Commedie del pensiero, Via Lattea

  COMMEDIE DEL PENSIERO

VIA LATTEA

l”Universo, questa scintillante metafora che ancora per poco ci contiene; e anche, più concretamente, l’oceano, il fuoco e il tuono della vita e della morte.

In realtà noi viandanti saremmo qui, sul pianetino in bilico in un angolo dell’ Universo o Multiverso di profondità ed estensione sconosciute…in continua espansione e mutazione fra gas, ori & vapori…

The center of our Milky Way galaxy, as seen in the infrared using the Keck Laser Guide Star (left panel) and the Keck Natural Guide Star (right). The white cross marks the location of the supermassive black hole. ( dal sito http://www.astro.ucla.edu/~jlu/gc/ )

 Ma quando mai abbiamo aperto quella porta per ritrovarci polvere, sia pure polvere di stelle, nel rimbombo del tuono della vita e della morte.

Sveglia, sveglia! dice la Ragione – che in questi ultimi due secoli ci ha permesso di disporre di vasti beni materiali e di qualche conoscenza, ma la cui veglia ha anche prodotto qualche mostro ( i campi di sterminio, due guerre mondiali di cui una finita con l’atomica; e oggi ricerche nucleari in Iran, test atomici in Nord Corea, il suicidio demografico dell’Europa, le nuove ambizioni e le crudeli esazioni dell’islam militante, l’avvento dell’epoca dello squilibrio del terrore ) .

Quaggiù, la polvere roteante della modernità, ovvero del ciclone e della più grande mutazione dopo quella del Neolitico; lassù , nel cielo ampio e profondo, dai nuclei attivi delle galassie l’intensa gioia e l’agonia della materia che cade in qualche buco nero ipermassiccio. Nello stesso tempo, nel ribollire di gas ori & vapori, nuove stelle nascono a ritmo frenetico…

Cosmologia gioiosa? Piuttosto, con Kafka, la sensazione di “un continuo mal di mare in terra ferma”.

Una tale superstruttura, l’Universo o Multiverso, conterrebbe un numero infinito di mondi, diversi tra loro per le costanti fisiche, per le forze agenti e per le dimensioni dello spazio. Alcuni di questi mondi sarebbero talmente "gracili" da non svilupparsi neppure; altri, come il nostro, sarebbero capaci addirittura di ospitare una pellicola di vita, un po’ d’intelligenza affiorante tra l’innumerevole esistere, qualche mostro e l’anelito alla trascendenza.

A cosa serve, infatti, sporgersi sulla Via Lattea senza la consapevolezza di essere altro dall’ Universo?

Così, forse altro dal centro incandescente della Bolla o Multibolla ci sarebbe una qualche un’intelligenza sveglia e un cuore caldo e compassionevole. Ma chi tra culla e bara – ovvero tra due pulsioni – può giurare: questo è il centro, e quella è la periferia?

Se non giungere alla dorata rosa centrale o all’autore dell’ Intelligent Design , a noi ciechi dell’odorato non resta che contemplare il mistero del Forno. E credere di poter ardere senza bruciare. Chi ti dirà cos’è il mistero del Forno? Il “gran mar dell’essere” ? ( Dante); un naufragare “dolce” ? ( Leopardi); L’infinito? Va’ citrullo ! Per non dire della deriva degli universi, del post-moderno, del post-mortem e del post-tutto. La dèrive, questa idiozia!

LA RAGIONE CHE CERCA

Ma crediamo davvero di essere venuti da soli al mondo e che non ci sia e non possa esserci una stella ad andarci innanzi e qualcuno che ci conduca per la manina ?

"Credo che ciò che caratterizza la modernità sia il risentimento per tutta la realtà come dato, per tutto ciò che si presenta come dato. E che non ci sia salvezza per noi tutti se non nell’abbandono di questo risentimento, ovvero nel ritorno alla gratitudine. Ma questa è una disposizione d’animo che ci risulta particolarmente difficile, da quando viviamo in un mondo senza Dio. Cioè davanti a un dato senza il Donatore." ( Alain Finkielkraut , citato da il Sorvegliato Speciale che saluto con un cenno della manina, tra due stelle… una vertigine di stelle che questa santa notte dell’adorazione dei Magi brillano chiare, quasi frenetiche…).

Gratitudine verso “chi” ? I sensi saltano nei pensieri , e i pensieri saltano nella “ragione che cerca”. Avete qualcosa per illuminarci? Qui anche le idee più chiare brillano su sfondo oscuro. E in un secolino che appena nato già tramonta tra la violenza e la brutalità, così com’è cominciato, le domande e le risposte assomigliano sempre più a una specie di oblìo fondamentale.

LA LETTERA RUBATA

Quante volte, chiudendo un libro di storia ( l’ultimo che ho letto è un libro sulla deforestazione dell’isola di Pasqua, che portò al crollo di quella civiltà) siamo portati a dire: “ Ma com’è possibile che gli uomini siano stati così ciechi per lungo tempo di fronte all’esistenza di ciò che sembrava il simbolo dell’evidenza stessa?”. E’ come la storia della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, ripresa da Lacan, la storia di una lettera compromettente messa in evidenza su un tavolo davanti agli investigatori affinché non la vedessero, pensando che una lettera così importante dovesse trovarsi ben nascosta da qualche altra parte. Vecchia storia, già presente nel pensiero di nonno Aristotele allorché scriveva:

Come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro, sono le più evidenti di tutte” ( Aristotele, Metafisica, 993h, Rusconi, Milano, 1993, p. 72).

IL MESSAGGIO DELLA NOTTOLA

Io, sorelle e fratelli non-vedenti, sono molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose ed ho persino aperto un blog aporetico dal titolo “Osservatorio sulla scrittura, la letteratura e l’inumano”. Quante cose ci sfuggono! Specialmente in materia di storia naturale. Per esempio non solo non mi accorgo del sorriso del figlio che nasce e della smorfia del vecchio padre che muore, ma non so neanche quando figliano le camozze. Proprio come accadeva a Giobbe, un nostro antenato che dal fondo del letamaio aveva più di un motivo per essere risentito, ma non lo era, non troppo.

E’ una figura molto nota nella Bibbia e della tradizione cristiana come esempio di santità e di pazienza. Capita che nonno Giobbe – uomo "retto, timorato di Dio e alieno dal male" – improvvisamente venga colpito da una lunga serie di disgrazie che lo privano in breve tempo di ogni suo avere, della salute e perfino dei figli. Non si spazientisce, ma fa osservare a Dio quell’assurdità e chiede perché Dio permette che accadano cose del genere… Con il culo a terra – per la verità la Scrittura dice: gettandosi "sulla polvere e sulla cenere" (42, 6) – Giobbe finalmente può udire Dio. ( Cosa che a noi moderni non potrebbe mai accadere, dal momento che più nessuno, oggi – a meno di non essere un pastorello, un contemporaneo dei re magi o un eretico musulmano – ha il coraggio di inchinarsi fino a terra).

Enigmatiche, pur nella loro lapidaria semplicità, e forse ironiche, le parole che Giobbe ode dal fondo della sua angoscia.

Sporgendosi dal bordo del letamaio, san Giobbe, un povero cristo sofferente, presta orecchio all’infinita e imperscrutabile sapienza di Lui, ovvero all’inaudito:

Sai tu quando figliano le camozze

e assisti al parto delle cerve ?

Conti tu i mesi della loro gravidanza

e sai tu quando devono figliare?

Si curvano e depongono i figli,

metton fine alle loro doglie.

Robusti sono i loro figli

( Giobbe, XXXIX, 1- 4)

Certo che Jahvé, Dio originario dei nostri fratelli maggiori ebrei, “colui che sarà presente dove e quando lo vorrà e rimarrà assente dove e quando lo vorrà,” sembra moralmente inferiore all’uomo-Giobbe. E anche un po’ diverso, nella sua arbitraria indifferenza al dolore di Giobbe, dal Dio dei cristiani, ovvero dalla gloria del Creatore dell’universo nascosta nella povertà di un inerme Bambino avvolto in fasce e deposto in una greppia. Nella sua onnipotenza e assoluta trascendenza – nota Jung in Risposta a Giobbe – a Jahvé non importa nulla della sofferenza umana”. E così vediamo Giobbe impegnato, con pazienza, nel rivelare a Dio l’incoerenza rispetto al suo dover essere Verità e Giustizia. Vediamo Giobbe impegnato nella sua battaglia con l’Insondabile.

Un “insondabile” che è il lato ombra della divinità e la nostra opacità verso il lato oscuro in noi stessi, ovvero l’indifferenza, onnipresente nella nostra cultura, alle sofferenze che ci circondano. Un vero e proprio peccato di omissione, ma anche di eccesso di zelo, eccetera.

Ad ogni modo – forse perché dimentiche di Giobbe e della pazienza di Giobbe nel doversi accollare e sorbire, in quelle condizioni, pure la storia delle camozze – oggi sempre più numerose persone reagiscono ad ogni minima avversità come mucchietti di spazzatura piagnucolante: “Perché la vita è imputridita? Chi ha imputridito persino l’idea di vita? ”. Una sordità risentita e una cecità ampia e articolata, il dito della nottola sempre puntato unilateralmente verso il “colpevole” di turno, danno l’impressione, o piuttosto la concreta percezione che qualcosa dev’essere andato storto nell’Universo o Multiverso.

LA SOLITUDINE DELLA VITA

A poco a poco – scrive Dino Buzzati ne Il deserto dei tartari – la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita”.

Solitudine. Come se non sapessimo tutti cosa questa parola significa. Ma a nessuno basta morire da lontano, forse nemmeno a un Dio. E’ come quando quel povero sul letto di morte dice a madre Teresa: “ Come soffro !”. E la buona madre fa: “ E’ la carezza di Gesù!”. E il povero: “ Non potrebbe dirgli di non carezzarmi più ?”. Mah ! Pare che per esercitarsi al suo più alto grado la carità abbia bisogno dei lebbrosi di Calcutta…

D’altra parte, oltre a somministrarle un analgesico, cos’altro poteva dire una povera suora alla carne prudente, impaurita e che muore? E’ difficile, quasi impossibile ( malgrado gli accomodamenti di superficie) dare un significato o un senso alla solitudine, alla vecchiaia, alla malattia o alla morte.

Specialmente alla morte, questo “modesto ruscello a lungo calunniato”, davanti al quale anche l’uomo più intelligente e lampadato è come un povero scemo. Ma che se morte condivisa con un Dio crocifisso-risorto acquista un qualche significato, apre a un orizzonte ulteriore, predispone a una nuova libertà : quella di essere liberi non solo per la morte, come decisamente voleva Heiddeger, ma anche essere liberi per l’aldilà della morte. E nel frattempo vivere e far vivere.

Non bisogna aver paura, occorre essere intrepidi. Eppure l’elenco delle ricadute nelle disperazioni, anche “di massa”, sembra infinito. I poveri in spirito, per esempio, non sembrano più in grado di raggiungere, senza fretta, il regno dei cieli. Questi sembra ormai diventato il pascolo dei violenti, degli impazienti e dei semplicioni che vorrebbero risparmiarsi ogni lavoro e la fatica della vita, e non vedono l’ora di godere subito in paradiso: a corto circuito, annullando i dubbi e le tensioni con un po’ o molta polverina, oppure esplodendo direttamente nella gnocca delle urì.

IL PARADISO DEI SEMPLICIONI

Credevamo che questo secolo fosse ormai stufo del paradiso, e che si sarebbe accontentato di un po’ di conoscenza, invece è proprio il desiderio del paradiso che ritorna, causando non pochi inferni sulla terra… Certo, in nome di un Dio arcaico e celibe che che non è il padre, ma un Onnipotente murato in una solitudine perenne e però proprietario di numerosi paradisi aperti come ricompensa ai suoi devoti, si possono chiedere agli uomini dei sacrifici, anche umani. Lo facevano gli adoratori del dio Moloch e , su larga scala, gli Aztechi, i nazisti ante-litteram della Mesoamerica. Ma occorre anche, se non li si disprezza, avvertire gli uomini che il sacrificio non comporta l’odio per la vita e l’assassinio dei vicini, e che ogni sacrificio è rischio; e, per chi lo mette in opera, senza compenso. Specialmente se è un brutto sacrificio, un’ “operazione martirio” o shahada nella quale non c’è il paradiso ma il cattivo godimento del terrore nell’aldiqua e nell’aldilà, cioè l’inferno.

Manipolando il semplicione “nel nome di Al-lah” e condizionandolo con un entusiasmante, confuso e oscuro vocabolario religioso, la bestialità dell’islam politico ha “montato” un corto circuito tra vita e morte, e nel punto intenso e feroce in cui la vita va al di là ha semplificato il transito all’uomo-bomba – scelto, nella maggior parte dei casi, fra i più idioti tra i “fratelli” semplicioni.

GLI ADORATORI DEL CUBO

D’altra parte, fra i poveri in spirito e il regno dei cieli noi abbiamo invece costruito con tanta ingegnosità ogni sorta di baluardo possibile: sociologismo e materialismo dialettico, linguistica, storicismo, sindacalismo, guardiani dei bisogni della “gente”, psicologhe diplomate, preti con la chitarra, sacerdoti col sombrero arcobaleno, frati con la kefiah, eccetera. Tutto questo è stato messo in opera dagli adoratori del cubo per proibire ai poveri in spirito ogni sguardo e ogni significato aldilà.

Accade specialmente all’Europa evoluta, ma ricaduta al di qua come troppo vecchia e fragile per portare i suoi balconi, le grandi e belle cattedrali, i suoi roveti ardenti e il suo peso aldilà. Accade a un’ Europa non solo vecchia e fragile, cinica, satolla, infingarda, eticamente impigrita ed annoiata, ma anche diventata – come per improvvisa amnesia – una terra di negretti con la kefiah, di indios col machete e di semplicioni quasi islamizzati che giganteggiano in una loro fede nell’Uno, pur restando piuttosto nani nel lavoro della vita, nella speranza e nella carità.

Quando il Semplicione pretende il paradiso e salta su è molto difficile arrestarlo… Sarà molto difficile, quasi impossibile, non dico cristianizzare un’Europa del genere, ma trovarvi ancora qualche esemplare autentico di povero in spirito, in luogo del semplicione abituato al tutto e subito, un razziatore avviatosi ormai a diventare maggioranza. Da una parte una maggioranza di distruttori inveterati, e dall’altra i sognatori della pace perpetua kantiana, su un pianeta che si restringe come un blue jeans o un caftano troppe volte rilavato…

Sono miriadi, miliardi di giovani lunatici verdeggianti, a un tempo esaltanti e oppressivi… Eccoli che arrivano: sbarcando, brancolando, aggredendo, esplodendo, ricordandoci il fetore delle loro e delle nostre storie marciano, ancora una volta, alla luce del grande sole mentitore dell’Europa… una vera afflizione, si credono tutti innocenti, destinati al paradiso perché servi di un Onnipotente che non può essere moderato da alcunché, che Dio ci assista tutti.

LE DISPERAZIONI

Ma gli afflitti, sono stati forse consolati? Continuano a morire, come mosche, davanti alle porte e ai portoni chiusi. Anche per ferie. Magari le ferie di Natale.

Il fatto è che specialmente durante le feste anche il nonno ingombra, e forte è la tendenza ad ottimizzare i nuovi bisogni della gente, come per esempio il bisogno di fare la festa non solo all’embrione ma anche a nonno Giobbe, offrendogli in regalo – con in testa un berretto da Babbo Natale – una buona eutanasia. ( A proposito di nonno Giobbe. Se fossi un ebreo mi fiderei poco di alcuni cristiani cristianisti e , ahimè, di taluni francescani cinguettanti… ). Per non dire del neonato figlio, che per i sopraggiunti bisogni della donna o le incombenti ferie e le meravigliose crociere di sogno immaginarie che ci attendono dopo lo Tsunami, si pensa opportunamente di scambiare con il cane infiocchettato giù in garage.

Né sembrano sazi, se non beati, coloro che continuano a entrare e a uscire dai tribunali dopo essersi accannati e scannati in corso di divorzio per dividersi un frullaculo, con sempre maggior fame e sete di giustizia.

E i misericordiosi, trovano forse misericordia? Non pochi misericordiosi ed operatori di pace in Medioriente, nel Sudest asiatico e in Africa vengono rapiti e sgozzati in mondovisione, all’ora di cena; e in Cina, con maggior discrezione, eliminati con un colpo al silenziatore. Senza misericordia, purché il commercio non ne soffra.

Credevo, un tempo, di appartenere all’ultima generazione civilizzata del pianeta – un Pianeta fresco, appunto, non frescone – e che noi avremmo messo fine alle guerre, all’ingiustizia e alla miseria. Chissà chi ci aveva messo in testa quelle strane idee, forse Topolino, Fernanda Pivano,Mondo Beat.

Quanto alla purezza di cuore, altro che vedere Dio! Siamo riusciti a discreditare non solo le virtù ma persino i vizi. Da quando nei vizi non viene percepito più alcun dramma e quindi neanche, in qualche modo, la presenza della verità, le perversioni ( oggi ridotte a poche “parafilie” sindacalizzate ) sono spettacoli domenicali a cui assistere in famiglia, ma sul mercato se ne trovano anche in formato ottimale per i sempre più numerosi single.

Insomma, sembra che ci sia ben poco di cui esultare, essere grati o rallegrarsi. Si rallegri chi può. Proprio come sempre. Gratitudine verso “chi” ? Le apparenze di questo mondo sono talvolta disperanti.

E’ come “un continuo mal di mare in terra ferma…” ( Kafka).

E ancora: Tempo e Spazio sono forse una risposta?

Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. Scioglili, se puoi, e torna salvo alla riva” ( Dostojevskji) .

CANNE PENSANTI

E’ dunque qui , tra “ le stelle di Dio e gli abissi dell’Accusatore”, che oscillano le “canne pensanti” ; e i viandanti – ancorché citazionisti non più capaci di devozione, di gratitudine, di abbandono e di trasfigurazione o di samadhi – restano nondimeno piegati da lontano ai gomiti e ai ginocchi come tanti evanescenti punti di domanda: ???

Avendo rinunciato al presepe e a una cosiddetta “illusione” religiosa, eccoci ora servi di un “misto” d’illusioni. Diventati europei erranti e disponibili, sempre in partenza “un attimino”, siamo disposti a tendere la mano e a prendere da tutte le mangiatoie d’oriente e d’occidente.

A tale proposito, occorrerebbe ricordarsi di Nietzsche, che non è un mio maestro ma il pensatore moderno del deserto. La mangiatoia nicciana, ovvero il luogo da cui attingere una qualche vitamina per nutrire la “ragione che cerca”, si trova in direzione di ciò che oggi capita nel cristianesimo e soprattutto nell’Islam tradizionale decomposto e ricomposto ad uso dei semplicioni nei termini del teo-nazi-islam, anche scientista, che oggi occupa e insaguina la scena:

Oggi sappiamo che la distruzione di un’illusione non crea subito una verità, ma un nuovo frammento d’ignoranza, un’espansione del nostro ‘spazio vuoto’ , una crescita del nostro deserto.”

E’ in tale ‘spazio vuoto” che avendo rinunciato ai dèmoni del Novecento, non pochi della mia generazione hanno poi cominciato a riempire il buco e il vuoto come fresca traccia, e ad affliggere il mondo chi con la venerazione di un Rasullah d’importazione e chi con la credenza in una pletora di Angeli new age. Per non dire di quelli che, puntualmente, si sono innamorati dell’uomo sbagliato: di Mao, Che Guevara, Arafat, Khomeini, e oggi addirittura di sceicco Nasrallah – il leader di Hezbollah il “Partito di Dio” o più probabilmente del Diavolo.

In realtà ( che terribile espressione!) eccoci chi più e chi meno nella Nebulosa, se non proprio sull’orlo del cratere, della fossa o della “tomba vuota”. Oltre i tarocchi, la fantascienza, gli oroscopi e la cristalloterapia, a sporgerci sulla Via Lattea e a tendere le mani verso l’inafferrabile…in un giro senza fine di travestimenti multipli.

Di notte noi danziamo in tondo e

Siamo divorati dal fuoco.

Ci svegliamo sbigottiti e cerchiamo

A tentoni la vita.

Bene, se avete qualcosa per illuminarci…

Avevo creduto – dice l’Accusatore – di poter ardere senza bruciare”.

Sembrava impossibile. Ma ecco ancora le campane, le sirene, il rauco appello del muezzin e le ambulanze – fra l’andirivieni dei guardiani dei bisogni, l’esagitato gestire dei moralisti diplomati e l’abbaiare dei cani del quartiere . Proprio come sempre. Le apparenze di questo mondo sono, ancora una volta, disperanti.

Ma proprio qui dove il pensiero fabbrica abissi, un “cuore” semplicemente li scavalca !

NON CORRERE DOVE PORTA IL CUORE

Il dolore comune alla propria e all’altrui vita è al sorgere dell’autocoscienza e della formazione – tra dolore e sapere – di un autentico soggetto umano, per non dire civilizzato. Ma poi dicono “speranza” in gergo canagliesco, perché spesso la celebre speranza si dà come una forma di cinismo tipicamente cristiana, medio-cristiana; ed è tenace, questa speranza, come le erbacce dei cimiteri…

Quello che chiamano “speranza” spesso non è che una mezza-speranza. D’altra parte, perché chiamarla “erbaccia” solo perché forse non se ne conoscono ancora le virtù ? Cosa che non significa riporre la propria fede nella fitoterapia.

Quanto alla carità, non sempre è così pelosa.

Chi non vorrebbe essere accolto come vuole il cuore ? Tuttavia non correre dove porta il cuore. Non a rottadicollo, perlomeno… si potrebbe fare una fine balorda comunque, e anche finire all’ospedale:

" Una cosa è certa, non ha un bell’aspetto".

" Un lurido casino".

" Be’, lo ricucia, infermiera, è inoperabile".

" Le pinze, infermiera, sta sanguinando come un porco".

"Prepari il paziente per un’iniezione al cuore".

" Pago da bere a tutti se non muore sul tavolo".

Speriamo di no, che non mi crepi qui proprio durante le ferie… consideratemi in vacanza, dovrei andare ‘un attimino’ alle Seichelles… ”. ( W. Burroughs, Terre occidentali, con qualche variante o cut up).

Se mai c’è stata una crisi, meglio credere che essa è superata. La vita è bella, lo dice Benigni, i pericoli sono remoti, la sicurezza, perlomeno per quanto ci riguarda da vicino, sembra essere adeguata … La realtà può essere trattata come se fosse un sogno, talvolta un incubo, nient’altro che un brutto sogno, il sonno è invitante.

E’ solo il risveglio che comporta qualche problema, allora si fanno i dibattiti, perché esistono solo i dibattiti, non i problemi.

Avete qualcosa per illuminarci? Qui in corsia, dove ogni luce è spenta, eccetto qualche azzurrognolo lumicino “laggiù”, non c’è nessuna cima su cui piantare una tua sporca bandierina… Anche perché la verità, così come anche il famoso arcobaleno, è nel cuore, ma non del cuore.

GLI EQUIVOCI DELL’ “INTERIORITA’”

Ma cosa vuole questa aurora, e quell’altra detta notte…Giostre finalmente scavalcate, per vette o baratri ritornavi a te stesso.

E senza correre, non troppo, rileggevi Sant’Agostino, sulla traccia della celeberrima formula: “ noli foras ire , in teipsum redi; in interiore homini habitat veritas…”.

Ma la “creatività” – come si dice con termine banale, se non banalizzato – spesso non è che patologia. L’interiorità, che oggi chiamiamo coscienza o che diciamo, per tranqullità, l’Inconscio, più che affiorare come qualcosa di rizomatico e desiderante, spesso è una zona opaca, addirittura meschina e polipesca. Vi staziona come un rifiuto dell’autorità, un voler negare all’altro ogni sapere sul bene, ovvero una forma d’odio tipica dei nostri tempi.

La ragione, dunque, non crea nulla. E l’interiorità, che è solo il luogo del possibile affiorare di una verità che non si dà mai d’un sol blocco, ma per prove, errori, verifiche e il lavoro della notte, non coincide con essa.

Occorre che qualcosa o qualcuno, dal di fuori o come alla radice stessa della ragione che cerca, la illumini.

UNA VAGA INQUIETUDINE

Insomma, non credo di avere il diritto di dire che tutto questo è senza speranza, e che finiremo tutti nel solito mare di pus gas ori & vapori. Allora perché in tutti , o quasi tutti, prima o poi affiora, persino in sogno, una stella: una cosa ardente e come proveniente da molto lontano, che bisogna dire, assolutamente dire, un attimo prima della morte; oppure dimenticare, lasciar seccare al sole, ai raggi del sole mentitore, insieme a tutte quelle lacrime sparse, senza che nessuno vedesse o udisse, sul cuscino della più oscura delle notti ?

Forse più che vero e proprio risentimento o mancanza di gratitudine è solo una vaga inquietudine, una leggera e piuttosto soggettiva curvatura di psiche – dovuta anche al fatto che ormai l’immagine del mondo ci è offerta dai piagnoni, i croquemorts e i terroristi, i nuovi profeti di sventura.

Di questi tempi troppa gente va in giro a vendere paura: paura dell’aria inquinata e dei miasmi che da ogni parte ci compenetrano, paura per la morte nelle strade e nel metro per attacchi terroristici, paura per le tante minacce ubuquitarie e diffuse: minacce politiche, economiche, ecologiche, fondamentaliste, atomiche. Per non dire della paura dei nuovi virus dal nome sibilante come l’Aids che avvelenano i piaceri del sesso e dell’amore; o di quelli influenzali, detti virus dell’influenza aviaria: minuscoli killer che volano da oriente verso occidente sulle alli delle oche. E ci vendono la paura dei pidocchi nelle scuole e delle zecche nei treni, la paura del grasso, dello sporco, dell’unto che dà a ogni cosa l’aspetto di vecchio ascensore regredito.

I venditori di paura vogliono indurci a chiedere scusa? Anche. Ma soprattutto vogliono che compriamo la spruzzatina di qualche ultimo ritrovato della tecnica per rimediare all’odore di tante cose andate a male. Ma il corpo, il caro corpo, è un orologio che non si può aggiustare.

Tuttavia non è la religione a instillare nell’uomo il celebre “senso di colpa”. Questo esisteva da ben prima che ci fossero le religioni , ed era l’anima ferita dall’amore e dal dolore per tutte le cose che nascono, muiono e banalmente si consumano.

Il mercato ci renderà tutti innocenti? Eppure quante cose putrefatte, splendidamente decomposte, circonfuse da quel loro tipico sex-appeal spettrale, ovvero il celeberrimo alone arcobaleno !

Se oggi l’immagine del mondo è offerta dai terroristi, allora scrivere serve a ben poco. Non ditemi, come Benigni, che la poesia è una via d’uscita.

Ne’ potrebbe esserlo l’innocenza, dal momento che essa è ancora più antica e criminale della colpa.

GRANDISSIMI VENTI

Tutto ciò , ovvero una storia di piccole ferite, anche narcisistiche, volendo, e del loro accumulo che si trasforma in un turbine imprevedibile e feroce, stringe il cuore. E vi apre qualche buco, un buchino dal quale – con l’andar del tempo e la perdita del senso dell’immunità fisica, della salute a tutta prova e della speranza di poter vivere e far vivere in un mondo di tranquillità mentale e fisica – potrebbe anche cominciare a soffiare un qualche vento terribile, sentimentale, capace di spezzare aghi d’acciaio. E di saltare tempo, spazio e continenti, portando una predica, per esempio, del beato Giovanni Dominici venuto direttamente dal Quattrocento:

Va o uomo d’altura, quando vaneggi nella mente tua, e considera la viltà della sepoltura. Va garzone, giovane altiero e senza freno, quando t’allegri co’ compagni, e vai in briga sanza temperanza, seguitando i voleri: e poni mente ai sepolcri pieni di bruttura e puzzolente lordura. Va, donna svaliata e leggiadra, quando ti diletti d’essere guatata e giovati di essere pregiata e tenuta bella: sguarda nelle fosse de’ cimiteri le carni verminose e fracide (…). Andiamo tutti quanti a vedere, se mai fu pelle verminosa di can fracido e gittato nelle fosse: se si sentì si fastidioso puzzo di carogna…”. (Dominici G. Beato: Regola del governo di cura familiare. Pref. di P. Bargellini. Firenze, Lib.editrice Fiorentina, 1927; G. Dominici, Regola del governo di cura famigliare, Ed. D. Salve, Firenze 1860; cit.da Storia d’Italia vol. 2, Einaudi/Il Sole 24 Ore, Milano 2005 , p. 846).

Puzzo di carogna” ? Esistono non poche brutte parole che occorrebbe togliere dal nostro vocabolario, parole che rischiano di farci sentire tutti stupidi, brutti e depressi come quando s’indossa un vecchio cappotto. Tuttavia non sono le parole a sollevare il turbine e a fare la guerra, ma la Morte. E la traccia di un tale vento terribile, sentimentale, nato da un egoismo spietato e privo di freni , la ritrovo in alcuni versi di S. J. Perse, li avete sotto gli occhi:

Erano grandissimi venti su ogni faccia di questo mondo.

Grandissimi venti in allegria per il mondo senza direzione e senza dimora.

Senza freni e senza misura , e che ci lasciavano uomini di paglia.

Nell’anno di paglia, sulla loro scia… Ah, si! Grandissimi venti sul volto di ogni vivente…

( S.J. Perse, “Venti”, citato da G. Charpak – R. Omnès, in Siate saggi, diventate profeti, Codice edizione, Torino, 2004, p. 20. – Grazie all’amico Arch. Amedeo Strada per la puntuale segnalazione).

 

UNA “DISPERAZIONE DI MASSA”

Certi venti possono giungere da luoghi imprevisti. Di questi tempi possono anche somigliare a un inno jihadista cantato con il cuore ( anche il cuore di qualche “nemico”) in mano. Certi venti possono sembrare una canzone araba di Oum Kaltoum oppure di Farid Alatrache, il Gino Latilla egiziano… Sembrano venti del deserto…

Mentre il nostro vento occidentale è quello che si rallegra del nulla che nullifica, la declinazione del vento arabo è nostalgico, pieno, traboccante di fede e piuttosto regressivo. Non si tratta tanto del vento di una religione nel senso latino del termine ( religio), quanto di ciò che si dice islam din, ovvero letteralmente “debito” (din). Tale debito di sottomissione, oggi presentato al mondo con crudeli esazioni, sarebbe stato contratto fin dalla pre-eternità con il “Proprietario dei mondi”, esattore di una sottomissione infinita. Non ci sarebbe, dice il vento dell’islam din , alcun rapporto di reciprocità fra l’Essere e la creatura umana, ma l’abisso delle proprietà.

Qui la riconoscenza verso l’azione del Creatore nel tempo e il timor di Dio si tingono della paura arcaica verso il Signore, al quale le creature sarebbero legate unicamente da un debito solo perché è il più grande e il più forte. Come si dice in arabo ? “ Bacia la mano che non puoi mordere”.

A queste condizioni islamiche la creatura umana non è che un povero orfanello, l’ombra debitrice del Creatore. E il mondo è un luogo che non suscita interesse, curiosità, meraviglia, e non richiede neanche lavoro e amore per il lavoro ben fatto, perché tanto, tutto viene dal Creditore quando vuole e dove vuole insciallah in un mondo votato alla distruzione, luogo di passaggio, “cavalcatura per l’aldilà”, come dicono gli Arabi.

Per diventare autentici soggetti umani occorrerebbe un dio che riconosca la sconfitta ed abbia il coraggio di riprendere se stesso e di essere tenero; un dio formulato in modo nuovo, che pur non abolendo la vecchia Legge, introduca nella storia la novità dello spirito ed apra a un reale più largo per tutti.

Chi non ha un debito verso gli altri e verso l’Altro ? “ Non abbiate altro debito che amarvi scambievolmente  ( Rom. 13, 8). “Chiunque ricorda il proprio debito e l’esortazione dell’Apostolo – osserva sant’Agostino ne I discorsi – deve costringersi a restituire. In verità, per quanto sia grande lo spavento che incombe sui debitori per il timore degli esattori, moltissimo di più esige la carità, che libera la riscossione dal peso del timore e impone quello più grande della modestia.”

Nell’ottica cristiana, il destino umano è partecipare alla vita di Dio. Per i cristiani la via non è solo una Legge, ma una Persona che indica la via dell’amore. Credo che questo sia, perlomeno storicamente, il nostro Dio – quello che sarebbe morto il secolo scorso, quando invece muore ( e risorge) ad ogni istante. Solo un Dio vivo sarebbe capace non solo di contraddirsi ma anche di diventare uomo. Non a caso è proprio una tale riuscita e il superamento della paura arcaica della terribilità della vita e del divino che è nella caducità e nella fragile gioia della vita, a provocare il risentimento dei maomettani, come se il timor di Dio temperato da una maggiore fiducia nell’uomo e nel divino fosse non il frutto del lavoro di generazioni ma la biasimevole vanità per cui gli occidentali credono di contare maggiormente davanti a Dio che osano chiamare Padre ( abba).

L’intera spiritualità dell’islam si basa invece sulla separazione radicale fra l’Uno che è l’Essere ingenerato, saturo, radicalmente altro da tutto, e le creature fissurate, ombre piegate ai gomiti e ai ginocchi, alle quali è richiesta la sottomissione alla Legge e il pagamento del debito di adorazione del Creatore in cambio della ricompensa nell’Aldilà. In questo, assomiglia un po’ a certe correnti eretiche del cristianesimo dei primi secoli, per le quali il Verbo è creato non generato.

Insomma nell’islam, così come nel nichilismo post-moderno, non esiste alcuna teologia della sconfitta né della redenzione dell’uomo e del creato. Direi che gigantesco nella fede nell’Uno, l’islam – alieno dalle pluridealizzazioni plastiche, oltre che dalla speranza e dalla carità – sia la ricaduta in un vero e proprio deserto genealogico. Ovvero la ricaduta dalla generazione alla creazione, dal rapporto al comando, dal Dio padre al Dio padrone. La ricaduta, se non in altri termini la regressione, della vita psichica come dialogo alla vita psichica soggetta al dominio arbitrario del più forte. Come se il tempo, uscendo fuori dai cardini, avesse spazzato via secoli di ellenismo e di teologia ebraica e cristiana, insieme alla “teologia laica” dei Cartesio, Spinoza, Leibniz, Hobbes, Newton, Vico e tanti altri – che hanno riconosciuto all’uomo il compito di “trasformare dio” ( Jung) e prodotto niente di meno che la scienza moderna, se non la modernità.

Cos’è dunque l’islam? Sul piano dello sviluppo storico, per Hegel era una formidabile macchina da guerra, che doveva la celerità con la quale divenne “un impero universale”( frapponendosi peraltro anche con la spada fra l’occidente e l’oriente, ed impedendo un loro ricongiungimento ) “all’elevato grado di astrazione del suo principio”. Nel suo libro I sette pilastri della saggezza, Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia , qualificò la regione in cui sono nati il Corano e l’Islam come “ una ghiacciaia spirituale dove si conserva in eterno, pura da ogni contatto ma anche da ogni miglioramento, l’Idea dell’unità divina”.

Un’Idea dai tratti astratti e spesso violenti, se non crudeli, dal momento che l’islam militante vuole applicare pragmaticamente tale Idea all’universo mondo. La crudeltà, osservava Artaud, consiste nell’applicazione pratica di un’Idea. Per sempre più numerosi fedeli fissi e contratti, per moltitudini semi-acculturate fra le quali non ci sono solo poveri e marginali fra gli estremisti, ma anche semi-letterati, medici, ingegneri, manager confrontati, senza ponti ermeneutici e culturali, con il vento dissolvitore ma anche innovatore e liberatore della modernità, credere in un Dio “ padrone dei mondi”, cioè in una specie di Saddam Hussein cosmico, potrebbe essere molto più semplice che meditare sul concetto di trinità ed accogliere il rinfrescante e dialettico mistero della Trinità, luminoso dialogo d’amore fra tre Persone.

LA BAMBINA ICONOCLASTA

Nel rifiuto della complessità, considerata dall’islam una forma di politeismo, si annida, ancora una volta, la tirannia e la pretesa di acquisire la modernità “chiavi in mano”. Mancano infatti i ponti, ermeneutici e più generalmente culturali, per attraversare il tempo della mutazione accellerata introdotta dal grande vento dissolvitore della modernità.

Niente di più alieno dalla credenza, dalla dottrina e dalla mentalità musulmane di un Dio trinitario, cioè di una comunità d’amore e non un Ente dai tratti astratti e violenti fuso in un sol blocco e come murato in una solitudine perenne , un narcisismo quasi psicotico. Niente di più estraneo di un Dio che non solo invece è diventato uomo, ma che possa anche, nonostante la sua onnipotenza, far figura addirittura di “ cadaverino”, come polemicamente ha rimproverato qualche musulmano, un converso italiano, chiedendo che i crocifissi venissero tolti dalle scuole italiane per non turbare la bambina neo-musulmana.

Bambina iconoclasta peraltro già schifata dalla presenza di altri bambini non-musulmani che osano fare il presepe “con le figurine” o mangiare pane e mortadella in sua presenza. Il maiale, così come anche il vino e, in una certa misura il non-musulmano, sono haram, “impuri”. Per non dire dei turbamenti provocati in quegli innocenti dalla “democrazia che vorrebbe governare al posto di Al-lah”, come dice lo zio barbuto, formato nella sua mentalità e reclamando scuole separate per evitare alla “migliore delle comunità” ogni “contaminazione” con l “impuro” kafir che l’ospita.

Il barbuto è essenzialmente, prima che in taluni casi un potenziale terrorista, un maleducato. Tanto più che queste censure invocate dal barbuto sono qualcosa che le famiglie musulmane provenienti dal mondo islamico non chiederebbero affatto se non fossero tormentate, istigate e spaventate dai barbuti dalla voce dura.

La decadenza dell’islam, così come anche la colonizzazione, è vero, fu anche provocata dall’arretratezza tecnica delle nazioni islamiche. L’Islam non è una civiltà della tecnica e la modernità nasce anche da un disincanto, da un utilitarismo e un nichilismo incomprensibili allo zio barbuto. Era abituato a sonnecchiare sotto le stelle di un Cosmo che non c’è più. E il tempo e la storia sono passati senza che egli se ne accorgesse, quasi complottando alle sue spalle. La modernità sembra impossibile da capire, elaborare e attraversare. A queste condizioni, pare che sia l’islam come din ( religione del debito) sia l’ Islam come civiltà e insieme di varie culture tradizionali al contatto con la modernità, non possa che virare al disastro.

Non avendo, di fatto, né vinto né trionfato, ora l’Islam regredisce nostalgicamente verso le dorate leggende delle Medine sempre vittoriose, delle Baghdad che avrebbero inventato tutte le arti e le scienze, e delle Andalusie perdute ( a causa dei complotti, dicono e ripetono, del “mondo dell’arroganza”). E pretende la modernità chiavi in mano ( anche per mettere a punto l’atomica islamica) ; e si dispera se la comunità internazionale ha qualche buona ragione per non volergli mettergli in mano il bastone più grosso, e si offende pure se gli si dice la verità perché non lo si disprezza.

Si tratta di un’impressione e di un giudizio che andrebbero puntualmente verificati, ma a leggere nei testi del fondamentalismo islamico la struggente lode di un passato vittorioso, di una mitica età dell’oro cui quasi non si sappia spiegare la scomparsa se non in termini di infedeltà dei musulmani stessi e complotto ordito dagli “infedeli” per far regredire la “migliore delle comunità” all’epoca dell’ante-islam, ovvero dell’ignoranza della Legge di Al-lah, viene da pensare che se non cambia una tale arcaica mentalità avremo a che fare, per lunghi anni a venire, con lunatici creditori e crudeli esattori colmi di risentimento.

Tutti i venti provengono dal cuore, da qualche piccola ferita, storica e anche narcisistica, volendo: è solo il loro accumulo in un soggetto così come nelle multitudini che potrebbe convincerci di una qualche gravità. E’ quel che chiamo – sulla traccia dello psicoanalista tunisino Fethi Benslama – “disperazione di massa”.

LO SVELAMENTO DELL’OCCIDENTE

All’ascolto del furore di quel vento, cerco di nominarne la disperazione e di analizzarne qualche figura che assume forma di ciclone… e sembra affiorare da linee di frattura e brecce di barbarie… e sembra voler riportare il mondo indietro…come se il tempo fosse uscito fuori dai suoi cardini…

Chissà quanto tempo durerà, forse per lunghi anni a venire, dal momento che questo sembra non essere che l’inizio… Posso però dire con massima sicurezza e buona pace dei non vedenti che c’incombe un dovere d’inquietudine e di non sottomissione all’attuale, e che se qualcosa ci opprime occorre ribellarsi, va da sé, e cercare i modi concreti dell’aiuto reciproco.

E’ un caso di emergenza planetaria, non solo personale. Infatti qui c’è qualcosa di deleterio e di malsano all’orizzonte: come un risentimento lungamente covato, una vendetta, una ritorsione, un’invidia, uno spirito di rivalsa, un odio genocidario in movimento planetario, insieme al grido di qualcosa che tramonta per l’imprevisto sopraggiungere del vento del deserto.

Sembra il grido di qualcosa che tramonta e che nel suo declino e quasi l’estinzione di una stirpe ( quella che si diceva cristiana ? ) tuttavia resiste alla tentazione di raggiungere l’orizzontalità e la femminilità assoluta della specie, vale a dire il rischio mortale che è nell’inerzia e nell’accoglienza radicale di non importa chi, che cosa, quale crudele esazione o quale vento.

Forse l’islamizzazione è il grido e il destino dell’Europa, il cui mitema identitario è quello di essere femmina. Le ultime pagine di Tristi tropici di Claude Lèvi Strauss costituiscono forse la formulazione più limpida del mitema nel quale, in quanto europei erranti, accoglienti, quasi estinti e disponibili, siamo implicati:

Oggi, è per al di sopra dell’Islam che contemplo l’India; ma quella del Buddha, prima di Maometto che, per me europeo e perché europeo, si erge tra la nostra riflessione e dottrine che vi sono le più prossime, come il rustico ostacolo che impedisce una ronda in cui le mani, predestinate a congiungersi, dell’Oriente e dell’Occidente sono state da lui disunite. (…). Che l’Occidente risalga alle sorgenti del suo strazio : interponendosi tra il buddhismo e il cristianesimo, l’Islam ci ha islamizzati, quando l’Occidente si è lasciato portare dalle crociate a opporsi ad esso e dunque ad assomigliargli, piuttosto che prestarsi – se l’Islam non fosse mai esistito – a questa lenta osmosi con il buddhismo che ci avrebbe maggiormente cristianizzati, e in un senso tanto più cristiano che noi saremmo risaliti al di qua del cristianesimo stesso. E’ allora che l’Occidente ha perso la sua chance di restare femmina.”

L’Islam viene quindi vissuto come il velo di un Occidente nell’impossibilità di raggiungere il proprio Oriente estremo, e fermare quindi il cerchio dell’identità dell’identità e della differenza. L’altro, il semplicione in piena crisi d’identità e di rivalità mimetica che s’interpone come sventura, come sviamento, come maschio che taglia la femmina Europa da se stessa, è così che il mito antropologico occidentale vive l’Islam – un Islam che peraltro sembra fare di tutto per conformarsi mimeticamente a tale mito antropologico, e che è dalla propria femminilità originaria che ha tentato di tagliarsi.

Siamo dunque all’epoca dello svelamento dell’Occidente?”, chiede lo psicoanalista Fethi Benslama commentando il grido del mitologo che mitifica, piangendo un Occidente impossibilitato a raggiungere il suo Oriente e a chiudere il cerchio di un’identità che è invece in continuo divenire e catastrofica mutazione…

 Resistere alla tentazione di saltare sul tavolo e intonare un “ Mammaaa!”, senza ritegno, con polmoni d’acciaio. Occorre non prestare orecchio né alle Sirene identitarie né a quei fedeli ad oltranza che, con occhi iniettati di sangue, gridano troppo forte Morte Morte Morte alle orecchie del loro Assoluto venuto dal deserto. Occorre ribellarsi a questa oppressione del deserto e non sottomettersi a tutti i venti e al cosiddetto “spirito del tempo”. E rendersi conto che, sotto questo cielo scipito e blu che chiamano Europa, anche l’heideggeriana decisione-risoluta “libera per la morte”, resta semplicemente un isolotto in perdizione, precisamente l’isolotto del declino occidentale. Come il Da del Da-sein , del resto.

UN ALTRO DESIDERIO

Insomma, occorre un altro desiderio più alto e più veloce della morte abituale… De-siderio è ciò che proviene dalle stelle. Potrebbe essere la follia di un Dio, una follia d’amore, un altro sole e un fuoco …. perché no ? Ah, l’amore! Non è forse l’analgesico più potente che ci sia ?

Grazie all’islam potremmo accorgerci di essere, perlomeno storicamente, cristiani. Così, giunto all’ingresso della grotta illuminata, tenendomi un po’ in disparte tra la folla dei pastori, ho pensato e ruminato tutto questo… attraverso e nonostante il nichilismo…

LA LUCE E IL “MEZZO”

Commedie del pensiero…forse. E comunque tra ondate d’illusioni, delusioni… e disillusioni lente, che si fanno nel solco dei sogni, così come di qualche riflessione, punteggiata di lampi… Già, forse perché come tutti gli innamorati, anche chi scrive è afflitto dai lampi…

Ma fra lampi d’immagini e scoppi di segn iche i linguisti ci docono vuoti, i sensi, non solo il pensiero, portavano verso una figura con un cuore…

Insomma, il Bambino, la Madonna, la cavalcata dei re Magi, ancora “immagini” ? A differenza dell’arcaico deserto iconoclasta in cui sono nati il Corano e l’Islam come “ una ghiacciaia spirituale dove si conserva in eterno, pura da ogni contatto ma anche da ogni miglioramento, l’idea dell’unità divina” ( Lawrence d’Arabia), l’ immagine rende testimonianza che “la vita si è fatta visibile” (1Giov. 1,2) ed evidenzia la modernità del cattolicesimo.

Non a caso McLuhan, il profeta della modernità tecnologica , diceva di ritrovare nel cattolicesimo il paradigma della sua scoperta più importante: «il mezzo è il messaggio». E la spiegava così: gli uomini non possono cogliere il "messaggio" se lo separano dalle sue manifestazioni concrete, a cominciare dai dogmi, dai riti, dalla capacità tutta cattolica di amare le cose concrete e le immagini. «La fede è un tipo di percezione, un senso come la vista, l’udito o il tatto ed è tanto reale e concreta quanto i sensi».( Marshall McLuhan, La luce e il mezzo, editore Armando). Qui McLuhan riprende e quasi riecheggia certamente Sant’Agostino, allorché nel De vera religione, nel sottolineare il momento sorgivo della fede, come frutto della benefica azione ( beneficentia) dell’autorità, scrive anche che immerso nelle cose del mondo, l’uomo può essere chiamato alla salvezza solo da qualcosa che possa essere visto, udito, percepito sensibilmente. Proprio allorché le forme corporee allontanano gli uomini dalla verità, una forma sensibile ( e riflessiva, aggiungerei) può di nuovo avvicinarli ad essa, giacché “nel punto ove è caduto, lì ciascuno deve appoggiarsi per rialzarsi”( Vera rel, XXIV, 45).

E’ qui che vittime e carnefici si ricordano della loro prima infanzia ? Il caso, o forse la divina provvidenza, non ti avevano fatto nascere in un deserto, sotto un sole alto nel cielo sempre immobile allo zenith, ma ti avevano abituato alla vista di un rinfrescante e scintillante presepe. E ora ti avvicinavi a quella grotta illuminata, gremita di presenze. Vi giungevi un po’ di traverso, come spintovi da quello stesso strano impulso che pare riporti sempre, puntualmente, gli assassini sul luogo del delitto…

Pensavi e ruminavi tutto questo fino a quando, smettendo finalmente questo abietto desiderio di essere amato, alla vista dello sguardo bambino che sorride con occhi di meraviglia alla brina della notte, ben sapendo l’amarezza che è nel fondo, sarà stato forse per via di quell’incenso che saliva verso le stelle e di tutto quell’oro che brillava, ebbene non sei forse improvvisamente caduto giù di botto, in ginocchio come un appestato in qualche antico quadro?

UNA “LINEA DI FRONTIERA”

Insomma, come quei pesciolini, forse i salmoni, che guidati da un odore, a naso risalgono la corrente per tornare a casa a deporre le loro uova, anche tu tornavi a casa sulla scia dell’invisibile, ambrato e un po’ acre odore dell’incenso… E, scusami se ti prendo un po’ in giro, anche tu, come i salmoni, facevi un uovo, un uovo d’oro ( beh, sì, questo blog è troppo lungo, un lenzuolone, quasi un manifesto…dove avresti voluto parlare del vuoto, di un vuoto non nichilista, ma di un vuoto come fresca traccia… traccia del passaggio del cacciatore e della preda, eccetera).

Lavorando su “una linea di frontiera”, integrando il conflitto esistente fra l’estroverso atteggiamento occidentale e l’introversa posizione orientale, accettavi con piena coscienza e liberamente accoglievi i valori e i sani princìpi cristiani, anzi cattolici. Insomma, volevi “cadere” proprio dove la parola cade… e, per così dire, gli occhi degli occhi si spalancano. Eri vissuto lunghi anni tra i musulmani ed avevi vissuto in India affascinato da miliardi di dèi e di bodhisattva, specialmente da Shiva e dal Buddha ( come se fossero, ingannevolmente, una stessa cultura e uno stesso yoga). E ora, sulla soglia della grotta, come quei contadini che vanno e vengono, anche tu ritornavi al pozzo di casa e vi attingevi un’acqua viva – facendo attenzione che la corda non si spezzi e la brocca non si rompa.

Va’, pesciolino…Non eri portato da un vento terribile, sentimentale, ma da un soffio, un venticello ironico, intenso e gentile che soffiava tra le maglie della rete vuota, e ti suggeriva di chinarti fino a toccare con il capo il fango dove si modella il batterio, l’insetto, l’animale e l’uomo – il fango che alcune stelle, ormai morte, hanno depositato nello spazio miliardi di anni fa.

Occorreva inchinarsi davvero fino a terra, la faccia nell’acqua, nella pozzanghera e la brina della notte. E rialzandosi subito, uscire da quella buca , tendere le mani al Bimbo, come facevano i poeti, i re Magi e i pastorelli, per altro che per prendere…

PREMONIZIONE DELLA CROCE

E così accoglievi, insieme al fango, anche quella figura con un cuore. Un cuore umano, ma anche divino, perché capace di accogliere l’innumerevole esistere.

Chi ti riporta a casa? Una memoria che è anche lingua madre e storia in divenire, aperta all’uomo, all’imprevisto e all’inaudito.

All’inaudito che dice: “ Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” ( Gv, 10,10).

In realtà ( che terribile espressione) fuori dall’Essere, ovvero dal Padre, non si può mai cadere. E allorché si cade è come se si cadesse in maniera naturale ed autentica, allo stesso modo in cui il poeta, Rilke, citato ne La mente estatica di Elvio Fachinelli, scrive: “ cade come a primavera la pioggia cade sulla terra scura”.

Dopo l’offerta di tanti doni, saperlo poi finito al freddo, ancor più nudo su quel palo non dovrebbe lasciare indifferenti i tre re Magi, benché siano degli orientali.

( Solo lui, agnus dei, sa di che legno fosse e se pesava. Già, perché davanti a quello scandaloso legno, la croce, di solito si passa furtivamente, fugacemente; e il primo impulso è quello di fuggire, non pensarci, magari andare a cinema, in qualche discoteca o nel deserto).

Sarà ancora il vento a chiudere le larghe autostrade disperanti clacsonanti e ad aprire il viottolo, se non la porta stretta, del ritorno a casa.

A ben guardare quella figura, il Figlio del Padre non viene per prendere qualcuno o qualcosa, e risorto con un corpo, un’anima e uno spirito, si trova bene tra di noi, nella sua pelle umana.

Egli non è qui, nella fossa: è risorto nel punto esatto e sacro della fenditura di un soggetto. Si potrebbe dire che la sua figura con un cuore nasca da… un “malore”, eppure resta un “valore” universale. Nasce, muore e risorge infatti nel tempo e nell’anima, fra due pulsioni.

Riprendendo tra vita e morte tutto quello che è perso, colui che i cristiani chiamano Gesù Cristo illumina di significato l’oceano della vita e della morte.

Egli non può che essere l’ uomo sano e salvo, un uomo con un futuro, libero per l’aldilà della morte e con il Padre, ma senza fretta e nonostante tutto.

Era un ospite insieme noto e inaspettato. Un ospite interno e anche, paradossalmente, venuto dal di fuori, sceso dalle stelle. Così Gesù veniva dal di fuori , dalla città di Davide, e scendeva dalle stelle come lo sguardo del bambino meravigliato dalla brina della notte. E vive “ancora” in noi e in una storia come se fosse il meglio di noi, anche se s’ignora.

E a noi occidentali ed orientali giunti poi comunque all’ ‘orlo del cratere, della fossa o della tomba vuota, occorre imparare ad attendere, senza aspettare: vivendo e facendo vivere per Cristo presente, certo, nell’Eucarestia, e anche in qualsiasi sano e raro gesto d’intelligenza, raro come qualsiasi altro sano e raro gesto di poesia, di pietà o di compassione.

E ora veniamo alla cavalcata dei re Magi, se non all’ Evoluzione e alla Resurrezione già e non ancora… E mentre qualcuno ( il diavolo, chi altri ? ) riempie i buchi proprio come fa la Morte, dicono “forse” ed esitano i pastori, i magi e persino gli angeli . ..

LA CAVALCATA DEI MAGI

… Ed ecco la stella che avevano visto in Oriente andar loro innanzi, finché, giunta sopra il luogo dove era il bambino, si fermò." (Matteo 2:1-12).

Il mondo esitava, sembrava stabilito in una zona piuttosto opaca e feroce, insensibile, quando in un angolo della Terra , a Betlemme oggi ritornata zona piuttosto opaca e feroce, ai margini dei bastioni della città feroce, in una stalla tutto si fece straordinariamente chiaro e vibrante. Giunta sopra il luogo dove era il bambino, la stella si fermò.

I sapienti dell’Oriente, che possono scivolare ma mai cadere, entrarono nella grotta e videro il bambino sorridere alla brina della notte, più che alla vita stessa, come la s’intende banalmente, comunemente. In quell’attenzione del bambino alla brina e ad ogni più piccola cosa, i re Magi videro la vita e la vividezza della vita, vita d’intensità prodigiosa.

Grati allora adorarono il bambino ed offrirono l’oro della regalità, l’incenso della santità e la mirra dell’amarezza che è nella croce e al fondo di ogni vita che si dice umana.

La ruota dell’Universo o Multiverso sembrò per un attimo, nel suo vorticoso splendore, perfettamente immobile. A bassa voce, quasi senza voce, trattenendo il fiato come uno yogi o un feto, nel timore che tutto potesse perire, tutto rifiorire, i re Magi riconobbero in quel bambino la vita che avrebbe donato al mondo la vita per un reale più largo, più libero e più felice per ognuno, ognuna.

"Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).

In quell’essere-per-gli-altri i re Magi riconobbero l’Essere autentico e – cosa dell’altro mondo in questo – un pensiero e un cuore divini. E allora pastori e angeli non esitarono più: adorarono e tesero le mani al bimbo re per altro che per prendere.

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Una specie di oblio fondamentale

 Riflessioni

UNA SPECIE DI OBLIO FONDAMENTALE

 (Maurits Cornelis Escher – Evoluzione). In un giro senza fine di travestimenti multipli?

Ma crediamo davvero di essere venuti da soli al mondo e che non ci sia e non possa esserci una stella ad andarci innanzi e qualcuno che ci conduca per la manina ?

"Credo che ciò che caratterizza la modernità sia il risentimento per tutta la realtà come dato, per tutto ciò che si presenta come dato. E che non ci sia salvezza per noi tutti se non nell’abbandono di questo risentimento, ovvero nel ritorno alla gratitudine. Ma questa è una disposizione d’animo che ci risulta particolarmente difficile, da quando viviamo in un mondo senza Dio. Cioè davanti a un dato senza il Donatore." ( Alain Finkielkraut , citato da il Sorvegliato Speciale ).

In realtà ( che terribile espressione!) eccoci chi più e chi meno nella Nebulosa, se non proprio sull’orlo del cratere, della fossa o della “tomba vuota”. Oltre i tarocchi, la fantascienza, gli oroscopi e la cristalloterapia, a sporgerci sulla Via Lattea e a tendere le mani verso l’inafferrabile…in un giro senza fine di travestimenti multipli.

Di notte noi danziamo in tondo e

Siamo divorati dal fuoco.

Ci svegliamo sbigottiti e cerchiamo

A tentoni la vita.

Bene, se avete qualcosa per illuminarci…

Gratitudine verso “chi” ? I sensi saltano nei pensieri , e i pensieri saltano nella “ragione che cerca”. Avete qualcosa per illuminarci? Qui anche le idee più chiare brillano su sfondo oscuro, e la veglia della Ragione genera qualche mostro. Per non dire dell’impaccio costituito, fin dall’inizio della storia, dalla lingua biforcuta ( ma lasciamo perdere, altrimenti il diavolo mi querela…). E in un secolino che appena nato già tramonta tra la violenza e la brutalità, così com’è cominciato, le domande e le risposte assomigliano sempre più a una specie di oblìo fondamentale.

GRATITUDINE, VERSO CHI ?

Nell’ attesa, non inerte, di una voce che risponda e non sia un’eco, il figlio dice a se stesso, risentito : “ Gratitudine! verso chi? ” E il papà: “C’è posta per te, bastardo: ti ricordi di Dio?”.

"Senza una relazione significativa, anche conflittuale, col padre, non c’é libertà e, alla fine, non si sviluppa neppure un autentico soggetto umano. Quest’umanità smemorata, rimasta bambina in un sempiterno asilo d’nfanzia invece di diventare come bambini e di sviluppare le buone qualità del bambino, e la sua autentica curiosità, mi stringe il cuore…”

 

***

IN RETE:

NEL NOME DEL PADRE
Intervista a Giovanni Testori

– IL NATALE NELL’ARTE ( non ditemi però che l’arte è una via d’uscita)

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L' adorazione dei Magi / 1

  L’ADORAZIONE DEI MAGI / 1

 

 L’adorazione dei Magi, Cappella degli Scrovegni, Padova

La Verità che alimenta incorruttibilmente la beatitudine degli angeli è sorta dalla terra perché venisse allattata da un seno di donna. La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo. Expergiscere, homo: quia pro te Deus factus est homo. Ridestati, uomo: per te Dio si è fatto uomo (…). Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato liberato dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato. ( Sant’Agostino, Sermone 185 ).

… Ed ecco la stella che avevano visto in Oriente andar loro innanzi, finché, giunta sopra il luogo dove era il bambino, si fermò." (Matteo 2:1-12)

 

    LA VISIBILITA’, L’APPARIZIONE, IL RILUCENTE

Una tradizione tipicamente francese risalente al XIV secolo è quella di festeggiare l’Epifania con il "dolce dei Re", un dolce la cui ricetta cambia da regione a regione, al cui interno è dissimulato un seme e colui che, mangiando il dolce, lo trova è dichiarato Re della festa, e indossa una graziosa coroncina di cartone.

Nel suo Dizionario filosofico Voltaire dedica un capitolo all’Epifania, “ festa grande e molto diffusa” che gli offre l’occasione d’ interrogarsi ironicamente sul significato dei Re Magi, sul rapporto di tali figure di re con il senso dell’epifania: “ Non si sa troppo bene che tipo di rapporto può avere questa parola con tre re, o tre magi, che vennero dall’Oriente condotti da una stella. Apparentemente fu questa stella luccicante che valse a questo giorno il titolo di Epifania. Ci si chiede da dove venivano questi tre re? dove si erano dati appuntamento ? Si dice che erano tre magi ma il popolo ha sempre preferito tre re. Si celebra ovunque la festa dei re, e da nessuna parte quella dei magi”.

I bersagli dell’ironia di Voltaire erano, illuministicamente, le istituzioni clericali e monarchiche dell’ancien régime contro cui si sarebbe rivolta la rivoluzione francese.

Per Voltaire la festa dei Re Magi restava comunque qualcosa di più e di meglio del semplicismo delle credenze popolari e dell”ammirazione per i re. Quella dei magi è la festa della Manifestazione del Dio che è diventato uomo, anzi bambino; e Voltaire coglie il vero senso dell’Epifania, definendola : "la visibilité, l’apparition, l’illustration, le reluisant" (la visibilità, l’apparizione, l’illustrazione, il rilucente).

Il Bambino rilucente, la visibilità della Madonna, la cavalcata dei re Magi guidati da una stella: ancora “immagini” ? A differenza dell’arcaico deserto iconoclasta in cui sono nati il Corano e l’Islam come “ una ghiacciaia spirituale dove si conserva in eterno, pura da ogni contatto ma anche da ogni miglioramento, l’ Idea dell’unità divina” ( Lawrence d’Arabia), l’ immagine rende testimonianza che “la vita si è fatta visibile” (1Giov.1,2) ed evidenzia la modernità del cattolicesimo.

Non a caso McLuhan, il profeta della modernità tecnologica , diceva di ritrovare nel cattolicesimo il paradigma della sua scoperta più importante: «il mezzo è il messaggio». E la spiegava così: gli uomini non possono cogliere il "messaggio" se lo separano dalle sue manifestazioni concrete, a cominciare dai dogmi, dai riti, dalla capacità tutta cattolica di amare le cose concrete e le immagini. «La fede è un tipo di percezione, un senso come la vista, l’udito o il tatto ed è tanto reale e concreta quanto i sensi».( Marshall McLuhan, La luce e il mezzo, editore Armando).

Qui McLuhan riprende e quasi riecheggia certamente Sant’Agostino, allorché questi nel De vera religione, nel sottolineare il momento sorgivo della fede, come frutto della benefica azione ( beneficentia) dell’autorità, osserva  che immerso nelle cose del mondo, l’uomo può essere chiamato alla salvezza solo da qualcosa che possa essere visto, udito, percepito sensibilmente. Proprio allorché le forme corporee allontanano gli uomini dalla verità, una forma sensibile ( e riflessiva, aggiungerei) può di nuovo avvicinarli ad essa, giacché “nel punto ove è caduto, lì ciascuno deve appoggiarsi per rialzarsi”. ( Vera rel, XXIV, 45).

Forse potrei sviluppare questo tema della caduta e della ripresa di un corpo attraverso le immagini e i sensi in un post in preparazione, dal titolo “Via Lattea” *, scritto in occasione dell’Epifania di N.S.G.C. Un augurio di buon anno nuovo.

 

                                                                               ( continua…)

 * Commedie del pensiero, Via Lattea

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  L’APRENTE

IL CORANO TRADITO / 3

TERZA PUNTATA

… Un Dio che non è persona e che, come afferma il Corano, non è il padre non m’interessava, non molto. Tuttavia come epigrafe al mio libro del 1975 sul Marocco ( Marocco-Nordafrica. Una guida diversa per viaggiare differente ) compare una sura del Corano. Quella citazione voleva essere un segno di amicizia verso il Paese e le persone di cui ero stato ospite per tanti anni, mi piaceva il suono e la musicalità della recitazione della prima sura, detta Al-Fatiha, l’Aprente.

Qui troviamo l’espressione sirat al-mustaqim, “la diritta via”, che in quel periodo, il 1975, non era ancora il nome di una cellula terroristica marocchina collegata al network Al-Qaida e che si fa chiamare, appunto, “Sirat al-Mustaqim” . Quell’espressione si riferiva alla strada di un sistema dottrinario teorico-pratico fondato su ciò che è stato rivelato nel Corano e nella Sunna, dove sono presenti gli elementi costitutivi della sharî’a, termine che compare una sola volta nel Corano stesso (sura XLV, Al-Jâthiya [La Genuflessa], con il significato di "legge nel senso di via da seguire".

Via a senso unico, in quanto sirat ( “strada”, in italiano, “street” in inglese) non ha una forma plurale. Per dire “le strade”, in arabo s’impiegano altri termini, non si può usare la parola sirat.

La diritta via” non è una strada, un cammino o un percorso che l’uomo rintraccia, mettendoci del proprio, bensì essa consiste, essenzialmente, nel seguire le regole di un sistema dottrinario, spirituale e legale che lo conduca attraverso questa prova terrena fino alla ricompensa o premio accordato da Al-lâh nell’Altra Vita. La ricompensa è il paradiso ( al Jannah ) ovvero una dimora eterna preparata per i Suoi servi. Dimora piena di piaceri, con splendidi giardini, lussuosi castelli e amabili giovani vergini (huri), il paradiso è di una bellezza inimmaginabile; e secondo alcuni sufi la sua più alta stazione, la Stazione della Veridicità (Maqâm as-Sidq), consiste nel godere della vicinanza di Al-lâh , che mostrerà il Suo Volto ai Suoi adoratori in eterna contemplazione.

Al Jannah, il paradiso, è all’opposto della jehenna, o inferno, dove secondo la tradizione non c’è altro da fare che bere pus e la pelle dei trasgressori brucerà perennemente, in quanto Al-lâh avrà l’accortezza di rinnovarla affinché continui ad arrostire per l’eternità, fra l’estasi e il plauso dei beati.

Non avevo voluto tradurre Ihdina-sirat al-mustaqim con :“ guidaci sulla diritta via”, bensì l’avevo reso ( facendomi aiutare da Moulay Magid Abdeslam Sherif perché non avevo che una conoscenza superficiale dell’arabo ) con : “C’incamminiamo sul sentiero diritto”, invece che con: “ Guidaci sulla retta via”.

Volevo così salvaguardare un minimo d’iniziativa personale nell’aderire o meno alla via su cui incamminarsi verso Dio. Un percorso, per la verità, piuttosto aggrovigliato e seminato di dubbi, ma che tramite prove ed errori, la verifica, il pentimento e un po’ di grazia, poi ritorna di nuovo dritto. Insomma, non volevo fare il verso a Dante, che scrive nel primo canto di apertura della Commedia, all’inizio del viaggio nell’Oltretomba: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura / che la diritta via [sirat al-mustaqim] era smarrita”.

UN TEMPO IMMOBILE

Dante deve molto alla cultura araba e islamica, e in particolare al Liber Scalae Maometti, che era stato tradotto da un fiorentino alla scuola di Toledo ( cfr. Maria Corti: Dante e l’Islam) . Il Libro della scala che narra il miraj o viaggio ascensionale del Profeta “ dalla moschea della Mecca a quella ‘più lontana’,ovvero “al aqsa”, e poi in cielo – ( “al aqsa” = “la lontana” , forse la moschea di Medina? In ogni caso “al aqsa” non va confusa con la moschea pure detta al-aqsa di Gerusalemme, perché questa, come anche la cupola detta di al aqsa, fu costruita dopo: a Gerusalemme ai tempi del Profeta non c’era nessuna moschea da cui ascendere verso Allah ); ebbene Il Libro della scala presenta diverse analogie con La Commedia. Dante che traduce letteralmente sirat al-mustaqim con “diritta via”, riteneva peraltro l’islam una eresia del cristianesimo, tanto è vero che colloca Maometto, insieme ad Ali, nel girone infernale dei seminatori di discordie, cioè coloro che in vita hanno operato lacerazioni politiche, religiose e familiari ( Cfr. Dante e Maometto ). Erano altri tempi, ritornati attualissimi, come se il tempo invece di passare fosse – come dice Shakespeare nell’Amleto: “ uscito fuori dai suoi cardini…”.

La stessa impressione di un tempo immobile ( un tempo contratto, simile a quello emerso con le tipiche macchine ossessive di questi ultimi anni, in sostituzione delle “macchine desideranti” degli anni Settanta e poi delle “macchine stupide” degli stupidi anni Ottanta e Novanta) la ritrovo nel commento all’edizione al Corano della Newton-Compton, stampato Roma nel 1996, a cura del converso Hamza Roberto Piccardo dell’ Ucoii ( la controversa Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia) e con prefazione dello storico Franco Cardini.

Ricordo che questa edizione del Corano mi fu regalata un paio d’anni fa dal mio agente immobiliare, un neo-convertito italiano, ex di Potere operaio, che ora si chiamava Qaddush.

Nell’edizione del Corano, regalatami gratis dal signor Qaddush, e che pare sia, oggi, la più diffusa in Italia, il versetto 7, l ‘ultimo versetto della Sura Al Fatiha, l’Aprente ( Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin , غَيرِ المَغضُوبِ عَلَيهِمْ وَلاَ الضَّالِّين, “la via di coloro che hai colmato di grazia , non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira , né degli sviati” ), Piccardo così commenta in una nota a p. 24:

Quelli che sono [sono incorsi] nella [Tua] ira “ : tutta l’esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla tradizione afferma che con questa espressione Allah ( gloria a Lui l’Altissimo) indica gli ebrei “ Yaud “ ».

Rimandando poi ai versetti 160-161 della sura IV , afferma che “Yaud”, gli ebrei, s’identificano con “ i portatori di una pratica antispirituale e antitradizionale che usa la religione per scopi di potere e che Allah ( gloria a Lui l’Altissimo) ha condannato con grande severità ( vedi tra l’altro IV, 160-161)”.

Dagli al giudeo. E’ questo che dice Al-lâh ? Andiamo a leggere, a p. 106, i versetti 160-161 della sura IV, vengono così tradotti: “ 160. E’ per l’iniquità dei giudei che abbiamo reso loro illecite cose eccellenti che erano lecite, perché fanno molto per allontare le genti dalla via di Allah; 161. perché praticano l’usura – cosa che era loro vietata e divorano i beni altrui. A quelli di loro che sono miscredenti abbiamo preparato un castigo atroce.”

Qui, nella parafrasi in italiano dei versetti in arabo, è Allah che parla; dopodiché parla Piccardo che, a nome del controllo dottrinale dell’ucoii e dell’esegesi tradizionale, tra l’altro aggiunge: “ gli ebrei hanno costruito un sistema etico che tende a giustificare qualsiasi loro comportamento nei confronti dei non-ebrei…). Quindi, in una vertigine di scoppiettante antisemitismo tradizionale e di razzismo devoto, Piccardo affronta con molta compunzione la spiegazione in merito agli “sviati”: “ numerosi ahadith autentici dell’Inviato di Allah ( pace e benedizione su di lui) c’informano che il soggetto di questa allocuzione sono i cristiani. Ibn Abbas commentò la fine della Fatiha corredandola con la parte iniziale: ‘ … non la via dei cristiani che Allah ha allontanato a causa dei discorsi sconsiderati che hanno tenuto su di Lui’ “.

Alla fine della nota a p. 25 alla sura al Fatiha del “Corano” ( Newton & Compton, Roma 1996) Piccardo cita le parole dei “ numerosi ahadith autentici dell’Inviato di Allah ( pace e benedizione su di lui) che così sentenziano:

« At-Tirmidhi da ‘ Adi ibn Hatim: l’Inviato di Allah ( pace e benedizione su di lui) disse: “ ‘ coloro che… nella Tua ira’ sono i giudei e “ coloro che… sono sviati” sono i cristiani”. Ahmad Ibn Hanbal: “ Un tale chiese all’Inviato di Allah ( pace e benedizione su di lui): “ O Inviato di Allah, chi sono ‘ coloro che sono [sono incorsi] nella Tua ira?’ “. Rispose:” ‘ I giudei ‘ ”. “ E chi sono gli sviati?”. Rispose : “ ‘ I cristiani’ “».

 

Prigionieri cristiani si fanno decapitare dai Saraceni (Les Livres du Graunt Caam, XIV° sec.)

Occorre osservare che Abu ‘isa Muhammad Ibn ‘isa Ibn Sawrah Ibn Shaddad At-tirmidhi è morto nell’anno 892 ( Cfr. Risâla – Biographie de At-Tirmidhi الترمذي (رحمه الله.), mentre Ibn Abbas è nato nel 619 ed è morto nel’anno 687/688.

Mai come in questo caso, il metodo piccardiano legato all’a-temporalità della lettera e della citazione autorevole fuor di metafora, può essere paragonato – come osservava Benjamin a proposito delle citazioni fuori contesto – a “banditi di strada che derubano i viaggiatori delle loro opinioni”, più che ai più innocui e preziosi pescatori di perle.

Ora il problema è proprio questo: che se coloro che si autoproclamano portavoce dell’Islam interpretano la parola coranica attraverso l’esegesi medievale, un sistema concettuale chiuso scambiato con la trascendenza, e una selezione degli hadit ( detti attribuiti al Profeta) in consonanza con la propria ideologia anticristiana e antisemita, allora il tempo s’immobilizza, esce fuori dai suoi cardini ; e le “macchine ossessive” legate alla a-temporalità della lettera e ad una tradizione mummificata possono girare a pieno regime, seminando odio e distruzione “ nel nome dell’islam”. ( cfr. Così i «cattivi maestri» del Corano insegnano a odiare ebrei e cristiani ).

Nell’edizione della Newton-Compton si leggono commenti di natura razzista, intollerante, antisemiti fino al delirio:

  • Ebrei e cristiani adoperavano contro i musulmani false conversioni seguite da clamorose apostasie per confondere le menti dei musulmani meno dotati intellettualmente e con fede ancora incerta”.

  • Rinnegando i tesori dello spirito in cambio delle ricchezze di questo mondo, i Figli di Israele fecero una scelta miope e meschina; ingrati verso il loro Signore, furono condannati a esercitare nel corso dei secoli quella funzione antitradizionale e reietta che ha procurato loro tante peripezie e dolore”.

  • Nella loro prassi commerciale, gli ebrei consideravano, e tuttora considerano del tutto lecito, l’inganno e la truffa nei confronti dei non ebrei”.

Altri commenti simili, portatori dei più diffusi pregiudizi dell’antisemitismo,si susseguono in note sparse per tutto il Libro edito dalla Newton-Compton ( edizione 1996, a cura di Hamza Roberto Piccardo – Revisione e controllo dottrinale Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia – Introduzione di Pino Blasone).

L’ODIO SACRO

Una tale profusione di idiozia antisemita non è singolare. Quello che è scritto nel Corano è scritto ( mektoub), e lo spazio lasciato all’interpretazione è molto esiguo. Le parole coraniche andrebbero contestualizzate ( così come cattolici e cristiani evangelici hanno fatto con la Bibbia, che pure contiene frasi d’incitazione all’odio dell’altro); e , al limite, si potrebbe ricorrere a versetti più saggi per abrogare quelli il cui senso è più trucido. Ma ciò richiede ricerche serie e approfondite. E nel frattempo sono sempre più numerosi i semi-letterati, i conversi, i mullah, gli imam, gli sceicchi della morte e i giornalisti semi-acculturati dei media arabi, che ripetono la sura Al-Fatiha (la sura aprente del Corano) cinque volte al giorno, credendo che maghdub alayhim (coloro che [sono incorsi] nella Tua ira) si riferisca letteralmente e moralisticamente agli ebrei di ogni tempo e di ogni luogo, e che al-dallin (“gli sviati”, coloro che vagherebbero nell’errore) si riferisca ai cristiani di ogni tempo e di ogni luogo.

Dagli al giudeo! Ecco un antisemitismo fisso e contratto che non tramonta. Un antisemitismo politico, culturale e intellettuale antico che viene riattualizzato per “spiegare” e “giustificare” la legittimità islamica degli attuali rifiuti. E’ in tal modo che i cattivi maestri contribuiscono alla diffusione della terribile credenza che il Libro Sacro dell’islam ti dia il dirittodi calunniare, di odiare e di uccidere “legalmente” cristiani ed ebrei.

 Da qui al passare all’atto il passo è breve( cfr. Uccidere in nome di Allah), allorché la manovalanza del terrorismo di matrice islamica si proclama braccio secolare di quella che crede essere la Volontà Sublime, e gli zombi di Allah s’incaricano di assassinare – ricorrendo ad ogni mezzo, compresa la dissimulazione e la perfidia – le persone designate o suggerite come “cristiani sviati” e “ebrei meritevoli della collera divina”.

La manovalanza del terrorismo di matrice islamica opera in mondovisione, in modo spettacolare ed estatico, al grido assassino di Allahu Akbar o di Allah’o Akbar – a seconda delle fonetiche locali. E l ‘omicidio, che può giungere fino allo sterminio, lo si commette tormentando le creature in nome di una Volontà sublime.

Arrogandosi il diritto di mettere in opera la giustizia divina, il killer che usa un vocabolario religioso islamico mira a saldare la comunità dei musulmani a un cattivo godimento identitario, costitutivamente sadico, in cui però il godimento non è veramente del killer o della comunità, ma dell’Altro.

Allora si capisce anche perché nei mondi arabi e islamici si tace con imbarazzo quando si uccidono in mondovisione “cristiani” ed “ebrei” al grido identitario, giubilatorio e assassino di Allah o’Akbar o Allahu Akbar, a seconda delle fonetiche locali; e anche perché, per esempio, Abu Abbas non può che fare il pesce in barile allorché i “fratelli che sbagliano strategia” gli agitano moschetto e Sacro Corano sotto il naso, indicandogli la sura Al fatiha con gli occhi iniettati di sangue.

" Un tempo – scrive Mohammed Arkoun in L’Islam morale et politique nel linguaggio coranico si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". ( Di Mohamed Arkoun, leggi anche :L’impensé dans l’islam contemporain . Intervista).

Per essere efficace politicamente lo sguardo dell’ideologo deve evacuare la metafora, la metafisica, l’ermeneutica, e selezionare dall’esegesi quello che, oggi, può risultare pragmaticamente e politicamente più produttivo per seminare smarrimento, ansia e terrore. Privati della libertà dalla paura, gli individui o i gruppi preventivamente designati come “trasgressivi” saranno più facilmente umiliati, sottomessi, divisi, terrorizzati e assoggettati “nel nome dell’islam” .

I fondamentalisti radicali hanno elaborato e “montato”, a partire dalla decomposizione di varii islam tradizionali, un islam politico militante , con pretese totalitarie e anche scientiste, che potremmo chiamare teo-nazi-islam. I terroristi fondamentalisti, da parte loro, ricevono l’autorizzazione “legale” – il che non vuol dire etica – dagli intellettuali o semintellettuali che interpretano il Corano come se fosse il Codice operativo del Jihad, un Manuale di guerra, e ritengono che Allah sia un supremo stratega, una specie di Saddam Hussein cosmico.

Nell’assedio di un mondo in continua mutazione, posto sotto il segno della volontà di potenza politica ed economica, nonché delle nuove ambizioni di alcuni gruppi, potentati e Stati islamici, burattinai del terrore, la sakina sembra scomparsa dalla sensibilità musulmana.

IL METODO DEL DISCORSO RELIGIOSO

Si è poi appreso, da un articolo di Pierluigi Panza, apparso sul Corriere della Sera del 26 maggio 2005, che travolto dallo scandalo e dalle polemiche suscitate dalle frasi antisemite con cui ha condito la sua traduzione del Corano, il signor Hamza Piccardo ha detto di essersi ricreduto e di aver emendato la sua prima traduzione del Corano dalle note antigiudaiche. «Non sono più la stessa persona che nei primi anni Novanta scriveva quelle note» – ha scritto Piccardo in una lettera, riportata dal quotidiano «Il Foglio», allo storico Franco Cardini". Attribuendo il suo commento antisemita a un errore di gioventù, ha poi così spiegato in una intervista del 15 settembre 2005 a Panorama: “ In passato ero condizionato da pensatori irriducibili. Siccome gli ebrei non hanno riconosciuto i profeti, li ritenevo responsabili di tutti i mali del mondo. Un’idea sbagliata. Gli uomini si giudicano per quel che fanno, non per quel che sono”.

Meglio riprendersi tardi che mai. Senonché, nel rivedere il suo commento all’edizione italiana del «Corano» pubblicata dalla Newton & Compton, Hamza Piccardo fa opportunamente sparire numerosi i passaggi sulle «trasgressioni» degli ebrei, ad eccezione di uno: «Nella loro prassi commerciale gli ebrei consideravano, e tuttora considerano, del tutto leciti l’inganno e la truffa»." Gli ebrei tuttora considerano del tutto leciti l’inganno e la truffa ?

Sono in molti – non solo Carlo Panella o Magdi Allam – a chiedere :” Possibile che Piccardo insista ancora su quest’ultimo punto? Davvero crede così pervicacemente a questa balla?”. Ovvero, possibile che ci creda ( come in gioventù) e non ci creda ( come quando ha emendato, parzialmente, il suo commento ideologico a un Libro del quale in copertina si legge: “ Questo è un libro sul quale non ci sono dubbi”) ?

La doppiezza di numerosi adepti dell’islam politico, o forse strategia per “apparire” moderati e saggi, fa pensare alla teoria freudiana della Ichspaltung, scissione dell’Io, che Freud ha elaborato originariamente a proposito del feticismo.

Il metodo del discorso religioso islamista prevede esplicitamente la menzogna, conosciuta in termine tecnico-giuridico come taqiya. Scrive lo sceicco Yussef el Qardawi: “ Il Corano c’insegna a non rivolgerci alla gente utilizzando il termine ‘miscredenti’ anche se in realtà sono tali. Per rivolgervi alle gente che non ha la fede, il Corano opta per le seguenti formule: ‘ O gente’, “Figli di Adamo’, ‘ O miei adoratori’, ‘ O gente del Libro’ “.

La prima sura del Corano detta l’Aprente potrebbe aprire al timor di Dio, all’Islam gentile, accogliente e responsabilmente amico, non all’odio genocidario in movimento. La soglia di un minimo di dialogo, non dico ancora quella della speranza e della carità, non può essere attraversata se fin dall’inizio partiamo dalla menzogna islamicamente legalizzata e dal rifiuto della complessità della propria e dell’altrui storia, così come della propria e dell’altrui vita.

PRIMA PUNTATA

SECONDA PUNTATA

Dalla rete

"Anti-Semitism and Islamic Expansionism" – Un’ analisi del processo in corso di islamizzazione dell’antisemitismo : qui ( in italiano )

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Bomba al mercato di Palu, strage di cristiani

 L’ULTIMO DELL’ANNO

BOMBA AL MERCATO DI PALU,

 STRAGE DI CRISTIANI

 Palu , 31 dic. – (varie agenzie) – Grave attentato in Indonesia: sette persone sono morte e una cinquantina sono rimaste ferite nell’esplosione di una bomba imbottita di chiodi in un affollato mercato cristiano all’aperto di Palu, l’ unico mercato che vende maiale, cibo haram, proibito e “impuro” per i musulmani. L’attentato è avvenuto di primo mattino, dopo giorni di avvertimenti e allarmi su possibili attacchi dei terroristi islamici contro chiese cattoliche e protestanti in occasione del Natale e delle feste per il nuovo anno.

In Indonesia, il paese musulmano più popoloso del mondo ( su 220 milioni di abitanti l’85% è musulmano), la regione centrale dell’isola di Sulawesi (Celebes), dove si trova Palu, è stata teatro tra il 1998 e il 2001 di un sanguinoso conflitto religioso tra cristiani e fondamentalisti islamici, con 2000 morti perlopiù cristiani. Nonostante un accordo di pace, il 12 febbraio 2002, la violenza “nel nome dell’islam”, autentica minaccia mondiale, esplode ancora una volta barbaramente come nell’ottobre scorso quando vennero  decapitate vicino a Poso tre adolescenti cristiane mentre andavano a scuola.

 La Chiesa indonesiana oggi è duramente provata. Migliaia di cristiani sono stati uccisi ed oltre mille chiese sono state incendiate. I cristiani in Indonesia si sentono abbandonati da tutti, anche dalle nazioni amiche. Alcuni, per evitare la persecuzione, scrivono “ musulmano” sui propri negozi oppure si  "convertono" all’islam per evitare crudeli esazioni e il martirio. I responsabili delle chiese riescono faticosamente a trattenere gruppi cristiani esasperati da azioni di vendetta. Alcuni gruppi islamici in Indonesia cercano di provocare volutamente le rappresaglie dei cristiani, con lo scopo di provocare disordini e scardinare la nazione per raggiungere i loro obiettivi politici.

Pregate affinché il fondamentalismo e la jihad non dilaghino ulteriormente, sono forme estremiste e maligne dell’islam politico che fanno soffrire non soltanto i cristiani, gli ebrei, i buddhisti, gli indu e chiunque venga supposto o suggerito come "ingrato verso Al-lah", ma i musulmani sensibili e riflessivi. ( Per la verità questo sembra più una speranza e forse un augurio di fine anno, dal momento che nei fatti, concretamente, i musulmani sensibili e riflessivi, che pure esistono, non è che poi facciano molto per opporsi efficacemente o moderare con una qualche autorità le derive anche  criminali dei tanti fratelli che sbagliano).

Aggiornamento 2 gennaio 2006

In uno studio recente,  l’international Crisis Group ha definito il Sulawesi Centrale come un rifugio per gruppi radicali islamici quali il Kompak, i residui del Darul Islam – uno tra i primi gruppi islamici militanti del paese – e addirittura la Jemaah Islamiyah, un gruppo terroristico ritenuto il braccio di Al-Qaeda nel sudest asiatico dove lotta per istituire uno stato islamico.

La presenza dei mujahidin sarebbe agevolata da un’accesa rivalità – se non addirittura aperta ostilità – tra la polizia e l’esercito. Forte possibilita’ di nuovi attentati nel Sulawesi: a disegnare tale prospettiva è Mona Saroinsong, coordinatrice del Centro Crisi delle chiese per il centro-nord Sulawesi, raggiunta da AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL due giorni dopo l’ultimo attentato di Palu in cui otto persone sono morte.

Altrove, in Europa

Non TUTTI i musulmani sono piromani ma sono musulmani questi che bruciano una Chiesa cristiana in Kosovo nel 2005 (Video di 6 MB)

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Buon Natale a tutti

 UN NATALE BUONO

 A TUTTI

Michelangelo Merisi da Caravaggio ( 1609) , “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” già nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo ( opera trafugata dalla mafia nel 1969)

Il Natale visto da un indù: R. Tagore

Cristo ha salvato l’uomo dall’indifferenza dell’uomo… Il Figlio del Padre è nato nella nostra vita il giorno in cui abbiamo chiamato fratello, con amore vero, un altro uomo. Questo è il Natale, in qualsiasi momento avvenga… Il Natale è un giorno di riflessione, un giorno per farci tutti umili… Il prezzo delle parole vere si deve pagare con fatti veri.

Il Natale visto da un cristiano: don Luigi Giussani

Qui è il presentimento di una cosa nuova che infervora, e tutto tende a fare diventare concreto. E proprio per questo suscita una grande devozione.

Come grazia divina, in tempi stabiliti, il Figlio di Dio è diventato un bambino nella storia umana, si è appropriato di canoni e formule di una esistenza.

Nel ricordo e nella memoria di quel Fatto, la testimonianza del Figlio di Dio emerge sempre più forte e l’impotenza del male diventa la figura dominante di tutta la storia. E il popolo di Jahvè sorge a investire il mondo. Così, per ogni giorno di vita, nelle mani del popolo cristiano resta la scommessa del potere di Dio nel tempo, e la preghiera alla Madonna che si realizzi in ogni circostanza.

Gesù visto da un buddhista: il Dalai Lama

Per i cristiani, il rapporto con Dio può essere compreso nell’ambito del rapporto che hanno con Gesù. Dio è inconoscibile e invisibile, ma il nostro rapporto con Lui si manifesta nelle relazioni che abbiamo gli uni con gli altri. Perciò anche il nostro rapporto con Gesù risorto fa nascere relazioni più complete tra gli uomini.

 Il Natale secondo la raffigurazione propria delle Chiese dell’Oriente cristiano: Andrei Rublev

 Andrej Rublev – Icona della Natività di Cristo Sec. XV – Galleria Tretjakov – Mosca

L’icona della Natività è il prologo della storia della salvezza e rappresenta il compendio dei misteri della nostra Fede: l’Incarnazione, la Morte e la Resurrezione.

Il Natale visto da un poeta: Umberto Saba

La notte è scesa

e brilla la cometa

che ha segnato il cammino.

Sono davanti a Te, Santo Bambino!

Tu, Re dell’universo,

ci hai insegnato

che tutte le creature sono uguali,

che le distingue solo la bontà,

tesoro immenso,

dato al povero e al ricco.

Gesù, fa’ ch’io sia buono,

che in cuore non abbia che dolcezza.

Fa’ che il tuo dono

s’accresca in me ogni giorno

e intorno lo diffonda,

nel Tuo nome.

LINK

Verso la Messa di mezzanotte di M. L. Spaziani

 

Circolo polare, sole di mezzanotte

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Il Corano tradito / 2

 L’APRENTE

IL CORANO TRADITO / 2

SECONDA PUNTATA

… Quando Bernardine Coverley si convertì all’islam e incominciò a pregare in arabo cinque volte al giorno, rivolgendo il tappetino verso la Mecca e dicendomi che voleva “assolutamente” andare in Algeria, a Mostanaghem, a trovare i maestri sufi, le dissi: “ Vai pure, ma restiamo amici”; e la lasciai subito. ( Con rimpianto? Lasciamo stare… ci divise e separò Maometto, ecco! Credo che se Bernardine è ancora viva , forse a Londra, se ne ricordi ancora…).

Insomma, un Dio che non era persona nel padre, nel figlio e nello spirito , ma unicamente ilpadrone dei mondi “ e il tutore ( wali ) delle sue creature, non m’interessava, non molto.

Ritenenevo illiberale l’impossibilità legale per il musulmano di cambiare religione o di dichiararsi non credente, pena l’imputazione del crimine-peccato di apostasia ”. Una volta entrato nell’islam – recitando la shahada o professione di fede islamica: La ilaha il Allah, Muhammad-ur-Rasoul-Allah davanti a tre testimoni, e preferibilmente un emiro o un adoul ( un notaio) in grado di attestarlo – il neo-converso non avrebbe mai più potuto ritornare sui suoi passi e uscirsene – come accade nella mafia o in taluni circoli esoterici della massoneria. Avevo inoltre notato che i neo-convertiti occidentali all’islam, ovvero i cristiani di Allah, non dico i rinnegati, nella maggior parte dei casi diventavano fedeli ad oltranza, monolitici e più realisti del re, più musulmani dei musulmani stessi.

Tuttavia volli mettere come epigrafe al mio libro sul Marocco ( Marocco-Nordafrica. Una guida diversa per viaggiare differente ) una sura del Corano per amicizia verso il Paese e le persone di cui ero stato ospite per tanti anni, e anche perché mi piaceva il suono e la musicalità della recitazione della prima sura. Ce l’avete sotto gli occhi, va letta da destra verso sinistra:




Bismillah Ar-Rahman Ar-Raheem

Al-hamdu lillahi Rabb il-‘alamin

Ar-Rahman Ar-Raheem

Maliki yawmi-d-Din

Iyya-ka na’budu wa iyya-ka nasta’in

Ihdina-sirat al-mustaqim

Sirat al-ladhina an’amta ‘alai-him

Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin

La versione in italiano o parafrasi della sura al Fatiha da me adottata era:

1) Nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso. 2) Lode a Dio, Signore dei mondi. 3) La Clemenza e la Misericordia l’accompagnano. 4) O Re del giorno del giudizio, 5) è Te che noi adoriamo ed a Te che chiediamo soccorso. 6) C’incamminiamo sul sentiero diritto. 7) Cammino di quelli che Tu colmi di grazia. Non di quelli che hanno meritato la collera e che errano.( Marocco-Nordafrica, Arcana editrice, Roma 1975, p. 4).

Alessandro Bausani invece traduce: «6)… guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, 7) la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!» (Il Corano, Alessandro Bausani, Rizzoli ).

E questo per evidenziare, con maggior fedeltà alla lingua araba, la forma negativa di “Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin – غَيرِ المَغضُوبِ عَلَيهِمْ وَلاَ الضَّالِّين.

Tutte le sure de Corano, eccetto la nona (at-Tawba), incominciano con la frase rituale Bismil-lâhi ar-Rahmâni ar-Rahîm – بِسْمِ اللّهِ الرَّحْمـَنِ الرَّحِيمِ, : una frase che si può ascoltare ovunque in paese arabo e islamico. La básmala viene recitata e manducata spesso, a ogni ora del giorno o della notte: durante i salamelecchi quando si riceve a casa qualcuno o lo s’incontra per strada, prima d’intraprendere qualsiasi azione, come bere un bicchiere di tè, lavarsi i denti, iniziare un pranzo, o prima di firmare un qualsiasi contratto. E viene tradotta abitualmente come “ nel nome di Dio, il Clemente il Misericordioso”.

I NOMI DIVINI

Avevo notato ( su un quadernetto dalla copertina verde, sui cui era impressa una gazzella ) che il radicale arabo R-H-M – da cui provengono i Nomi Rahmân e Rahîm o piuttosto gli epiteti Rahmân e Rahîm ( in quanto al-lâh – Il Dio – non ha un vero e proprio nome proprio) – fanno riferimento all’utero materno, alla matrice. Partendo da tale radice R-H-M André Chouraqui avrebbe poi tradotto la básmala in un modo nuovo: “ Nel Nome di Al-lâh il Matriciante, il Matriciale” (il testo francese dice: Au nom d’Allah, le Matriciant, le Matriciel, nella traduzione del Corano per l’editore Robert Laffont, 1990. Si tratta di una parafrasi del Testo Sacro intitolato L’Appel, perché in effetti al-qur’ân può essere reso con “ La Recitazione” o “L’Appello” ).

D’altra parte, come ricorda il mistico maestro Ibn ‘Arabî (1165-1240), nel suo Trattato dei Nomi divini, il Nome ar-Rahmân sembrava strano già agli arabi del suo tempo.

Il carattere matriciale di Al-lâh fa pensare al Dio Creatore che ama visceralmente le sue creature, come potrebbe amare una madre. Ma Al-lâh non è un parente, un padre, una madre o un fratello. Le proclamazioni coraniche dell’unicità del Dio dei musulmani bandiscono radicalmente ogni nozione di generazione, di parentela o di procreazione divina. Tanto è vero che nella sura Al-Ikhlas ( detta sura del Puro Monoteismo) Al-lâh viene proclamato as-Samad, tradotto generalmente con “l”Eterno”, con un termine arabo che definisce ciò che è assolutamente pieno e completo, ovvero “ l’Impenetrabile”. Qui la compiutezza divina, non fissurata da alcunché, si contrappone formalmente alla natura aperta e sessuata degli uomini e delle donne – poiché il sesso è il farji, ovvero “ il buco, l’interstizio, il difetto” ( cfr. Fethi Benslama, “Le sexe absolu”, Cahiers Intersignes n.2, Paris, 1991, pp. 105-124 ).

Anche a Napoli, peraltro, i ragazzi dei vicoli il sesso lo chiamano “ o’ guaie”. D’altra parte, secondo l’imam al Qortobi il farji dell’uomo, il sesso maschile, è anche amana o amanatun, vale a dire un “deposito”, nel senso di un oggetto inestimabile da portare come insigne contrassegno della dignità dell’uomo. “Ciò che, per primo, Al-lâh creò nell’uomo – scrive il giurista Qortobi – fu il sesso ( farji ). Egli disse: ‘ Questo è il mio deposito, ve lo affido’ “. E l’uomo accettò una tale amenità, ovvero il sesso in quanto amâna o amânatun, che in arabo deriva dalla stessa radice dell’amen ebraico ed indica il “sì” e il “così sia” primordiale che dovrebbe colmare la mancanza originaria nella conformazione umana.

Ma questo ameno deposito fiduciario costituisce, nello stesso tempo, la fonte del dramma cardinale e del problema etico centrale dell’uomo, così definito dal Corano: “ Abbiamo proposto il deposito ( amânata ) ai cieli, alla Terra e alle montagne. Tutti hanno rifiutato di custodirlo e ne hanno avuto timore. Tutti tranne l’uomo, che ha accettato perché è ingiusto ed incosciente” – 33.72.إِنَّا عَرَضْنَا الْأَمَانَةَ عَلَى السَّمَاوَاتِ وَالْأَرْضِ وَالْجِبَالِ فَأَبَيْنَ أَن يَحْمِلْنَهَا وَأَشْفَقْنَ مِنْهَا وَحَمَلَهَا الْإِنسَانُ إِنَّهُ كَانَ ظَلُوماً جَهُولاً
Inna AAaradna al-amanata AAala alssamawati waal-ardi waaljibali faabayna an yahmilnaha waashfaqna minha wahamalaha al-insanu innahu kana thalooman jahoolan ( XXXIII, 72).

Pertanto il “sì” originario al sesso si fonda su una presunzione senza pari e appare come l’accettazione di una soggettività “ignorante”, come l’assunzione di una responsabilità immensa nei confronti del divino depositante, come un “punto cieco” dell’incontro con la psiche. Non a caso una delle metafore del sesso in arabo – per esempio secondo lo sceicco Muhammad-Al-Nafzaoui – è, oltre che “lo strumento”, “l’oggetto che si allunga”, “il fanfarone”, eccetera, anche “il guercio”, ovvero il cieco da un occhio. ( Cfr. Muhammad-Al-Nafzaoui, La Prateria profumata, Edizioni il Brigantino, Ravenna, 1989, p. 131). Per limitare i rischi e i danni dell’incoscienza umana, a ragione l’islam instaura il nikah, ovvero il contratto che legalizza il godimento sessuale, tramite “l’acquisto – come recita la giurisprudenza di scuola malekita – dell’apparato generatore della donna con l’intenzione di goderne”, acquisto limitato solo a quattro spose legali ( cfr. Gianni De Martino, “La relazione uomo-donna nei Paesi islamici”, in Rosamaria Vitale, L’Amore altrove , Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2004 )

LA RINUNCIA AL PADRE

L’intera spiritualità dell’islam si basa su questa separazione fra l’Uno che è l’Essere ingenerato, saturo, radicalmente altro da tutto, e le generazioni fissurate, piegate ai gomiti e ai ginocchi, alle quali è richiesta la sottomissione alla Legge e l’adorazione del Creatore in cambio della ricompensa nell’Aldilà. La scissione è quindi radicale: da un lato Al-lâh è fuori del sesso, della generazione e della procreazione; dall’altro, l’umanità – plasmata attorno a un buco, a una mancanza a essere fondamentale, e in un certo senso inguaiata dal sesso, sull’orlo del baratro divino – segno di una trascendenza con la quale non si è in rapporto, se non tramite la “discesa” o “invio” di un Comando, di un Ammonimento Scritto e della “rivelazione” di una Volontà unilaterale.

 Nel discorso dell’islam l’universo è considerato unicamente dal punto di vista di Al-lâh, così com’è desiderato dall’Altissimo ( Al-‘Aliyy ), Immenso ( Al-‘Azim ) e Irresistibile ( Al-‘Aziz) Dominatore ( Al-Mouhaymin) e Costrittore ( Al-Djabbar) . E il Libro costituisce in tal senso un tentativo di guidare il credente a vincere le resistenze che la propria volontà e i propri desideri ignoranti rischiano di opporre al progetto, alla volontà e al desiderio di Dio di essere adorato ed amato in quanto Creatore e “ Padrone dei mondi”.“In nessuna parte del Corano – nota Fatima Mernissi dell’università di Rabat – abbiamo accesso direttamente al punto di vista del debole, del servitore, dello schiavo, ovvero al punto di vista del credente di cui Dio esige la sottomissione. Non conosciamo il servitore che attraverso il padrone” ( La femme dans l’incoscient musulman, Editions Albin Michel, Paris, 1986, p. 148).

L’ultima religione monoteista, sorta nel secolo VII in Arabia, si presenta come una formidabile obiezione alla teologia trinitaria della paternità di Dio – “ impostando – come nota lo psicoanalista tunisino Fethi Benslama – un deserto genealogico tra l’uomo e Dio, con conseguenze multiple e a tutti i livelli” ( cfr. Fethi Benslama, “La rinuncia al padre”, Vivarium 70/2004, p. 57).

Il Corano depone anche il fondatore dell’islam dallo statuto di padre: “ Muhammad non è il padre di nessun uomo tra di voi” ( Corano XXXIII, 40). Il Buon Modello dei musulmani viene subito messo in posizione di figlio ed orfano, una delle primissime apostrofi con la quale Al-lâh si rivolge al suo Inviato è “l’orfano”.

Cos’è dunque l’islam? Sul piano dello sviluppo storico, per Hegel era una formidabile macchina da guerra, che doveva la celerità con la quale divenne “un impero universale”( frapponendosi peraltro anche con la spada fra l’occidente e l’oriente, ed impedendo un loro ricongiungimento ) “all’elevato grado di astrazione del suo principio”. Nel suo libro I sette pilastri della saggezza, Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia , qualificò la regione in cui sono nati il Corano e l’Islam come “ una ghiacciaia spirituale dove si conserva in eterno, pura da ogni contatto ma anche da ogni miglioramento, la visione dell’unità divina”. Sul piano di una ricognizione psicoanalitica l’islam pare invece costituire “ la regressione – come osserva lo psicoanalista Giacomo Contri – dalla generazione alla creazione, dal Padre all’astrazione Dio, che poi si chiami Allah fa esattamente lo stesso. La regressione dal rapporto al comando, dal pensiero di natura al puro imperativo, dalla vita psichica come vita giuridica alla vita psichica soggetta al dominio, potremmo anche dire alla geometria”. ( La geometria, tuttavia, non è un’arte banale, di facile accesso e capace di produrre nient’altro che un’arte decorativa. Può darsi che l’arte geometrica sia impiegata per ornare e riempire dei vuoti. Ma se gli Arabi – venuti da un deserto del quale esistono numerose ragioni per aborrirne il vuoto – hanno sviluppato l’arte geometrica, hanno anche, con lo stesso vigore, appreso, sviluppato e trasmesso le scienze matematiche, come ad esempio l’algebra. Come mi faceva notare l’amico pittore Mohamed Melehi, nel lontano 1967 giovane professore alla Scuola di Belle Arti di Casablanca, “ l’arte geometrica araba non resta a livello lineare come sembrerebbe a prima vista, corrisponde a una geometria in profondità, che lascia un’apertura a una pluralità di supposizioni mentali”. D’altra parte però è anche vero che “ l’Islam non è in alcun modo propenso a una polidealizzazione. Al di fuori dell’Idea di Dio, il resto è un mondo materiale votato alla distruzione. Ogni idealizzazione si trova allora concentrata sull’esistenza di un solo dio.” ( Cfr. Mohamed Melehi, in “Souffles. Revue maghrèbine littéraire culturelle” n. 7-8, Rabat, 1967, p. 61).

Dall’Uno è esclusa ogni idea di procreazione, ma un carattere matriciale di Al-lâh resta nondimeno suggerito dalla radice araba R-H-M contenuta nei termini Rahmân e Rahîm. E’ molto interessante, perché in paese arabo e islamico l’amore parentale portato verso la progenitura non è tanto legato al petto e al cuore quanto al ventre e al fegato: la madre non parla del suo bebè che utilizzando il termine El kabda ( il fegato). Somma espressione dell’amore e della tenerezza non è “cuore, cuoricino mio” – come direbbero le nostre mamme – bensì El kabda, kabdati ( “fegatino mio”).

Nelle visioni del corpo nell’Islam il ventre è inoltre coperto dal tabu della ‘aoura, la parte cieca, nascosta, proibita allo sguardo. Il tabu della ‘aoura va dall’ombelico al ginocchio – sia neglii uomini che nelle donne, alle quali l’ ‘aoura però si estende, secondo i talebani, anche al volto che pertanto dovrebbe essere velato. La parte interessata da questa misura piuttosto controversa tra i musulmani stessi è evidentemente quella genitale, ma il ventre è spesso sinonimo di parte genitale ed è associato all’idea dell’esteriorità dell’utero, luogo misterioso della gestazione. E’ allora simbolo della madre e del calore materno, della profondità, della tenerezza, della protezione.

Il carattere matriciale di Al-lâh fa pensare anche al teologo della liberazione Leonardo Boff quando dice che bisogna recuperare “l’aspetto materno di Dio” che si sarebbe perso nel corso della dottrina cristiana, allontanando da essa i credenti. Cosa che non mi trova per niente d’accordo, in quanto la preghiera insegnata da Gesù ai cristiani è : “ Padre nostro che sei nei cieli”, per cui Dio resta, per me, padre e Dio dei padri, non madre.

D’altra parte, se Al-lâh, il dio che secondo l’affermazione coranica non è il padre, è matriciale, lo sarebbe, gnosticamente, in quanto matrice di tutto l’esistente, ovvero della Creazione come atto d’incubazione di tutto il visibile in sé stesso, prima del Fiat Lux e del Big Bang… In tal caso, l’idea di Al-lâh come “matrice” o “seno” della Creazione completerebbe l’idea di Al-lâh come al-Jâliq, il Creatore, in riferimento all’esistenziazione dei mondi a partire da Lui con un atto di parola, un soffio istantaneo e misterioso… “ I mondi sono portati dal soffio della Sua misericordia”, osservava lo Shaykh Muhy-d-Din Ibn ‘Arabi.

La Sura al-Fatiha, se la si legge con attenzione, riflettendo e meditando sui suoi molteplici e prismatici significati, non è affatto semplice e scontata: è misteriosa, arcana; e come tutte le scritture ritenute “sacre” mette una certa ansia. La lettura delle Sacre Scritture è la meno gratuita che esista, la più pericolosa. Parafrasando Hume si potrebbe dire che se gli errori della filosofia possono essere semplicemente ridicoli, quelli della religione sono pericolosi.

LA RETTA VIA

Non avevo voluto tradurre Ihdina-sirat al-mustaqim con :“ guidaci sulla diritta via”, bensì l’avevo reso ( facendomi aiutare da Moulay Magid Abdeslam Sherif perché non ho che una conoscenza superficiale dell’arabo ) con : “C’incamminiamo sul sentiero diritto”, invece che con: “ Guidaci sulla retta via”. Volevo così salvaguardare un minimo d’iniziativa personale nell’aderire o meno a un sentiero su cui incamminarsi verso Dio. Un sentiero, per la verità, piuttosto aggrovigliato, ma che tramite prove ed errori, la verifica, il pentimento e un po’ di grazia, poi ritorna di nuovo dritto. Insomma, non volevo fare il verso a Dante, che scrive nel primo canto di apertura, all’inizio del viaggio nell’Oltretomba: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura / che la diritta via [sirat al-mustaqim] era smarrita”.

                                                                                        ( continua… )

PRIMA PUNTATA

TERZA PUNTATA

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Addio a Patroni Griffi

 ADDIO A PATRONI GRIFFI


Giuseppe Patroni Griffi (al centro) con Dino Miele, Françoise Prevost e Umberto Orsini a Capri durante la preparazione del film “Il mare” ( 1962)

Il mondo del teatro, del cinema e della cultura del nostro Paese perdono uno degli autori e registi più importanti del Novecento.

Giuseppe Patroni Griffi era nato a Napoli il 27 febbraio 1921. Come scrittore si ricordano soprattutto i romanzi appassionati ed aspri dedicati alla sua città : Scende giù per Toledo e La morte della bellezza. Giovanissimo, subito dopo la Liberazione come numerosi intellettuali napoletani emigrò a Roma; e qui incontrò Luchino Visconti e Giorgio De Lullo, con i quali contribuì al rinnovamento del teatro e del cinema italiani.

Il Teatro Eliseo di Roma è stata la sua "casa", qui ha presentato le sue più importanti opere , fra le più belle commedie italiane del dopoguerra: quelle scritte per i suoi amici Romolo Valli, Giorgo De Lullo e Rossella Falk (La compagnia dei Giovani): “D’Amore si muore”, “Anima nera”, “Metti una sera a cena” e “Prima del silenzio”.

Durante l’estate aveva lavorato alla ideazione e alla preparazione di "Improvvisamente l’estate scorsa" di Tennessee Williams. L’ultima regia, incompiuta per la malattia, ha inaugurato la stagione dell’Eliseo con successo, grazie all’aiuto di Aldo Terlizzi e Fabio Battistini. La camera ardente sarà allestita proprio al Teatro Eliseo.

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Il Corano tradito 1

 L’APRENTE

IL CORANO TRADITO / 1

PRIMA PUNTATA

 

Quando abitavo in Marocco, dal 1967 al 1975, la sura al-Fatiha, l’Aprente, detta anche la Sura del viaggiatore ( perché viene recitata dai musulmani prima d’intraprendere un viaggio) , mi piaceva molto, tanto che al ritorno in Italia volli mettere questa sura del Corano come epigrafe al libro Marocco-Nordafrica. Una guida diversa per viaggiare differente ( edito nel 1975 a Roma per Arcana editrice).

Come numerosi giovani viaggiatori in quel periodo di avventurosi spostamenti verso luoghi e sentimenti diversi, in Marocco avevo conosciuto un islam bonario, accogliente e conviviale. Non tanto l’islam cittadino, come ad esempio quello degli ulema e degli studenti della Karaouiyyine di Fès, ma l’islam delle campagne, dove i fellah prendevano a bastonate chi inquinava l’acqua dei pozzi o delle sorgenti, ma in compenso non picchiavano “nel nome dell’islam” chi rompeva il digiuno di Ramadan. Quanto alle donne, vivevano e circolavano liberamente a volto scoperto.

Nessuna violenza scuoteva il Marocco all’ indomani del 1967 come accadeva presso i vicini in Tunisia e in Libia. Medici, avvocati e commercianti ebrei marocchini subivano solo qualche eccesso di provocazione da parte di nazionalisti ferventi. E i ragazzi dei vicoli della medina di Tangeri, di Rabat o di Casablanca si limitavano solo a sputare per terra e a gridare, alle spalle, “sale juif! sporco ebreo!”.

Non esistevano gli integralisti della “Salafia Jihadia”, chiamati oggi in causa per gli Attentati suicidi della notte del 16 maggio 2003 a Casablanca e l’omicidio in strada l’11 septembre 2003 a Casablanca, di Albert Rebibo, un commerciante ebreo Marocchino di 55 anni, ucciso “nel nome dell’islam” da due individui incappucciati mentre chiudeva il suo magazzino nel suk popolare El Korea.

Allora in Marocco la scena non era ancora occupata dalle imprese del trio infernale della “Salafia Jihadia", di “Takfir Wal Hijra" et dell“Amr Bil Maârouf”, e nessuno sparava a bruciapelo sugli ultimi ebrei marocchini rimasti in un paese arabo-musulmano, ma che sentivano anche come il proprio paese, sotto la protezione prima di Mohamed V e poi di Hassan II.

Prima di diventare arabo-musulmano, il Maghreb – el – Aqsa, detto anche el-Maghreb- el-Araby (letteralmente l’occidente arabo) fu paese berbero, paese punico, paese romano, giudeo-cristiano; e così, confidando nella protezione di Hassan II, così come oggi di S.A.R. Mohamed VI ( re del Marocco ed Emiro dei Credenti – Amir Al Mouminine) non tutti gli ebrei marocchini erano partiti collettivamente, discretamente, preferibilmente di sera, per Israele, l’Europa o il Canada .

In totale, circa 100 000 ebrei marocchini partirono tra il 1961 e il 1967. Oggi in Marocco dimorano solo tra 2500 e 5000 ebrei marocchini, e sparsi per il mondo vi sono circa un milione di ebrei di origine marocchina. Non tutti partiti per gli stessi motivi che hanno portato a lasciare il loro paese d’origine e ad emigrare anche quattro milioni di marocchini musulmani.

I CRISTIANI DI ALLAH

Ricordo che davanti alle moschee del Marocco ( così come della Tunisia, o dell’Algeria dove le brigate della morte del Fronte di salvezza islamico non avevano ancora assassinato “nel nome di Allah” più di ventimila musulmani nel solo 1994 ) non si vendevano ancora libri editi in Arabia Saudita, tipo Ar-Raheeq Al-Makhtoum del lugubre sceicco wahhbita Safi Ar-Rahnan Al-Moubarakafawri. Vi si trovavano in compenso ancora edizioni de Le mille e una notte o delle poesie di Omar Kayyam ( che scriveva: "Rinchiudi il tuo Corano; pensa e guarda liberamente al cielo e alla terra”) ; e avevo un amico, a Essaouira, Moulay Majid Abdeslam, detto Sherif, uno studente che si atteggiava a pessimista scettico e preparava una tesi su Aboul’âlaa al Maari ( libero pensatore dell’Islam vissuto tra il 973 e il 1057).

Bernardine, la mia fidanzata in quel periodo di amore e di rivolta, leggeva invece i testi dei sufi fatti conoscere da orientalisti come Henri Corbin e Louis Massignon . Aveva sul comodino, anzi se lo portava nel sacco a pelo, un’edizione dei Poemi di Al Hallaj ( mistico vissuto a Baghdad tra il 857 e il 922) e passandomi, ahimè!, lo spinello o joint , diceva : “ Pensa, Gianni, Al Hallaj predicava che l’attaccamento a Dio dovrebbe cancellare l’immagine della kaâba, la pietra nera della Mecca, dai nostri spiriti… e per questo i legalisti l’hanno impiccato, ‘crocifisso’ scrive Massignon…”.

Brrr! “ Guarda – osservavo con un brivido – che l’Islam è anche questo legalismo asfittico, non solo l’Infinito divino di cui il creato e le creature non sarebbero che l’ombra, o la religiosità mistica degli spirituali come Al Hallaj , oppure i bei racconti degli orientalisti, delle splendide Andalusie e delle Mille e una notte Lila alfa lila…”.

Quando Bernardine Coverley, nonostante il mio disaccordo, si convertì all’islam ( come pare poi abbia fatto, come altri giovani viaggiatori, anche Edoardo Agnelli che peraltro ho incontrato in seguito, nel settembre del 2000, all’ Hotel des Iles Essaouira Mogador dove quell’anno ero alloggiato) e incominciò a pregare in arabo cinque volte al giorno, rivolgendo il tappetino verso la Mecca e dicendomi che voleva “assolutamente” andare in Algeria, a Mostanaghem, a trovare i maestri sufi, le dissi: “ Vai pure, ma restiamo amici”, e la lasciai subito. ( Con rimpianto? Lasciamo stare… chi non ha provato, in gioventù, un po’ di male al cuore, lasciando qualche Nuvola triste “laggiù” ? Ci divise e separò Maometto… ecco! Credo che se Bernadine è ancora viva come auspico, forse a Londra, se ne ricordi ancora…).

Insomma, un Dio che non era persona nel padre, nel figlio e nello spirito , ma unicamente il padrone e tutore delle sue creature, non m’interessava, non molto.

E non andavo d’accordo con i neo-convertiti occidentali all’islam perché non avrebbero più potuto uscirsene, pena l’imputazione del crimine-peccato d’ “apostasia”. Avevo inoltre notato che i cristiani di Allah, non dico i rinnegati, nella maggior parte dei casi diventavano fedeli ad oltranza, monolitici e molto più musulmani dei musulmani stessi.

Tuttavia volli mettere come epigrafe al mio libro sul Marocco una Sura del Corano per amicizia verso il Paese e le persone di cui ero stato ospite per tanti anni, e anche perché mi piaceva il suono e la musicalità della prima sura :

Bismillah Ar-Rahman Ar-Raheem

Al-hamdu lillahi Rabb il-‘alamin

Ar-Rahman Ar-Raheem

Maliki yawmi-d-Din

Iyya-ka na’budu wa iyya-ka nasta’in

Ihdina-sirat al-mustaqim

Sirat al-ladhina an’amta ‘alai-him

Ghair il-Maghdubi ‘alai-him wa la-d-dallin

La versione in italiano o parafrasi della sura al Fatiha da me adottata era:

1) Nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso. 2) Lode a Dio, Signore dei mondi. 3) La Clemenza e la Misericordia l’accompagnano. 4) O Re del giorno del giudizio, 5) è Te che noi adoriamo ed a Te che chiediamo soccorso. 6) C’incamminiamo sul sentiero diritto. 7) Cammino di quelli che Tu colmi di grazia. Non di quelli che hanno meritato la collera e che errano.( Marocco-Nordafrica, Arcana editrice, Roma 1975, p. 4).

Alessandro Bausani invece traduce: «6)… guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, 7) la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!» (Il Corano, Alessandro Bausani, Rizzoli ).

( continua…)

Per il momento mi fermo qui. Tendo alla forma saggio-lenzuolone, più che alla forma post… con il rischio di non essere facilmente leggibile, se uno non stampa e legge tutto con tranquillità e con calma. Forse, inshallah, riprendo domani con una seconda puntata…

***

Papa Benedetto XVI scrive il suo primo messaggio per la Giornata mondiale della pace e dice che non si può perseguirla al di fuori dal riconoscimento della verità di Dio e dai rapporti dell’uomo con Dio. E indica la crisi del terzo millennio nell’addensarsi di nuove nubi proprio sul rapporto tra uomo e Dio. Un oscurantismo diverso da quelle del secolo ventesimo. Spiega anche che il terrorismo è ispirato dalla cultura del nulla e dal fanatismo religioso.

In rete

-Il fondamentalismo nichilistaIl Foglio  14 dic 2005

-La lezione del Papa all’Occidenteil Giornale

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Islam e modernità. Catastrofi del sacro

 Islam e modernità

CATASTROFI DEL “SACRO”


Un manifesto di Hamas. Lo shahid ( lett. “Testimone della Fede”) a destra dice: "Sei pronto?"
L’altro martire-killer risponde: "Sì, sono pronto. Ci vediamo in Paradiso".

Non possiamo calarci un velo sugli occhi e non constatare la prosperità dei fondamentalismi religiosi che inclinano più verso la morte che verso la vita, più verso lo squilibrio del terrore che verso un mondo di tranquillità mentale e fisica.

In un mondo interconnesso in cui, come dice il Dalai lama, “ ognuno desidera evitare la sofferenza e realizzare la felicità”, a inclinare più verso la tragedia che verso la compassione e la saggezza è, oggi, specialmente il fondamentalismo radicale di matrice islamica e transnazionale: quello che proclama a gran voce di operare “nel nome dell’islam” contro “il mondo dell’arroganza e “il complotto dell’ignoranza”.

Quando la forza di un venerabile nome irradia tanta devastazione non possiamo e non vogliamo ritenere che quello che accade sia indifferente o capiti incidentalmente. Né possiamo ritenere di una qualche utilità la teoria di Luciano Violante, allorché teorizza – in chiave terzomondista, veteromarxista ed obsoleta – la “lotta di poveri fanatici contro i i ricchi tecnologici”. Né può essere di qualche consolazione dirsi che nel corso della storia altri nomi che pretendevano di “purificare” il mondo, di instaurare la giustizia e di portare la salvezza in qualche paradiso nei cieli o sulla terra ( cristianesimo, comunismo, nazismo, imperi coloniali, ecc.) abbiano anch’essi autorizzato le più crudeli esazioni e ridotto, periodicamente, il mondo a un inferno.

Alimentato – a fronte di alcune voci discordi come per esempio, fra pochi altri innovatori, quella di Talbi ( cfr. Il futuro dell’islam: assimilare la modernità – intervista a Mohamed Talbi )dai grandi ideologi musulmani del secolo scorso come Abu Ala al Mawdudi, Hassan al Banna, Sayyid Qutb, Ruhollah Khomeini, l’islam politico aspira a riportare il mondo all’età dell’oro, identificata con l’epoca aurorale dell’islam (l’epoca di Medina e poi quella del Califfato), quando levatosi allo zenith il sole di Allah sembrava dovesse risplendervi per sempre, eliminando, tra gli ultimi fuochi dell’Antichità, tutte le ombre della storia e assoggettando o distruggendo ogni forma di vita inferiore, non-musulmana, ignorante del messaggio profetico e non disposta alla sottomissione alla luce di Allah.

L’islam politico nasce dall’amara constatazione che l’islam, predicato alla “migliore delle nazioni”, non ha trionfato per sempre. Per i teorici dell’islam politico, incapaci di elaborare la minima sconfitta, il mondo sarebbe regredito all’epoca oscura della Jahiliyya, ovvero dell’ante-islam, perché l’impero di Allah non si è realizzato neanche nei paesi e i regimi che si dicono musulmani, a causa del “complotto dell’ ignoranza” che sarebbe iniziato con le Crociate, continuato con il colonialismo e oggi attestato nella difesa dello Stato d’Israele, avamposto del “mondo dell’arroganza”, vale a dire l’Occidente – che peraltro in arabo è indicato come el maghreb, ovvero come il territorio del tramonto, dell’oscurità e dell’esilio.

Posto dinanzi a questo impossibile trionfo, l’islam politico cerca, con le buone o con le cattive, di re-islamizzare i musulmani oscillanti fra occidentalizzazione ( ightirab) e arabizzazione ( itirab), e di islamizzare la modernità. E, nelle sue frange più estreme, l’islam politico dispera della storia e del tempo, e – gigantesco nella Fede, ma nano nella Speranza e cieco e sordo nella Carità – esplode in maniera aggressiva e spettacolare sulla scena mondiale e la consapevolezza pubblica con l’ “operazione martirio” lanciata dal miliardario wahhbita Bin Laden, che rade al suolo le Torri di New York e un pezzo di Pentagono, per emendare ed ammonire il mondo del tramonto “nel nome dell’islam” e dei “dannati della terra”.

Con le parole di René Girard: "Se le scienze umane non avessero trattato la religione e l´aspetto religioso della vita umana come un´arcaica favola primitiva, escogitata giusto per spiegare l´origine del mondo, forse ciò che è avvenuto l´11 settembre 2001 a New York e le rovine di Ground Zero avrebbero suscitato meno stupore, in un pianeta che vive ancora nella convinzione della propria eternità. È una convinzione sbagliata di origine aristotelica e che non mette in conto la possibilità che il nostro universo un domani possa essere distrutto…". ( Cfr."Il Dio dell´apocalisse" , colloquio con René Girard di Attilio Scarpellini – L´espresso" n. 25 del 12 giugno 2003).

Sarebbe dunque l’Ammonire le creature al timor di Dio e tormentare i vicini e i lontani, il prossimo, il compito di un islam ridotto all’applicazione pratica, pragmatica, di poveri slogan globalizzati e di una piccola idea di shariah, ovvero di Via che finirebbe con il confondere Fede e Stato in maniera totalitaria e tiranna ?

Qui, nel regime dei barbuti, il diritto che s’identifica con la trascendenza viene ridotto, insieme alla trascendenza, alla credenza stessa. E per i fedeli ad oltranza, gli islamisti di tutte le tendenze sunnite o sciite, la “colpa” per il fatto di non vivere in un reale perfettamente islamico, sicuro e privo di dubbi e di pericoli pare che non possa che essere degli altri, di tutti gli altri, e in particolare degli ebrei e dei cristiani ( ovvero di quello che ne resta) , la cui sola esistenza e amore per la libertà mette in dubbio la credenza nella assoluta ed inevitabile Vittoria di un islam destinato ad estendere la propria Legge a tutto l’universo mondo.

L’islam politico radicale, che già prima di ground zero aveva oscurato l’Iran con l’instaurazione della Repubblica islamica degli ayatollah, viene oggi ripreso, tra gli altri, dal Presidente iraniano Ahmadinejad ( in versione sciita) sul punto di dotarsi di armi atomiche, dal Presidente della Siria Bashar Assad , da Abdul Aziz Ibn Saud Mohammed Hussein Fadlallah ( leader di Hezbollah ), e predicato nei discorsi dei maestri dell’Università di al Azhar, la più illustre e antica per il mondo sunnita, e ripetuto da leader e intellettuali oggi egemoni culturalmente e politicamente in una parte determinante dei paesi arabi e dell’islam.

Derivato dalla decomposizione della religione islamica tradizionale e ricomposto nei termini del teo-nazismo-islamico con il quale oggi occupa e domina la scena, l’islam politico più che un asse o una linea retta, assume una forma di schegge di prisma infranto, di medusa che si moltiplica, di network di dimensioni planetarie e bordeline, ovvero senza confini, portandoci a interrogarci sullo statuto della sanità e della follia di moltitudini in preda a una vera e propria “disperazione di massa” ( l’ espressione è dello psicoanalista tunisino Fethi Benslama).

Disperazione di massa”, ovvero un misto di rancore, di gelosia, d’invidia, di rivalità mimetica tra depressione ed esaltazione, come se i processi di secolarizzazione in corso nei paesi musulmani si trovassero improvvisamente privi di ponti culturali per attraversare il tempo, e non potessero che implodere, provocando una tipica “crisi d’identità “ e di cesura nel soggetto islamico. Il tutto, nel corso della storia , sarebbe accaduto alle sue spalle; e sarebbe dovuto unicamente all’esistenza dei complotti orditi dai crociati, dagli ebrei e dai musulmani “tiepidi”, non abbastanza musulmani. Non a caso, quasi dopo ogni evento catastrofico o tragico (come l’attentato jihadista alle Torri di New York, la morte di Arafat, il maremoto nel Sud-Est asiatico, eccetera), il discorso islamista tinto di nostalgia dell’Età d’Oro mobilita giornalisti, semintellettuali e mullah semianalfabeti per elaborare su basi coraniche le ricorrenti teorie del complotto sionista-atlantico iniziato fin dai tempi dei Crociati per mettere l’ ummah, “la migliore delle comunità”, in cattiva luce , far perdere la faccia ai musulmani e denigrare l’Islam, ovvero la religione, la civilizzazione e la cultura islamica.

Disperazione di massa”, come se il contatto con la modernità della gioventù verdeggiante, furibonda, esplosiva, a un tempo esaltante, lunatica ed oppressiva del Terzo o Quarto mondo non potesse – in mancanza di ponti ermeneutici e culturali – che ridurre la lettura del proprio mondo e l’intelligenza della propria storia a un cumulo di assurdità “complottiste” e virare alla vendetta e al disastro.

Un disastro dai tratti paranoico-sacrificali che cova minacciosamente, in forme ubiquitarie e diffuse, specialmente fra la classe media e i semintellettuali del mondo arabo e islamico; ed esplode a corto circuito, e con forti cariche simboliche, come dimostra purtroppo l’attualità del moltiplicarsi delle “operazioni martirio” anche in Europa e l’allevamento, l’indottrinamento e la giustificazione ideologica delle bombe-umane “nel nome di Allah”.

L’immagine del mondo è ormai offerta dai terroristi e il disastro sfolgora in mondovisione tra invocazioni macabre e folli, litanie e ammonimenti ripetuti , il pianto e lo stridore dei denti dei suppliziati ebrei, “crociati”, cristiani e “apostati”, le urla belluine dei carnefici amplificate e moltiplicate dallo spettacolo offerto all’ora di cena da giustizieri incappucciati e sadici brancolanti con il dito puntato verso il mondo e il sangue che gronda dai muri delle loro e delle nostre case. Sottomettere, umiliare, terrorizzare, è proprio questo il perverso progetto messo in atto dal network islamista e i burattinai del terrore fin nell’infosfera ( cfr. p.e. un blog inneggiante all’uccisione degli ‘infedeli’, e quest’ altro ai martiri-killer ) .

Che questo ardore violento – osserva Benslama derivi nello stesso tempo da un contesto storico e geopolitico, in una situazione generale le cui fratture proiettano il peggiore dei mondi a venire, è quello che dobbiamo integrare in analisi pazienti. Ma quello che dobbiamo interrogare in primo luogo è la breccia da cui si sprigiona nell’area dell’Islam una tale volontà disperata di distruggere e autodistruggersi. Quello che dobbiamo pensare e ottenere è una liberazione, senza concessioni, dai germi che hanno prodotto tale devastazione.”

IL TERRORE ALL’OMBRA DEL CORANO ?


I germi dell”odio e del disprezzo per la propria e l’altrui vita e per la storia e l’altrui storia esplosi in maniera spettacolare nel mondo musulmano contro l’altro concepito essenzialmente come ostacolo, avrebbero, secondo alcuni osservatori, radici ataviche, fondate in una interpretazione letteralista e asfittica del Sublime Corano.

L’odio che permane e non disarma sarebbe “sacro”, più precisamente haram ( termine che designa, ambiguamente, la cosa interdetta, illeggittima, l’offesa, il peccato, ma anche la cosa sacra, sacrosanta. Per esempio haram è il porco, l’alcool e in una certa misura il non-musulmano, ma anche la moschea o il Codice del Corano, che, se stampato in lingua araba, non può essere toccato dalle mani dell’infedele o kafir né portato in toilette o lasciato per terra: profilassi, questa, che in alcuni paesi arabi e musulmani, si estende anche ai giornali stampati in lingua araba, lingua considerata sacra in quanto prescelta da Allah per far “discendere” la Sua Parola, l’Ammonimento e il Comando nel petto immacolato di Maometto – l’Illetterato, l’Orfano, il Sublime Modello – nel corso di una Rivelazione “discesa” a brani, nel corso di circa ventidue anni, nel VII secolo ).

L’odio nei confronti dei non-musulmani sarebbe , con termine giuridico-religioso, halal, ovvero puro, consentito, legittimo, perché sarebbe prescritto chiaramente – sebbene su sfondo oscuro ( Cfr. Uno studio sulle origini storiche del Corano) –, dal Libro Sacro. Per esempio Allah direbbe a chiare lettere nella Surah al-Baqara: “ Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciato: la persecuzione (fitna) è peggiore dell’omicidio… (Corano II. Al-Baqara, 190-191). E anche: “Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia (reso solo) ad Allah” (Corano II. Al-Baqara, 193) .

Ma il significato delle parole in arabo del Corano, così come delle loro parafrasi in altre lingue, non consiste nella a-temporalità della lettera. Le lettere vanno lette, interpretate e contestualizzate, sapendo che le interpretazioni fondamentaliste del Corano non provengono da Allah. Le interpretazioni coraniche derivano in gran parte da tutta una tradizione esegetica rimasta fissa al medio-evo e immuta. Vengono tuttavie diffuse a gran voce “nel nome di Allah” da uomini che si arrogano il potere assoluto di porsi al di sopra della verità, della storia e del rispetto per la vita, e di distruggere ( cfr. Così i «cattivi maestri» del Corano insegnano a odiare ebrei e cristiani ). " Un tempo – scrive Mohammed Arkoun in L’Islam morale et politique – nel linguaggio coranico si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". Nell’assedio di un mondo in continua mutazione, posto sotto il segno della volontà di potenza politica ed economica, nonché delle nuove ambizioni di alcuni potentati e Stati islamici, burattinai del terrore, la sakina sembra scomparsa dalla sensibilità musulmana.

Se la verità fa corpo con l’a-temporalità della Lettera Sacra e non è che Volontà o Comando, allora gli eccessi fanatici degli islamisti non hanno più niente a che fare con la terra, con la distinzione fra bene e male, con la coscienza e lo sguardo sereno e critico su se stessi, il discernimento spirituale e un pensiero morale e politico responsabile.

In altri termini, anche se Allah, il Dio che non è il padre ma l’Unico tutore e padrone delle creature, fosse il Più Grande, resta certamente vero che i cervellini dei barbuti siano fra i più piccoli mai comparsi su questo pianeta e alquanto limitati. Nel loro rifiuto della complessità e il loro disprezzo per il pensiero si annida, ancora una volta, la tirannia. Il loro servilismo non è verso Allah ma verso una tradizione che, sia pure venerabile, si vuole mantenenere fissa e contratta, a misura della loro crispazione, anche intellettuale, e indigenza fondamentale.

C’incombe un dovere d’inquietudine e di non sottomissione, all’interno di noi stessi e verso quei servili barbuti che hanno portato al sequestro dell’Islam e a questa oppressione.

Se, con le parole di Fethi Benslama, “ allo stesso modo in cui l’Europa non è solo l’affare degli Europei, l’Islam non è la cosa esclusiva dei musulmani”, a maggior ragione l’Islam non è la cosa esclusiva dei barbuti.

Di fatto, lasciando sia i movimenti islamisti tradizionali sia quelli radicali, spesso collusi con il jahidismo, questa posizione conduce sempre più numerosi “ islamisti contrariati” ( l’espressione è di Patrick Haenni, autore del recente L’Islam de marché ) a privilegiare la ricerca di una salvezza personale, di una realizzazione di sé e del successo economico, stufi delle affabulazioni delle grandi gesta islamiste e jihadiste che appaiono, ai loro occhi, sempre meno seducenti. Non sempre, quindi, l’accentuazione della pratica religiosa musulmana è posta sotto il controllo degli islamisti, come per esempio qui in Italia, soprattutto dei Fratelli Musulmani dell’Ucooi, confrontati alla concorrenza di nuovi impresari religiosi, di predicatori o imam affrancati dall’ossessione militante, di intellettuali riconciliati, perlomeno all’apparenza, con le categorie della modernità occidentale, moralisti musulmani di ogni specie, animatori di pii talk-show, predicatori di salotto, gruppi di musica e danza medio-orientali oscillanti tra l’ispirazione sacra, la drammatizzazione della poesia sufi e volontà di proselitismo.



P.S.

Mentre gli “islamisti di mercato” quasi si confondono con il new age e gli islamisti radicali praticano il sequestro dell’Islam tramite il letteralismo e l’evacuazione della metafora e dell’intelligenza spirituale, e a seconda dei rapporti di forza esistenti e dell’opportunità, praticano la dissimulazione o taqiya , l’ingiuria, la minaccia dell’inferno nell’aldilà e nell’aldiqua, l’utilizzazione selettiva di versetti fuori dal loro contesto storico, la lettura ripetitiva del Testo sacro e comparazioni con le turpitudini della Bibbia e della Cristianità, i musulmani più sensibili e riflessivi, come ad esempio Abdelwahab Meddeb , Mohamed Charfi, Rahid Benzine, Mohamed Arkoun, Soheib Bencheikh, Nasr Hamid Abu Zaid ( costretto, quest’ultimo, a fuggire dall’Egitto e a riparare in Olanda) e altri che possono essere definiti I nuovi pensatori dell’Islam , restano in una situazione di quasi-impossibilità nel tentativo di “interpretare” criticamente, ovvero fra “crisi” e “giudizio”, le venerabili parole del Corano.

Continuo a pensare che se ci si basa sull’esegesi tradizionale del Corano ferma al IX secolo d.C. e ci si rinchiude, in maniera asfittica, nell’idea che il Sublime Corano sia il linguaggio perfetto e a-temporale di Dio, espresso in una lingua araba intangibile e sacra, allora nessuno può ragionare sul Corano e farsene l’avvocato per renderlo compatibile con il rispetto della vita dei non-musulmani e con una società rispettosa dei diritti umani e di un minimo d’intelligenza spirituale, di cultura, di poesia o di pietà per le vittime ( Cfr. Islam e diritti umani ).

Al limite, la barbarie teo-nazi-islamica in ascesa sfolgorante non ha niente a che fare neanche con il Corano, ma con la permanenza, la forza espansiva e il rigurgito di un immaginario religioso in movimento aggressivo e disperato. Se ci si rinchiude nell’idea tradizionale ed assiomatica che il linguaggio del Corano sia la realizzazione dell’utopia del linguaggio perfetto, contenente nell’a-temporalità della lettera l’espressione chiarissima di una Volontà e di un Comando perfettamente udibile dall’orecchio carnale, allora lo "sforzo anche estremo sulla via di Allah" ( al jihad fi sabilillah) diventa una parte della difesa della religione-stato. E la religione invece di mettersi al servizio di creature fallibili e dotate di poteri precari si trasforma in una formidabile arma politica e strumento di potere.

Nota: Allorché “islam” è scritto in minuscolo s’intende la religione ( din ) islamica, allorché “ Islam” è scritto in maiuscolo s’intende la civilizzazione islamica – che peraltro oggi in piena mutazione e marasma contiene in se stessa gli anticorpi ai germi islamisti radicali. Basti pensare alla determinazione e al coraggio con il quale oggi numerosi irakeni si recano, ancora una volta alle urne sfidando il terrorismo e protetti dal sacrificio dei nostri soldati in missione di pace necessariamente purtroppo armata ( cfr. E’ esportata, ma è democrazia di Khaled Fouad Allam; e Difendere e incentivare la libertà di Daniel Pipes ) ; o alle organizzazioni di uomini, di donne e di giovani musulmani liberali e democratici ( Cfr. Distinguere tra stato e religione, il manifesto islamico della libertà- L’Opinione) .

Oppure, nell’insieme del mondo musulmano, specialmente in Turchia, in Egitto, in Marocco o in Tunisia, alla conversione dei movimenti islamisti non jihadisti al mercato e a una politica della morale ( islamica) e delle opere intessute di compromessi pragmatici con l’Occidente e di cultura manageriale come sostituto delle pesantezze degli Stati post-coloniali e iperburocratici.

E anche, per limitarsi solo a qualche classico dell’Islam e fare qualche nome, a Omar Kayyam ( che scriveva: "Rinchiudi il tuo Corano; pensa e guarda liberamente al cielo e alla terra”) e a altri poeti che come Abu Nuwas amavano il vino che rinfresca, il vento che dà aria alle stanze chiuse e la poesia ; o agli spirituali come Rumi e ai sottili ermeneutici della parola coranica come Ibn Arabi, oppure ai tanti liberi pensatori dell’islam e a quegli scettici, perché no?, come Aboul’âlaa al Maari ( vissuto tra il 973 e il 1057), che – a mio giudizio buttando il bambino insieme all’acqua sporca – scriveva con una disperazione che non può che rendercelo più simpatico e redimibile di tanti superuomini, santocchi convinti e pii tagliagole : “ Il Corano, la Torah, i Vangeli… a ogni generazione le proprie menzogne”.

L’ immaginario paranoico-sacrificale del teo-nazi-islam, oggi comune a grandi masse di persone , viene scambiato come "vero Islàm". In realtà non esiste il “vero islam”, perché – in mancanza di un’autorità centralizzata ( come per esempio il Vaticano, capace ancora, per fortuna, di moderare le derive, spesso idiote, e gli eccessi dei fedeli fanatici) – ogni versione dell’islam è parimenti valido, su un piano orizzontale. Al di sopra c’è solo Allah, ed il problema secolare mai risolto dei musulmani, è proprio questo: come articolare e attraverso quale autorità umana la parola a-atemporale del Corano al tempo e alla storia. Attraverso quale mediazione, necessariamente umana e quindi altra da Allah, la Volontà espressa a chiare lettere dall’Onnipotente, che in quanto tale non può essere moderato da alcunché, si realizza in questo mondo ?

Per gli obiettivi fallaci che si propone e i metodi crudeli adottati certamente l’islam poltico radicale in versione jahidista non vincerà, ma resta tuttavia determinato a fare molto male “nel nome dell’islam”. Per lunghi anni a venire avremo sia la civiltà sia la barbarie. Al limite, la barbarie teo-nazi-islamica in ascesa sfolgorante non ha niente a che fare neanche con il Corano, ma con la permanenza, la forza espansiva e il rigurgito di una “disperazione di massa” e di un immaginario fondamentalista in movimento regressivo verso la barbarie e il deserto di un Origine mitizzata e allucinata come una grande ummah: una Matria islamica popolata da tanti fratelli-feti morti, esplosi o allucinati nel paradiso delle urì.

Quando i perfidi barbuti ci propongono la shahada, ci propongono di rinunciare alla vita e di sottometterci alle pulsioni di morte non come avviene naturalmente, quando vuole Allah, allorché inevitabilmente moriamo, ma tramite un corto circuito tra pulsione di vita e pulsione di morte perversamente “montato” da loro “nel nome di Allah”. Qui, in piena “catastrofe del sacro”, si potrebbe aprire uno studio su islam radicale e regressione intrauterina, ma per non continuare oltre misura con il presente lenzuolone, mi limiterò a ricordare le osservazioni, più sotto, del professor Iakov Levi ( vedi: EROS E THANATOS. HO TROVATO UN COMMENTO).

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