Libri – Hotel Oasis

LIBRI / FINZIONI

RITORNO ALL’ HOTEL OASIS

 

 

Hôtel Oasis – Editions Biliki . Roman traduit de l’italien par Christian Pirlet, Bruxelles, 2008

 

Gianni De Martino, qui mêle la rêverie au style direct et cru, s’appuie sur l’ethnographie. Analysant les mots et les comportements, il propose une étude du langage érotique et du comportement sexuel dans la culture arabo-musulmane." ( Z. F. , “Qantara – Le Magazine de l’Institut du monde arabe” n°68 • Paris, été 2008).

 

 “Hôtel Oasis raconte ce qu’au cinéma, on appellerait un flash back, autrement dit un souvenir. Le souvenir d’un lieu, Kebira, et d’un garçon, Aliwa. Mais il raconte aussi «la tentative d’enracinement dans une société différente à travers l’étude du langage érotique et du comportement sexuel de la civilisation arabo-musulmane». – Dal Diario europeo di Alberto Moravia, ‘Corriere della Sera’, 17 luglio 1988; in Diario europeo. Pensieri, persone, fatti, libri (1984-1990), Milano, Bompiani, 1993.

In occasione della ristampa dell’ “Hotel Oasis” ho trovato, in cantina, i riflessi di ricordi lontani e queste recensioni:

 “La ricerca etnografica sul campo attraversa una specie di mutazione che la porta su strade soggettiviste radicali: etnografi come David Hayano, proveniente dal mondo del gioco d’azzardo (Poker Face, Berkeley 1982), Carlos Castaneda con il suo primo libro del 1979 dedicato all’insegnamento ricevuto da uno stregone yaqui che lui chiama Don Juan, Tobias Schenebaum, pittore di professione ( come il Peter di Hotel Oasis) che finisce con il diventare etnografo della tribù degli Akarama ( Sono stato un cannibale, Milano, Longanesi 1978), e Susan Krieger, attivista di una comunità femminista (The Mirror Dance, Philadelphia 1983), sono tra i principali autori che si possono citare per illustrare la tendenza radicale della nuova etnografia . A differenza degli anacoreti della scienza che non utilizzano il proprio corpo e le proprie emozioni come strumento di ricerca, con la nuova etnografia si produce un sensibile spostamento: invece di verificare delle ipotesi da dimostrare o respingere con esperimenti, si parte dall’esperienza vissuta per elaborare delle ipotesi. Hotel Oasis illustra questo rovesciamento e lo evidenzia fin dalle prime pagine con il racconto di una rottura esistenziale e una brusca entrata sul campo, Kebira, con il suo erotismo segreto. Anche in quest’opera l’esistenza serve da trampolino di lancio a uno studio etnografico che costituisce in questo etnoromanzo il momento della riflessione.
L’etnografia è già nelle pratiche reali prima che nelle riflessioni e la teorizzazione. Non si tratta, mi pare, di legittimare ideologicamente pratiche non assunte come avrebbe fatto André Gide utilizzando Nietzsche per giustificare gli amori omosessuali del protagonista de L’Immoraliste. L’etnografia a cui approda De Martino è infatti parte integrante di una più generale strategia di sopravvivenza e si articola tra la vita e la riflessione. (…). Peter non è partito per Kebira per condurre un’inchiesta etnografica sulle pratiche sessuali locali: è partito per viaggiare, o come si legge nel romanzo, per vivere: " Volevamo solo vivere, non conoscevamo sogno più bello e più crudele di questo". Ma nel corso del viaggio si confronta con la realtà di una dissociazione più intensa che altrove tra le pratiche sessuali e i discorsi. Emerge così una società in cui la denegazione della vita sessuale reale è sistematica. Ufficialmente all’ Hotel Oasis l’amore dei ragazzi e la bisessualità dei maschi non esiste, ma – come accade anche con la canapa indiana, invisibile e quindi "inesistente" per chi non la cerca – se cerchi ti accorgi che l’omosessualità è ovunque: non concentrata in una minoranza sociale e visibile in luoghi specializzati come in Occidente, ma diffusa e sommersa in tutta la società. E’ questa la rivelazione fondamentale tanto del racconto di De Martino che dei saggi di etnometodologia maghrebina inseriti in Hotel Oasis”. (Georges Lapassade,  I silenzi di Kebira, “Quotidiano” – 17 Dic. 1988).

 “E’ sulla struttura e sulla lingua che De Martino, giornalista e saggista, gioca le sue carte più consistenti. Il romanzo è infatti un impasto di narrazione e saggismo così come un misto di differenti livelli linguistici: ora sognanti, decisamente lirici, ora crudemente realistici o gelidamente referenziali. Si tratta di un romanzo sperimentale? Non c’è risposta a questa domanda poiché l’abilità dell’autore è proprio nella sua abilità di giocoliere della lingua, della parola”. (Corrado Augias, “Panorama”, 19 Giugno 1988).

 

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Storia dei giovani / Teddy-boys

GIORNALI / STORIA DEI GIOVANI

LA PIAGA DEI TEDDY – BOYS

 Didascalia: La piaga dei teddy-boys .  Un’esemplare lezione è stata impartita a un gruppo di teppisti, i quali turbavano con il frastuono delle loro motociclette la quiete serale di un rione di Milano, dal signor Angelo Marini il quale, dopo aver esortato i teddy-boys a smetterla, e non essendo stato ascoltato, si è sfilato la cinghia dei pantaloni ed ha scudisciato, come un buon papà di famiglia di vecchio stampo, i giovinastri. Tavola di Walter Molino I 12/08/1962 | D.d.C.  numero: 32 | anno 1962

 

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Storia dei giovani / Mondo Beat

LIBRI / STORIA DEI GIOVANI

RITORNO A MONDO BEAT

Capelloni & Ninfette. Mondo Beat 1966-1967, a cura di Gianni De Martino, prefazione di Matteo Guarnaccia, introduzione di Marco Grispigni,  Costa & Nolan, Milano, 2008

 

In copertina: Capelloni e soldati sulle scale di Trinità dei Monti,

Piazza di Spagna, Roma, 1965 ( da una foto di Vittorio Pescatori)

 

LA PIAGA DEI CAPELLONI. " I capelloni si lamentano. Dicono che da quando i giornali hanno parlato di loro la gente li guarda male e i poliziotti li osservano con sospetto.

Dicono che non danno noia a nessuno e che stanno lì sulla gradinata di Piazza di Spagna perché è bello e gli piace.

Non è una buona ragione, essi sono brutti e non piacciono a noi….

…Essi affermano di esprimere, col loro aspetto, la ribellione; ma non sanno spiegare il perché d’una rivolta diretta principalmente contro il parrucchiere e il detersivo. Essi, dicono ancora, esprimono il tormento della generazione della bomba: e bisognerebbe buttargliela, possibilmente carica di insetticida…" (Paolo Bugialli, “Corriere della sera”, 5 Nov. 1965)

 

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Vita quotidiana / Sonno

VITA QUOTIDIANA

SONNO

Aspetti di vita quotidiana, sonno, "Tacuina sanitatis in medicina", miniatura XIV sec.

 

«Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi cosí subito che neppure potevo dire a me stesso: "M’addormento". E, una mezz’ora dopo, il pensiero che dovevo ormai cercar sonno mi ridestava; volevo posare il libro, sembrandomi averlo ancora fra le mani, e soffiare sul lume; dormendo avevo seguitato le mie riflessioni su quel che avevo appena letto, ma queste riflessioni avevan preso una forma un po’ speciale; mi sembrava d’essere io stesso l’argomento del libro: una chiesa, un quartetto, la rivalità tra Francesco primo e Carlo quinto.

La convinzione sopravviveva per qualche attimo al mio risveglio, e non offendeva la mia ragione, ma mi pesava sugli occhi come scaglie, ed impediva loro di rendersi conto che la candela non era piú accesa. Poi cominciava a farmisi inintelligibile, come i ricordi di un’esistenza anteriore dopo la metempsicosi; il contenuto dei libro si staccava da me, ero libero di pensarci o non pensarci; subito ricuperavo la vista ed ero assai stupito di trovare intorno a me un’oscurità dolce e riposante per i miei occhi, ma forse piú ancora per l’animo mio, al quale essa appariva come una cosa senza causa, incomprensibile, come una cosa veramente oscura.

Mi domandavo che ora potesse essere; sentivo il fischio dei treni, che, piú o meno lontano, come il canto di un uccello in una foresta, segnando le distanze, mi descriveva la distesa della campagna deserta, dove il viaggiatore s’affretta verso la stazione vicina; e il viottolo ch’egli percorre gli resterà impresso nel ricordo dall’eccitazione che gli dànno dei luoghi nuovi, degli atti insoliti, i recenti discorsi e l’addio sotto una lampada estranea che lo seguono ancora nel silenzio della notte, la prossima dolcezza del ritorno ».

Marcel Proust  À la recherche du temps perdu

 

 «Più tardi, mi ammalai molto spesso, e per molti giorni dovetti rimanere nell’ "arca". Capii allora che mai Noè poté vedere il mondo così bene come dall’arca, nonostante fosse chiusa e che facesse notte in terra».

Marcel Proust  À la recherche du temps perdu

 

photo (c) Yury Toroptsov , « Sommeil 2007 »

  

http://www.toroptsov.com/fr/portfolio/sommeil.htm

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Buchini neri

FISICA – ATTUALITA’
BUCHINI NERI
 
Questa specie di ragno meccanico è il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra, un acceleratore di particelle con una circonferenza di 26 chilometri e costato ben 6 miliardi di euro , che dovrebbe rivelare il segreto della nascita dell’universo. A tale scopo il 10 settembre prossimo si procederà a un esperimento che nel sottosuolo riprodurrà in miniatura il "Big Bang", il fenomeno che ha dato origine all’universo circa 15 miliardi di anni fa .
Come dicono i giornali, sperimentatori e  finanziatori sembrano molto entusiasti, ma d’altra parte  l’esperimento spaventa alcuni scienziati. Secondo questi, fra cui Otto Rössler , e secondo il gruppo LHC Defense che lo sostiene, l’energia sviluppata dall’esperimento potrebbe provocare la creazione di piccoli buchi neri che potrebbero  ingrandirsi e cominciare a sgranocchiare il nostro pianeta, inghiottendoci tutti quanti  in un periodo variabile tra i 4 e i 50 anni…  

Scomparire in un buchino? Oh, quale seducente catastrofe ! … Beh, verrebbe da pensare, visto dal Senza Fondo, dal quale tutto prende inizio e va, la scomparsa di un pianetino verso il punto finale dal quale tutto prende un senso, non sarebbe niente di speciale. Per rallegrarsi di non dover più pagare le bollette e veder passare il mondo occorrerebbe però essere uno gnostico. ( “ Peccato”, ha commentato  non a caso su minimo karma Antonio Vigilante, “che si tratti, con ogni probabilità, di un allarme a scopi pubblicitari. Scomparire nella ricerca della conoscenza: sarebbe la fine più degna della strana vicenda dell’uomo sulla terra, e dell’insensata vicenda della terra nel cosmo”). Fragile felicità terrestre, lo sanno tutti , o quasi tutti, che la terra non è eterna. Quello che sarebbe inaudito è che la catastrofe finale verrebbe causata da un turbo artificiale, un buchino nero creato in laboratorio da creature umane & rapper alla ricerca della fantomatica "particella di Dio". Mentre cercano di ricreare il FIAT LUX, qualcosa potrebbe andar storto in laboratorio e nell’universo. 

Fiat lux ! Esclamano i più entusiasti : “ Una volta stabilito il corretto e stabile assetto dei raggi, avverrà lo scontro di particelle e il passo finale sarà la produzione di impatti con energia di 5 TeV, per la presa dei dati che letteralmente spalancheranno ai fisici la ‘nuova frontiera’ dell’era subnucleare. Le cui applicazioni tecnologiche supereranno un giorno anche le aspettative più rosee della scienza medica…”. Il “passo finale” ? Un futuro color rosa bonbon ? Vengono alla memoria, irresistibilmente, i versi di Dante sulla fine di Ulisse – versi sui quali, se i più pessimisti avessero ragione, resterebbero solo pochi giorni per meditare, insomma da rileggere in fretta e forse per l’ultima volta :
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi / quando venimmo a quella foce stretta / dov’Ercule segnò li suoi riguardi / acciò che l’uom più oltre non si metta ; / da la man destra mi lasciai Sibilia, / da l’altra già m’avea lasciata Setta.//
"O frati", dissi, "che per cento milia / perigli siete giunti a l’occidente,/ a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del rimanente / non vogliate negar l’esperïenza,/di retro al sol, del mondo sanza gente./ Considerate la vostra semenza :/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza".//
Li miei compagni fec’io sì aguti,/ con questa orazion picciola, al cammino, / che a pena poscia li avrei ritenuti; / e volta nostra poppa nel mattino, / de’ remi facemmo ali al folle volo,//
sempre acquistando dal lato mancino./ Tutte le stelle già de l’altro polo / vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, / che non surgëa fuor del marin suolo. / Cinque volte racceso e tante casso / lo lume era di sotto da la luna, / poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, / quando n’apparve una montagna, bruna / per la distanza, e parvemi alta tanto / quanto veduta non avëa alcuna.//
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; / ché de la nova terra un turbo nacque / e percosse del legno il primo canto./ Tre volte il fé girar con tutte l’acque; / a la quarta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.
Può darsi che le polemiche sull’LHC siano eccessive, in quanto il rischio è pari a zero, come dicono, anche se in realtà il numero è molto piccolo, quasi zero, ma NON È zero. Il problema è che quel “quasi” zero introduce una possibilità che, per quanto piccola, è reale. Ma cos’è il reale, se non l’impossibile che accade ogni giorno ? Dio, così come anche il Diavolo, sembrano nascondersi, ancora una volta, in dettagli minimi e quasi impercettibili.
Proprio per la sua quasi impercettibilità, il piccolissimo rischio è oggetto di percezioni controverse tra gli stessi scienziati e richiede a gran voce una spiegazione. Per evitare il rischio della fine del nostro pianeta entro pochi anni dall’avvio dell’esperimento, a causa di  un possibile buchino nero –  un “turbo” quasi dantesco –  creato artificialmente all’interno del laboratorio internazionale di fisica di Ginevra, è stato presentato un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani , ma, a quanto pare, la corte ha dato parere negativo lasciando quindi al Cern via libera per continuare i propri esperimenti. L’evento del 10 settembre sarà trasmesso in diretta via Internet dal sito: http://webcast.cern.ch, e diffuso attraverso tutti i network europei. "Aspettiamo e vediamo", ha liquidato l’intera faccenda il fisico Carlo Rubbia. Speriamo bene. Che faccia BOOM ? 
Mentre i più pessimisti sembrano piuttosto spaventati, e magari in preda a una qualche curvatura di psiche rileggono il vecchio Dante, una giovane e pimpante ricercatrice del Cern di Ginevra ha intanto dedicato un rap per l’accelleratore di particelle. Il rap spiega il funzionamento del Large Hadron Collider (Lhc), è tra i più visti su Youtube e oltre a ciò pare anche che sia  scientificamente corretto.
Rappin’ about cern’s Large Hadron Collider!
Su YuTube – 4 min 49 sec
 
Fonte dell’illustrazione
 
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Addio a Tony Duvert

LETTERATURA
ADDIO A TONY DUVERT
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Lo scrittore Tony Duvert è stato trovato morto mercoledì 20 agosto 2008, nella sua casa di Thoré-la-Rochette . Aveva 63 anni.
Autore fra l’altro di “Journal d’un innocent” (1976), “Quand mourut Jonathan” (1978), “L’île atlantique” (1979), “Un anneau d’argent à l’oreille” (1982), nel 1974 si era trasferito a Marrakesh, in Marocco, lo stesso anno in cui dette alle stampe “Il buon sesso illustrato“, una risposta ironica a una famosa enciclopedia della sessualità e sulfurea perorazione del diritto di bambini, adolescenti e ragazzi a “disporre del loro corpo” sottratto alla Famiglia, al Partito, all’Oratorio, e specialmente alle Madri – che per Tony Duvert facevano rima con Megera.  Grazie al suo amico  Roland Barthes aveva ottenuto il prestigioso premio Médicis nel 1973 per il suo romanzo "Paysage de fantaisie", pubblicato per le  éditions de Minuit. Questo romanzo che mette in scena giochi sessuali fra un adulto e dei ragazzini, alla sua uscita era stato largamente salutato dalla critica e osannato dal “tout Paris”, non soltanto dalla “gauche caviar”, la sinistra al caviale. Persino “Le Figaro” rilevava tranquillamente  "le miracle de ce livre scandaleux où, de la perversion la plus vertigineuse, mystérieusement naît (…) l’innocence. – Il miracolo di questo libro scandaloso dove dalla più vertiginosa perversione nasce… l’innocenza”.
L’ aspetto letterario e fantastico della sua scrittura , più che a André Gide o a Francois Augerias doveva molto all’innocenza perversa, ma non all’ipocrisia, dei romanzi illustrati per ragazziSignes de piste“. Lo ha notato, molto opportunamente, la scrittrice Anne Simonin nell’ articolo del suo interessante blog. La qualità della scrittura di Tony Duvert fu presto sommersa dall’invadente prospettiva politica e movimentista di quegli anni di impudente “innocenza”, tanto da farne apparire i contenuti come una specie di “manifesto pedofilo “. Effettivamente nei suoi libri, accanto alle più diverse forme di omosessualità maschile veniva spesso evocata la pédophilie, una parola oggi davvero pesante; ma per illustrare la differenza , il décalage epocale che esiste nella risonanza di questa parola negli anni ’70 e oggi, basta leggere la lunga intervista cheTony Duvert diede a Guy Hocquenghem e Marc Voline per il giornale “Libération” che la pubblicò  “normalmente” l’ 11 aprile 1979 ; reperibile dal motore di ricerca oggi la si trova preceduta dall’avvertenza “Attention ! Contenu très explicite. Apologie de la pédophilie. Loi ” – con un collegamento su “Loi” ( Legge) che rinvia all’idoneo arsenale giuridico in vigore.
Strano destino quello dello scrittore Tony Duvert. Molto alla moda nell’euforia della liberazione sessuale degli anni Settanta, diventa scandaloso e criminale negli anni Ottanta. Nel XXI secolo non troverebbe più un editore disposto a pubblicare scritti del genere:
"son foutre lâché, il a le temps de mettre la table et de cuire une omelette avant que sa bitte se soit assoupie. " Journal d’un innocent (1976)
"quand il a joui et me décule, il part se laver, se repeigner, chercher à boire, et réapparaît la queue aussi raide qu’avant; il la promène devant lui, inutile, magnifique, comme ces aigrettes, ces bosses, ces cornes décoratives qu’ont certains animaux. " Journal d’un innocent (1976)
"je dédie ce souvenir aux salauds qui me prêchent aujourd’hui le «respect» du mineur. Moralistes borgnes, j’ai été ce mineur et je l’ai subi, ce respect. " L’Enfant au masculin (1980)
Non poche sue idee espresse nel gergo “decostruzionista” dell’epoca ( “eterocrazia”, “bio-potere”, eccetera ) erano francamente insopportabili. Venivano lanciate nelle Università e diventavano di moda  sull’onda delle euforiche rivolte politiche, espressive e libidinali degli anni ’60 e ’70 ( gli anni del « desiderio dissidente », come li definì lo psicoanalista Elvio Fachinelli ). Tuttavia, Tony Duvert era un vero scrittore . Se non proprio al livello di Sade, che certamente conosceva, di Cèline, o del grande Rabelais – resta tra i più raffinati e geniali stilisti della lingua, della lingua francese . Ciò che colpisce è la purezza della lingua e il fondo immondo al quale la lingua strappa qualche verità, illuminandola di una luce troppo cruda. Non si tratta di “giustificare” o “discolpare” Tony Duvert, né tantomeno di giudicarlo o condannarlo, ma di evitare di cadere nell’amalgama tra ciò che scrive un autore e il suo vissuto, come se l’autofinzione fosse un’evidenza.  In tempi meno ossessionati dalla ricerca dei “piccoli segreti” e dallo spettacolo di piccole sessualità francesi, americane, o anche italiane, medio-italiane, è la traccia letteraria, e non la biografia dell’autore che dovrebbe ritenere l’attenzione su un’opera che è di critica radicale ai fondamenti della società e di sovversione morale, certo, ma questo perché quella puttana di Letteratura è forse sempre stata nera, fin dall’Antichità.  I più sagaci lo avranno capito, la  Rivoluzione non è l’affare degli scrittori e compito della Letteratura. Così come non lo è il bene. Anzi, nello stile del più puro ed elegante moralista di scuola francese, Duvert scriveva che “le vice corrige mieux que la vertu. Subissez un vicieux, vous prenez son vice en horreur. Subissez un vertueux, c’est la vertu tout entière que vous haïrez bientôt”. Il vizio corregge meglio della virtù. Subite un vizioso, prenderete il suo vizio in orrore. Subite un virtuoso, è la virtù tutta intera che ben presto odierete” (“Abécédaire malveillant” ).
Occorre ricordarsi di quegli anni di “macchine desideranti” in cui la cosiddetta sessualità appariva una liberazione, mentre oggi –  in epoca di “macchine ossessive” – l’intronizzazione attuale del bambino-re, sempre più raro, e in particolare dell’adolescente maschio, sempre più infantilizzato, accompagnato dalla sua paranoia protettrice, non è più stupida, e neanche meno stupida, delle elucubrazioni delle braghette rosse di un tempo che in locali fumosi dibattevano sulla bontà di mostrare il culo per la Rivoluzione, e propugnavano a gran voce una libertà sessuale senza limiti, con il pretesto che così lo spirito si sarebbe aperto ! E anche la società, sarebbe diventata più larga e più accogliente ! D’altra parte, iI sesso non è la dannazione ( se i poveri signorini sarebbero traumatizzati a vita per una mano amica esploratrice nelle mutandine, quale sarà allora il loro stato quando saranno confrontati a guerre di ogni genere, a cinture esplosive cucite da soavi mammine o cuginette nei loro pantaloncini di bambini kamikaze, shaid  minorenni , o al loro piccolo cancro ?).  Il sesso non è neanche la liberazione. Un colpo nel “melone” ( come lo chiamava Proust ) , qualsiasi sia l’età, non ha mai reso le idee più chiare – il che è davvero un peccato per una riflessione sui misteri del buio e quell’enigma che è la Società. Per non dire del mistero della Letteratura. Ma tant’è.
A partire dal 1989, finiti i tempi in cui più o meno tutti ancora ricordavano di avere, da piccoli, fatta qualche sciocchezza dietro un muro di casa, in assenza dei genitori, o fra qualche cespuglio o in un pagliaio, Tony Duvert  aveva deciso di smettere ogni pubblicazione, sebbene continuasse a scrivere, ed era praticamente scomparso dalla scena letteraria. La scomparsa dello scrittore coincide con l’epoca in cui, come ha notato qualcuno, oltre alla virtù viene discreditato anche il vizio – che diventa uno spettacolo per famiglie, i più diversi tipi di famiglia, in gita domenicale. Insomma, nell’epoca in cui i forzati della trasgressione incominciano a chiedersi se all’autoritarismo obsoleto non sia succeduto un permissivismo obbligatorio altrettanto feroce. Dopo aver teorizzato la fuga dei bambini e dei ragazzi dalla “ tirannia delle madri” , lo scrittore ( come già aveva fatto a suo tempo Jack Kerouac, l’autore di “Sulla strada“ ) si ritira a vivere proprio presso la madre, a Thoré-la-Rochette, un piccolo villaggio di 880 abitanti del Loir-et-Cher, dove nessuno lo conosce e viene reputato un tipo solitario. Dicevano che fosse diventato misantropo, e senza per questo diventare animalista, amava gli animali, più degli uomini. Lui che in una pagina stupenda dell’ “Infanzia al maschile” ( tradotta da Giancarlo Pavanello nel 1982 per le edizioni La Rosa) scriveva:
C’è sulla terra un uomo unico, dai volti innumerevoli, che amo sopra ogni cosa; so identificarlo, riconoscerlo in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi apparenza; è come un popolo invisibile al quale appartengo, lo riunisco in me per farcelo abitare, nazione inesprimibile, amore dopo amore”.
Corpo dolcemente scandaloso, dai volti innumerevoli. Prossimo al corpo senza organi di Gilles Deleuze ?
In ogni caso, amore dopo amore, l ‘iconoclasta Tony Duvert ha cessato di vivere come aveva vissuto : solo, dimenticato, nell’abbandono.. Sempre più solo, viveva in una specie di esilio interiore e di reclusione, specialmente dopo la morte della madre. Dicevano che fosse esausto e nessuno degli “esseri fratelli” la cui esistenza insperata avrebbe dovuto governare la sua vita, nessuno dei suoi estimatori, cule prestigiose e firmatari di manifesti libertari lo andava a trovare; neanche i funzionari o gli impiegati delle Editions de Minuit, o qualche giornalista della Televisione francese che nel 2005 aveva messo in onda per Arte “L’Île atlantique”, l’ultimo romanzo di Tony Duvert adattato dal cineasta Gérard Mordillat. Quel mercoledì 20 agosto 2008, la cassetta della posta dello “ scrittore”, come lo chiamavano nel villaggio, straripa di lettere. La cosa sorprende un vicino, che allarma la gendarmeria di Vendôme. Portatisi sul posto, come con linguaggio burocratico annotano i funzionari di polizia, i gendarmi non riscontrano risposta e fanno appello ai pompieri per forzare una finestra ed entrare nel domicilio segnalato. Vi trovano un corpo, deceduto di morte naturale , secondo loro, da perlomeno in mese. Era il corpo dello scrittore Tony Duvert. Continuo a pensare che a nessuno piace morire da lontano, ma forse a Tony Duvert non sarebbe dispiaciuta tanta indifferenza. Vivere, scrivere e morire fuori dai coglioni di tutti, forse il monaco Tony Duvert ha realizzato uno dei sogni più belli e più crudeli che esistano. Occorre rallegrarsi ?  Il miglior modo per onorare, vivificare e rallegrare uno scrittore è pubblicare e leggere i suoi scritti. Tanto più che, sulla via di diventare un classico, Tony Duvert è forse più vivo di tanti suoi contemporanei, denigratori o “esseri fratelli"  & estimatori che siano i lettori.
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dal Blog di Bernard Alapetite 
LINK
– Pierre Assouline dedica un biglietto allo scrittore sul suo blog Larepubliquedeslivres:
 
– L’inchiesta di Livreshebdo : “Duvert le scandaleux
 
– Il sito delle  éditions de Minuit.
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Maria assunta in cielo

Simbolismi
MARIA ASSUNTA IN CIELO
Lo spirito, ci viene detto, soffia dove vuole. Occorrono tuttavia gli occhi di una donna per vedere dove si posano le sue ali benedette.  Accogliere l’invisibile implica una “posizione” femminile, altra dal regime e l’enigma del discernimento maschile. E’ il genio del femminile che ha un certo sapere di quel che ne è della differenza sessuale che sfugge a ogni tentativo di concettualizzazione. Non a caso il Primo Libro ha reso un omaggio alle prime madri e alla loro genialità nel vedere e nel dire “sì” all’invisibile, al dono e al grande abbraccio della vita.
In tal senso, mi pare, anche le parole del santo Padre in occasione della festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, figura ideale e speranza della Chiesa:
Maria assunta in cielo ci indica la meta ultima del nostro pellegrinaggio terreno.
Ci ricorda che tutto il nostro essere – spirito, anima e corpo – è destinato alla pienezza della vita; che chi vive e muore nell’amore di Dio e del prossimo sarà trasfigurato ad immagine del corpo glorioso di Cristo risorto; che il Signore abbassa i superbi e innalza gli umili (cfr. Lc 1,51-52).
Questo la Madonna proclama in eterno col mistero della sua Assunzione.
 Che Tu sia sempre lodata, o Vergine Maria! Prega il Signore per noi.
(Parole del Santo Padre alla recita dell’Angelus, 15 agosto 2008)
 
Parlando del “nostro essere”, colpisce il fatto che il papa abbia specificato: “spirito, anima e corpo”. Una tale tripartizione è comune a tutte le tradizioni autentiche. Nei Cristiani, non sembrava esplicita che presso gli gnostici e gli alchimisti, eredi degli stoici e dei pitagorici. La troviamo citata in san Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi ( 5-23): “Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”.
 Con Cartesio, che ha preteso stabilire tra anima e corpo una separazione radicale, eravamo forse stati portati a dimenticare la complessità reale. Qui invece il simbolismo appare come più adatto alle esigenze della natura umana, che non è unicamente intellettuale, ma composta da una base sensibile e strati percettivi, emotivi, cognitivi di grande complessità. La tripartizione “spirito, anima e corpo” non sembra un’invenzione artificiale dell’uomo, ma si trova, per così dire, nella natura, essa stessa “segno” e “simbolo” delle realtà trascendentali – oltre tempo e spazio, e per niente simili alle idee che ce ne facciamo.
Volendo porsi e limitarsi al solo punto di vista antropologico, va osservato che senza una donna per testimoniare la presenza della prima metafora e del suo passaggio, forse a questo mondo non esisterebbero nemmeno i poeti e la poesia.
Dev’essere molto dura, oggi,  la condizione di quei numerosi poeti che si sono gettati nelle tenebre del nulla e i brancolamenti, anche intraverbali, del nichilismo attivo. Gioia non mescolata alla polvere roteante del post-moderno, del post-mortem e del post-tutto, per quelli che sono stati visti  dagli occhi e il cuore di una donna.
Che Tu sia sempre lodata, o Vergine Maria! Prega il Signore per noi.
 
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Maria Ss.ma del Buon Inizio
venerata dal Servo di Dio Giovanni Paolo II,
durante il suo ministero sacerdotale a Niegowic, Polonia.
 
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Il sutra del Cuore della saggezza trascendente

Il SUTRA DEL CUORE DELLA SAGGEZZA TRASCENDENTE
 (Prajñāpāramitā Hridaya Sūtra
摩訶般若波羅蜜多心経Prajñāpāramitā Hridaya Sūtra
"Gate gate Pāragate Pārasamgate Bodhi svāhā "
 su YouTube 5 min.
 
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Per chi suona la campana

NESSUN UOMO E’ UN’ISOLA
Meditazione XVII, sulla malattia e la morte (estratto)
di John Donne
Forse quello per chi suona il campanello è così malato da non sapere che questa campana sta suonando per lui: e io forse mi posso credere di stare ben meglio di quanto sto, che cotanti mi circondano, e costatano le mie condizioni, lo potessero aver fatto suonare per me, senza ch’io lo sappia.
La Chiesa è Cattolica, universale, e così lo sono tutte le sue azioni; tutto quanto fa appartiene a tutti. Quando battezza un bambino, quest’azione mi riguarda, poiché proprio questo rilega quel bambino a questo corpo che è anche la mia testa, e s’innesta a questo corpo cui sono un membro. E quando sepellisce un uomo, quest’azione mi riguarda; l’umanità intera è di un autore solo, ed in un solo volume; quando muore un uomo, non si strappa un capitolo dal volume, anzi lo si traduce in una lingua migliore; e ci vorrà che tutti i capitoli vengano così tradotti; Dio impiega parecchi traduttori; certe parti sono tradotte dall’età, altre dalla malattia, altre dalla guerra, altre dalla giustizia; ma la mano d’Iddio si trova in tutte le traduzioni, e la sua mano rilegherà tutte le pagine cosparse per questa biblioteca dove riposeranno tutti i libri aperti gli uni per gli altri.
Per conseguenza, la campana che suona per una predica non chiama soltanto il predicatore ma anche tutta la congregazione, dimodoché questa campana ci chiama tutti; ma quanto più a me, che sono portato così vicino alla porta dalla malattia.
(…) Chi è che non alza gli occhi verso il sole quando questi spunta? Ma chi è che non toglie lo sguardo da una cometa quando essa accade? Chi è che non tende l’orecchio per udire una campana che suona per qualche occasione? Ma chi è che la può distogliere da quel rintocco che sta faccendo passare un pezzo di lui stesso al di fuori di questo mondo?
Nessun uomo è un’isola, intera per se stessa; ogni uomo è un pezzo del continente, parte della Terra intera ; e se una sola zolla vien portata via dall’onda del mare, qualcosa all’Europa viene a mancare, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o la casa di un uomo, di un amico o la tua stessa casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io son parte vivente del genere umano. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.

John Donne, Devozioni per occasioni di emergenza, Roma, Editori Riuniti, 1994.

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Georges Lapassade in Marocco ( 1 )

GEORGES IN MAROCCO ( 1)
Tracce di un movimento culturale ( 1969- 2008)
di Gianni De Martino
Come faremo senza il “tornado” Georges Lapassade, senza il suo amore per la verità, senza la sua inesorabile tenacia nel “misurare” i limiti kafkiani della burocrazia e svelare i “segreti” ( un “non detto” in genere legato ai soldi e al sesso ) di gruppi, organizzazioni, istituzioni che si vogliono maturi, immacolati ed autorevoli? L'aria è piena di suoi ricordi, di peripezie universitarie legate agli avvenimenti del Maggio 1968 in Francia, e di “interventi” in Tunisia, in Marocco, in Québec, in Brasile, in Germania, in Italia, con incontri, convegni, dibattiti, indagini sempre improvvisate sul campo, riflessioni su quel vero e proprio enigma che è l’ “istituzione” e feconde rimesse in causa – rintracciabili in una miriade di articoli e numerosi libri, circa quaranta, tradotti in varie lingue. A partire dal suo primo libro L’ Entrée dans la vie, il saggio sull’incompiutezza dell’uomo del 1963, un libro profetico che svelava il “mito dell’adulto” e anticipava l’irruzione sulla scena sociale e politica del “desiderio dissidente” ( come poi dirà Elvio Fachinelli, l’autore della Mente estatica, analizzando la breve e intransigente stagione della fiammata di speranze e delusioni antagoniste ). L’essenziale della tesi di Lapassade è che la maturità è una maschera. E questo è quel che sanno tutti gli amanti, gli innamorati e specialmente gli adolescenti nell’ora delle scelte decisive. Se il destino dei giovani è la rivolta, è perché la prospettiva della maturità, nella società nichilista della soddisfazione ottimale dei bisogni, è percepita al costo di una rinuncia al desiderio. La loro rivolta è un rifiuto d’ “integrarsi” passando per lo stampino della normalizzazione. La reale maturità consisterebbe infatti nella consapevolezza della propria incompiutezza e nell’assumerla. Da qui il rifiuto della “follia della normalità” e l’ interesse del “professore della transe” per i fenomeni di passaggio, apparentemente marginali o rifiutati, come la transe, appunto, la “dissociazione adolescente”, la cosiddetta devianza e le sottoculture e controculture giovanili. 
Lapassade convocava biologia, psicologia, filosofia per mostrare che il piccolo d’uomo è segnato fin dalla nascita dalla sua incompiutezza e che la pretesa maturità dell’età adulta non è mai completa. E così l’autore del Mito dell’adulto ( come da noi in Italia fu intitolato L’Entré dans la vie, uscito nel 1971 per Guaraldi ) si lavorava lavorando. Affermava, al seguito di Bolk, Freud, Marx e Nietzsche, che l’intera vita è il continuo tentativo di nascere a se stessi, un processo che ci porterà a una nascita piena quando moriremo.  Era l’annuncio della morte della Cultura ( borghese ) e l’emergenza di un desiderio e di uno strano bisogno di sconvolgimento non più dissimulato o congelato nei corpi e nelle istituzioni.
I corpi sottratti alla Famiglia, al Partito, all’Oratorio dilagavano ovunque, come un inconscio sociale portatore della ricchezza corrosiva della vita. Vivere, solo vivere fuori dai coglioni di Padri, Madri, Professori, Preti, Poliziotti, Sociologi, insomma “dissociarsi” e vivere fuori dal grigiore dei cosiddetti “adulti” e dei guardiani del terreno dei bisogni, allora sembrava non esistere altro sogno più bello e più crudele di questo. Nello stesso tempo, però, Lapassade non aveva i capelli lunghi, e anche se indossava maglioni esistenzialisti e andava in facoltà a Vincennes senza cravatta guadagnandosi la fama di un outsider restava pur sempre un professore universitario che agiva dentro l’istituzione universitaria cercando di cambiarla. Cosa che mandava in transe i situazionisti, giovani intellettuali all’inseguimento di un marxismo eretico, affettivo, una specie d’irriducibile sete di distruzione diretta criticamente contro ogni forma di organizzazione politica “all’Ovest come all’Est” e tutti quelli che cercavano di cambiarle: i capi, i burocrati, i tecnocrati, i dirigenti sindacali, gli urbanisti, i direttori, i leninisti, gli artisti, i castristi, i surrealisti, i provo, i professori, compreso Lapassade con la sua analisi istituzionale e la proposta di autogestione pedagogica. E così nell’ “Internazionale Situazionista” n. 9 dell’agosto 1964 apparve a piena pagina una sentenza espressa nel linguaggio settario e irridente dell’epoca: “ Monsieur Lapassade est un con” . Era il periodo in cui i giovani , non solo i situazionisti, gli hippies e i drop out, rifiutavano la società delle tre “M” ( Moglie/Marito, Mestiere, Macchina) e fallivano in massa la loro “entrata nella vita” adulta. Con il Maggio 1968 accadeva proprio quello che Lapassade aveva previsto, e L’ Entrée dans la vie fu considerato, insieme a Eros e civiltà di Marcuse, come uno dei testi di riferimento della contestazione e della critica al “socialismo reale” e alla civiltà industriale. Non a caso Henri Lefebvre – come ha ricordato recentemente Remi Hess – lo riteneva “uno dei più grandi libri del xx secolo”.
E lui, Georges Lapassade , dov'è? In transito nel punto, intenso e feroce, in cui la vita va al di là. La perdita è infinita. Forse è giunto da sempre, per sempre, all’Energia che è vita d’intensità prodigiosa, prima del Tempo e dello Spazio, che comunque non sono una risposta. Anche perché sono innumerevoli i tempi, gli spazi e le storie possibili, o anche impossibili. Georges Lapassade è passato ormai alla sua piena maturità, ed ora riposa nella grande pace del cielo degli autori. Il primo ricordo che mi viene in mente, mentre la memoria diviene densa, agglutinante, com’è forse la memoria di tutti gli esseri incompiuti, è dei giorni favolosi che abbiamo passato a Essaouira, sulla costa atlantica del Marocco, quando lui aveva 45 anni, capelli neri sui grandi occhi color nocciola, corpulento come un montanaro del Béarn, di Arbus, il suo paese natale nei Pirenei, dove era stato istitutore e da dove era sicuro di essere stato cacciato quando i giovani del villaggio, una sera, gli avevano chiesto spiegazioni sui rumori che correvano su di lui, strane voci sulla sua vita sessuale. Bisognava mentire, negare, partire in esilio come un Gourmanché d’Africa per aver trasgredito la legge del proprio gruppo. Accettereste voi nel vostro gruppo un beduino del Delta, un cammello con due gobbe o un insegnante che come Socrate mette tutto l’ovvio che ci costituisce in discussione e cerca l’amore dei ragazzi ? Nessuno è perfetto o davvero “maturo”. Occorre molto coraggio per diventare “adulti” ed affrontare un matrimonio. Meglio, pare, starsene tra ragazzi, i propri simili, invece di svegliarsi, la notte, e scoprire con un brivido un corpo di donna che dorme, o magari finge di dormire, nel vostro letto. Chissà perché poi nei villaggi, nei gruppi attraversati dall’istituzione “si fanno un sacco di storie per ogni minima deviazione”, come diceva anche Michel Foucault.
Così Georges si era “esiliato” prima a Montpellier, poi a Parigi dove arriva nel 1950. Negli anni 1950 frequenta il quartiere latino e si confronta con gli intellettuali parigini dell’epoca e con la scrittura. Merleau-Ponty gli propone di scrivere per «  les Temps modernes ». Prima assistente universitario, diventa dottore in lettere nel 1962 e insegna sociologia come cooperante all’università di Sidi-Bou-Said presso Tunisi, dove scopre lo « stambeli », un rito di transe la cui musica africana gli sembra all’origine del blues e del jazz. Al seguito di uno sciopero di studenti da lui appoggiato, mentre Foucault, che pure insegnava nella stessa università si tiene in disparte, viene espulso dal governo tunisino con una lettera che mette fine alla sua cooperazione. Arriva a Tours nel 1966 e vive il Maggio 1968 a Parigi ( celebre la sua insistenza, contro il parere dei gruppi maoisti che ritenevano « poco serio » quell’intervento, di portare un pianoforte e fare musica nella Sorbona occupata, circondata dai poliziotti in assetto di guerra). Nel 1971 diventa professore in scienze dell’educazione all’Università di Parigi VIII, vivendo la vita di un intellettuale parigino, con i suoi intrighi universitari, le sue psicoanalisi, di cui una, interrotta, con Jacques Lacan, i suoi incontri, le sue amicizie. Nel marzo del 1971 anima un numero memorabile della rivista “Recherche – Grande Encyclopédie des Homosexualités”, con – per citare solo alcuni amici , di cui molti in memoriam: Catherine Bernheim, Gilles Chatelet, Michel Cressole, Gilles Deleuze, Laurant Dispot, Michel Foucault, Jean Genet, Felix Guattari, Daniel Guérin, Pierre Hahn, Guy Hocquenghem, Jean-Jacques Lebel, Georges Marbeck, Anne Querrien, Alex Sandra, Jean-Paul Sartre, Josy Thibaut, Xavier… Sulla copertina, a grandi lettere: “Ça branle ! Lâchez les pédales”.  Oppure, a scelta: “- Trois milliards de pervers. – Marie-France. -. Vives nos amants de Berbérie”. ( continua…)
Nella foto in alto : Georges Lapassade a Essaouira, foto di Luigi di Cristo 
( altre foto , nel sito dell’ Università Paris 8)
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