Anniversari / Totò, 40 anni dalla scomparsa

 Totò, 40 anni dalla scomparsa

Simbolo della comicità italiana

 Moriva a Roma il 15 aprile 1967 il principe Antonio De Curtis, nato a Napoli, al Rione Sanità, nel 1898 e universalmente noto come Totò. Ma … “a prescindere ” egli vive ancora nell’immaginario collettivo di tutte le classi di età e di tutti i ceti, al Nord e al Sud. La sua figura ha superato i confini del cinema e del teatro, entrando nel costume, nella vita quotidiana di tante persone e nel lessico corrente ( “a prescindere”, “parli come badi”, "siamo uomini o caporali ?") .

Penso che Totò sia quello spirito di Napoli irrompente e creativo, quella forma di vita stilizzata che non si oppone alla normalità dei rapporti sociali ma non vi aderisce e tutto sommato se ne infischia.” scrive Antonio Bassolino nel blog del suo sito internet in occasione di questo anniversario. ” E prosegue: Totò ci fa ridere perché con il corpo e con la lingua mette confusione dove noi cerchiamo ordine, crea incertezza quando noi invochiamo sicurezza, fa dispetti mentre noi ci imponiamo di essere gentili”.

In tal senso il folletto Totò incarna nel cinema e nel teatro l’ambigua figura del Trickster, una specie di dèmone, il briccone divino presente in numerosi miti ( pensiamo specialmente agli studi psicologici di C. G. Jung su tale figura ). Anche l’eroe popolare Totò è una contraddittoria figura di beffatore a un tempo scherzoso e crudele, distruttivo e creativo, saggio e puerile nel sommergere di risate e sberleffi i suoi nemici e un mondo).

Totò (Afp) 1898 – 1967. Principe Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, in arte Totò.

Dal film: "Il più comico spettacolo del mondo"

Noi ti ringraziamo nostro buon Protettore per averci dato anche oggi la forza di fare il più bello spettacolo del mondo.Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti agli acrobati le ali degli angeli, fa’ che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane ed applausi.

Noi ti chiediamo protezione, ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati di salvare prima le bestie e i bambini.Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, l’unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa’ che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore.

Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo noi, dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamante le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici.

Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono, un pò perchè essi non sanno, un pò per amor Tuo, e un pò perchè hanno pagato il biglietto.

Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri.

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Pasqua / Attraverso l'immagine

 ATTRAVERSO L’IMMAGINE

 Non c’è niente da fare; devo passare attraverso l’immagine.

Roland Barthes, L’ image, in Le bruissement de la langue, Paris, Seuil 1984.

Mathias Grünenwald, Resurrezione di Cristo, seconda "visuale", ala sinistra, della pala centrale della Crocifissione del polittico dell’altare di Isenheim, conservato nel museo Unterlinden di Colmar in Alsazia ( circa 1511-1515).

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Verso la Pasqua ( 2)

 

  Christ of St. John of the Cross di Salvador Dali

 

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Venerdì santo

 "CROCIFISSIONE” :

DIVINA ABIEZIONE DI GRUNENWALD

Ekphrasis, “descrizione in parole di un’opera pittorica”, ma anche un “mettere davanti agli occhi” – come vuole la denominazione greca – il tremito delle linee, delle ombre, dei volumi, che Huysmans coglie in un quadro della Crocifissione di Grünenwald  )

  

“Slogate, quasi strappate dalle spalle, le braccia del Cristo parevano avvinte per tutta la loro lunghezza dalle cinghie arrotolate dei muscoli. L’ascella spezzata scricchiolava; le mani spalancate protendevano dita spasmodiche e tuttavia benedicenti, in un gesto in cui preghiera e rimprovero si confondevano; i pettorali, lucenti di sudore, guizzavano; il torace era segnato dalle doghe della gabbia rilevata delle costole; le carni si enfiavano, salnitrate e bluastre, segnate dai morsi di pulci, picchiettate come da trafitture d’ago dalle punte delle verghe che, spezzantesi sotto la pelle, in più luoghi la crivellavano ancora di schegge.

L’ora della putredine era giunta; la piaga cruenta del fianco ruscellava più copiosa, inondava l’anca di un sangue simile al succo scuro delle more; sierosità di un rosa sporco, secrezioni lattiginose, acque simili al vino grigio della Mosella trasudavano dal petto, inondavano il ventre cinto nei panneggi rigonfi di un lenzuolo; alle ginocchia le rotule, raccostate a forza, si toccavano, e le gambe torte s’inarcavano fino ai piedi che, posti l’uno sull’altro si distendevano ormai in piena putrefazione, verdastri, tra fiotti di sangue.

 Quei piedi spugnosi e scagliosi erano orribili; la carne si gonfiava, sovrastava la testa del chiodo e le dita contratte contraddicevano il gesto implorante delle mani, maledicevano, artigliavano quasi, con la cornea bluastra delle unghie, l’ocra del suolo ricco di ferro, simile ai terreni purpurei della Turingia”. (Joris-Karl Huysmans, Là-bas)

  Per l’antropologo René Girard " lo scandalo di Cristo [..] è inscritto nella natura della Passione. Nella sua nuda, intollerabile crudezza […] ". Lo sguardo delle altre fedi sul cristianesimo ( specialmente dell’islam che non ha una teologia né della caduta né della sconfitta ) è dominato dalla convinzione che un credo in cui Dio diventi uomo manchi di rispetto per Dio. "Sono invece certo – dice Girard – che proprio in questo nucleo scandaloso sia racchiusa la grande forza del cristianesimo, che sa dirci tanto, o tutto, sull’essenza dell’uomo e sul suo rapporto con la violenza". Sacralità e violenza sono infatti temi centrali in Girard. "C’è chi ha soppresso del tutto la Passione, o chi, come gli ariani ha detto che Cristo non era Dio. Quella che viene chiamata gnosi cerca sempre di sfuggire allo scandalo di Dio fatto uomo, e come tale pronto a soffrire".

  La crocifissione è il grado più basso della “discesa” del Verbo incarnato. Per quanto possa sembrare misterioso e dicibile forse solo per ellissi , il Dio incarnato – quello che grida "ho sete" e mormora "tutto è compiuto" – dona tutto se stesso per amore e trasfigura il mondo nell’ora della nera putredine. E Giovanni, per designare questo aspetto paradossale della rivelazione del volto di Dio, dice “ innalzamento”. Il mistero della croce è manifestazione della gloria stessa di Dio incarnato, trasfigurazione nell’abisso e messaggio di salvezza. Per poco che si creda, ogni caduta non è cascare nella dissipazione nostra e della natura ma “caduta” in Cristo, che “chiama a una pienezza di vita che va ben oltre la sua esistenza terrena , poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio” ( Evangelium Vitae ). In ogni caso, è dalla fede  cristiana che la modernità e l’uomo cosiddetto civilizzato ( il "bestione", direbbe Gianbattista Vico ) ricevono un reale più largo, si aprono – a differenza del mito – alla pietà per la vittima  e imparano a ridurre violenza, egoismo e brutalità.

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Verso la Pasqua

LA TOMBA VUOTA

« Christus resurrexit a mortuis, primitiae dormientium. […] Sicut enim in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur » (1 Cor 15,20-22).

Morte e Resurrezione : impasse o passaggio ?

Tra culla e bara, ovvero tra due pulsioni, forse è il tempo, solo il tempo, che mi “curva” come un punto di domanda : ?

 E nell’attesa, non inerte, di una voce che risponda e non sia un’eco, ecco che la tomba vuota rappresenta il termine ultimo del pensare umano… A tutti, salve !


"Alzati, amica mia,

mia bella, e vieni!

Perché, ecco, l’inverno è passato,

I fiori sono apparsi nei campi,

il tempo del canto è tornato …


O mia colomba,

che stai nelle fenditure della roccia,

nei nascondigli dei dirupi,

mostrami il tuo viso,

fammi sentire la tua voce".


(Cantico dei Cantici 2, 10 – 12.14)

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Le parole sono venute

 LE PAROLE SONO VENUTE


Ho sentito spesso Mallarmé parlare del potere della pagina bianca – potere generatore. Ci si siede davanti alla carta vuota. E qualcosa si scrive, si fa – ecc.”

Paul Valéry




" Avete bisogno di parole?"

William Burroughs


Ben vengano le parole, di notte, di giorno, articolando un verbo, simulando un lampo e annodando il tempo! Spesso esse vengono e ci consegnano in cura un Octopus che invece è una cometa, come se fossimo i piccoli ansiosi di qualche leggenda malata; e ridono ridono della svista lanciando le stelle, le onde e il cuore in qualche azzurro scarabocchio.

Nelle parole, allorché si avvicinano come piovendo da una immensa distanza, sembra non esserci alcuna festa perduta; e ve ne sono di più innocenti che talvolta v’impediscono di parlare, e altre più capricciose che minacciano di farvi la festa e vi chiedono l’epitaffio.

Spesso le parole sembrano tiranne.

Alcune si levano nel vento della vallata immensa che soffia nei polmoni, e sembrano volere andare chissà dove ispirando un senso di partenza all’alba, di freschezza, di marcia e di conquista; poi ritornano da molto lontano come disertori, tanto che la terra non sembra più essere la terra, e la luce che colpisce la pupilla non sembra più essere la luce ( come se l’aria fosse stata appena ripulita da ogni forma di vita – sì, perfino la mia stessa mano e il mio stesso piede… ).

Ben vengano le parole, di notte, di giorno, ma non a loro piacimento! Il sabba della scrittura. Il lavoro di una forza estrema, d’accordo. Ma se qualcuna di voi parole mi opprime, io mi ribello. Va’ da sé.

Non saranno certamente loro, le parole, a rivelarmi quello che non so. Vi sono parole che volano via, facendo sberleffi : " Ah mi butto, mi butto! Ma insomma, ho il mio orgoglio!". E altre che mugolano e che non bisogna liberare – qualsiasi cosa dicano i vecchi e nuovi maniaci della dèrive, questa idiozia – ma incatenare ancora più fortemente.

Cosa togliere? Cosa mettere? Un lavoro immenso. Vi sono parole che bisogna cancellare, cancellare tutte le brutte parole dal nostro vocabolario: quelle parole che ci fanno sentire tutti cattivi, stupidi e depressi come quando s’indossa un vecchio cappotto.

Intanto, arrivano altre parole che s’arrampicano, strisciano, giocano nel caos natale degli inchiostri e fanno "fort-da" con voce di prima infanzia; subito poi corrono con il piccolo Hans a nascondersi sotto il lettino, in uno scalpiccio di piedini.

Uscendo da questa o da quella parola, nel buio, a ogni frase compiuta, nella morte dello spazio bianco a scrivere, a scrivere per decreto fatale e smettere per non arrivare alla paura della morte?

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In Italia i familiari dei soldati israeliani rapiti

 ARRIVANO IN ITALIA I FAMILIARI DEI SOLDATI ISRAELIANI


RAPITI DA HEZBOLLAH

Vogliono rompere il muro di silenzio sulla sorte

dei militari rapiti l’estate scorsa in Libano e a Gaza.

Alla ricerca del sostegno dell’Italia per riuscire a rompere il muro di silenzio innalzatosi sulla sorte dei loro cari, i familiari dei soldati israeliani rapiti l’estate scorsa in Libano (Ehud Golwasser e Elad Regev) e a Gaza (Ghilad Shalit) sono oggi Mercoledì 14 febbraio a Roma per chiedere un aiuto al ministro degli Esteri Massimo D’Alema e al Parlamento italiano.

APPELLO PER LA LIBERAZIONE DEI TRE SOLDATI ISRAELIANI RAPITI A GAZA ED IN LIBANO

 Chiediamo l’immediato e incondizionato rilascio dei soldati israeliani Ehud (Udi) Goldwasser e Eldad Regev, sequestrati da Hezbollah il 12 Luglio 2006  e Gilad Schalit, sequestrato da Hamas il 25 Giugno 2006. Tutti e tre sono stati rapiti all’interno dei confini d’Israele durante missioni di difesa e a tutt’oggi il loro destino rimane sconosciuto.

Tenerli in prigionia e negargli assistenza  medica e umanitaria è una violazione della  legge internazionale e delle Convenzioni di Ginevra.

Ci impegnamo a fare del nostro meglio per accelerare il rilascio di Udi, Eldad e Gilad e chiediamo a chiunque lo voglia di unirsi a noi in questo sforzo.

 

 MILANO — L’appello è chiaro, diretto. E porta in calce firme illustri, come quella del premier britannico Tony Blair, della senatrice Hillary Clinton e di Javier Solana. «Chiediamo — si legge — l’immediato e incondizionato rilascio dei soldati israeliani rapiti: Ehud (Udi) Goldwasser e Eldad Regev sequestrati da Hezbollah il 12 luglio 2006, e Gilad Shalit, sequestrato da Hamas il 25 giugno 2006». Il testo prosegue spiegando come «tutti e tre sono stati rapiti all’interno del confine israeliano, durante missioni di difesa e fino ad ora il loro destino rimane sconosciuto. Tenerli prigionieri e negar loro aiuto medico e umanitario è una violazione della legge internazionale e delle Convenzioni di Ginevra».

 Il mondo si mobilita. Per chiedere la liberazione dei tre soldati ancora in mano ai loro rapitori. Goldwasser e Regev in Libano, Shalit a Gaza. Sono mesi che i familiari dei tre giovani volano di capitale in capitale per sensibilizzare l’opinione pubblica, per chiedere aiuto di personalità influenti. All’appello hanno risposto personaggi di primo piano, come Blair, la Clinton e Solana ma anche il sindaco di New York Michael Bloomberg, il ministro degli Esteri francese Philippe Douste- Blazy, l’omologo canadese Peter G.

Mackay e personaggi della cultura come lo scrittore israeliano David Grossman. Le mogli, i genitori, i fratelli dei soldati rapiti saranno in Italia la settimana prossima. Mercoledì hanno chiesto di incontrare il Papa. Giovedì invece la Comunità ebraica di Roma ha organizzato un incontro con le autorità politiche del nostro Paese, tra cui il ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Chi volesse aderire all’appello, può scrivere una email a questo indirizzo: disegnishilat@gmail.com. Dal Corriere della Sera .

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Giorno della memoria: una testimonianza

 

Le SS ci guardavano per loro eravamo come gli scarafaggi

da La Stampa del 20 Gennaio 2005

di Massimo Numa

Sessant’anni dopo Auschwitz. Nedo Fiano, 80 anni, fiorentino residente a Milano, è uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio («Non sono rimaste più di quindici persone, oggi»,dice commosso). In questi giorni è impegnato ovunque in una serie innumerevole di incontri:scuole, centri culturali, varie associazioni. Ogni volta racconta l’Olocausto vissuto sulla pelle, ripetendo – spiega – le stesse parole, gli stessi accenti. Ripercorrendo come in trance lo stesso dolore. Un modo estenuante di mantenere viva la memoria.

Ma, invece di sentirsi rassicurato, il dottor Fiano – che è un combattente nato – è in preda a un crescente senso di inquietudine. Come se i decenni passati, nella coscienza di molti, specie nei più giovani, avessero lentamente dilavato il segno unico e profondo dell’Olocausto.

«La ritualità, ecco. Il pericolo di trasmettere alla società di oggi quasi il senso di una “memoria obbligata”, mentre attorno a noi sembrano riemergere, in tutta Europa, le antiche ombre dell’antisemitismo», dice. Le vicende medio-orientali hanno trascinato Israele nel vortice di un odio che unisce le due estreme, destra e sinistra. Il newswire di Indymedia, il sito degli antagonisti, vomita ogni giorno post carichi di un odio che va ben oltre alle critiche (legittime) allo Stato di Israele. Il termine «nazisionisti», per esempio, è condiviso, martellante, ripetuto sino alla nausea. Fiano: «E’ una situazione che ci rattrista immensamente; fa riflettere anche sul significato del “giorno della memoria” qui, nel cuore dell’Occidente. Ma non importa. Continueremo a raccontare Auschwitz, a ripetere con le stesse parole ogni minuto particolare del lager».

Difficile aprire varchi nuovi nella sensibilità collettiva per spiegare Auschwitz, che è il «non luogo» per eccellenza, dove – nella parte delle SS – recitano i «non uomini». Il pensiero deve partire da questo punto». Nel suo lungo racconto, lui che parla perfettamente il tedesco, ama sottolineare le sfumature che solo chi era in grado di conoscere la lingua dei «non uomini» era in grado di cogliere subito, appena sceso sulla banchina della stazione del campo.

Aveva 19 anni, erano i primi di giugno 1944: «…I nazisti ci guardavano come fossimo stati degli scarafaggi. E come per gliscarafaggi, nessuno prova ritegno a schiacciarli, così era per noi. Il nazista disse che aveva bisogno di qualche interprete. "Chi parla tedesco?" chiese. Ero impietrito, immobile. E proprio quando pensavo che questo esame fosse finito, ho sentito una spinta sulla schiena, una mano che mimandava avanti a offrire la mia disponibilità d’interprete. Eravamo dei privilegiati, lavoravamo sulla banchina d’arrivo della stazione di Auschwitz-Birkenau».

Il «non luogo», sessant’anni dopo,va raccontato in ogni dettaglio. Il distacco, l’analisi storica, Fiano li ha dentro di sé. Ma è di nuovo sulla banchina di Birkenau-Auschwitz, mentre fa il suo lavoro. Cioè, accogliere i deportati che arrivano da tutta Europa. «Avevamo lavorato duro per trasferire sui camion centinaia di valigie,mentre i nostri occhi vagavano con partecipazione tra quella povera gente impaurita, che sarebbestata gassata e cremata nel giro di poche ore. “Dove siamo? Dove ci portano? Cosa ci faranno?”,erano le domande angosciate di ognuno. “Non vi accadrà niente. State tranquilli, andrete a fare una doccia. Coraggio!”. Malgrado cercassimo di tranquillizzarli, potevamo forse dir loro la verità? A cosa sarebbe servito?». Ad accogliere queste persone sulla soglia della camera a gas c’era fra gli altri Shlomo Venezia, ebreo originario di Salonicco, in Italia dal ‘45, casa a Roma. Oggi ha 81 anni. Fece parte del Sonderkommando di Auschwitz, un gruppo di prigionieri obbligati a rimuovere i cadaveri dopo le gassazioni di massa. In tutto il mondo sono sopravvissuti in «quattro o cinque, nondi più», dice. L’ultimo Sonderkommando si va estinguendo. Shlomo, nel lager, ha perso la mamma e le sorelline.

Ricordi lucidissimi: «Il tedesco che ci comandava si chiamava Moll, l’hanno giustiziato i polacchi. E poi un mio amico, Leone C. che faceva il bancario ad Atene, incaricato distrappare i denti d’oro ai morti, anche lui non c’è più». L’orrore si muta in nuove lacrime:«…Quando hanno aperto la porta di una camera a gas, non era come la prima sera, allora era il sotterraneo, la sala dove la gente si svestiva. Quando veniva la gente, la prima cosa che diceva il tedesco era: “Achtung, achtung”, con quella voce che ti entrava dentro le ossa.

C’erano in quella stanza degli attaccapanni e ognuno di questi aveva un numero. Il tedesco diceva a tutti di appendere la loro roba e di ricordarsi il numero del proprio attaccapanni così da ritrovarla all’uscita dalla doccia. La gente era convinta di andare a fare la doccia e, infatti, c’era una grande stanza con tante docce finte. Alcuni cercavano di andare per primi, per esempio le donne con i bambini piccoli…Chiudevano la porta, simile a quella dei frigoriferi dei macellai, una doppia porta con al centro lo spioncino per vedere l’interno… Il tedesco apriva la botola che era camuffata dall’erba quando non c’era la neve e metteva dentro questo gas velenoso che si chiama Ziklon B.

Dopo dieci minuti tutti quelli che stavano dentro erano asfissiati. Allora entrava il Sonderkommando. Io dovevo tagliare i capelli». E Goti Bauer, milanese che fu schiava nel campo di lavoro di Birkenau: «In lontananza vedevamo una bianca casetta di contadini. Sembrava un miraggio, gente vi entrava, gente ne usciva: era la vita. Dal camino saliva un filo di fumo: immaginavi la pentola sulla stufa, la famiglia intorno al desco. Ricordo quella casa come il più grande desiderio che io abbia mai avuto: potervi arrivare, scaldarmi al tepore di quella stufa, passarvi il resto dei miei giorni».

Giuliana Tedeschi, 91 anni, torinese, mamma di due figlie, per molto tempo dopo il ritorno non ha mai parlato di Auschwitz: «Una questione mia, una forma di ritegno. Ma una volta, andando a scuola, vedendo da lontano una ciminiera, precipitai nello sgomento. Mi ricordava il crematorio, che per noi era l’ossessione di ogni minuto, un incubo che per anni ho cercato di spiegare a tutti. Potevamo finire in cenere per nulla, anche quando non te lo aspettavi…

E’ sempre più difficile far capire alle nuove generazioni cos’è l’Olocausto. I ragazzi leggono poco, e non per colpa loro. Andrebbero indirizzati dai professori, e questo accade raramente; alcuni non lo sanno fare. Ed è forte il rischio di commemorazioni rituali, che non incidono più nelle coscienze». E non si possono non ricordare le parole di  Rudolph Höss, il comandante di Auschwitz, impiccato il 16 aprile 1947 proprio davanti al Krematorium 1 del «non luogo»: «Non potevo permettermi di giudicare se questo sterminio in massa degli ebrei fosse o nonecessario, la mia mente non arrivava tanto in là. Se il Führer in persona aveva ordinato la “soluzione finale della questione ebraica”, un vecchio nazionalsocialista, e tanto più un ufficialedelle SS, non poteva neppure pensare di entrare nel merito».


Dalla rete

– “Shoah.net. Per non dimenticare. Documentazione e approfondimenti.


– http://www.conceptwizard.com/itl/pipe_itl.html

Sul nuovo antisemitismo: I canali dell’odio

2007 I MOSTRI RITORNANO

ESUMAZIONE

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©  Cox & Forkum

 Presidente iraniano Ahmadinejad nel corso di una conferenza intitolata ‘Il mondo senza il sionismo’ : “ L’imam Khomeini disse: ‘Il regime che sta occupando Gerusalemme deve essere cancellato dalle pagine della storia’ (questa frase è stata tradotta in inglese sulla stampa mondiale con ‘cancellato dalla carta geografica’, ndr). Sono parole sagge. (…). E’ possibile che un paese islamico permetta a un paese non islamico di crescere nel suo seno? Questo significa sconfitta, e chi accetta l’esistenza di questo regime (Israele, ndr) firma la sconfitta del mondo islamico. Non ho il minimo dubbio sul fatto che la nuova ondata che si è formata in Palestina e che oggi vediamo formarsi anche in altri paesi islamici, sia un’ondata di moralità destinata a diffondersi in tutto il mondo islamico. Molto presto, questa disgraziata macchia (Israele, ndr) sparirà dal centro del mondo islamico” ( Teheran, 26 ottobre 2005).

 Ahmadinejad minaccia, ancora una volta, Gerusalemme:« Presto la fine di Israele».

Il discorso in occasione della festa religiosa dell’ashura in cui gli sciiti ricordano il martirio del loro terzo imam Hossein, nipote del profeta Maometto, ucciso nella pianura di Kerbala (nell’ attuale Iraq ) con 72 altri “martiri – guerrieri di Allah”. «Con questo nostro amore per l’imam Hossein, grazie ai nostri cuori puri e alla resistenza – ha affermato il presidente del lugubre regime espansionista e martiropatico degli ayatollah – con la benedizione di Allah vedremo presto la fine del regime sionista (Israele, ndr) e il crollo degli Stati Uniti» ( Teheran, 27 gennaio 2007).

Attenti all’ Iran: nucleare, iniziata installazione di 3mila centrifughe
Corriere della Sera – Milano, Italy, 27 gennaio 2007

 "Anti-Semitism and Islamic Expansionism"Un’ analisi del processo in corso di islamizzazione dell’antisemitismo : qui ( in italiano )

George Steiner – NOI VENIAMO DOPO

Estratto da “Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano

"Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita.

In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento?

Per giunta, non si tratta soltanto del fatto che gli strumenti tradizionali della civiltà – le università, le arti, il mondo librario – non sono riusciti a opporre una resistenza adeguata alla bestialità politica: spesso anzi essi si levarono ad accoglierla, a celebrarla, a difenderla. Perché? Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano?

Matura forse nella civiltà letterata un gran senso di noia e di sazietà che la predispone allo sfogo della barbarie?" (George Steiner, dalla Prefazione a «Linguaggio e silenzio», Garzanti, Saggi blu , traduzione di Ruggero Bianchi, 1967).

 

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Odori

 ODORI

Fonte:Smell Lab syrano.acb.uc.edu/smell/

Fonte: www.fota-digitalt.se/index.php

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Odori / Una poesia di Robert Herrick

 ODORI

L’ AMORE PROFUMA TUTTE LE PARTI

  

La Source, di Ingres ( 1856), Musée d’Orsay, Paris

LOVE PERFUMES ALL PARTS

di Robert Herrick

IF I kiss Anthea’s breast,

There I smell the phoenix nest:

If her lip, the most sincere

Altar of incense I smell there –

Hands, and thighs, and legs are all

Richly aromatical.

Goddess Isis can’t transfer

Musks and ambers more from her:

Nor can Juno sweeter be,

When she lies with Jove, than she.

[ Se io bacio i seni di Anthea

Allora sento il profumo del nido della Fenice;

Se bacio le sue labbra, del più sincero

Altare d’incenso io sento l’odore –

Le mani, i fianchi e le gambe sono tutti

Ricchi di Aromi.

La dea Isis non può portar via

I muschi e le ambre di lei:

Né può Giunone essere più dolce

Quando giace accanto a Giove.]

          Robert Herrick (1591-1674)

 

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