Libri / Viaggi e profumi

 NUOVO LIBRO

VIAGGI E PROFUMI

I profumi sono composti da un insieme di odori di origine animale, vegetale e provenienti dalla chimica di sintesi che da più di un secolo vi ha apportato nuovi orizzonti .

Nel 1868 la cumarina dal dolce ed erbaceo sentore di fieno e di tabacco, estratta dalla tonka, una fava che nasce nelle regioni nordorientali del Brasile ; nello stesso periodo l’eliotropina, nel 1876 la vanillina. Fino all’’Ambrox che richiama l’odore acquatico e soave dell’ambra grigia, alle aldeidi versate a caraffe nello Chanel No.5 insieme a molta molta rosa, all’ Edione ( il fresco e trasparente diidrojasmonato di metile , un prodotto che esiste nel thè e il gelsomino sotto forma di traccia e che è stato impiegato per la prima volta nel 1966 del celebre Edmond Roudnitska in Eau Sauvage di Christian Dior) e alle migliaia di prodotti sintetici di cui oggi dispone la palette o l’organo da profumo del creatore di fragranze.

Simili ai tenaci e squillanti colori industriali al laser o ai suoni sintetizzati, alcuni materiali di sintesi creano effetti speciali e sono molto belli, come ad esempio l’etereo metil-acetato ( lodato da Chandler Burr, il critico per il profumo del “New York Times” ) oppure il tonkene, una nuovissima molecola brevettata negli Stati Uniti che ricorda la cumarina ma non provocherebbe allergie, “immaginata” e creata al computer dal biofisico italo-francese Luca Turin * .

In una composizione spesso dal 50 al 90% degli ingredienti provengono dalla sintesi organica che tramite un continuo lavoro di ricerca ricostruisce tecnologicamente molecole di fiori e frutti oppure crea nuove molecole di odori che non esistono in natura e danno luogo a nuove sensazioni olfattive.

Il profumo, opera della cultura, del lavoro industriale e dell’arte, prefigura tramite la bellezza orizzonti ulteriori e un reale più largo e vibrante, sebbene meno “intimo” e “caldo” di quello offerto dalla sola cosiddetta Natura.

A fronte delle migliaia di prodotti di sintesi organica, i componenti naturali di origine animale e vegetale sono circa duecento […].

Tuttavia le materie prime dell’arte della profumeria restano, sia pure in minima parte, essenzialmente di origine vegetale: la rosa dalla Turchia e dalla Bulgaria, l’ylang-ylang e la gardenia dalle Comore, il fior d’arancio dalla Tunisia e dal bacino del Mediterraneo, il geranio e il gelsomino dall’Egitto, il galbano dall’Iran, il benzoino dal Siam, la vaniglia dall’isola della Reunion e di Mauritius, lo zafferano e il legno di sandalo dall’India, il distillato puro di fieno fresco da Grasse, dove al momento si producono alcune sostanze naturali tra le più costose e pregiate del pianeta, mentre le coltivazioni delle piante da profumo – dati i costi di mano d’opera del lavoro agricolo – si spostano sempre più verso il Terzo o Quarto mondo  […].

UN PROFUMO PER VIAGGIARE

 

Smell the roses, di James Christensen

Tutti i grandi “nasi” viaggiano per l’universo mondo alla ricerca di nuove idee, d’impressioni e di “immagini” olfattive. Viaggiano anche per trovare le migliori basi naturali, gli ingredienti di migliore qualità per fabbricare quello che nel gergo dei profumieri-compositori si chiama le jus.

Jean-Paul Guerlain per esempio non compra e non fa compare il bergamotto che in Calabria, il sandalo e la tuberosa in India. Serge Lutens, il naso di Shiseido, è fortemente segnato dal Marocco; come peraltro anche Paloma Picasso, che ha ispirato un suo profumo agli alberi di arancio amaro che fino agli anni settanta, prima che venisse aperto alle automobili, costeggiavano il boulevard Mohamed V che da piazza Djemaa el Fna porta al quartiere europeo del Gueliz. Uno di noi, De Martino, navigando tra due culture, ha abitato a Marrakech diversi anni, ed è proprio dal Marocco che abbiamo iniziato il nostro viaggio alla scoperta della piccola rosa di maggio del Dadès e del suo profumo di miele selvatico.

Non si possono chiudere le narici come si chiudono gli occhi. E nominare è già partire verso palme sbilenche in lontananza, i datteri, il tè alla menta… l’odore di legno di Thuia, di sardine arrostite e di ozono del mare di Essauira : l’oceano Atlantico che in berbero si chiama Taghart, ed è color dell’acciaio, un mare alto, grigio, già africano.

Il profumo segnala quello che vogliamo essere, e collocandosi alla confluenza della biologia, della storia, della geografia e persino della linguistica, rivela le nostre attrazioni culturali  […].

Inevitabilmente quando si parla di profumi si viaggia, specialmente con l’immaginazione. Il profumo diventa così un pretesto per fare il giro del mondo. Basta evocare il nome, oltre che sentire la fragranza frizzante di mandarino e di foglie di fragola di Miss Dior Chérie, per sentirsi trasportati a Parigi! E chiudere gli occhi al sentore di una goccia di Un jardin sur le Nil di Hermes per partire in una crociera di sogno immaginario fra le dune… Interi paesi sembrano racchiusi in una goccia di profumo.

Non a caso numerose fragranze sono ispirate alla geografia, ai paesaggi e agli ambienti dei viaggi. Per esempio Samsara di Jean-Paul Guerlain, un orientale legnoso e fiorito del 1989, propone un itinerario fra Oriente e Occidente.

Lo stesso itinerario è suggerato da Opium d’Yves Saint-Laurent. In terre lontane ci porta Fidji di Guy Laroche, creato nel 1966. Più recentemente con Un certain été à Livadia, un muschio orientale creato nel 1999, Christine Nigel ci porta in Crimea, nei giardini del palazzo di Livadia, ai bordi del mar Nero, ultima residenza d’estate degli zar. Annick Goutal, con Eau du Fier ( 2000) immagina le rive del Fier, un fiume dell’Isola di Ré dove aveva una casa.

Con il fluorescente e lievemente speziato Teatro alla Scala ( 1986) Krizia evoca la città della moda all’ombra della madunina e dei buffet al Savini della “Milano da bere”, rivelatasi ai tempi di “mani pulite" pure “da mangiare”. Anche il profumo di Laura Biagiotti, Roma (1988) , si presenta come una dichiarazione d’amore per la propria casa e la propria città natale, la città eterna, la cultura antica, la paradossale città dei papi e dell’esuberanza della moda e del cinema.

Una zaffata – esclamava Kipling – eccoci in piena Arabia!”. Ed è con il profumo Arabie che – con un nome che precedeva l’odore – nel 2000 Serge Lutens ci portò a sognare i sultani, i califfi e i serragli presenti solo nella leggenda dorata voluta dagli orientalisti non ancora risvegliati dalle lugubri grida dei barbuti e dei mullah.

Quasi come per contrasto, la fragranza 5th Avenue, Elisabeth Arden, creata da Jimmy Bell nel 1997 , ci porta verso la sofisticazione, il lusso, lo stile e il dinamismo della Quinta Strada al cuore pulsante di New York.

Insomma, un profumo per viaggiare… anche ad occhi chiusi . E questo fin dagli anni Trenta, quando facendo l’occhiolino ai salariati delle classi medio-alte e ai primi "congés payés", nel 1936 la maison di Jean Patou – per la quale Henri Alméras aveva creato il celebre Joy – lancia sul mercato del marketing olfattivo la fragranza Vacances.

Non essendo grandi nasi ( ma nemmeno piccoli) non abbiamo fatto tutto il giro del mondo e il libro non ha la vastità e la completezza che avremmo desiderato. Abbiamo messo il naso in casa d’altri, gustando i profumi e gli aromi solo di alcuni paesi produttori di piante da profumo. A spingerci al viaggio verso le fonti naturali dell’arte dei profumi è stato l’ interesse che uno come erborista compositore di profumi e l’altro come studioso di antropologia sensoriale nutriamo per le piante aromatiche. E siamo partiti quando si sono verificate le occasioni per scrivere soprattutto per la rivista “Erboristeria domani” dei reportages dai luoghi di raccolta e di produzione delle essenze.

Dalla quasi desertica vallata marocchina del Dadès alll’umida foresta messicana in cui cresce la vaniglia, dai cieli azzurri della macchia mediterranea alle strade notturne di Istanbul, il cammino è intessuto di sensazioni in movimento: colori, odori, incontri che per un istante hanno risvegliato i nostri sensi, nutrito la nostra immaginazione e apportato nuove conoscenze che siamo lieti di poter condividere con il lettore. Da qui il presente primo contributo per una geografia dei profumi, al quale abbiamo aggiunto due capitoli – sui profumi della Bibbia e i balsami della Pompei antica – che sono viaggi nel tempo, all’origine dell’arte profumiera e della sua storia. ( Dall’ Introduzione a Viaggi e profumi : Alla scoperta degli aromi del mondo naturale nei paesi delle essenze di Luigi Cristiano e Gianni De Martino, collana Urra, Apogeo, Milano 2007 ).

* Nota

Luca Turin: “ There are now officially four kinds of perfumery: normal, niche, vintage and natural. Normal is what you find everywhere; niche is what you hope others won’t find; vintage is what you find only if you know what to look for. Where’s the natural stuff ? In health stores, next to the rock-salt lamps. They carry aromatherapy oils, so people have had access to a wide range of plant extracts previously accessible only to perfumers. This happened at a time when this wonderful-smelling stuff has almost disappeared from the mainstream. The big six perfumery firms are aromachemicals manufacturers, and it is in their interest to keep naturals, with their attendant problems of price and quality fluctuations, to a bare minimum. Just how bare that minimum can be has become clear in the last five years, during which the cost of a “fine fragrance” formulation has gone down by half and the quality by nine tenths. Good perfumes have almost disappeared: there are 500 launches each year, but only a dozen are worth smelling twice… “ Da Natural Perfumery By Luca Turin – Leggi tutto in NZZ-Folio Alt und Jung 4/2006

 

L’Odorato, Honoré Daumier (1808-1879)

In rete

– www.urraonline.com/libri/88-503-2529-0/scheda

-www.profumiere.it

Tesi di Laurea – Gli odori: storia socioculturale ed implicazioni linguistiche – Tesi di Silvia Codogni  www.tesionline.it/

Biblioparfum : Bibliographie sur les parfums

–  Biblioteca Calé : Una bibliografia relativa alla letteratura tecnica, divulgativa, romanzesca riguardante i profumi ed il loro mondo nel Sito Calé di Silvio Levi

– "The Science of Smell" : Bibliografia e link sulla scienza dell’ olfatto, la chimica e l’industria profumiera.

 

 

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Psicoanalisi / Il sacrificio del figlio

  PSICOANALISI E FEDE

IL SACRIFICIO DEL FIGLIO


 

"O vogliamo cancellare la storia di Abramo o dobbiamo imparare il terrore dell’inaudito paradosso che è il senso della sua vita, così da comprendere che il nostro tempo, come ogni altro tempo, può essere felice, se possiede la fede".

Sören Kierkegaard

Le storie di Abramo costituiscono un fondamento culturale e religioso nodale per comprendere come si pone nei diversi monoteismi la questione del padre.

Torah, Bibbia e Corano tramandano il medesimo episodio del sacrificio del figlio di Abramo. L’incrollabile fiducia del patriarca nei confronti della “voce” divina è univocamente confermata, perché, secondo la versione dei tre testi, il padre è disposto ad immolare il proprio figlio.

A tale proposito esiste più di un elemento controverso, una differenza rilevabile soltanto nel Corano dove si racconta che il sacrificio viene chiesto ad Abramo “in sogno”, senza specificare però il nome del figlio che il padre, messo drammaticamente alla prova da Dio , stava per immolare.

La controversia concerne l’identità della vittima: per la tradizione islamica – che colloca quest’episodio a Minà, località non distante dalla Mecca, e lo celebra come esempio di sottomissione a Dio durante la festa dell’Aïd el-Kebir – il figlio destinato all’immolazione sarebbe Ismaele ( Ismail) , anziché  Isacco. Tale dato offre lo spunto per alcune considerazioni generali.

Anzitutto le sacre scritture attestano che i fratelli Ismaele e Isacco, nati da madri diverse, sono i progenitori di popoli diversi : Ismaele degli Arabi e Isacco degli Ebrei e dei Persiani. La differenza, esposta nella Genesi, è che la filiazione di Abramo in Ismaele è frutto di una fecondazione naturale della concubina Agar ( stranamente mai menzionata nel Corano) , mentre per Isacco Dio dovette intervenire nella fecondazione , poiché Sarah aveva più di settt’anni; lo stesso intervento verrà ripetuto con la vergine Maria per generare Gesù.

Nel Giudaismo come nel Cristianesimo , Dio è allo stesso tempo creatore e procreatore, ovvero un padre oltre il biologico ( un procreatore divino che può sembrare dell’immaginario o una idealizzazione del padre ) , mentre Abramo e Giuseppe sono padri simbolici.

L’identificazione della vittima consente inoltre di stabilire il destinatario di una profezia riguardante soprattutto i suoi discendenti :

"Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce" (Genesi, 22, 17-18).

Le fonti epigrafiche confermano la distinzione che fa la tradizione biblica tra i due figli di Abramo: Ismaele e Isacco e nella sua ripetizione nei figli di Isacco: Esaù e Giacobbe ( Cfr. Iakov Levi, Le migrazioni protostoriche e lo psichismo collettivo ).

Per il cristianesimo, sotto il profilo simbolico, Isacco è prefigurazione del sacrificio del Cristo. E l’incondizionata abnegazione di Abramo nei confronti del Signore vale a simboleggiare il modello paradigmatico della fede del cristiano, una fede senza riserve che resta consapevole della incomprensibilità dei piani divini e non vacilla nell’incredulità nemmeno nei momenti più bui dell’esistenza. "Contra spem in spem credidit", avere speranza contro ogni speranza, secondo le parole di San Paolo. Insomma, una specie di disperata speranza – tenace, come l’erbaccia dei cimiteri o dei campi di sterminio, un’erba chiamata “erbaccia” solo perché non se ne conoscono ancora le virtù.

Siamo davvero nell’oceano, talvolta assurdo, della vita e della morte; e il rapporto con Dio, la Potenza fondatrice , non è razionalizzabile. Tuttavia nonostante le apparenze spesso disperanti di questa vita, nonostante tutto, "contra spem in spem credidit”. O anche, come nelle sacre rappresentazioni e i racconti popolari che nel corso dei secoli si sono impadroniti dell’intreccio biblico, avere nonostante tutto un cuore buono ed essere puro come Isacco: "colui che ride", avendo speranza contro ogni speranza senza però essere stolto ( in realtà – che terribile espressione ! – Isacco in ebraico significa “ che Dio rida” ).

Secondo la lettura che il filosofo danese Sören Kierkegaard propone in Timore e tremore, il padre Abramo attraversa una crisi che lo porta a mettere a morte “il figlio della carne e del sangue”, per poter ricevere da Dio “il figlio completamente dono, il figlio della promessa”: “ Ma prima di riceverlo hai dovuto estrarre il coltello e affondarlo nella tua carne perché a tutto dovevi rinunciare per poter tutto avere, o venerabile padre Abramo”.

Ricalcando alcune fondamentali funzioni presenti anche nella fiaba e nel racconto popolare, alla minaccia del danneggiamento che assurdamente grava sulla sua vita anche il figlio Isacco non reagisce da nevrotico dicendosi “colpevole”, né da paranoico accusando Dio e il padre di volergli fare la festa, ma agisce da eroe come uno che deve superare una prova; e la supera, ottenendo la ricompensa finale.

Altra è la posizione di Ismaele, che abbandonato dal padre Abramo, si riconcilia con lui, secondo il Corano, al momento della ricostruzione del tempio della Mecca.

Il racconto coranico differisce da quello biblico. Per l’islam, la posizione genealogica di Abramo, il padre del monoteismo, è segnata dalla questione dell’abbandono della concubina Agar e del figlio Ismaele – che acuisce la tentazione del sacrificio del figlio.

 Secondo lo psicoanalista tunisino Fethi Benslama – tale questione dell’abbandono paterno, riguardante Agar, la supposta madre degli Arabi , e Ismail, il supposto capostipite del popolo arabo, “ ha portato il fondatore dell’islam a rinunciare all’idealizzazione del padre , coniando il concetto di un Dio che è ‘essere’, fonte di una funzione simbolica separata e separatrice del padre e del figlio.”

E la domanda posta dallo psicoanalista è “se l’islam non abbia tentato d’introdurre, in seno al suo edificio spirituale, una rinuncia al padre per istituire la fede in Dio.” ( Cfr. Fethi Benslama, “ La rinuncia al padre”, in ‘ Dialogare con l’islam: la psiche tra radicalismo e laicità’, Rivista di psicologia analitica – Vivarium, Milano 2004, pag. 63).

In sintesi, per l’islam Dio non è il padre. E in quanto protettore ( wali) delle sue creature si pone come difensore del figlio nei confronti dell’arbitrio e degli abbagli del padre tentato dal godimento assoluto. E’ quanto emerge dall’insistenza coranica nel distinguere il generatore dal creatore ( khalq) e tenere il Dio ( al-lah) lontano da ogni metafora paterna.

SUL DESIDERIO DI SACRIFICARE

Anche l’ermeneuta ante-litteram e mistico andaluso Ibn Arabî ( XII sec ) va in tale direzione quando nell’opera La saggezza dei profeti ( a cura di T. Burckhardt, trad. it., Mediterranee, Roma 1987) dà un’interpretazione quasi psicoanalitica del desiderio che Abramo ha di sacrificare il figlio. Egli mette l’accento sul “sogno” di Abramo, in base al versetto coranico in cui questi dice a suo figlio: “ In verità ho visto in un sogno che ti immolavo”.

Quello che è in gioco è l’interpretazione del sogno di Abramo; e Ibn Arabî scrive:

Ora il figlio è l’essenza del suo generatore. Quando Abramo vide che nel sogno egli immolava suo figlio, si vide di fatto sacrificare se stesso. E quando riscattò suo figlio con l’immolazione dell’ariete, vide la realtà, che si era manifestata sotto forma umana, manifestarsi in forma di ariete.”

Qui Ibn Arabî ricorre alla sua teoria della presenza immaginativa ( hadrat al khayal, tradotto da Henri Corbin con l’espressione : l’  immaginazione creatrice ) ; e s’inscrive in una lunga tradizione del  sufismo che considera il vero e grande sacrificio quello del “ sé” – il “sé” essendo “nafs”, ovvero psichismo, che è la parte animale e mortale dell’anima la cui rappresentazione è l’ariete passibile di sacrificio. Ma l’originalità di Ibn Arabi consiste in una sottile interpretazione del desiderio – rivelatosi in sogno – di uccidere il figlio nel padre, e il passaggio all’atto dall’immaginazione verso il reale:

Il sogno rileva di una presenza immaginativa che Abramo non ha interpretato. E’ infatti un ariete che apparve in sogno sotto la forma del figlio di Abramo. Così Dio riscattò il figlio dal fantasma ( wahm) di Abramo, tramite la grande immolazione dell’ariete, che era l’interpretazione divina del sogno, della quale Abramo non era consapevole o cosciente ( la yach ur ).”

Quello a cui il sogno mirava era il sacrificio dell’infantile e dell’arcaico nel padre, e non l’omicidio del figlio. Credere alla lettera alle immagini dei sogni deriva da un difetto d’interpretazione, che senza l’intervento di Dio – che è l’ Interprete per eccellenza, in quanto “non è mai incosciente” ( bi la chu’ur) mentre noi non siamo capaci neanche di vedere la nostra forma spirituale – sarebbe diventato un infanticidio.

Le considerazioni sulla fantasia di infanticidio nella mente paterna potrebbero estendersi ed approfondirsi ( per esempio con l’osservazione che una tale fantasia svela il desiderio di uccidere il padre dell’onnipotenza e il rischio di darne un’interpretazione errata, se non fosse per Dio che ristabilisce quella giusta attraverso la sostituzione con l’ariete – animale sacrificale che non a caso rappresenta, per Freud e poi per Lacan – una figura del padre del godimento assoluto e, aggiungerei, della crudeltà del genitore a cui il simbolo e la divina capacità di trasposizione che è nel simbolo pongono rimedio).

In conclusione, ci limiteremo solo ad osservare come sia da un uomo del Medioevo, Ibn Arabî , che ci giungono le ultime conseguenze , straordinariamente moderne, del pensiero del sacrificio nell’islam, vale a dire che il sacrificio, la cosa insanguinata, è un difetto dell’interpretazione del sogno del padre o del desiderio del padre al quale solo un Dio non letteralista né fuso in un sol blocco, ma capace di trasposizione e quindi di vita e di amore per ogni vita può porre rimedio.

Come scrive Fethi Benslama, in La psychanalyse à l’épreuve de l’islam : “ Ibn Arabî rinvia dunque Abramo al suo desiderio dell’Altro, al bambino immaginario, vale a dire a un Dio presente nella sua non-coscienza. Si vede bene perché gli islamisti proibirono i suoi libri e li bruciarono, considerandoli come opera di un apostata.”

Nel rifiuto della complessità si annida la tirannia. In Ibn Arabî, contemporaneo di Averroè, c’è un tentativo – testimoniato da tutte le sue opere e molto più complesso e articolato di quanto non si possa riassumere qui – di estrarre una spiritualità dal monoteismo islamico del Dio oscuro che credendo nelle sue versioni fondamentaliste di ritornare letteralmente all’Origine e a un padre assente, e quindi allucinato, esige, per calmare le colpe dei padri, il sangue dei figli.

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Natale sulla terra

 NATALE SULLA TERRA

Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si destano alla stella d’argento, sempre, senza che si commuovano i Re della vita, i tre magi, cuore, anima, spirito.

Quando ce ne andremo di là dalle rive e dai monti, a salutare la nascita del nuovo lavoro, la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare – per primi ! – Natale sulla terra.

Arthur Rimbaud

Secondo il buddhismo zen cinese e giapponese l’infinita vita divina è, semplicemente, qui e ora, e non deve essere affatto raggiunta.

Quel momento in cui si fa la piccola esperienza del sentirsi, semplicemente, giunti a una Realtà dalla quale non si potrà mai decadere e che è Vita, viene chiamato, con termine tecnico, satori. Qui la Vita infinita è assunta come base della propria sicurezza e pace nell’universo.

Dallo “stesso deserto, nella stessa notte”, è come essere giunti a casa, da sempre.

L’esperienza può assumere i tratti di uno choc, di un risveglio improvviso al culmine della più oscura delle notti, oppure apparire come l’esito di un lungo cammino o lavoro, graduale, di un’intera vita di meditazione e di ricerca.

Mentre un cumulo di fughe, di erranze vane e d’imboscate tra illuminazione e abbaglio fonde come neve al sole, il satori può essere sperimentato come l’amore di Dio per l’uomo, come grazia.

Mentre tutte le cose erano quiete in silenzio – recita l’antifona del Magnificat vespertino domenicale, ottava domenica della Natività – e quella notte era nel pieno del suo scorrere lieve, la tua Parola, o Signore, è balzata fuori dal trono reale. Alleluia.

Secondo Alan Watts – uno degli autori da comodino, o meglio da sacco a pelo, della generazione psichedelica – “ l’Incarnazione, la venuta di Cristo, è satori sul piano della storia umana – il trapasso improvviso dal vecchio ordine in cui ci si sforzava di raggiungere la redenzione attraverso l’obbedienza alla legge, al nuovo ordine della redenzione attraverso il dono della divina grazia” ( cfr. Behold the Spirit, 1947; tr. it. lI Dio visibile. Cristianesimo e misticismo, Bompiani, Milano 2003, p. 52).

L’obbedienza alla legge non viene abolita, ma rischiarata per un reale più largo e compendiata dalla novità dello Spirito incarnato, il Dio dal volto umano.

L’ incarnazione avviene nell’anima, nel corpo e nello spirito in ogni momento e in ogni luogo, e in quanto evento storico è circoscritto , è la proiezione nello spazio e nel tempo ( che in sé non sono una risposta) di una realtà eterna e universale.

Così nei "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 380, 1-2) :

Le due nascite del Signore

(…) la nascita eterna fu volta a creare la nascita nel tempo, la nascita nel tempo a donare la nascita eterna. Di lui infatti scrive Giovanni l’Evangelista: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e ancora: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto (Gv 1, 1.3).

Uguale al Padre nella sua grandezza in quanto Dio, creatore del tempo in quanto fuori dal tempo, giudice del tempo in quanto prima del tempo, egli si fece così piccolo da nascere da una donna; ma conservò la sua grandezza, non separandosi dal Padre.

A lui resero ossequio e testimonianza tutti i Profeti, quelli venuti prima della sua nascita ad annunciarla, come lampade che precedono il giorno, e quelli venuti dopo la sua nascita, che aderirono a lui con la fede.

Si doveva preannunciare che sarebbe venuto, che avrebbe fatto miracoli, e i miracoli dovevano rivelarlo Dio a chi ben intende; ma a chi lo guardava doveva anche mostrarsi uomo nel suo aspetto di uomo: piccolo per i piccoli, umile per i superbi.

Con il suo farsi piccolo insegnò all’uomo a riconoscersi piccolo e a non credersi grande per essersi gonfiato, senza essere realmente cresciuto. La superbia non è grandezza, ma boria. Egli volle guarire il genere umano dalla vanagloria, facendosi lui stesso medico e medicina; non diede una medicina, ma si fece lui medicina.

Per questo apparve uomo tra gli uomini, mostrandosi uomo a chi lo vedeva, riservandosi Dio per chi aveva fede. La vita dell’uomo Gesù fece guarire i malati, ma solo uomini forti sono in grado di contemplare la sua divinità. Poiché allora gli uomini non erano in grado di vedere Dio nell’uomo, non potevano vedere in lui che l’uomo. Ma in un uomo non si deve riporre la speranza. E allora? Un uomo lo si può guardare, non lo si deve seguire. Gli uomini dovevano seguire Dio che non potevano vedere, non l’uomo che potevano vedere.

Ecco dunque che Dio si è fatto uomo per rivelarsi all’uomo in modo che lo potesse vedere e seguire. E se Dio si è fatto uomo per te, uomo, ti devi credere davvero cosa grande; ma ti devi abbassare per poter salire, perché anche Dio si è fatto uomo abbassandosi.

Attàccati alla medicina che ti cura, imita chi si è fatto tuo maestro, riconosci il tuo Signore, abbraccia in lui il fratello, riconosci il tuo Dio.

NELLA NOTTE DI NATALE

di Sant’Ambrogio

Ascolta, tu che governi Israele,
che siedi sopra i cherubini;
compari in faccia ad Efraim, scuoti
la tua potenza, e vieni.

Vieni, redentore dei popoli,

vanta il parto da vergine;

ne stupisca ogni tempo:

parto che si conviene a Dio.


Non da seme maschile

ma per mistico fiato

si è fatto carne il Verbo di Dio

e il frutto del ventre è fiorito.


Il grembo della vergine si gonfia:

chiostro permane di pudore.

Delle virtù risplendono i vessilli:

in quel tempio si agita Dio.


Dal suo talamo venga,

regale sala del pudore,

il gigante di duplice natura

per correre animoso la sua strada:


l’uscita sua dal Padre,

il suo ritorno al Padre,

la corsa fino agli inferi,

e il suo ritorno alla divina sede.


Uguale al sommo Padre

recingiti col trionfo della carne

tu che rafforzi di valore eterno

le debolezze della nostra carne.


Già splende il tuo presepe

e la notte respira la sua luce,

che tenebra nessuna offuschi mai

e d’incessante fede possa splendere.

UN NATALE BUONO A TUTTI

 

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Festa dell'Immacolata Concezione

Festa della

IMMACOLATA CONCEZIONE

 

della

 

 

BEATA VERGINE MARIA


Jusepe de Ribera, Immacolata Concezione, 1635

Il dogma del concepimento della santa Vergine esente da ogni colpa del peccato originale prefigura per ognuno, ognuna, uno spazio di non-morte. Spes nostra, salve.

Maria è la speranza di tutti

di sant’ Alfonso Maria de Liguori

Gli eretici moderni non possono sopportare che noi salutiamo e chiamiamo Maria speranza nostra: Spes nostra, salve. Dicono che solo Dio è la speranza nostra, e che Dio maledice chi mette la sua speranza nella creatura: Maledictus homo qui confidit in homine (Ier. XVII, 5). Maria, esclamano, è creatura, e come una creatura ha da essere la speranza nostra? Questo dicono gli eretici; ma ciò non ostante la santa Chiesa vuole che ogni giorno tutti gli ecclesiastici e tutt’i religiosi alzino la voce, e da parte di tutt’i fedeli invochino e chiamino Maria con questo dolce nome di speranza nostra, speranza di tutti: Spes nostra, salve.

In due modi, dice san Tommaso l’Angelico, noi possiamo mettere la speranza in una persona, come cagion principale e come cagion di mezzo. Quelli che dal re sperano qualche grazia, la sperano dal re come signore, e la sperano dal suo ministro o favorito come intercessore. Se esce la grazia, principalmente viene dal re, ma viene per mezzo del suo favorito: onde ha ragione chi cerca la grazia di chiamare quel suo intercessore la sua speranza.

Il Re del cielo, perch’è bontà infinita, sommamente desidera di arricchirci delle sue grazie; ma perché dalla parte nostra è necessaria la confidenza, per accrescere in noi questa confidenza ci ha donato per madre e per avvocata la stessa sua Madre, a cui ha data tutta la potenza di aiutarci; e perciò vuole che in lei collochiamo le speranze della nostra salute e d’ogni nostro bene. – Quelli che mettono la loro speranza solo nelle creature senza dipendenza da Dio, come fanno i peccatori, che per acquistare l’amicizia e ‘l favore d’un uomo si contentano di disgustare Dio, certamente che questi son maledetti da Dio, come dice Isaia.. Ma quelli che sperano in Maria, come Madre di Dio, potente ad impetrare loro le grazie e la vita eterna, questi son benedetti e compiacciono il Cuore di Dio, che vuole vedere così onorata quella gran creatura, la quale più di tutti gli uomini ed angeli l’ha amato ed onorato in questo mondo.

Ond’è che noi giustamente chiamiamo la Vergine la nostra speranza, sperando, come dice il cardinal Bellarmino (De Beat. SS., l. II, c. 2), di ottenere per la sua intercessione quello che non otterressimo colle sole nostre preghiere. Noi la preghiamo, dice sant’ Anselmo, ut dignitas intercessoris suppleat inopiam nostram (De exc. V., c. 6). Sicché, soggiunge il santo, il supplicare la Vergine con tale speranza, non è diffidare della misericordia di Dio, ma temere della propria indisposizione: Unde Virginem interpellare, non est de divina misericordia diffidere, sed de propria indignitate formidare (Loc. cit.).

Con ragione dunque la santa Chiesa applica a Maria le parole dell’Ecclesiastico (Cap. XXIV) , con cui la chiama: Mater… sanctae spei, la madre che fa nascere in noi, non già la speranza vana de’ beni miserabili e transitori di questa vita, ma la speranza santa de’ beni immensi ed eterni della vita beata.

Ave, animae spes, così salutava sant’ Efrem la divina Madre: ave, Christianorum firma salus: ave, peccatorum adiutrix: ave, vallum fidelium et mundi salus ( De laud. Virg.): Dio ti salvi, diceva, o speranza dell’anima mia, o salute certa de’ Cristiani, o aiuto de’ peccatori, difesa de’ fedeli, e salute del mondo.

Ci avverte san Basilio che dopo Dio non abbiamo altra speranza, che Maria; e perciò la chiama, post Deum sola spes nostra. E sant’ Efrem, riflettendo all’ordine della presente provvidenza con cui Dio ha disposto che tutti quelli che si salvano s’abbiano a salvare per mezzo di Maria, le dice: Signora, non lasciate di custodirci e di porci sotto il manto della vostra protezione, giacché noi dopo Dio non abbiamo altra speranza che voi: Nobis non est alia quam a te fiducia, o Virgo sincerissima: sub alis tuae pietatis protege et custodi nos (S. Ephrem, de laud. Virg.).Lo stesso le dice san Tommaso da Villanova, chiamandola unico nostro rifugio, aiuto ed asilo: Tu unicum nostrum refugium, subsidium et asylum (Conc. 3, de Conc. Virg.).

Di ciò par che ne assegni la ragione san Bernardo, con dire: Intuere, homo, consilium Dei, consilium pietatis; redempturus humanum genus, universum pretium contulit in Maria (Serm. de Nat.): Guarda, o uomo, il disegno di Dio, disegno fatto per potere a noi con più abbondanza dispensare la sua misericordia: volendo egli redimere il genere umano, ha posto tutto il valore della Redenzione in mano di Maria, acciocché ella lo dispensi a sua voglia ( …).

E san Germano, riconoscendo in Maria il fonte d’ogni nostro bene e la liberazione da ogni male, così l’invoca: O Domina mea, sola mihi ex Deo solatium, itineris mei directio, debilitatis meae potentia, mendicitatis meae divitiae, vulnerum meorum medicina, dolorum meorum relevatio, vinculorum meorum solutio, salutis meae spes; exaudi orationes meas, miserere suspiriorum meorum, Domina mea, refugium, vita, auxilium, spes et robur meum (S. Germ., in encom. Deip.): O mia Signora, voi sola siete il mio sollievo donatomi da Dio, voi la guida del mio pellegrinaggio, voi la fortezza delle mie deboli forze, la ricchezza delle mie miserie, la liberazione delle mie catene, la speranza della mia salute; esaudite, vi prego, le mie suppliche, abbiate pietà de’ miei sospiri, voi che siete la mia regina, il rifugio, la vita, l’aiuto, la speranza e la fortezza mia.

Con ragione dunque sant’ Antonino applica a Maria quel passo della Sapienza: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa (cap. VII, 11). Giacché Maria è la madre e dispensatrice di tutti i beni, ben può dire il mondo, e specialmente chi nel mondo vive divoto di questa regina, che insieme colla divozione a Maria egli ha ottenuto ogni bene: Omnium bonorum mater est, et venerunt mihi omnia bona cum illa, scilicet Virgine, potest dicere mundus (S. Antonin., part. IV, tit. 15, c. 20). Onde poi diceva assolutamente l’abbate Cellense: Inventa Maria, invenitur omne bonum:19 Chi trova Maria trova ogni bene, trova tutte le grazie, tutte le virtù; poich’ella per mezzo della sua potente intercessione gli ottiene tutto ciò che gli abbisogna per farlo ricco della divina grazia. Ella ci fa sapere che tiene con sé tutte le ricchezze di Dio, cioè le divine misericordie, per dispensarle a beneficio de’ suoi amanti: Mecum sunt divitiae et opes superbae… ut ditem diligentes me (Sap. VIII, 21).Onde diceva san Bonaventura (In Spec.) che noi tutti dobbiamo tener sempre gli occhi alle mani di Maria, acciocché per suo mezzo riceviamo quel bene che desideriamo: Oculi omnium nostrum ad manus Mariae semper debent respicere, ut per manus eius aliquid boni accipiamus.

 Caravaggio c. 1603-06

Oh quanti superbi colla divozione di Maria han trovata l’umiltà! quanti iracondi la mansuetudine! quanti ciechi la luce! quanti disperati la confidenza! quanti perduti la salute! E questo appunto ella predisse, allorché pronunciò in casa di Elisabetta in quel suo sublime cantico: Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generatione (Luc. II). Le quali parole ripetendo san.Bernardo, dice: Ex hoc beatam te dicent omnes generationes, quae omnibus generationibus vitam et gloriam genuisti (Serm. 2, in Pentec.).

Perciò tutte le genti vi chiameranno beata, perché a tutte le genti voi avete data la vita e la gloria; poiché in voi i peccatori trovano il perdono, e i giusti trovano la perseveranza nella divina grazia: In te peccatores veniam, iusti gratiam inveniunt in aeternum (S. Bernard., loc. cit.).

Onde il divoto Laspergio (Lib. IV, Min. op.) introduce il Signore che così parla al mondo: Matrem meam veneratione praecipua venerare: Uomini, dice, poveri figli di Adamo, che vivete in mezzo a tanti nemici ed a tante miserie, procurate di venerare con particolar affetto la Madre vostra. Ego enim mundo dedi in puritatis exemplum, in praesidium tutissimum, ut sit tribulatis asylum: Mentreché io ho data al mondo Maria per vostro esempio, acciocché da lei impariate a viver come si dee; e per vostro rifugio, acciocché a lei ricorriate nelle vostre afflizioni. Quam nemo formidet, nemo ad eam accedere trepidet. Propterea namque adeo feci eam mitem, adeo misericordem, ut neminem aspernat, nulli se neget; omnibus pietatis sinum apertum teneat, neminem a se redire tristem sinat:

Questa mia figlia, dice Dio, io l’ho fatta tale, che niuno possa temerne o possa aver ripugnanza di ricorrere a lei; perciò l’ho creata di natura così benigna e pietosa, ch’ella non sa disprezzare alcuno che a lei ricorre, non sa negare il suo favore ad alcuno che lo domanda.

Ella a tutti tiene aperto il manto di sua misericordia, e non permette che alcuno mai parta sconsolato da’ suoi piedi. Sia dunque sempre lodata e benedetta la bontà immensa del nostro Dio, che ci ha data questa gran madre ed avvocata così tenera ed amorosa.

O Dio, quanto son teneri i sentimenti di confidenza che avea l’innamorato san Bonaventura verso del nostro amantissimo Redentore Gesù, e verso della nostra amantissima avvocata Maria! (P. 3, Stim. div. am., c. 13). Quantumcumque me Deus praesciverit, scio quod seipsum negare non potest: M’abbia il Signore quanto si voglia riprovato, io so che egli non può negarsi a chi l’ama ed a chi di cuore lo cerca. Eum amplexabor, et si mihi non benedixerit, eum non dimittam; et sine me recedere non valebit: Io l’abbraccerò col mio amore, e se non mi benedice, non mai lo lascerò; ed egli senza me non potrà partirsi. In cavernis vulnerum suorum me abscondam, ibique extra se me invenire non poterit: Se altro non potrò, almeno mi nasconderò dentro le sue piaghe, ed iv’io restando, egli non potrà fuori di sé ritrovarmi.

In fine, soggiungeva, se il mio Redentore per le mie colpe mi discaccia da’ suoi piedi, io mi butterò ai piedi della sua Madre Maria, ed ivi prostrato non mi partirò, fintanto ch’ella non mi ottenga il perdono: Ad Matris suae pedes provolutus stabo, ut mihi veniam impetret. Poiché questa Madre di misericordia non sa né ha saputo mai non compatire le miserie e non contentare i miserabili che a lei ricorrono per aiuto: Ipsa enim non misereri ignorat, et miseris non satisfacere numquam scivit. Ideoque, concludea, ex compassione mihi ad indulgentiam Filium inclinabit: e perciò, se non per obbligo, almeno per compassione non lascerà d’indurre il Figlio a perdonarmi.

Mirateci dunque, concludiamo con Eutimio, mirateci pure cogli occhi vostri pietosi, o pietosissima nostra Madre; poiché noi siamo vostri servi e in voi abbiamo riposta tutta la nostra speranza: Respice, o Mater misericordiosissima, respice servos tuos; in te enim omnem spem nostram collocavimus .

( Sant’ Alfonso Maria de Liguori, da : Le Glorie di Maria – Opera Omnia di S. Alfonso Maria de Liguori (1696-1787) a cura della Provincia napoletana della Congregazione del SS.mo Redentore.

Fonte:http://www.intratext.com/)

in rete:

Maria nella letteratura

Fonte: http://digilander.libero.it/mariaoggi/letteratura.htm

 Concerto dell’Immacolata Concezione 2006: Donizetti

Venerdì 8 dicembre 2006 ore 21.00, Teatro Comunale di S. Oreste , Piazza Cavalieri Caccia , S. Oreste (RM) – Concerto dell’Immacolata Concezione 2006 Prima Parte: Dall’opera “ La Favorita” ( selezione di arie). Fonte :Art Entertainment « WordPress.com

Grazie della segnalazione a Stefano Mavilio

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SEDUTE SPIRITICHE / VEDO LA GENTE MORTA

 SEDUTE SPIRITICHE

VEDO LA GENTE MORTA

 

Cossiga: “ Fu bugia doverosa; Prodi non si vergogni…”

Fu rimproverato anche dalla commissione di inchiesta sul caso Moro di non avere fatto ‘torchiare’ il professor Romano Prodi e gli altri partecipanti alla ‘asserita’ seduta spiritica *, perché dicessero la verità e rivelassero il nome del confidente.

Ma né io ritenni di poterlo ordinare alla Polizia né i magistrati ritennero di farlo. Non si poteva infatti costringere questi signori a fare il nome del confidente, esponendo a gravi pericoli lui e colui che gli aveva fatto la confidenza, quasi certamente il professor Clò”. Lo scrive su ‘Libero’ il Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. “Rimane il dubbio — prosegue Cossiga — se il confidente fosse un vero confidente o se si sia trattato di un artifizio per mettere in allarme i Br che stavano nell’appartamento di via Gradoli. Infatti la radio e la tv diedero grande evidenza alla perquisizione a tappeto, casa per casa, cui fu sottoposto nella notte il paese di Gradoli.

Il professor Romano Prodi non ha mentito se non ‘materialmente’, anche esponendosi per aver egli, economista e intellettuale cattolico rigido, all’ironia che tutt’ora permane attorno al fatto della seduta spiritica… Il fatto è — scrive Cossiga — che il professor Romano Prodi è un buon cristiano che ha voluto risparmiare pericoli derivanti dalle confidenze, forse al dottor Clò e al confidente che certo conosce il libretto di Torquato Accetto: ‘Della dissimulazione onesta’, e conoscendo anche le regole della morale cattolica, ha saputo distinguere tra ‘bugia formale’, che è un peccato, e ‘bugia materiale’ che può essere non solo onesta, ma anche doverosa, come nel caso. E spero che io non sia più costretto a parlare di questa vicenda, di cui l’onorevole Romano Prodi non si vede di che cosa abbia da vergognarsi”. AGI

FONTE: : repubblica.it

* nota

ROMANETTO DEGLI SPIRITI :

ERA UN GIORNO DI PIOGGIA …”

Il 10 giugno 1981, prim’ancora di affermarsi come politico, Romano Prodi fu chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro perché aveva dichiarato di aver partecipato per gioco, il 2 aprile 1978, ad una seduta spiritica durante un pranzo familiare in una casa di campagna di alcuni amici (tra cui Mario Baldassarri e Alberto Clò, quest’ultimo propositore del gioco e proprietario della casa dove erano ospiti, oltre ai suddetti, il fratello di Clò, le relative fidanzate, e i figli piccoli dei commensali). I commensali raccontarono agli inquirenti che nel corso della seduta iniziata per gioco, alla domanda dove è tenuto prigioniero Aldo Moro?, il piattino utilizzato avrebbe composto varie parole: prima alcune senza senso, poi Viterbo, Bolsena e Gradoli. Aldo Moro, rapito 17 giorni prima, il 16 marzo 1978, era al momento tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse. Il professor Prodi, in seguito alla seduta, si recò a Roma il 4 aprile, e raccontò dell’indicazione al proprio conoscente Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell’on. Benigno Zaccagnini.

Ecco le parole di Prodi, dai verbali della testimonianza:

«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.».

L’informazione fu ritenuta attendibile, al punto che quattro giorni dopo, il 6 aprile, la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, organizzò un blitz armato nel borgo medievale di Gradoli, vicino Viterbo, alla ricerca della prigione di Moro. Tuttavia, fu trascurata un’altra indicazione che la moglie dell’onorevole Moro avrebbe ripetutamente fornito, relativa all’esistenza a Roma di una "via Gradoli" (Francesco Cossiga, all’epoca Ministro dell’interno, in seguito smentì energicamente la signora Moro). Fallito il blitz conseguente alla seduta spiritica, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa di una perdita d’acqua, scoprirono a Roma, in via Gradoli 96, un covo delle Brigate Rosse da poco abbandonato, che si sarebbe rivelato come la base operativa del capo della colonna romana delle BR, Mario Moretti, il quale aveva preso parte all’agguato di via Fani.

Il caso venne riaperto nel 1998 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, dalle parole del Presidente di Commissione se ne evincono i motivi:

«Non è assolutamente credibile che il nome Gradoli sia venuto fuori in una seduta spiritica in cui sarebbe stato evocato lo spirito dell’onorevole La Pira, affinché rivelasse il luogo in cui Moro era tenuto prigioniero. Ho dovuto invece ritenere che il nome Gradoli fosse filtrato nell’ambiente dell’Autonomia bolognese, e che il riferimento alla seduta spiritica, fosse un singolare, quanto trasparente espediente di copertura della fonte informativa».

Il fine della Commissione era perciò accertare se la vicenda della seduta spiritica fosse in realtà un’architettura per celare la vera fonte del nome "Gradoli" (per esempio un informatore vicino alle BR) e anche cercare di capire se il nome "Gradoli" fosse stato comunicato con tanta celerità alle forze dell’ordine con lo scopo di salvare Moro. L’allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell’ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l’audizione, si dissero disponibili Mario Baldassarri (esponente di AN e viceministro per l’Economia e le Finanze dei governi Berlusconi II e Berlusconi III, al tempo del rapimento di Moro docente presso l’Università di Bologna, vedasi audizione relativa) ed Alberto Clò (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell’Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna dove avvenne la seduta spiritica, al tempo del rapimento di Moro assistente e poi docente di economia all’Università di Modena, vedasi audizione relativa), anche loro presenti alla seduta spiritica: entrambi, pur ammetendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno) aveva conoscenze nell’ambiente dell’Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR. (da http://it.wikipedia.org/wiki/Romano_Prodi)

Grazie a : http://percezionidistorte.splinder.com/

 

PORTA A PORTA

MASSIMO BRUTTI: “NO, NON FU BUGIA…”

Gli spiriti di Prodi. Tutto il polverone sulla Commissione Mitrokhin sarà almeno servito a mostrare che i Ds credono fermamente nello spiritismo.

Intervenendo a «Porta a porta» l’autorevole senatore ds Massimo Brutti ha dichiarato che da anni parla con Prodi della famosa seduta spiritica del 1978 nel corso della quale, nei giorni drammatici del sequestro Moro, sarebbero stati evocati gli spiriti di don Sturzo e La Pira, i quali avrebbero fornito l’indicazione «Gradoli 96».

Un’indicazione che, riferita alla polizia, la portò purtroppo a indagare nella cittadina di Gradoli, e non in Via Gradoli 96 a Roma, dove in effetti era prigioniero Moro.

Secondo Brutti, Prodi continua a confermare la versione della seduta spiritica e, poiché solo un irresponsabile inventerebbe di sana pianta una storia così assurda, l’unica conclusione che se ne può trarre è che la seduta spiritica davvero ci fu.  ( Da : http://circololapira.splinder.com/post/10160250).

Nei  giorni di pioggia fanno il sinistro gioco del piattino con i fantasmi ?

E che sarà mai … sono misteri taliani, medio-taliani, sono ragassi …

Viva Lucignolo ! Viva Pinocchio !

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Napoli/ Possiamo sbarazzarci della cattiva musica ?

 ELOGIO DELLA CATTIVA MUSICA ( 2)

POSSIAMO SBARAZZARCI DELLA CATTIVA MUSICA ?

Proust ha scritto “ Elogio della cattiva musica” * da giovane, negli ultimi anni del XIX secolo, e quindi non aveva potuto conoscere la spaventosa fioritura della musica commerciale per l’intrattenimento di massa. Lo scrittore francese si riferiva piuttosto alle romances e alle musiche da ballo, espressione del cattivo gusto dell’epoca.

Era una cattiva musica che scendeva più in basso possibile, ma che tuttavia doveva avere un minimo di forza e di felicità espressive per poter esistere e far ballare la gente. Proust la detestava, ma come la musica commerciale di oggi, non era da disprezzare perché non era poi così stupida. O meglio, era nello stesso tempo stupida e vera, come sono stupide e vere tutte le canzoni d’amore.

Quanto ai “rutti” di Mario Merola appena scomparso ( che so: “Serenata smargiassa”, “Guapparia” , “L’urdemo Emigrante”, “Tu Ca Nun Chiagne” o il patetico, stupido e vero “Zappatore”), al cattivo gusto si allea anche quella “cafonaggine” che consiste nell’esprimere nel testo e nella musica il sentimento nella sua realtà non mediata, credendo così di “essere se stessi” e di essere “sinceri”.

La credenza nella “sincerità in sé” , quasi sempre è una stronzata. E il sentimento “espresso” nella realtà non mediata scade nel sentimentalismo e nella crudeltà che è nel sentimentalismo.

La musica che ne deriva , dispensata nei vicoli e tra le vongole “veraci” e la monnezza di Napoli dalla mattina alla sera dai mezzi meccanici di riproduzione, costituisce l’abbrutimento quotidiano delle orecchie e dell’universo sentimentale, se non sentimentaloide, degli uditori.

Di più, essa esprime un rapporto con la società e con la storia di Napoli menzognero e una pseudo-umanità del tipo “ Dei guappi, dei guappi, noi siamo tutti dei guappi!”, oltre che un erotismo dozzinale dagli accenti che più che popolareschi o popolari sono piccolo-borghesi – tutto ciò ferisce le orecchie.

Il sentimento è sostituito dalla sentimentalità, la forza espressiva diventa pathos a buon mercato, l’humour una specie di cattiveria che sogghigna furbescamente e quasi automaticamente.

L’emergenza criminalità & rifiuti e l’orrenda decadenza di Napoli sembrano avere oggi come emblema le canzoni di Merola, e non solo. Sono canzoni stupide, pericolose e vere come lo è l’amore per Napoli e gli equivoci che comporta l’amore per Napoli – una città dalla quale si vorrebbe fuggir via, quando invece forse sarebbe più produttivo chiedersi come sfuggirle.

Come sfuggire a Napoli , alla chitarra , a un po’ di luna e ai “cavalli di ritorno” in ogni quartiere ? … “N’ammurate E Te”… Come sfuggire alla sua lingua, al suo accento e alla sua cattiva musica? Una musica che sarà anche stupida e vera, ma che alla fine non consola né gli emigranti, né i migranti, né i tanti disperati smargiassi che – tra una piccola o grande trasgressione e l’altra – ancora piangono “Lacreme napulitane” tra tanti morti , troppi rifiuti e l’insicurezza ormai di massa, collettiva.

Insomma, possiamo sbarazzarci della cattiva musica e quando ?

Forse quando i popoli non avranno più bisogno di postini, portatori di cattive novelle e del lutto che li colpisce.

 Da leggere:

Napoli, città perduta. Saviano: “E voi dov’eravate?” “ [ … ] Si parla di subculture, ma la musica dei neomelodici viene ascoltata in tutto il Mezzogiorno, anzi in tutta Italia, e alcune delle loro canzoni, tra cui quelle scritte da Lovigino Giuliano, il boss di Forcella, entrano nella hit parade, rimbalzano nei villaggi turistici, finiscono in tv come se fossero esistite da sempre e per tutti [ … ]. ” Il postino Roberto Saviano all’ “Espresso”, in :

 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/E%20voi%20dove%20eravate/1436068&ref=hpstr1

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* Eloge de la mauvaise musique

– Marcel Proust –


Détestez la mauvaise musique, ne la méprisez pas. Comme on la joue, la chante bien plus, bien plus passionnément que la bonne, bien plus qu’elle s’est peu à peu remplie du rêve et des larmes des hommes. Qu’elle vous soit par là vénérable. Sa place, nulle dans l’histoire de l’Art, est immense dans l’histoire sentimentale des sociétés. Le respect, je ne dis pas l’amour, de la mauvaise musique, n’est pas seulement une forme de ce qu’on pourrait appeler la charité du bon goût ou son scepticisme, c’est encore la conscience de l’importance du rôle social de la musique. Combien de mélodies, du nul prix aux yeux d’un artiste, sont au nombre des confidents élus par la foule des jeunes gens romanesques et des amoureuses. Que de "bagues d’or", de "Ah! Reste longtemps endormie", dont les feuillets sont tournés chaque soir en tremblant par des mains justement célèbres, trempés par les plus beaux yeux du monde de larmes dont le maître le plus pur envierait le mélancolique et voluptueux tribut – confidentes ingénieuses et inspirées qui ennoblissent le chagrin et exaltent le rêve, et en échange du secret ardent qu’on leur confie donnent l’enivrante illusion de la beauté. Le peuple, la bourgeoisie, l’armée, la noblesse, comme ils ont les mêmes facteurs porteurs du deuil qui les frappe ou du bonheur qui les comble, ont les mêmes invisibles messagers d’amour, les mêmes confesseurs bien-aimés. Ce sont les mauvais musiciens. Telle fâcheuse ritournelle que toute oreille bien née et bien élevée refuse à l’instant d’écouter, a reçu le trésor de milliers d’âmes, garde le secret de milliers de vies, dont elle fut l’inspiration vivante, la consolation toujours prête, toujours entrouverte sur le pupitre du piano, la grâce rêveuse et l’idéal. tels arpèges, telle "rentrée" ont fait résonner dans l’âme de plus d’un amoureux ou d’un rêveur les harmonies du paradis ou la voix même de la bien-aimée. Un cahier de mauvaises romances, usé pour avoir trop servi, doit nous toucher, comme un cimetière ou comme un village. Qu’importe que les maisons n’aient pas de style, que les tombes disparaissent sous les inscriptions et les ornements de mauvais goût. De cette poussière peut s’envoler, devant une imagination assez sympathique et respectueuse pour taire un moment ses dédains esthétiques, la nuée des âmes tenant au bec le rêve encore vert qui leur faisait pressentir l’autre monde, et jouir ou pleurer dans celui-ci. ( Estratto da Les plaisirs et les jours", Capitolo XIII).

 

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Elogio della cattiva musica/ Ultimo saluto a Mario Merola

 ELOGIO DELLA CATTIVA MUSICA


L’ULTIMO SALUTO A MARIO MEROLA



CASTELLAMMARE DI STABIA. MARIO MEROLA SI E’ SPENTO A 72 ANNI. Ricordando il controverso  re della sceneggiata napoletana, definito da La Padania come il celebratore della monnezza di Napoli, mentre nella Basilica del Carmine e nella piazza gremita da migliaia di persone assiepate ovunque si svolgono i funerali  simili a una sceneggiata tra pianti, fuochi d’artificio e spintoni, anche a me ( forse perché con ascendenze familiari napoletane ) me fa male ‘o core" ... e mi viene in mente , per contrasto, questo “Elogio della cattiva musica” di Marcel Proust :

ELOGIO DELLA CATTIVA MUSICA

(da Les Plaisirs et le Jours)

Detestate la cattiva musica, non disprezzatela. Dal momento che la si suona e la si canta ben di più, e ben più appassionatamente, di quella buona, ben di più di quella buona si è riempita a poco a poco del sogno e delle lacrime degli uomini.

Consideratela per questo degna di venerazione.

Il suo posto, nullo nella storia dell’arte, è immenso nella storia sentimentale della società. Il rispetto, non dico l’amore, per la cattiva musica non è soltanto una forma di quel che si potrebbe chiamare la carità del buon gusto o il suo scetticismo, è anche la coscienza del ruolo sociale della musica. Quante melodie, di nessun pregio agli occhi di un artista, fan parte della schiera dei confidenti scelti dai giovanotti sentimentali e dalle innamorate!.

Quanti "Anelli d’oro", di "Ah! resta a lungo addormentata", le cui pagine vengono sfogliate ogni sera, tremando, da mani giustamente celebri, bagnate dagli occchi più belli del mondo con lacrime di cui il più puro maestro invidierebbe il malinconico e voluttuoso tributo – confidenti ingegnose ed ispirate che nobilitano il dolore ed esaltano il sogno e che, in cambio del segreto ardente che viene loro confidato offrono l’illusione inebriante della bellezza!

Come il popolo, la borghesia, l’esercito, la nobiltà, hanno gli stessi postini, portatori del lutto che li colpisce o della felicità che colma i loro cuori, così hanno gli stessi messaggeri d’amore, gli stessi confessori prediletti.

Sono i cattivi musicisti.

Un certo ritornello insopportabile, che ogni orecchio ben nato e ben educato rifiuta all’istante di ascoltare, ha accolto in sè il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite, di cui fu la viva l’ispirazione, la consolazione sempre pronta, sempre aperta sul leggio del pianoforte, la grazia sognante e l’ideale. Certi arpeggi, una certa "ripresa" han fatto risuonare nell’anima di più di un innamorato o di un sognatore le armonie del paradiso o la voce stessa dell’amata. Uno spartito di mediocri romanze, consumato per aver troppo servito, deve commuoverci come un cimitero o come un villaggio. Che importa che le case non abbiano stile, che le tombe scompaiano sotto le iscrizioni e gli ornamenti di cattivo gusto.

Da questa polvere può levarsi in volo, davanti ad una immaginazione abbastanza benevola e rispettosa da mettere a tacere un attimo la sua alterigia estetica, lo stormo delle anime recanti nel becco il sogno ancora verde che faceva loro presentire l’altro mondo, e le induceva a gioire o a piangere in questo. (Da Les Plaisirs et le Jours )

traduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini, tratta dal volume: Marcel Proust , I piaceri e i giorni , Torino, Bollati Boringhieri, 1988.

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Robespierre: "contro la pena di morte"

 UMORISMO INVOLONTARIO

ROBESPIERRE : "DISCORSO CONTRO LA PENA DI MORTE"

Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa grida che mai il giudizio dell’uomo è tanto certo da far sì che la società possa dare la morte a un uomo condannato da altri uomini soggetti a sbagliare. Provate a immaginarvi il più perfetto ordinamento giudiziario; provate a trovare i giudici più onesti e più illuminati, resterà sempre un margine di errore o di prevenzione. Perché togliervi la possibilità di ripararli? Perché condannarvi all’impossibilità di soccorrere l’innocenza oppressa? Che importanza hanno questi rimpianti sterili, questi rimedi illusori che concedete a un’ombra vana, a cenere insensibile: non sono altro che la triste testimonianza della temerarietà incivile delle vostre leggi penali. Togliete all’uomo la possibilità di espiare il suo peccato col pentimento o col compiere azioni virtuose, precludergli senza pietà il ritorno alla virtù, alla stima di se stesso, affrettarsi a farlo, per così dire, scendere nella tomba ancora marchiato del suo crimine, rappresenta ai miei occhi la più orrenda raffinatezza della crudeltà.

Il primo dovere di un Legislatore è di forgiare e conservare i costumi pubblici, fonte di ogni libertà, di ogni benessere sociale; egli commette l’errore più grossolano e funesto, per arrivare a uno scopo particolare, si allontana da quello generale ed essenziale. Bisogna dunque che la legge rappresenti sempre per i popoli il modello più puro della giustizia e della ragione. Se le leggi, invece di caratterizzarsi per un’efficace, calma, moderata severità, offrono il destro alla collera e alla vendetta, se fanno scorrere sangue che dovrebbero invece risparmiare e che comunque non hanno il diritto di spargere, se offrono allo sguardo del popolo scene crudeli e cadaveri straziati dalle torture, allora esse confondono nella mente dei cittadini il concetto del giusto e dell’ingiusto e fanno nascere in seno alla società feroci pregiudizi che a loro volta ne producono altri. L’uomo non è più per l’uomo una cosa così sacra; si ha un concetto meno alto della dignità umana quando la pubblica autorità si fa gioco della vita. L’idea dell’assassinio ispira molto meno orrore quando è la stessa legge a darne spettacolo ed esempio; l’orrore del crimine diminuisce poiché essa lo punisce con un altro crimine.

State molto attenti a non confondere l’efficacia delle pene con l’eccesso di severità: l’una è assolutamente l’opposto dell’altra. Tutto è fecondo nelle leggi equilibrate, tutto cospira contro leggi crudeli.

30 maggio 1791

Maximilien Robespierre


L’ambiguità, se non la stupidità di certe posizioni “ideali” contro la pena capitale si ripresenta in questi giorni davanti a una sentenza del tribunale iracheno che ha confermato la condanna a morte di Saddam Hussein per crimini di guerra e crimini contro l’umanità con riferimento all’omicidio di 148 mussulmani sciiti avvenuto nella città di Dujail nel 1982. Non si sa se le autorità irachene siano intenzionate a portare a termine la sentenza o ad aspettare la proclamazione del secondo verdetto del processo relativo all’omicidio di 180 mila curdi avvenuto nel corso della campagna militare di Anfal negli anni ’80. In ogni caso, anche dalle parti dei politici che della morte delle vittime del dittatore se n’è sempre fregato bellamente, si levano grida contro la pena di morte. Netta, per esempio, la posizione di Romano Prodi: “ ”L’Italia e’ contraria alla pena di morte, e anche in un caso cosi’ drammatico riteniamo che questa non debba avvenire”.

Si va così dal canto di deplorazione della politica italiana ( con il pensoso Walter Veltroni che dice che “ il tribunale penale internazionale sarebbe stato la giusta sede per affrontare chi si è reso responsabile di crimini contro l´umanità") alla contrarietà dell’organizzazione integralista egiziana dei Fratelli Musulmani, del baath ( che minaccia ferro e fuoco a Baghdad se Saddam verrà impiccato), di Hamas e dei palestinesi fra i quali Saddam Hussein è molto popolare perché dal 2000 e fino alla sua caduta nel 2003 inviò denaro alle famiglie dei terroristi suicidi palestinesi.

Netta quanto prevedibile è anche la critica del lugubre regime siriano, secondo il cui governo «qualsiasi processo condotto sotto occupazione è illegittimo». Delusa anche l’organizzazione internazionale Amnesty international, che ha definito il processo all’ex raìs iracheno "una vicenda losca, viziata gravi lacune".Non manca neanche l’opportunismo e il cinismo di quei politici europei , specialmente di Russia e Francia, che non accettano la sentenza perché temono che “ la condanna a morte di Saddam Hussein non porterà giovamento ad una regione dilaniata dall’odio e dalla vendetta anzi, molto probabilmente, solo più rabbia e caos”.

Continuo a pensare che si tratti invece di una condanna esemplare ( sebbene vorrei che non fosse eseguita, ma commutata in ergastolo) e di un  processo  necessario: un processo dovuto alla memoria delle vittime innocenti di quell’arma di distruzione di massa per il suo popolo e per i vicini che fu il dittatore Saddam Hussein, un crudele tiranno al quale solo gli Americani hanno osato ribellarsi. Commentare idealisticamente o con frivolezza la sentenza, oppure dire che il processo sia una "incoerenza", una parodia di giustizia, una farsa voluta dai "vincitori", è un falso che offende in prima luogo il governo irakeno e i giudici e i testimoni che, rischiando la vita, hanno permesso che il processo avesse luogo e i crimini evocati, documentati, provati e sanzionati. D’altra parte, si tratta certamente di un processo "imperfetto", ma quale processo giudiziario, al mondo, non è imperfetto ?

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Consigli di lettura/ "Verità o fede debole?"

 CONSIGLI DI LETTURA

VERITA’ O FEDE DEBOLE? DIALOGO SU CRISTIANESIMO E RELATIVISMO”

      "Satana gettato nell’abisso", pittura del XVI sec. Secondo René Girard, i Vangeli sono una teoria dell’uomo.

«Quello che fa il cristianesimo – osserva René Girard nel porre le basi del dibattito – a differenza delle religioni primitive – e questo perché, contrariamente a quanto gli antropologi hanno spesso sostenuto, il cristianesimo non è mitico – è cambiare completamente questa nostra prospettiva: nel mito il punto di vista è sempre quello della comunità violenta che scarica la propria violenza su una vittima o capro espiatorio che ritiene colpevole, come accade per Edipo, che commette parricidio e incesto. Il cristianesimo ribalta questa situazione dimostrando che la vittima non è colpevole e che i persecutori non sanno quello che fanno quando accusano ingiustamente questa vittima . […] Qualcuno dice che mescolo la religione alla scienza. Non è vero.[…] Io credo che stiamo andando verso un futuro dove […] vivremo in un mondo che sarà e apparirà tanto cristiano quanto ci sembra scientifico oggigiorno. Credo che siamo alla vigilia di una rivoluzione nella nostra cultura che va al di là di qualsiasi aspettativa, e che il mondo si stia spostando verso un cambiamento al confronto del quale il Rinascimento ci sembrerà nulla ».

Sto leggendo Dialogo su cristianesimo e relativismo di René Girard e Gianni Vattimo ( a cura di Pierpaolo Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa, 2006 ).

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Transfobia/Alla camera dei deputati scoppia

 TRANSFOBIA ?

ALLA CAMERA DEI DEPUTATI SCOPPIA "IL CASO WC"

Lite in bagno. Durante una pausa nella votazioni, la portavoce azzurra, Elisabetta Gardini, incappa in Vladimiro Guadagno, Luxuria, deputato transgender del Prc e teorico della lotta al "biopotere" (secondo una definizione foucaultiana ripresa da Toni Negri ) e gli/le dice :«Questo é il bagno delle donne, tu sei un uomo, non puoi stare qui» . Luxuria, come cadendo dalle nuvole, spiega di aver pensato che fosse uno scherzo, ma poi si arrabbia e fa la parte della povera vittima cacciata dal bagno e oppressa nella sua libertà : « Sono anni che usufruisco dei bagni delle donne e da sei mesi di quelli della Camera, non mi sarei mai aspettata una aggressione con quei toni e con quella violenza… All’inizio pensavo che lei, donna di spettacolo, scherzasse – racconta Luxuria -, poi mi sono resa conto che non era così. Faceva sul serio. Ma io che devo fare? Da anni vado nei bagni delle donne. Se andassi in quello degli uomini, li metterei in imbarazzo…».

Un caso di… transfobia ? Mah, non saprei cosa pensare… se non che in numerosi miti e in altre culture – come per esempio in quella indu, perlomeno a livello popolare – androgini, travestiti e transgender vengono generalmente accettati senza eccessivo imbarazzo e anzi considerati di buon augurio, in quanto portatori dell’indifferenziazione del sacro, al di là della bipartizione dei generi sessuali umani. Il dio Shiva, per esempio, nella mitologia e la gnosi dell’India è venerato anche nella forma paradossale di un androgino, simbolo di una polarità cosmica che può generare come una donna oppure si divide in due metà sessuate e inizia la procreazione.


SHAKTI/SHIVA

‘Oggi quindicimila transessuali in Italia fanno rivivere nel bagliore della metropoli l’antico mito dell’androgino, ostentando seni e nascondendo il fallo. Il loro transito da un sesso all’altro comincia con il travestimento: attratti da piume e lustrini non sanno resistere a mascherarsi da donne. Poi la chirurgia plastica permette sintesi ardite e costruzioni anatomiche stupefacenti.[…] L’instabilità psichica fa da pedant a quella sessuale in questi personaggi che presentano uno show di femmine bellissime e stravaganti, a metà tra circo equestre e il sogno psichedelico dei fumetti erotici o cyberpunk. Così il mito si degrada a merce e perde il suo contenuto sacrale e misterico.’ (Dalla prefazione del libro Vita da Trans di Cecilia Gatto Trocchi – Editori Riuniti).

L’angoscia , il senso di inadeguatezza, l’estraneità nei confronti dei coetanei e la solitudine di un corpo che va avanti da solo mentre la persona non lo riconosce più, assume talvolta, nella nostra cultura, l’aspetto di una maschera paralizzante. In genere l’eterosessuale, uomo o donna che sia, posto senza volerlo o inopinatamente vicino al transgender , può sentirsi in imbarazzo e come mancare… e proiettare sull’altro/a il proprio sconcerto o “paralisi”. A sua volta, il transgender è portato a rispondere alla maschera paralizzante che l’eterosessuale proietta su di lui/lei con un comportamento seduttivo o implorante, accompagnato a modi stranamente minacciosi da cyborg o creatura di un mondo post-genere, post-moderno, post-mortem e post-tutto…

Fonte dell’illustrazione: puzzachat.blog


"Mi sono sentita stuprata dovrebbe farsi operare"

da La Repubblica – L’INTERVISTA di Antonello Caporale

La Gardini: "È stato terribile. È un maschio, vada nel bagno dei maschi"

"Mi sono sentita stuprata… dovrebbe farsi operare"


Elisabetta Gardini

"AVEVO appena aperto la porta, e oddio…"

Oddio cosa?

"Vedo quello lì che esce dal bagno".


No!

"Sìììììì, guardi è stato terribile. Mi sono sentita mancare".

Questa situazione complessa dell’eterosessuale tradisce presumibilmente le angosce infantili di fronte a un lei/lui vissuto come dotato di una paradossale capacità castrante e sdifferenziante. In altre parole, l’eterosessuale si trova costretto in un bagno o W.C. davanti a una specie di mostro, ovvero a una figura mista che comprende in sé i tratti più inquietanti dei due genitori. Ed è per questo che Luxuria alias l’on. Guadagno Vladimiro va nel bagno delle donne. Perché : “ Se andassi in quello degli uomini, li metterei in imbarazzo…». Quindi non resterebbe – secondo Luxuria – che il bagno delle donne, private di quella libertà di sentirsi in imbarazzo che si vorrebbe concessa solo agli uomini. Il “caso W.C.” scoppiato alla Camera dei Deputati rivela, tra l’altro, che le donne non hanno la libertà e il diritto di essere in imbarazzo o… transfobiche.

Un vero e proprio caso di bestialità politica all’interno della grande coalizione. Un mondo crolla e la questione che si dibatte nei gabinetti sotto assedio dei nuovi bizantini che sono riusciti a banalizzare i mostri, a politicizzare tutto e a discreditare persino il vizio è : quale bagno per Luxuria?

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