Da “Dio è uno strumento utile” di Lee Harris, Il Foglio del 21 settembre 2006 a commento del discorso “controcorrente” del papa a Ratisbona :
Raffaello, La scuola degli ateniesi
" Ma la ragione moderna può sperare di sopravvivere proprio nella sua essenza di ragione se insiste nel voler ridurre il campo dell’indagine razionale alla sola sfera della ricerca scientifica? (… ) se non è in grado di condannare come irragionevole una religione che costringe gli atei e gli infedeli a fare una scelta tra la loro integrità intellettuale e la morte, allora la ragione moderna potrà anche essere moderna, ma ha cessato di essere una ragione. La soluzione classica che offre la ragione moderna per i problemi dell’etica e della religione è piuttosto semplice: lasciare che ogni individuo decida autonomamente su tali questioni, in qualsiasi modo desideri. Se un individuo preferisce l’islam al cristianesimo, o il jainismo al metodismo, si tratta di un fatto che riguarda esclusivamente lui. Tutte queste scelte, da punto di vista della ragione moderna, sono allo stesso modo slanci della fede, o semplicemente questioni di gusto: di conseguenza sono tutte ugualmente irrazionali. (…)
Proviamo a riformulare quest’osservazione nei termini della conversazione svoltasi tra l’imperatore bizantino e l’erudito persiano. Supponiamo che l’imperatore, dopo avere osservato che la violenza e la minaccia della morte non sono dei metodi di persuasione appropriati, avesse aggiunto il seguente commento: “Naturalmente, si tratta soltanto della mia opinione personale. Ad alcuni piacciono le sardine, altri le detestano. Io, come mezzo di persuasione, preferisco semplicemente la ragione alla violenza. Se ad altre persone capita di preferire il contrario, per me va benissimo. Non voglio imporre i miei valori ad altre persone. Se tu trovi giusto il jihad, nessun problema. Dacci pure dentro!”. (…) Se l’individuo è libero di scegliere tra la violenza e la ragione, proprio come è libero di scegliere tra le sardine e le acciughe, diventa impossibile creare una comunità nella quale tutti i membri si limitino a usare soltanto la ragione per raggiungere i propri obiettivi. Se l’uso della violenza o della ragione viene lasciato interamente alla scelta soggettiva dell’individuo, allora coloro che scelgono la violenza distruggeranno inevitabilmente la comunità di coloro che hanno scelto la ragione.
Peggio ancora: coloro che scelgono la violenza possono essere anche una piccola minoranza della comunità e ciononostante riuscire a distruggere la possibilità stessa dell’esistenza di una comunità di uomini ragionevoli: la forza bruta e il terrore fanno rapidamente scomparire il dialogo e il dibattito razionale”.
"In nome dell’islam…": è questa oggi l’invocazione macabra dei jihadisti che sequestrano il nome, captano una vera e propria "disperazione di massa", e si arrogano il potere assoluto di distruggere se stessi e gli altri, non rispettando né la vita umana, né i testi, né l’arte, né la parola e la ragione che è nella parola.
Per la forza di un nome ( islam) preso alla lettera e ridotto unicamente a ideologia della sottomissione a una identità fissa e contratta ( quando invece in esso, a partire dal radicale slm risuona una ramificazione di sensi e di altri termini come "salvare", "salutare", "accogliere", "fare la pace", "riconciliarsi" e anche "dare un bacio") , s’irradia una devastazione che rischia di durare lunghi anni e di fare del male a tutti. Nel rifiuto della complessità si annida, ancora una volta, la tirannia.
Ma l’Islam non è solo il nome di una religione ( islam) che al contatto con la modernità vira al disastro e ha dei problemi non ancora superati con la violenza: Islam è anche il nome di una civilizzazione costituita da una molteplicità di culture oggi in pieno marasma, e soprattutto di una diversità umana irriducibile.
Per contrasto alla omogeneizzazione dell’Islam e alla sua riduzione a una islamessenza inesistente, a un fatto religioso originario ed univoco, e alle derive dell’attualità, propongo qui le meditazioni di un musulmano non sottomesso, sensibile e riflessivo come Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî (560/1165-638/1240). Un ricercatore musulmano di libertà responsabile e illuminata, aperto ai movimenti dell’esistenza e di un pensiero del desiderio come desiderio creatore di vita e di esistenze nel seno di un’esistenza singolarmente aperta alla compassione e alla gioia di vivere, nonostante e attraverso tutto quello che vi è di difficile, di doloroso e di tragico in ogni divenire:
Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma
Vedi anche : aurora rivista – Il libro di Henry Corbin "L’immaginazione creatrice: Le radici del sufismo" racconta il viaggio di Ibn Arabi – nato in Andalusia il 28 luglio 1165 e morto a Damasco il 16 novembre 1240.
( Fermati dalla polizia locale alcuni giovani che farebbero parte della milizia Shabab di Hashi Ayro, noto anche come l’Afgano perché si è fatto le ossa a fianco dei talebani in Afghanistan. Ayro è ritenuto la nuova leva di al Qaeda in Somalia, dove secondo una recente informativa dei servizi si sono allenati 150 terroristi pronti a colpire in Europa ).
"…Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato", si legge alla fine del prologo del quarto Vangelo (Gv 1,18). Chi è Dio, lo sappiamo da Gesù Cristo: dall’unico che è Dio. È mediante Lui che veniamo in contatto con Dio.
Nell’epoca degli incontri multireligiosi siamo facilmente tentati di attenuare un po’ questa confessione centrale o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non rendiamo un servizio all’incontro, né al dialogo. Con ciò rendiamo soltanto Dio meno accessibile, per gli altri e per noi stessi. È importante che noi poniamo in discussione in modo completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di Dio. Per esserne capaci, deve crescere ed approfondirsi la nostra comunione personale con Cristo e il nostro amore per Lui. In questa nostra comune confessione e in questo nostro comune compito non esiste alcuna divisione tra noi. Vogliamo pregare, affinché questo fondamento comune si rafforzi sempre di più.
Con ciò ci troviamo già dentro al secondo argomento che intendevo toccare. Di esso si parla nel versetto 14 dove si legge: "Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo". La parola centrale di questa frase è: μαρτυρουˆ μεν – testimoniamo, siamo testimoni. La confessione deve diventare testimonianza. La parola soggiacente μάρτυς rievoca il fatto, che il testimone di Gesù Cristo deve affermare la sua testimonianza con l’intera sua esistenza, con la vita e con la morte. L’autore della Lettera dice di sé: "Noi abbiamo veduto". Perché ha veduto, egli può essere testimone. Presuppone, però, che anche noi – le generazioni successive – siamo capaci di diventare vedenti, al fine di potere, come vedenti, dare testimonianza.
Preghiamo dunque il Signore di renderci vedenti! Aiutiamoci a vicenda a sviluppare questa capacità, per poter rendere vedenti anche gli uomini del nostro tempo, così che a loro volta, attraverso tutto il mondo da loro stessi costruito, riescano a riscoprire Dio! Perché, attraverso tutte le barriere storiche, possano di nuovo scorgere Gesù, il Figlio mandato da Dio, nel quale vediamo il Padre. Nel versetto 9 si dice che Dio ha mandato il Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita. Non possiamo forse costatare oggi che solo mediante l’incontro con Gesù Cristo la vita diventa veramente vita? Essere testimone di Gesù Cristo significa soprattutto: essere testimone di un determinato modo di vivere. In un mondo pieno di confusione, noi dobbiamo dare nuovamente testimonianza degli orientamenti che rendono una vita veramente vita. Questo importante compito comune a tutti i credenti lo dobbiamo affrontare con grande decisione: è responsabilità dei cristiani, in questa ora, di rendere visibili quegli orientamenti di un giusto vivere, che a noi si sono chiariti in Gesù Cristo. Egli ha riassunto nel suo cammino di vita tutte le parole della Scrittura: "Ascoltatelo!" (Mc 9,7).
Con ciò siamo giunti alla terza parola che, in questa Lettura, volevo mettere in rilievo: agape – amore. È questa la parola guida di tutta la Lettera e specialmente del brano che abbiamo ascoltato. Agape, l’amore come ce l’insegna Giovanni, non ha nulla di sentimentale e nulla di esaltato; è qualcosa di totalmente sobrio e realistico. Ho cercato di spiegarne qualcosa nella mia Enciclica Deus caritas est. L’agape, l’amore è veramente la sintesi della Legge e dei Profeti. In essa è "avviluppato" tutto; un tutto, però, che nel quotidiano deve sempre di nuovo essere "sviluppato". Nel versetto 16 del nostro testo si trova la parola meravigliosa: "Noi abbiamo creduto all’amore". Sì, all’amore l’uomo può credere. Testimoniamo la nostra fede così che appaia come forza dell’amore, "perché il mondo creda" (Gv 17,21)
Celebrazione dei Vespri nel Duomo di Ratisbona. 12 settembre 2006. Dal Discorso del Papa. Testo integrale.
Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.
Aula Magna dell’Università di Regensburg, Martedì, 12 settembre 2006. Il testo integrale del discorso del Santo Padre(NOTA – Di questo testo il Santo Padre si riserva di offrire, in un secondo momento, una redazione fornita di note. L’attuale stesura deve quindi considerarsi provvisoria ).
Benedetto XVI e l’islam
"Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio"
Per papa Ratzinger le religioni si devono paragonare sulla cultura e la civiltà che esse generano. Per evitare il conflitto delle civilizzazioni l’islam deve sganciarsi dalla violenza terrorista; l’occidente dalla violenza secolarista e atea. L’analisi di Samir Khalil Samir, da asianews.it
DALLA PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA E AMPLIATA
La maggior parte delle discussioni sull’olfatto parte da una premessa, che è anche una conclusione, sulla sua minore finezza rispetto alla vista e all’udito. Questo raffronto , come si vedrà nel capitolo “ Il naso dei filosofi”, di solito si accompagna all’ipotesi che la scarsa capacità di discriminare gli odori manifestata dagli umani indichi una perdita di significato per loro, quasi come se fosse un segno della loro avvenuta civilizzazione. Probabilmente si tratta di una fase di non-ritorno, a meno di non voler ritornare al Paleolitico.
Ai nostri giorni, è nello sniffer necrofilo Jean-Baptiste Grenouille, eroe del romanzo di Patrick Suskind Il Profumo, che si può ritrovare l’illustrazione della tentazione di recedere dalla pulsione voyerista a quella di un olfatto onnipotente. Vero Prometeo dell’odore, Grenouille rappresenta in maniera fantasmatica la posizione ambigua e paradossale che occupa ancora oggi la seduzione aromatica: artificiale, giacché per comporre un profumo irresistibile dovrà estrarlo dai corpi appena uccisi di venti fanciulle vergini, la volontà di seduzione farà corto circuito tra il sacro e il profano, l’amore e la morte. “ Nato senza odore nel luogo più puzzolente del mondo”, Grenouille, emarginato come si pretende che oggi sia l’olfatto, desiderando di sedurre e di essere amato, alla fine si cosparge del potente profumo da lui composto e si offre alla folle passione che esso suscita negli altri: un amore cannibalico e letteralmente divorante. Rinunciando alla vita stessa, per non subire lo stress inerente al conflitto tra Eros e pulsione di morte, da questa rappresentato, il seduttore profumato come uno shaid, un martire-killer, crede di affrancarsi in tal modo dai suoi problemi, dalla storia e dalla materia.
La doppia appartenenza della seduzione aromatica all’amore e alla morte ci rimanda all’antica mitologia degli aromi presso i Greci: Adone stesso, il seduttore per eccellenza ( sua madre è Mirra, l’albero della mirra, e una delle sue amanti è Afrodite), morirà ucciso da un cinghiale mandatogli contro, mentre cacciava, da Ares, amante della stessa Afrodite. Morirà impotente in una lattuga infracidita dove cerca di sfuggire al suo rivale, dopo aver condotto una doppia vita tra le sue amanti Afrodite e Persefone. Nell’antichità il culto di Adone era diffuso soprattutto fra le donne, che ne piangevano la morte e ne rimpiangevano la straordinaria bellezza, durante la festa detta delle Adonie.
Il ruolo culturale dell’olfatto costituiva già nell’Antichità greca una impalpabile rete di simboli e di miti . Significativo, per esempio, è anche il mito greco della seduzione aromatica della pantera profumata, riportato dapprima da Aristotele, Teofrasto, Plutarco ed Eliano, ed infine approdato alla simbologia cristiana come metafora della cattura mistica, quella che la parola del Cristo compie invisibilmente sulle anime. Si tratta di un passaggio decisivo, alle origini della civiltà occidentale, in cui i primi miti della seduzione erotica degli odori introducono una differenza tra la funzione positiva e solare degli aromi immarcescibili come l’incenso da restituire agli dèi attraverso il fumo fragrante , e una funzione negativa degli stessi profumi usati a fini erotici e seduttivi. I miti aromatici illustrano una “sfasatura” del desiderio ed evidenziano una mancanza dalla quale l’uomo cosiddetto civilizzato sembra non essersi ancora ripreso. Il nostro rapporto irrisolto con gli odori è di natura soprattutto culturale (…)
Forse – dico a me stesso – sarebbe stato meglio, invece di scrivere Odori , seguire il consiglio del Tao Te Ching, nella traduzione di Castellani: “ In società comportati come se fossi un idiota, questo è il segreto essenziale”. Sono cose fondamentali e c’è un’antitesi tra richieste pulsionali, o anche la curiosità di spingersi sui limiti a fiutare le tracce degli estruvi e ad esaminare i bubboni per amore della verità, e pretese della civiltà. Generalmente, allorché si è messi alle strette tra verità come richiesta pulsionale e civiltà, scegliendo la civiltà è giocoforza cominciare anche a indorare la pillola, a smettere di prendere la parte del bambino cattivo o dell’Orco ( “Ucci ucci sento odor di…”).
Il tabù dell’odore esiste. E in società occorre fingere di essere un cieco dell’odorato, di essere adulto e rigorosamente snasato, e di non aver visto e soprattutto mai sentito niente. “ Mai sciupare una bella storia con la verità”, raccomandava Oscar Wilde. Insomma, benché il naso mobiliti verità tanto attraenti quanto complesse e non sempre gradevoli, il compito della letteratura pare quello di dover presentare un mondo senza puzze e puzzette, ovvero come non è affatto.( …)
Insomma, il presunto declino dell’olfatto e dei bei nasi di una volta sarebbe inversamente proporziato al progredire del processo d’incivilimento. E l’olfatto, ci viene detto, è un senso che forse la nostra specie sta perdendo. Dominique Giorgi del Centro ricerche biochimiche di Montpellier, nell’ambito dello studio del genoma umano, ha scoperto che il 72% dei geni cui si deve la percezione dell’olfatto è "spento". L’1% della popolazione poi non avverte alcun odore e il 50% degli individui non distingue il tipico "profumo di uomo", il muschiato androstenolo. Aiuto, aiuto, insieme al naso, ci hanno rubato anche l’ “ Aura”!
Questa specie di emissione sensoriale dell’olfatto, questa invisibile fragranza “naturale”, portatrice delle vertigini più intime, più misteriose e più indefinibili, non sarebbe ormai più percepibile che da alcuni rari soggetti con un modello sensoriale diverso dalla norma. Impiegando tutte le risorse della retorica per comunicare l’odore della sua ineffabile esperienza, Helen Keller così si esprime:
“ Attorno ad alcune persone fluttua un odore vago ed irreale, che vanifica qualsiasi tentativo di identificarlo. E’ la chimera della mia esperienza olfattiva. Mi capita a volte di incontrare persone che mancano di tale odore individuale, e questi raramente si rivelano delle persone piacevoli e piene di vita. Invece, chi possiede un odore personale marcato spesso è ricco di vitalità, di energia e di perspicacia. […] Le emanazioni maschili sono, di norma, più intense, più vivide, più ampiamente differenziate di quelle delle donne. L’odore degli uomini giovani ha qualcosa di primordiale, come di fuoco, di tempesta e di salsedine. Pulsa di esuberanza e di desiderio. Ricorda cose forti, belle e allegre, e mi riempie di un senso di felicità fisica”.
Vissuta tra il 1880 e il 1968, la Keller, che era cieca e sorda, divenne scrittrice e paladina dei diritti umani, riconosciuta come una delle più grandi donne del pianeta .
Tutto questo non significa diventare militanti o profeti del naso, promuovere una campagna stampa a favore dell’eau de caprone e accodarsi a slogan neo-ecologisti del tipo: “ Ascelle pezzate di tutto il mondo unitevi!”. Errerebbe, quindi, chi leggendo questo libro, crederebbe che io abbia voluto fare un panegirico della puzza. Tale non fu il mio disegno, come non è quello di preconizzare il nuovo manifesto anti-sapone o di promuovere un convegno ambientalista per diffondere la Puzza Mondiale . Io sono di quelli che non applaudono il sindaco di Londra, Ken Livingston, detto Ken il Rosso, quando dice che per risparmiare acqua e nello stesso tempo godere degli effluvi di Madre Natura ( questa specie di Dea verde ) quando si va in bagno non bisogna tirare lo sciacquone.
Ancora un passo e la doccia verrà dichiarata un crimine contro l’umanità. Lo faranno coloro che si proclamano nemici dell’inquinamento e tuttavia continuano a girare in automobile, e, per quanto si richiamino Ken il Rosso, fanno anche loro, ogni tanto, il bidet, sia pure di nascosto. Senza arrivare, per dispetto ecologista, a scrivere un elogio della puzza, bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi avere naso non sembra più necessario. Anche se a scapito della felicità fisica. E probabilmente con conseguenze negative, soprattutto in Europa, sulla riproduzione umana (…). Ah, la triste Europa dell’individuo senza naso.
Le associazioni inconscie tra odori ed emozioni hanno stimolato molti pensatori, anche fuori dai laboratori e dai dipartimenti scientifici. Il saggista e giornalista Gianni De Martino a questo tema ha dedicato un bel libro dall’eloquente titolo Odori. Entrate in contatto con il quinto senso (edizioni Apogeo, in uscita a settembre in seconda edizione). «Nella tradizione della cultura occidentale l’olfatto è stato spesso svalutato spiega De Martino Il pensiero aristotelico, e poi la filosofia della Ragione, hanno privilegiato piuttosto la vista, come senso della distanza prospettica e della teoria, rispetto all’olfatto, più direttamente legato alla dimensione animale dell’essere umano». In questa tradizione non mancano importanti eccezioni. Friedrich Nietzsche, ad esempio, nel mondo primordiale dell’olfatto rivendica la componente dionisiaca della cultura umana e ne Il crepuscolo degli dèi, del 1899, scrive: «Quali magnifici strumenti di osservazione ci offrono i nostri sensi. Il naso, ad esempio, di cui nessun filosofo ha scritto mai con riverenza e gratitudine, è di fatto il più delicato degli strumenti di cui disponiamo».
Secondo Sigmund Freud, invece, il passaggio della specie umana alla posizione eretta ha determinato una trasformazione cruciale: gli stimoli sessuali, da olfattivi, sono diventati visivi e continui, non più legati ai tempi dei cicli biologici della fertilità. E proprio questa "rimozione originaria" suggerisce perché tante patologie psichiatriche si concentrino sulla vita sessuale.
«Con il mio libro, fin dal sottotitolo, ho voluto rivendicare l’importanza dell’olfatto, che oltretutto costituisce una cerniera tra i sensi della distanza, come vista e udito, e i sensi del contatto diretto come il gusto e il tatto aggiunge Gianni De Martino, di cui l’editore Apogeo pubblicherà tra qualche mese un nuovo lavoro dal titolo Viaggi e profumi, alla scoperta dei paesi produttori di piante da profumo ( con un capitolo sui legami tra le culture pre-moderne e le spezie). Ma resta evidente che si tratta di una provocazione: non vorrei che l’umanità tornasse davvero a un’organizzazione basata sugli odori, come succede per molte altre specie animali. Anche tra l’occhio e il naso si tratta, come al solito, di trovare una mediazione equilibrata».
da ‘La nuova ecologia‘ giugno 2006, p. 68-69
Bartolomeo del Bene, "La porta dell’odorato", in Civitas veri sive morum, ( Venezia, 1585) , da :Odori , Editore Apogeo, Milano, 2006
Marcel Duchamp, Porta in legno 11 rue Larrey (1927)
La porta con due stipiti che divideva le tre stanze dell’appartamento parigino di Duchamp(1887-1966 ) è stata esposta alla mostra aperta a Genova fino al 16 luglio al Museo di Villa Croce, insieme a 150 opere del maestro francese. Rassegna curata da Sergio Casoli e da Arturo Schwarzche ha lavorato con lo stesso Duchamp.
“L’atto creativo non è compiuto esclusivamente dall’artista. Lo spettatore porta l’opera a contatto con il mondo esterno decifrandone e interpretandone le caratteristiche interne, e in questo modo apporta il suo contributo all’atto creativo"
Dalla rete
Nel sito Art Minimal & Conceptual Only, uno scritto sull’atto creativo di Duchamp (The creative act, in inglese) e riproduzioni delle opere dell’artista francese.
Dal 23 al 26 agosto 2006 al Centro Polifunzionale di Perinaldo si svolge il convegno Lo sguardo di Dionisosu la visionarietà nelle scienze, nelle arti e nella società.
– www.mexicoart.it – Il sito dell’amico Riccardo Mantovani, “venditore di arte huichol”, presente al convegno SISSCdi Perinaldo.
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CREATIVA MENTE
A Sarzana si svolge il Festival della Mente (1-3 settembre 2006) – il primo festival europeo dedicato ai processi creativi a cura di Raffaele Cardone e Giulia Cogoli
Preso l’omicida di Frammartino: è un militante della Jihad
E’ stato arrestato il palestinese che giovedì 10 agosto a Gerusalemme ha ucciso a coltellate il volontario filopalestinese italiano Angelo Frammartino.
Ashraf Abdel Hanaisha, 24 anni, è stato fermato a Qabatiyah vicino alla città di Jenin, in Cisgiordania. Il giovane ha confessato l’omicidio e come ha spiegato il portavoce della polizia : "Ha raccontato di esser venuto a Gerusalemme per uccidere un ebreo".
«Che si sia trattato di un errore, conferma tutti i ragionamenti che abbiamo fatto in questi giorni, ma aumenta la sofferenza», dice Michelangelo Frammartino, padre di Angelo, ribadendo ancora una volta che suo figlio «è stato vittima della guerra, dell’ingiustizia del mondo, perchè quando si è in una situazione di tensione, prevale l’irrazionalità».
Il povero assassino voleva solo uccidere un ebreo. Ed era solo per questo che si era acquattato da quelle parti, presso la porta di Damasco, dove in genere vengono aggrediti e uccisi specialmente giovani studenti ebrei, vittime designate per il fatto che parlano ebraico o portano la kippà.
Ma questa volta il “militante” si è sbagliato. Il poveretto è solo una vittima delle circostanze. E se ha commesso “un errore” è perché l’ingiustizia del mondo crea tensioni e prevale l’irrazionalità. Non è molto razionale, infatti, che gli ebrei non siano sempre facilmente riconoscibili, tanto da poter somigliare a dei turisti – e viceversa. Questa ingiustizia crea una certa confusione nel povero assassino “in missione” dalle parti della porta di Damasco per "purificare" il mondo dall’ingiustizia, e gli impedisce di sgozzare tranquillamente il proprio ebreo, senza che prevalga la tensione.
Comunque cosa fatta capo ha nella jihad, e il povero Ashraf Abdel Hanaisha non ha mostrato il minimo pentimento. Ad essere ingiusto è infatti il mondo, mica lui. Egli è solo l’ennesima vittima del vittimismo arcobaleno organizzato. Ed è come se in mancanza di un ebreo, anche un turista andasse bene lo stesso.
La colpa resta pur sempre dell’ “ingiustizia del mondo”, che tra l’altro non permette un ordinato e tranquillo dispiegamento dell’odio , della furia omicida di taluni poveri palestinesi e della jihad, determinando così una situazione di tensione e quasi di guerra, in cui – nel corso di una normale e pacifica aggressione all’ebreo – il povero carnefice può anche commettere qualche “errore”, sgozzando il turista scambiato per ebreo, perchè prevale irrazionalità.
The Indoctrination of Palestinian Children to Seek Death for Allah – Shahada.
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In Italia, intanto, gli esponenti di una setta fondamentalista, la cosiddetta Unione delle comunità islamiche in Italia, sequestrano l’islam e – presentandosi aggressivamente come povere vittime – istigano all’odio e all’antisemitismo, usando lo stesso linguaggio affabulatorio e criminale dei terroristi jihadisti *.
Il Ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema a braccetto con il deputato Hezbollah Hussein Haji Hassan, che non riconosce Israele e, legato a Siria e Iran, ne persegue la distruzione in nome di una ideologia nazi-islamica armata.
"Mettendo in conto costi e benefici, il costo di una fotografia che può aver irritato e ferito con il beneficio di un atto di solidarietà al popolo libanese, io credo di aver fatto bene e di aver agito in modo positivo anche interpretando un sentimento positivo diffuso nel nostro Paese". D’Alemasrallah.
TRADUZIONE: “ Questi hezbollah sono dei poveri fanatici un po’ terroristi in lotta contro i ricchi tecnologici, ed è molto costoso e difficile, quasi impossibile disarmare i fanatici. Meglio non farli arrabbiare – come fa Israele quando si rifiuta di lasciar rapire qualche soldato o lasciar morire qualche ebreo sotto i razzi kassam o katiuscia – e pregarli, gentilmente, di non fare ulteriori danni e di non distruggerci, perché noi vogliamo essere lasciati in pace. Grazie, l’elettorato italiano arcobaleno e un po’ coglione capirà”.