Chiesa voglia offrire agli islamici la testa degli omosessuali, nella vana speranza che i cristiani possano essere risparmiati. Un po’ come avrebbe, secondo alcuni storici,  già fatto in passato con i nazisti, a proposito degli ebrei.
Anche alcuni teologi scientisti, di cui non faccio il nome per carità di patria, hanno  iniziato e conducono una semplicistica e confusa gazzarra contro la Chiesa cattolica, alla quale negano, con odio, ogni sapere sul bene. Come se per la Chiesa fosse meglio vedere i gay penzolare tristemente nell’ Iran dei mullah, piuttosto che sposati e felici nella Spagna rosa bonbon di Zapatero.
Nel rifiuto della complessità e l’attrazione torbida della barbarie incombente, si annida la tirannia della fabbrica dei nuovi santi & martiri gay. In nome di un nuovo Superio che, contro ogni principio di realtà, comanda l’obbligo del piacere e dell’egoismo del piacere. Insomma, dal momento che Dio non ci sarebbe, bisogna godere per forza. Il desiderio ridotto a bisogno della "ggente" e al gorgo vuoto del godimento obbligatorio, troverebbe la sua gestione ottimale nella politica zapatera. Giustamente, la Chiesa pensa che il desiderio, l’enigma o il "mistero"  omosessuale ( specialmente quello maschile ) sia questione troppo importante per affidarla all’ONU.
 
Non vorrei avere l’aria di uno che dica al burocrate del Vaticano come dovrebbe essere la sua religione e come si dovrebbe dialogare con l’islàm, ma speriamo che la Chiesa cattolica corregga « un po’ »  il tiro e non si lasci intimidire.
 
Casta, e nello stesso tempo anche adorabile puttana, la Chiesa sembra ormai uno dei pochi ultimi argini rimasti al mondo nella difesa della vita, compresa la vita, la dignità e la fragile felicità della vita delle persone supposte o suggerite come omosessuali, o che si vivono come gay. Del resto, il famoso « complesso di colpa », che è al cuore della civiltà e del disagio della civiltà, non è stato certo la Chiesa cattolica ad inventarlo. Così, in tempi di nichilismo attivo, tempi orribili che forse sono solo agli inizi, è consigliabile, per il bene comune e quello degli amanti, stare dalla parte della Chiesa cattolica, anziché di coloro che infantilmente e senza misericordia l’attaccano.
( Come si fa a rinnegare la propria madre solo perché, oltre che santa, talvolta è anche – castamente, s’intende – "un po’ " puttana ? )

COSI’ SHARIA
Vaticano o non Vaticano, Ue o non Ue, Onu o non Onu, l’Iran manterrà comunquel la pena di morte per i gay, in base alla legge islamica. Lo ha detto ieri, il 3 dicembre, all’ANSA Mohammad-Taqi Rahbar, della commissione Giustizia del Parlamento iraniano. ‘’In base alla sharia e alle leggi divine, in Iran l’omosessualità è considerata odiosa e inaccettabile – ha affermato Rahbar con accenti nazistoidi ( Cfr. Discorso di Himmler contro le omosessualità, Archivio degli stermini)  – Gli stranieri possono dire quello che vogliono, ma noi continueremo sulla nostra strada, perché quello che facciamo serve a prevenire la corruzione’’. Inoltre, ha aggiunto ipocritamente il membro della commissione Giustizia, ‘’le leggi islamiche garantiscono tutti i diritti’’ :

 
Secondo i più illuminati filosofi progressisti e taluni liberi pensatori lgbt, la lotta all’ingiustizia e la  famosa Liberazione passano, insieme al Progresso, dal didietro militante ( se proprio occorre, cfr. Quando parlammo del buco del culo, Queer, inserto di Liberazione 10/03/08; e L’ano tra sesso e rivoluzione, Queer, inserto di Liberazione 26/06/05 ). Intruppati dai sinistri guardiani dei bisogni, i pierosansonetti protettori  ( "bellaciaaao" !) e i mullah della teoria transgender ( magari reduci dall’Isola dei Famosi) sarà dunque più facile e politicamente corretto agitarsi e sollevare un polverone arcobaleno contro il Vaticano, anziché scendere in piazza, magari senza kefiah, parrucche e in precario equilibrio sui tacchi a spillo, per manifestare contro le lugubri dittature arabo-islamiche che stroncano le vite di gay e non-gay « in nome dell’islam… ».
.
P.s.
 

Exclusif Bivouac-ID : «Les homosexuels devraient être torturés en public, la mort est trop douce pour eux » (TV koweïtienne), la vidéo en français. L’islam considera le omosessualità un crimine-peccato. Tutte le scuole giuridiche sono d’accordo con le raccomandazioni del profeta Maometto, che secondo un hadith considerato autentico avrebbe detto : «  Quando trovate due uomini che hanno commesso il peccato di Lot, metteteli a morte, il passivo come l’attivo. »  Tra gli « eruditi » islamici differisce il modo di metterli a morte.  Per alcuni bisogna gettarli giù da una montagna ( il « giurista » di questo video  suggerisce « dall’alto di un edificio »), per altri occorre lapidarli, impiccarli o bruciarli vivi. Qualche giurista « moderato » propone invece una « moratoria » ( simile alla moratoria  degli hudûd, delle punizioni corporali, della lapidazione e della pena di morte nei paesi islamici proposta dall’ambiguo Tariq Ramadan), se non nei paesi islamici  perlomeno nei paesi in cui non vige ancora la sharia e gli islamici sono « oppressi », vale a dire costretti a vivere in uno Stato non retto dalla legge islamica e a subire parole e azioni di resistenza all’introduzione della sharia nel territorio non ancora a predominanza musulmana. In questo video della televisione del Kuweit , il parere del giurista musulmano ( « la morte è una punizione troppo dolce per loro  [gli omosessuali]. Li si dovrebbero radunare sulla pubblica piazza, per frustarli e torturarli »), è introdotto da una simpatica musulmana senza velo, apparentemente piuttosto emancipata da ogni oscurantismo islamico, che accoglie con un grazioso sorriso d’implicito consenso le bestialità del giurista con il turbante.
 
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L'Express censurato

CIRCUS ISLAMICUS
 
‘L’Express’ censurato IN MAROCCO
.
 
 
Questa è la copertina del numero 2991 del settimanale francese  ‘L’Express International’  datato 30 ottobre-5 novembre 2008. La rivista  presenta un dossier di una dozzina di pagine che confronta cristianesimo ed islam, con le immagini dei fondatori del cristianesimo e della religione musulmana, per "aiutare il dialogo" tra le due religioni. Per rispetto della fede musulmana, la copertina riporta la silhouette di un Maometto senza volto, in conformità all’uso islamico, tratta da un manoscritto ottomano del XVI secolo.
 
Purtroppo, nel timore del possibile circus islamicus che gli islamisti avrebbero potuto mobilitare( come accaduto pretestuosamente due anni fa per la  questione delle vignette su Maometto) le autorità marocchine hanno vietato comunque la diffusione della rivista, in applicazione dell’articolo 29 del codice della stampa che le autorizza a sospendere le pubblicazioni quando esse "portano attentato alla religione, alla monarchia, all’integrità territoriale, al rispetto del re o dell’ordine pubblico". Secondo l’agenzia Associated Press, le autorità algerine e tunisine, evidentemente anch’esse male installate al potere e paurose di tutto, specialmente della prepotenza degli imam islamisti, hanno deciso subito dopo di censurare anch’esse l’edizione in questione di  ‘L’Express’.
 
E’ un po’ come accade nei territori controllati dalla mafia: per “evitare problemi” ci si autocensura e si diventa omertosi, gettando ombra su tutti gli aspetti della vita dei cittadini, compreso il diritto alla cultura e alla libertà di parola. Il terrore diffuso dagli islamisti più radicali rappresenta, come ogni mafia, un pericolo a carattere totalitario.
 
Eppure insieme all’avanzata dell’islamismo dei barbuti e del terrore jihadista che oggi devasta il mondo e occupa la scena, esistono molti islàm con forme, culture e contenuti diversi gli uni dagli altri e in millenario conflitto tra loro. Fra questi, vi è un islàm desiderante e amoroso, certo minoritario, che si esprime nella memoria collettiva dei popoli quando questi sfuggono al discorso sacrale del potere, nelle timide speranze in una vita più libera e felice di una gioventù arabo-islamica in piena effervescenza, nelle espressioni artistiche e popolari di natura corporea come la danza e la musica, oltre che in opere come “Le mille e una notte” ( peraltro vietate in Egitto) , i sublimi trattati di mistici come Ibn Arabi, al- Hallaj o Sorawardi, le poesie di Rumi, di Abu Nuwas, di Hafiz o di Omar Kayyam, per non citare che gli autori più celebri. Celebri soprattutto da noi. Si tratta infatti di opere che circolano sempre meno nel mondo musulmano, dove fino a ieri si trovavano in edizioni a buon mercato davanti alle moschee del Cairo, di Tunisi e di Baghdad, accanto alle prime manifestazioni integraliste, nemiche della stessa cultura islamica. Per questa ragione, come osserva lo scrittore tunisino Abdelwahab Meddeb, prima di essere un pericolo per la stabilità del mondo, l’integralismo è una minaccia per l’islam stesso. L’irruzione della politica e della violenza nel religioso sta distruggendo l’islam come religione e come civiltà.
 
Contro questa minaccia occorrono “virtù eroiche”, che non tutti posseggono, specialmente in Paesi dove non esiste, o non ancora, una vera e propria società civile. Sono paesi in cui fin da piccoli si è abituati ad avere paura del linguaggio sacrale del potere, ma molto può essere fatto, se solo ci si potesse ricordare delle “virtù quotidiane” che sono l’ossatura di ogni resistenza civile alla barbarie incombente e all’oscurantismo diffuso. Le donne, innanzitutto, e i giovani, ne sono spesso i portatori.
 
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Perché il mondo arabo non è libero

ISLAMICA
 

LA SCRITTURA E IL POTERE

 … Non si tratta di parole scritte su tavolette né incise su rotoli di papiro: tu senti qui il chiaro linguaggio di una lingua libera. Su, presto, esci dalla mia vista! – Eschilo, Le supplici

  Un tempo la scrittura era privilegio degli scribi al servizio di poteri dispotici senza lingua comune con la massa “volgare”, mantenuta in uno stato di ignoranza e di terrore diffusi.  Benché  siano passati cinquemila anni, proprio in Medioriente dove la parola scritta apparve per la prima volta, i moderni dittatori arabi governano sempre in nome di alcune verità scritte della cui superiorità si proclamano irresponsabilmente i rappresentanti e da cui traggono legittimità

Moustapha Safouan, psicoanalista franco-egiziano di statura internazionale, pubblica Perché il mondo arabo non è libero. Politica della scrittura e terrorismo religioso (Spirali edizioni). Questo libro, pubblicato in contemporanea con l’edizione francese (Denoël 2008) e inizialmente in Egitto, al Cairo ( dove non a caso ha avuto scarsa eco) , è l’analisi dei processi materiali e storici della servitù nella quale i poteri dispotici tengono attualmente i popoli arabi attraverso una certa politica della scrittura e della lingua.

 Safouan riprende due proposizioni. La prima è quella di Levi Strauss sulla scrittura come funzione di sfruttamento e di prestigio. La seconda è la tesi che nel Corano non c’è alcuna indicazione che ci dica come organizzare un sistema politico di governo. Questa tesi fu sostenuta nel 1925 dall’alim o sceicco illuminato ‘Abd al- Räziq Ali Abderraziq, nella sua opera principale al-Islärn wa-usül al-hukm [L’Islam e i fondamenti del potere].  Il libro, che costò al giudice l’espulsione dall’università di al.Azhar,  è diventato un punto di riferimento del pensiero arabo contemporaneo e di numerosi scrittori moderni. A queste due tesi Safouan aggiunge che lo Stato islamico ha continuato l’arcaico principio di sempre : quello di appoggiarsi sul Libro come luogo della verità. Se quindi esiste una differenza tra Oriente e Occidente, questa risale alla filosofia greca dell’Occidente che ha introdotto, specialmente attraverso la critica platonica della scrittura, il principio della responsabilità di chi scrive, parla o governa. La consapevolezza che la verità deve vivere nella coscienza presente di parlanti in dialogo tra loro non è passata nel mondo orientale, dove si è rimasti alla credenza nella verità così com’è; scritta nel Libro. Da qui la mummificazione di una lingua considerata la lingua Una, perfetta, superiore a tutte le altre, continuamente glorificata, ma incapace di rispondere.
 
Il punto centrale – dal quale s’irradiano una molteplicità di temi a « bassa » intensità  psicoanalitica ( come per esempio quello della funzione del padre ideale) – è  la divisione della lingua tra una lingua scritta ( “lingua grammaticale”, come diceva Dante) e la lingua parlata, vernacolare, “volgare” ( secondo l’espressione di Dante, al quale Safouan si riferisce). Questo bilinguismo, che è universale, diventa nel mondo arabo un muro tra una lingua scritta classica (ﺔﻴﺑﺮﻌﻟﺍ ﺔﻐﻠﻟﺃ alluġatu l-‘arabiyya , la lugha al-fuçhâ) continuamente glorificata, sacralizzata perché fondamentalmente identica all’arabo della rivelazione coranica e la lingua parlata, gli idiomi, i dialetti (l’egiziano, il tunisino, il marocchino o lingua darija, il berbero, eccetera), che vengono svalutati, considerati inadatti a contenere e trasmettere il pensiero, i saperi, la cultura.  
Di contro a questa barriera linguistica nel mondo arabo sottomesso a un ordine politico arcaico, Safouan mostra come l’evoluzione culturale e politica in Europa sia avvenuta abolendo la barriera tra lingua “grammaticale”; e “volgare”. Esemplare è il passaggio dal latino all’italiano, al francese, allo spagnolo, e la prima traduzione della Bibbia in tedesco. Nel corso di un lungo processo storico, il superamento del fossato linguistico ha permesso una trasmissione del pensiero, compreso il pensiero dei diritti. Con la diffusione dei saperi e di una cultura condivisa in Europa è emersa una società civile e si sono aperti maggiori spazi di libertà e di emancipazione politica. Niente di simile nei Paesi arabi, dove i moderni faraoni alimentano il narcisismo delle élites arabe che credono di scrivere in un linguaggio “elevato”, se non sacro, e producono terrore di Stato all’interno ed esportazione di terrorismo religioso all’esterno, in un mondo ormai globalizzato. Da qui l’appello che Safouan rivolge agli intellettuali del mondo arabo di procedere, senza per questo abbandonare la lingua scritta dell’alta letteratura e del testo coranico, a una creazione nelle lingue vernacolari, quella dei popoli. O perlomeno a ispirarsene per avere una comunicazione con il loro popolo.
 
Il punto decisivo è che la politica che mantiene la divisione della lingua è in correlazione con la struttura e l’esercizio del potere dispotico e di tutta una serie di imposture, come quella che nel mondo arabo permette al despota di essere il rappresentante di Dio, di parlare a suo nome e d’incarnare il padre ideale tra repressioni feroci e una censura terribile. Non appena nel mondo arabo si leva una parola libera, magari postando un testo in internet o aprendo un blog, si rischiano anni di prigione e talvolta la morte. Questi regimi producono un silenzio pesante, pudibondo, gravato da timori di ogni genere derivanti dalla sacralità della lingua araba, il poco spazio concesso alla formazione di una società civile e l’assenza di un dibattito critico.
 
E’ un sistema asfittico, in cui ogni critica viene percepita come una malevolenza o un insulto. L’utilizzo dello Stato moderno in maniera arcaica da parte di una piccola borghesia male installata nel potere e che ha paura di tutto finisce con il suscitare un terrorismo a corto circuito, con forti cariche simboliche, “nel nome di Allah”. Un altro punto introdotto da Safouan è un rovesciamento del rapporto tra religione e politica nel mondo arabo. Generalmente gli osservatori laici, se non laicisti, della crisi del mondo arabo tendono a incriminare la religione islamica, mettendo l’accento sulla sua arcaicità e ritenendola responsabile del ritardo di queste società. Così facendo, sostiene Safouan, s’introduce una semplicistica spiegazione metafisica, come se la religione non fosse legata alle forze politiche, storiche, materiali. Senza assolvere gli anacronismi della teologia e delle istituzioni islamiche, l’analisi di Safouan mostra che è l’uso politico dell’islàm e del suo linguaggio da parte di un potere arcaico a spiegare la tragica situazione in cui versa il mondo arabo. Anche se la religione potrebbe essere, freudianamente, un’illusione, nondimeno essa partecipa al processo di civilizzazione umana e sostiene la fede nella parola.
 

In un dibattito svoltosi nei giorni scorsi a Parigi nell’ambito dell’associazione psicoanalitica “ Diwan occidental oriental”, Safouan ha spiegato che la necessaria separazione tra lo stato e la religione non elimina la questione della fede nella parola implicata nella credenza. In altri termini, nessuna società può fare a meno di un rapporto con il “cielo”. Non perché religione e stato sono separati la questione della credenza è regolata. Esiste certamente nell’islàm una tendenza a identificare la verità con lo scritto. Ma Safouan osserva che un lavoro di disintificazione tra lo scritto e la verità esiste all’interno stesso del testo coranico, per esempio nel versetto che recita: “ Dio solo conosce la spiegazione della sua parola”. La verità di questa parola non è nella lettera manifesta ed è un invito all’interpretazione. E’ l’interpretazione e l’apertura della questione dell’interpretazione a costituire un atto di fede, di fiducia cioè nella parola. La mistificazione che i poteri statali condividono con i movimenti integralisti o islamisti è che la verità sarebbe data senza spiegazioni nel testo. Il Libro sarebbe l’incarnazione sacralizzata della verità. Terrore di stato e terrorismo “nel nome di Dio” condividono questa stessa credenza fanatica nella verità della lettera.

 
Si vede bene come vi sia una posta politica nella traduzione. Non solo nel mondo arabo i “responsabili” al potere non sono politicamente e moralmente responsabili ( perché tanto, “è scritto”, mektoub), ma si traduce anche poco, nella maggior parte dei casi in una lingua classica che priva i popoli all’accesso alle letterature di altre lingue. Le poche traduzioni eternizzano l’idealizzazione e la sacralizzazione della lettera araba. Pertanto le traduzioni nelle lingue vernacolori costituiscono un atto politico. Non della politica, ma del politico come fondamento della comunità umana e – oltre all’uso maligno che del politico può essere fatto – della regolazione delle strutture immaginarie della società. Così Safouan stesso, che tra l’altro ha tradotto in arabo classico Hegel e L’interpretazione dei sogni di Freud ( tafsir el ahlam, Dar el M’aref, Al Qahirah1958),ha ormai deciso di non scrivere più che in arabo parlato egiziano. La sua audace traduzione dell’Otello di Shakespeare ne è l’esempio più recente.
Link
Arabo classico o dialettale ? La questione non è solo di ordine linguistico o pedagogico. E’ una questione politica, spesso ignorata dai governi. Analisi di Ruth Grosrichard ( in francese)
 
Appuntamenti
Dibattito intorno al libro Perché il mondo arabo non è libero (MILANO SENAGO, Villa San Carlo Borromeo, sabato 6 dicembre 2008, in serata)
Dibattito intorno al libro Perché il mondo arabo non è libero (ROMA, Ambasciatori Palace Hotel, via V. Veneto 62, giovedì 4 dicembre 2008, in serata)
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Effetto Obama

EFFETTO OBAMA
Mentre negli Stati Uniti si registrano, qua e là, rigurgiti di razzismo ( croci bruciate e fantocci impiccati come ai tempi del Klu Klux Klan), in Francia il Ministro degli Esteri, il socialista Bernard Kouchner, parla di un presidente "plus coloré que d’habitude", ossia "più colorato del solito" ( senza che per questo il Corriere della Sera o Franceschini abbiano gridato al politicamente scorretto come per l’ « abbronzato » di Berlusconi, o Carlà Brunì abbia preso la sua chitarrina soft e cambiato nazionalità).
Nel frattempo nei siti islamisti rispunta il terrorista egiziano Al Zawihiri che insulta e minaccia Obama. Il numero due di al Qaeda ricorre apertamente a insulti razzisti definendo "Abeed al-beit" ( "domestico nero", letteralmente: " schiavo di casa " )  il neo-eletto Presidente degli Stati Uniti, rimproverandogli di essersi messo al servizio dei bianchi & degli ebrei, e di non essere un buon nero musulmano come Malcom X.
 Commercianti arabi di schiavi
COMMERCIANTI DI SCHIAVI NERI.  L’illustrazione, risalente al XIX secolo, ritrae una carovana araba mentre trasporta un gruppo di schiavi africani attraverso il Sahara. Il commercio transahariano degli schiavi nacque tra il VII e l’VIII secolo, quando gli arabi musulmani conquistarono la maggior parte dell’Africa del Nord; conobbe poi nuovi momenti di forte incremento tra il X e il XV secolo e, nuovamente, a metà del XIX secolo.
In genere sia gli africani moderni sia i neri convertiti all’islàm ( come Malcom X) hanno messo giustamente l’enfasi sull’impatto distruttivo del colonialismo europeo e del commercio transatlantico degli schiavi, ma stranamente hanno ignorato la molto più duratura e devastante tratta arabo-musulmana degli schiavi africani che finivano in Marocco, in Arabia, in India e in altri paesi musulmani. Come mostrano, tra l’altro* , gli studi dell’antropologo Malek Chebel, gli Arabi che razziarono l’Africa subsahariana in modo ininterrotto per circa di tredici secoli, consideravano la tratta negriera  islamicamente corretta, in quanto lo stesso Corano raccomanda ai musulmani di avere schiavi e schiave. Insomma, poiché è scritto dell’a-temporalità della lettera divina: Yes, we can! A meno che il padrone non decida altrimenti, facendo una lettura meno restrittiva ed  angusta del Sacro testo.

 
 
 
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