Gli stivali di Ahmadinejad

 GLI STIVALI DI AHMADINEJAD IN FACCIA AL MONDO 

 In this Aug. 24, 2005 handout file photo released by the Iranian Students News Agency, backdropped by an anti-Israeli and anti-American painting, I
Così parla il Führer : “ Il risultato di centinaia di anni di guerra sarà definito nella terra palestinese. Come disse l’imam [ l’ayatollah Ruhollah Khomeini], Israele deve essere spazzato via dalla cartina geografica.”

Con Hizballah , l’ Iran è il principale sponsor del Palestinian Islamic Jihad Islami , il cui killer-suicida ha ucciso cinque civili Israeliani al mercato di Hadera alcune ore più tardi.

——

 Nei prossimi giorni una delegazione dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) tornerà in Iran per acquisire informazioni sul controverso programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica Islamica dell’Iran ( v. anche: Nuclear revelations- Press Conference of Mohammad Mohadessine).

Secondo le gravi preoccupazioni espresse da numerose ONG internazionali, nel regime degli ayatollah continua la campagna di re-islamizzazione forzata della popolazione voluta dal presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad. Dal suo arrivo al potere , circa tre mesi fa, vi sono state 71 impiccaggioni e condanne a morte. Il potere di Ahmadinejad deriva principalmente dalla protezione dei mullah e dalla polizia religiosa che occupa i Ministeri e i Servizi, un fatto che ha generato un clima spaventoso negli ambienti sociali e politici dell’Iran.

L’imposizione della shari’a include dei metodi crudeli di punizione per la trasgressione delle leggi islamiche sui rapporti sessuali, gli arresti arbitrari e la tortura, mentre la polizia sessual-religiosa conduce una campagna ben organizzata di spionaggio generalizzato su Internet per intrappolare a casa propria gli iraniani sospettati di essere gay, adulteri, apostati, non abbastanza musulmani o dissidenti.

Presi di mira sono soprattutto gli intellettuali, le minoranze religiose, i democratici e i dissidenti ( come per esempio Akbar Ganji , coraggioso giornalista che ha denunciato al mondo i crimini dei mullah), le donne e le persone suggerite o designate come “omosessuali, sia attivi che passivi” (lutiyya), veri e propri capri espiatori dell’islam politico, in un caratteristico e perverso intreccio di misoginia , sessuofobia e antisemitismo.

Le vittime dei barbuti includono donne che hanno rapporti sessuali fuori dal matrimonio (zina) e gli avversari politici del regime degli ayatollah. Secondo l’attivista iraniana ( in esilio ) Banafsheh Zand-Bonazzi, (via The White Peril) le donne prima dell’esecuzione vengono violate da pii carcerieri “affinché non vadano in Paradiso”, e alle loro famiglie vengono inviati certificati di matrimonio (nikha) in modo che tutto sia haram, cioè conforme alle leggi della purezza nazi-islamica.

Si tratta di notizie episodiche e di richieste di aiuto che giungono insieme alle immagini degli scarponi o stivali di Amhadinejad posti in faccia al mondo *, ma senza giornali indipendenti, con le limitazioni severe sui siti Web e con una presenza ridotta dei gruppi internazionali di osservatori all’interno dell’Iran è diventato molto più difficile verificarle e sentire le voci delle vittime del lugubre e vizioso regime degli ayatollah.

 *  Gli stivali nazisti sono di nuovo in marcia, ma stavolta vestono nei caffettani e si nascondono dietro le loro barbe” ( Theo van Gogh , v. IL FOGLIO ).

 P.S. In questa atmosfera satura di ardori rivoluzionari a un tempo esaltanti e oppressivi, di violenza e di scacchi, la Repubblica islamica dell’Iran inalbera i patiboli, fa risuonare gli stivali in un lugubre sventolare di barbe e di veli, ed esporta la minaccia sul “nemico esterno” indicato come “grande” e “piccolo” Satana, identificati rispettivamente negli Usa e in Israele – oltre che in chiunque, anche nel mondo islamico, si opponga al dilagare dell’odio e del terrorismo maligno.

Persino Le Monde , spesso così fazioso nel tentativo di salvaguardare gli interessi commerciali che da anni la Francia ha con l’Iran, è costretto ad ammettere nell’editoriale di oggi che: “nessuno crede più alla favola di una potenza petrolifera desiderosa di dotarsi di un nucleare civile. La comunità internazionale ha oggi il diritto di provare una viva inquietudine circa l’uso che l’Iran intende fare della bomba”.

 

In Iran gli ayatollah, esprimendo pubblicamente un vero e proprio odio genocidario, hanno detto e ripetuto più volte di essere disposti a scambiare 100 milioni di musulmani morti mediante una bomba nucleare islamica con 5 milioni di ebrei morti in Israele allo stesso modo. Con la differenza che nel restante mondo islamico i 100 milioni di musulmani morti verrebbero celebrati come gloriosi martiri in Paradiso mentre i 5 miloni di ebrei morti in una Israele scomparsa farebbero oggetto di qualche sanzione all’Iran parte dell’ONU e di fiaccolate di cordoglio e di marce arcobaleno della pace da parte di un’Europa sempre più smarrita , debole, persa dalla Scandinavia al Nordafrica tra le nebbie radioattive.

– Prime reazioni di condanna, indignazione e disgusto v. Corriere – Iran: critiche mondiali dopo frasi presidente. 

 – Niente solidarietà per favore  la richiesta di Deborah Fait a chi si scandalizza ipocritamente dei proclami di Ahmadinejad ma non condanna il terrorismo  palestinese. Fonte: Informazione corretta

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Vergini, quante vergini?

 VERGINI ? QUANTE VERGINI ?

  

Si è creduto che i martiri-killer, gli adepti dell’assassinio – suicidio che si dicono musulmani, ricevessero 72 donne vergini come ricche ricompense sensuali in Paradiso.

 Uno studio storico dei testi ( Cfr. Christoph Luxenberg, Die syro-aramaeische Lesart des Koran; Ein Beitrag zur Entschlüsselung der Qur’ānsprache. Berlin, Germany: Das Arabische Buch, First Edition, 2000), suggerisce che potrebbero restarne delusi.

Secondo lo studioso tedesco, invece che “fanciulle bianche dai grandi occhi neri, come perle nascoste” ( LV, 72) e “fanciulli di eterna giovinezza” simili a “ perle sparse” ( LXXXVI, 19), il Testo prometterebbe come ricompensa “uva passa bianca, di chiarezza cristallina o perlacea”  – houri * ( v. Ibn Warraq reports – The Guardian ).

  Il termine hur ( in arabo hur al-ayn o hur ayn , anglicizzato come "houri ") sarebbe un aggettivo femminile plurale che significa semplicemente “bianche” : in aramaico e in arabo antichi non vuole dire le "fanciulle" o le "vergini" ma piuttosto vuole dire "acini bianchi" o "uva passa bianca".

 —–

Inchiesta di Alexander Stille sul "New York Times" del 4 marzo 2002. This morning’s International Herald Tribune carried a New York Times piece entitled Scholars Scrutinize the Koran’s Origin. After a warning by the author, Alexander Stille, that scholars who have questioned the Koran have found themselves as targets of death and wrath, he goes on to report that:

"Christoph Luxenberg, a scholar of ancient Semitic languages in Germany, argues that the Koran has been misread and mistranslated for centuries. His work, based on the earliest copies of the Koran, maintains that parts of Islam’s holy book are derived from pre-existing Christian Aramaic texts that were misinterpreted by later Islamic scholars who prepared the editions of the Koran commonly read today. So, for example, the virgins who are supposedly awaiting good Islamic martyrs as their reward in paradise are in reality ‘white raisins’ of crystal clarity rather than fair maidens."


"… the famous passage about the virgins is based on the word ‘hur‘, which is an adjective in the feminine plural meaning simply ‘white.’ Islamic tradition insists the term ‘hur‘ stands for ‘houri’, which means ‘virgin,’ but Luxenberg insists that this is a forced misreading of the text. In both ancient Aramaic and in at least one respected dictionary of early Arabic, ‘hur’ means ‘white raisin’."

Alcuni studiosi arabi ribattono che si tratta invece proprio di "vergini" bianche promesse in spose ai credenti nell’aldilà. Per approfondimenti vedi. Arabic Script & The Alleged Syriac Origins Of The Qur’an, a very lengthly investigation and analysis of the issue; e anche: Missionary, dilettante or visionary? Review of Ch. Luxenberg ‘Die Syro-Aramäische Lesart des Qur’an’ (This article is a translation of a slighlty improved version of a Dutch article: Kroes, Richard. 2004: ‘Zendeling, Dilettant of Visionair? Een recensie van Ch. Luxenberg: Die Syro-Aramäische Lesart des Qur’an’ Dialoog nr. 4, juni 2004, 18-35). 

 LE VERGINI O L’UVA ?

The Virgins and the Grapes: the Christian Origins of the Koran, An interview with "Christoph Luxenberg" by Alfred HackensbergerJusfiq Hadjar – Proletar 14 Apr 2005; in italiano: Le vergini e l´uva: le origini cristiane del Corano.Uno studioso tedesco di lingue antiche rilegge il libro sacro dell´islam – di Sandro Magister. ( “Che l´aramaico sia stata la lingua franca di una vasta area del Medio Oriente antico è nozione ormai arcinota a un vastissimo pubblico, grazie all´ultimo film di Mel Gibson, ‘The Passion of the Christ’, ascoltato da tutti proprio in quella lingua.
Ma che il siro-aramaico sia stato anche radice del Corano, e del Corano di primitivo impianto cristiano, è nozione più specialistica, quasi clandestina. E parecchio pericolosa. L´autore del libro più importante in materia – un professore tedesco di lingue antiche semitiche ed arabe – ha preferito, per prudenza, firmare con lo pseudonimo di Christoph Luxenberg. Qualche anno fa un suo collega dell´università di Nablus in Palestina, Suliman Bashear, è stato gettato dalla finestra da suoi allievi musulmani scandalizzati.
Anche nell´Europa del Cinquecento e del Seicento, dilaniata dalle guerre di religione, i biblisti usavano tenersi al riparo con pseudonimi. Ma se oggi a farlo sono studiosi del Corano, musulmani e non, è segno che anche per il libro sacro dei musulmani è cominciata l´era delle riletture storiche, linguistiche, filologiche” ).
Fonte: http://www.chiesa.espressonline.it

Pubblicato in Varie | 2 commenti

Clinica delle notti

 Psicoanalisi

CLINICA DELLE NOTTI

IL TERRORISMO VA IN ANALISI

 

 La follia del terrorismo maligno senza confini – nata nell’area della civilizzazione dell’Islam in pieno scisma e riccamente promossa e finanziata da potentati e da Stati islamisti – non risparmia né la vita umana, né le istituzioni, né i testi, né l’arte, né la parola. “Allah akbar..! Allah è il più grande!”: questa è oggi la lugubre litania, il folle mantra che nel nome dell’islam politico sequestra le molte storie e il vocabolario dell’islam, e si arroga il potere assoluto di mettersi al di sopra della verità, della compassione e della giustizia.

Irradiandosi nel “nome dell’islam” e pretendendo di portare la salvezza, il totalitarismo islamista con la sua disperata volontà di distruggere ed autodistruggersi è in ascesa sfolgorante in un contesto spettacolare, psicostorico e geopolitico di vera e propria “disperazione di massa” – in una situazione planetaria più generale le cui fratture liberano i germi della devastazione e proiettano le ombre del peggiore dei mondi a venire.

 

 

Journal of European Psychoanalysis pubblicherà nel prossimo numero ( in preparazione) un passaggio tratto dal capitolo IV, dal titolo “De Lui à Lui”, del saggio La psychanalyse à l’èpreuve de l’Islam dello psicoanalista tunisino Fethi Benslama. Anticipo qui la prima bozza di presentazione che ho scritto per l’edizione in inglese del testo di Benslama dal titolo The Analysis of Arabian Nights or Scheherazade’s tasks.

Di fronte al profondo dérèglement del reale e delle forme simboliche che affiora negli estremismi, l’analisi conduce verso questioni rimaste impensate, come l’affermazione coranica che Dio non è il padre, secondo uno spirito nato da un esilio che tiene l’Essere lontano da qualsiasi metafora paterna ed idea di procrezione, permettendo così al figlio di incontrare l’Uno e di edificare una religione al di fuori del padre – che resta assente, e pertanto allucinato.

Al termine di una ricerca che lo ha condotto ad esplorare i testi e le peculiari costruzioni simboliche della religione islamica, l’Autore s’interroga sul rapporto fra il narcisismo maschile e il testo islamico; ed identifica l’alterità femminile come la nervatura centrale della rimozione propria del monoteismo islamico.

L’esplorazione conduce l’Autore a illuminare di nuovi significati un testo come Le Mille e una notte, che ­ non a caso oggi proibito nei regimi islamisti oscurantisti ­ assume il valore di una liberazione da costrizioni estreme.

Nel racconto de Le mille e una notte, il califfo appare in preda al fantasma della vergine eterna e reso folle dall’infedeltà della sua donna, ovvero dalla vista della sua donna che si dava a un altro in una scena d’orgia. Sheerazade è costretta a mettere in opera un dispositivo per scongiurare la pulsione di morte che vuole possedere il Tutto e il Niente della donna.

All’inverso che nel Don Giovanni, che aggiungendo una donna dopo l’altra alla serie delle sue conquiste cerca di salvare il suo desiderio, il califfo mette in scena una follia di onnipotenza maschile che procede per sottrazione: ogni notte, una di meno! E’ il desiderio della fine del desiderio, il cui scopo ­ tramite l’uccisione di una donna per notte ­ sarebbe di ritrovare un oggetto originario non intaccato dall’Altro.

Posta in un vero e proprio ‘deserto genealogico’, emerge così l’incapacità del soggetto maschile di riconoscere la jouissance dell’Altro e di sopportare l’impossibile della jouissance Altra( ovvero della parte supplementare del godimento femminile in quanto non del tutto fallico).

Nella spaventosa imminenza del godimento assoluto, che non può che sfociare nella distruzione, il dispositivo di Sheerazade per evitare il disastro, non consiste solo nel racconto come terapia e nell’epos della parola che richiama alla ragione , ma nell’introdurre la giovane sorella nella camera nunziale.

Nel luogo stesso in cui si svolge la violenza della deflorazione, Sheerazade pone la voce che invoca e l’ascolto infantile al servizio del racconto e della vita, poiché il racconto udito dall’infante ( ovvero dall’infantile e dal richiamo alla procreazione introdotti sulla scena ) scongiurano la morte e la notte, placando il furioso desiderio maschile che mira al deserto.



NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Fethi Benslama, di origine tunisina, vive e lavora a Parigi come psicoanalista e professore di psicopatologia all’Università Parigi VII. Nel 1990 ha fondato e diretto fino al 2003 la rivista "Intersignes", che ha aperto un dialogo interculturale tra filosofi, artisti e psicoanalisti. Ha pubblicato studi sull’Islam e l’Europa nel mondo contemporaneo ed è autore di numerosi libri, fra cui: La nuit brisée, Ramsay, 1988; Une fiction troublante, éd. de l’Aube, 1994; L’islam à l’épreuve de la psychanalyse, Aubier, 2002 e Poche Flammarion 2004; La virilité en Islam ( avec Nadia Tazi, ouvrage collectif) éd. de l’Aube, 2004.

Il suo ultimo lavoro, Déclaration d’insoumission, à l’usage des musulmans et de ceux qui ne le sont pas, uscito in questi giorni in libreria per Flammarion, si pone nel prolungamento del Manifeste des Libertès e fa intendere la voce dei democratici e dei laici musulmani “ attanagliati tra la repressione tirannica dei loro paesi e le fatwas che armano gli assassini del fascismo islamista”. Il testo esprime la voce dei musulmani laici contro il ritorno degli arcaismi sanguinari, ed è una prima risposta a tutti coloro che deplorano che così poche voci si levino nel mondo musulmano per condannare i deliri islamisti.

Entretiens avec Fethi Benslama, autour de sa " Déclaration d’insoumission à l’usage des musulmans et de ceux qui ne le sont pas" (édition Flammarion). Tewfik Allal, Michèle Sinapi et Nadia Tazi. Fonte: Manifeste des libertés.



—–

Variante. Ultima versione ( non definitiva) del testo in preparazione:

Summary

Al termine di una ricerca che lo ha condotto ad esplorare i testi e le costruzioni simboliche della religione islamica, l’Autore qui s’interroga sul rapporto fra il narcisismo maschile e il testo islamico; ed identifica l’affermazione coranica che Dio non è il padre e l’alterità femminile come la nervatura centrale della rimozione propria del monoteismo islamico.

L’esplorazione conduce l’Autore a illuminare di nuovi significati il testo di “Le Mille e una notte”: oggi proibito nei regimi islamisti oscurantisti, esso assume il valore di una liberazione da costrizioni estreme.

Il califfo de “Le mille e una notte” mette in scena una follia di onnipotenza maschile che procede per sottrazione: ogni notte, una di meno.

E’ il desiderio della fine del desiderio, il cui scopo ­ tramite l’uccisione di una donna per notte ­ sarebbe di ritrovare un oggetto originario non intaccato dall’Altro. Posto in un vero e proprio ‘deserto genealogico’, emerge così l’incapacità del soggetto maschile di riconoscere la jouissance dell’Altro e di sopportare l’impossibile della jouissance Altra.

Nell’imminenza del godimento assoluto, che non può che sfociare nella distruzione, il dispositivo di Sheerazade per evitare il disastro non consiste solo nel racconto come terapia e nell’epos della parola che richiama alla ragione, ma nell’introdurre la giovane sorella nella camera nuziale. Nel luogo stesso in cui si svolge la violenza della deflorazione, Sheerazade pone la voce che invoca e l’ascolto infantile al servizio del racconto e della vita, poiché il racconto udito dall’infante (ovvero dall’infantile e dal richiamo alla procreazione introdotti sulla scena) scongiurano la morte e la notte, placando il furioso desiderio maschile che mira al deserto.

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Mamma palestinese con la bomba in carrozzina

 MAMMA PALESTINESE CON LA BOMBA IN CARROZZINA

Niente di più normale: le mamme utilizzano il passeggino quando il bimbo è già in grado di stare seduto correttamente cioè circa tra i 6 e gli 8 mesi. Non in Palestina, in una società che ha il culto della morte e della santificazione degli atti di perfidia, dove una mamma ha dissimulato una granata nel passeggino del suo bambino. E’ accaduto sabato, nel villaggio di Asira al-Shamaliya, quando i soldati israeliani hanno arrestato cinque uomini. Il comportamento della moglie di uno degli uomini arrestati ha risvegliato il sospetto dei soldati e una ricerca ha rivelato una granata nascosta nella coperta avvolta intorno al neonato che lei portava. 

La donna, Aziza Jawabra, ha ammesso che la bomba era nascosta tra i pannolini che avvolgevano il suo bimbo di un mese, il piccolo Yamin, ma ha sostenuto che lei non sapeva che suo marito aveva nascosto la granata nella coperta del neonato.

 “Non è bello – commenta con amara ironia Angelo Pezzana – fermare una donna che porta a spasso il figlioletto nel passeggino, Abu Mazen direbbe che la si umilia. Qualche volta sarà vero, e i primi a porgere le scuse sono proprio i soldati di Zahal, ma se non avessero fermato Aziza Jawabra quanti morti avrebbe provocato la bomba nascosta nel passeggino ? Tra ‘umiliazione’ e strage si deve preferire la seconda ?”.

 

 Sarebbe molto più produttivo costruire  ponti, accogliere tutti e non umiliare nessuno, ma a fronte del terrorismo maligno è purtroppo necessario far muro per la vita.

Quando una notizia non fa notizia – Angelo Pezzana su Libero 23.10. 2005
«La mamma palestinese con la bomba in carrozzina»


ASK FOR DEATH –
The Indoctrination of Palestinian Children to Seek Death for Allah – Shahada.

– The Recruitment of Children in Current Palestinian Strategy

—–

Quadruplicato il numero di palestinesi uccisi da palestinesi israele.net

via : http://www.israele-palestina.info/

 – Cresce la violenza interna alla Palestina – di Martin Pillitteri su L’Opinione

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Aids: ogni due ore c'è un sieropositivo

 AIDS : OGNI DUE ORE C’E’ UN SIEROPOSITIVO

Lo sostiene l’Anlaids (l’associazione dei pazienti), presentando a Roma il XIX° Congresso AIDS e Sindromi correlate che si apre oggi, a Vibo Valentia: “ogni due ore una persona mediamente s’infetta e va ad aggiungersi agli altri 120mila sieropositivi attualmente presenti in Italia”.

I nuovi casi di malattia conclamata, nel primo semestre, sono 443. I malati sono attualmente 21 mila (55 mila dalla scoperta del virus nel 1982, il 62% dei quali è deceduto). La Regione a maggior numero di casi è la Lombardia, seguita da Emilia e Romagna, Umbria, Liguria e Toscana. Campania e Molise presentano un’incidenza quasi dieci volte inferiore alla Lombardia.

Alla conferenza stampa di Roma, il presidente Fernando Aiuti ha detto che il ricorso prudenziale al profilattico sta diventando sempre più un optional e sempre più numerosi sono, fra i pazienti, quelli con i "primi capelli bianchi".

Gianni Rezza, dell’ Istituto Superiore di Sanità, ha posto l’ accento sugli "inconsapevoli untori" ovvero chi non sa di essere infetto e che lo scopre casualmente, evitando fino a quel momento qualsiasi precauzione.

TORNA LA “VECCHIA SIGNORA”

Dopo l’Aids, fra le malattie che avvelenano i piaceri dell’amore, la sifilide è la  malattia sessualmente trasmissibile con il più alto tasso di mortalità, con una incidenza annua di 12 milioni di nuovi malati nel mondo. Nessuno ormai ci fa più caso: parlare di sifilide è come parlare di una malattia che appartiene al passato, almeno nei paesi occidentali. Ma purtroppo non è come si pensa perché è sempre minacciosamente presente. Già da tre anni fa il British medical Journal segnalò ben quattro focolai di infezione in Gran Bretagna ed altri focolai furono segnalati in Francia e negli Usa. Dal 1989 c’è stato un allarmante incremento del tasso di malattia nei paesi dell’Europa orientale, precedentemente appartenenti al blocco sovietico. L’incidenza della malattia era in quesi paesi del 5-15 per 100.000 nel 1990, ed è cresciuta fino al 120-170 per 100.000 alla fine del decennio. Soltanto dal 2.000 al 2001 in Italia si registrava un aumento del 92%, e dal 2001 al 2002 c’è stato un ulteriore aumento del 44%. Ad essere colpiti soprattutto i giovanissimi (ragazzi fra 14 e 16 anni e sieropositivi). Alle origini del fenomeno, insieme all’aumento dei viaggi, c’è la ripresa di comportamenti a rischio. E un calo di attenzione dei medici, che non sanno più riconoscerla. ( cfr. [PDF] Infezioni sessuali, torna la sifilide a Roma ). Pur non contestando il fatto che la sifilide venga trasmessa attraverso il sesso non sicuro, in uno studio pubblicato sulla rivista ‘Nature’” alcuni ricercatori britannici sostengono che le epidemie che finora erano state attribuite a fenomeni sociali, come la rivoluzione sessuale, siano in realtà causate dal declino immunitario della popolazione. ( cfr. La sifilide e la rivoluzione sessuale).

——–

LA FINE DI MAUPASSANT

Ho preso il mio medico per il collo e gli ho detto: “Imbecille, trova cos’ho o ti spacco”. “La sifilide” mi ha risposto. Confesso che non me l’aspettavo, ero molto turbato, ma alla fine ho detto “Quale rimedio?” Mi ha risposto: “Mercurio e iodurio di potassio”: allora andai da un altro Esculapio che fece la stessa diagnosi (…) Finirà che il mercurio diventerà il mio alimento abituale. I capelli mi cominciano a ricrescere (…) i peli del culo crescono come cespugli (…) Ho la sifilide! Finalmente la vera sifilide! (…) …e ne sono fiero, per tutti i diavoli, e disprezzo più di tutto i borghesi. Alleluja, ho la sifilide, e quindi non ho più paura di prenderla, e mi fotto le puttane, le sgualdrine, e dopo essermele fottute dico: “Ho la sifilide!” Loro hanno paura e io me la rido. (Lettera di Guy de Maupassant a Robert Pinchon, 2 marzo 1877).

Faceva scherzi anche peggiori. Una volta si dipinse una finta ulcera da lue sul glande e la mostrò tronfio all’amante che poi violentò, facendole credere di averla contagiata. Così almeno si legge nel Journal dei Goncourt (1° febbraio 1891), i quali, del resto, da un bel po’ trovavano Maupassant insopportabile (…).

Forse furono proprio stati psicotici da neurosifilide che gli fecero scrivere capolavori dell’horror come Le Horla (1887), così del resto pensava già l’amico Frank Harris (Ma vie et mes amours).

Fosse vero, la malattia avrebbe fatto emergere definitivamente il Maupassant “altro”: “l’inquilino nero” raccontato benissimo da Savinio (Maupassant e l’altro).

L’anno di Le Horla fu davvero quello in cui la testa si ridusse a “una scatola di emicranie” (lett. al dottor Henry Cazalis). – Poi, tra lisi e crisi, inevitabilmente sempre peggio.

Spigolando dalla corrispondenza: 1889 emorragie intestinali “come una partoriente”; 1890, “dopo dieci righe non so più assolutamente quel che sto scrivendo”; dal 1892 inizia il ricovero finale nella casa di cura del dottor Blanche, dove muore diciotto mesi dopo.

In uno degli ultimi delirî farneticava che avrebbe ucciso Dio fottendoLo, e passandoGli così la sua sifilide nera (G. Normandy, La fin de Maupassant).

Facilmente profetico era stato il paterno, e omosessuale sottile, Flaubert: “Giovanotto lubrico, tenete a freno il cazzo e limitatevi alla gioia delle fatiche letterarie” (G. FLAUBERT, Lettres à Maupassant, Paris 1942). Fonte: compagnosegreto.it/N°9/

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Intrafada: palestinesi uccidono palestinesi

INTRAFADA: PALESTINESI UCCIDONO PALESTINESI 

This picture released by the previously unknown Palestinian armed militia called
Nella foto: Terroristi palestinesi armati e senza volto, appartenenti al sedicente gruppo mafioso “Fursan Al-safa” (Cavalieri della Tempesta) hanno esibito ieri martedì 18 ottobre 2005 a Khan Younis (striscia di Gaza) il sequestro di due palestinesi accusati d’aver “collaborato” nella lotta contro il terrorismo( AP Photo) Fonte: news.yahoo.com – mercoledì 19 Ottobre 2005.

-Un rapport sur l’ " Intrafada "du Groupe palestinien de surveillance des droits de l’Homme
avril 2004 – www.desinfos.com

*-The ‘Intra’fadaResearched and Compiled by Leonie Schultens – www.phrmg.org/

—–

-The Palestinian Mystique by Anne Levesque -September 2005

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Addio a Jean-Michel Folon

 Addio a Jean-Michel Folon

Il pittore belga era noto nel mondo per i suoi acquarelli. Aveva 71 anni.

Con la luce Folon conquistò Federico Fellini – Corriere

 

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

 IN CALABRIA COME IN IRAQ

 

Locri si prepara a rendere l’ultimo saluto a Francesco Fortugno, il vice presidente del Consiglio regionale della Calabria ucciso da un killer, domenica scorsa, con cinque colpi di pistola in un seggio dove si svolgevano le elezioni dell’Unione.

“In Calabria come in Iraq”, ha detto il vescovo di Locri, mons. Giancarlo Bregantini. I funerali si celebreranno questo pomeriggio nella cattedrale di Locri. Il sindaco Carmine Barbaro ha disposto il lutto cittadino: scuole, uffici e negozi saranno chiusi e le bandiere a mezz’asta in tutti gli uffici pubblici.

———

Francesco Fortugno : “Una legislatura contro la mafia”

Scranno del Vicepresidente Francesco Fortugno

”Formata la Giunta regionale, eletti i componenti dell’ Ufficio di Presidenza del Consiglio, la ‘ndrangheta – quasi a volere confermare il suo ruolo di contraltare della legalità, che trova nelle istituzioni la sua massima affermazione – torna a farsi sentire pesantemente”.

A sostenerlo è stato il vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno, commentando le minacce rivolte nei giorni scorsi all’assessore regionale alla sanità, Doris Lo Moro.

”Le minacce a Doris Lo Moro, alla quale esprimo la mia personale solidarietà – ha aggiunto Fortugno – sono la chiara indicazione di quello che dovrà essere il primo punto all’ordine del giorno della nuova legislatura: la lotta costante ed a tutto campo della criminalità organizzata. Che le minacce siano legate al clima avvelenato che si vive a Lamezia Terme od all’attività di assessore di Doris Lo Moro, potrà avere rilevanza ai fini investigativi, ma non cambia la sostanza: siamo di fronte all’ ennesimo tentativo di intimidazione nei confronti di chi si propone, con spirito di servizio ed onestà, di risollevare le sorti della Calabria e dei calabresi”.

”Sono anch’io – ha proseguito Fortugno – un padre di famiglia e capisco bene cosa significhi vivere la quotidiana angoscia per la incolumità dei propri familiari, che si trovano esposti alla vigliaccheria degli atti intimidatori consumati nell’ ombra in cui opera la criminalità; per questo, l’unico conforto è la certezza che è una battaglia giusta, che va combattuta per dare alle generazioni future una Calabria migliore.

Gli uomini che danno corpo alle istituzioni, sono la espressione della libera determinazione dei cittadini e sono essi stessi semplici cittadini, chiamati a mantenere vivo quell’ideale di democrazia che tanto è costato al nostro Paese. Non eroi votati al sacrificio, quindi, ma padri e madri di famiglia che hanno il comune sentire della gente, ma è proprio questo comune sentire che ci rafforza, che ci spinge ad impegnarci ed a reagire ad ogni tentativo di affermazione della illegalità e della sopraffazione”.

I momenti difficili, specialmente quando ci si sente minacciati negli affetti più cari – ha concluso Fortugno – ci sono, ed è per questo che tutta la società civile, senza distinzione di appartenenza politica, è chiamata a svolgere quel ruolo fondamentale di sostegno e di vigilanza, che non faccia avvertire quell’ insopportabile senso di solitudine che può spingere all’ abbandono.

Ogni colpo inferto alle istituzioni colpisce tutti noi e sarebbe un errore gravissimo pensare che non sia così, nessuno può chiamarsi fuori dalla battaglia contro la criminalità organizzata, perchè con l’ indifferenza ed il disimpegno non si possono certo affermare valori come la legalità e la democrazia”.

24 maggio 2005

fonte: Consiglio regionale della Calabria

Il lato oscuro della Calabria ( così come della Campania e della Sicilia) è costituito da un intricato intreccio fra mafia, politica e imprenditoria. Sul Foglio del 18 ottobre, Marco Minniti dei Ds aveva parlato della necessità di “saturare militarmente la Calabria”.

Oggi sviluppa l’argomento. “La premessa è che la ‘ndrangheta, soprattutto nella zona ionica della locride, pure così povera, è oggi l’azienda leader, il principale cartello europeo del traffico di stupefacenti. Ecco, come pirati seicenteschi, i malavitosi veleggiano per i mari ma hanno bisogno di un’isola in cui mettere radici. Quest’isola è la Calabria”. Ed è lì che bisogna intervenire. Leggi:  Ferocia o sovranitàIl Foglio –

Fonte : http://www.terrorwatch.ch/

Delitto Fortugno:“…Lo Stato che fa?...” di Gualtiero Vecellio – Notizie Radicali ( nell’articolo la mappa delle ’ndrine calabresi, ovvero dei mandanti del delitto).

Dossier ‘Ndrangheta
NarcoMafie – Italy

———-

"Un mafioso è uno che lucra per avere prestigio e poi goderne in tutti i settori. E chi lucra è pure capace di uccidere. E, prima di uccidere, intendo assassinio anche come morte civile, è pure capace di usare espressioni come: ‘paternalmente, affettuosamente ti consiglio…’.

( … ) Nelle stesse pieghe delle amministrazioni locali e statali sono, con molta probabilità, inseriti elementi legati al fenomeno mafioso e il loro mimetismo non solo garantisce il proseguimento del successo dell’illecito ma contribuisce anche a quel ‘prestigio’ su cui il mafioso deve poter contare in ogni sede". ( da un’intervista del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Epoca nel 1982).

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

I nuovi idioti latino-medioorientali

 I NUOVI IDIOTI LATINO-MEDIORIENTALI


Israele è l´unico paese al mondo in cui io mi senta tuttora di sinistra…”

Mario Vargas Llosa, capelli da ragazzino pettinati con la riga e risata contagiosa, ha 68 anni. E’ considerato uno dei dei maggiori scrittori viventi. E’ nato in Perù, adesso vive un po’ a Lima, un po’ a Parigi e specialmente a Londra ( “dove è possibile scrivere senza disturbo perché piove spesso, il cibo è insipido e la gente discreta”). Nel 1990 è stato candidato alla presidenza del proprio Paese (fu sconfitto da Fujimori). Nel 2003, dopo un lungo periodo passato a sinistra, si dichiarò “liberale” e scrisse che García Márquez, Premio Nobel per la Letteratura del 1982, “è uno scrittore cortigiano di Fidel Castro, che la dittatura mostra come alibi nel campo intellettuale” : lo dico per far capire che anche un grande narratore e un uomo che non ama nascondersi può essere sorprendentemente idiota quando parla d’Israele.

Si veda, a tale proposito, il reportage di Mario Vargas Llosa per “la Repubblica”: un’enciclopedia del pregiudizio ideologico antiisraeliano che non necessitava certo di un viaggio per essere compilata. Fonte: Informazione corretta

Illustrazione di: monkey-studio

The Complete Idiot’s Guide to Middle East Conflict
di Ph.D., Mitchell G. Bard, Mitchell Geoffrey Bard
To order this book from Amazon

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Passaggio ad Angri

 Radici

PASSAGGIO AD ANGRI

Al via la terza edizione del “Premio Città Di Angri”, da quest’anno denominato “Premio Città Di Angri…nell’Agro” con l’ intento di “aprire” dalla prossima edizione a tutti i paesi dell’Agro Nocerino Sarnese e diffondere così il nome e l’immagine di un “comprensorio” ricco di storia, di monumenti, di splendidi paesaggi naturali che potrebbe diventare una nuova provincia autonoma della regione Campania. L’Associazione Nazionale Giovani Rappresentazioni Innovative e il Comune di Angri hanno conferito a Gianni De Martino il premio per la categoria "arte, cultura & letteratura".

 

3° edizione “Premio Città Di Angri…nell’Agro”

Palazzetto “Olimpia Sport”, Via Dei Goti – Angri ( Salerno)

 dal  15/10/2005  al  16/10/2005

Angri

Ringrazio l’Associazione Nazionale Giovani Rappresentazioni Innovative e il Comune di Angri che hanno voluto conferirmi tale riconoscimento. A un tempo grato e inaspettato, questo premio “riservato a tutti i cittadini angresi, o di origine angrese o in qualche modo legati alla città di Angri ”mi riporta nel paese in cui sono nato nel 1947. Fa quasi impressione dire "più di mezzo secolo fa". Eppure è così. Questo paese, così banale, così insignificante per chi vi passa distrattamente, sulla via per Salerno o per Napoli, mi è rimasto – insieme al nome proprio – come uno spillo all’angolo degli occhi e nel cuore .

Mi chiamo Giovanni, Gianni – dal nome di uno zio marinaio disperso in un sottomarino nel Mediterraneo durante la seconda Guerra mondiale – e ricordo la gente, le case, i luoghi circostanti, la vita che pulsava tra quelle mura domestiche talvolta umide di pioggia, i giorni solari, la Torre di Palazzo Doria, le campagne, l’azzurro profilo dei monti Lattari, oltre i quali sapevamo che c’era il mare.

E qui mi tocca sventolare un lenzuolone, se non il fazzoletto; e muovermi, ancora una volta, tra il cuore e la valigia

Nascere ad Angri , crescere a Castellammare, scappare per noia o per insoddisfazione a studiare filosofia a Parigi e poi a fare pesca subacquea a Tangeri e il surf sui cavalloni dell’oceano alto, grigio, già africano di Essaouira negli psichedelici anni sessanta durante l’esodo di giovani di tutte le nazioni, o forse di nessuna, che fra molta arroganza e sacchi a pelo, fiori nei capelli e le chitarre che suonavano Dio è morto credevano d’essere la prima generazione civilizzata del pianeta; apprendere il buddhismo e lo yoga in India; passare dall’underground al Dalai Lama restando però fedelmente cattolico, apostolico e romantico; sposarsi a Venezia, divorziare con due figli a carico, risposarsi, restare di nuovo solo con il ricordo di lei che si porta via la mia macchina dopo aver litigato per dividerci uno stereo o un frullaculo; ritirarsi in una specie di convento come Amleto suggeriva ad Ofelia, ma farlo insieme a un altro monaco, un amico allegro e consapevole di molto preferibile a un’amante isterica o a un compagno lampadato che vuole il Pacs; vivere e lavorare come giornalista e scrittore a Milano: tutto questo non sembra molto serio. E’ il mio destino. Il destino di un Europeo sempre in partenza, ma non direi di un errante disponibile.

E di volta in volta ho una vaga vergogna di questo cosmopolitismo oggi non inconsueto, e mi dico che tutto ciò può avere altrettanta importanza della virgola in un testo; non di più, e questo forse perché per uno che fa il mio mestiere il viaggio della vita è anche e soprattutto un evento linguistico – un muoversi tra le parole e le menzogne necessarie, non solo tra le cose, le emozioni e i sentimenti.

Credo che l’essermi allontanato da Angri spesso abbia creato in me la sensazione di avere un cuore di traditore, perché non ho quel complesso dell’emigrante per cui – specialmente con l’avanzare dell’età, l’accumulo dei ricordi e il desiderio di reintegrare la terra, il luogo o pleroma degli antenati, ovvero di morire in pace – il bisogno del ritorno è crescente. Mi basta abitare e muovermi nella mia lingua, la lingua-madre, e considerare come mio paese qualsiasi luogo in cui ci sia un affetto: una donna, un amico, un fratello , un figlio o un amore .

Radici ? Qualcun altro parlerebbe di “eros della lontananza” o di "radici"… Quante volte si è detto: non possiamo recidere le radici!… Non fa parte del mio vocabolario. La parola "radici" suggerisce un affondamento nel suolo, un imprigionamento nel fango e uno sviluppo nell’oscurità. Alberi e piante si devono rassegnare umilmente al suolo natale, hanno un bisogno vitale delle radici: le creature umane, no, sono in movimento… Più che del bisogno, si credono esseri del desiderio, ovvero di una forza che sembra provenire dal di fuori, letteralmente dalle stelle.

La gente direbbe subito: “Beh, noi camminiamo, siamo animali”, usando quindi metafore animali, ma penso che la nozione animale non sia un buon simbolo per l’esilio direi categorico che connota l’umana condizione e per la libertà d’azione a cui aspiriamo. Noi nel movimento respiriamo la luce, aspiriamo al cielo e alla libertà spirituale. E quando veniamo ficcati sotto terra con una croce sulla gobba, non crediamo che sia per marcire, ma per risorgere a vera vita. Una vita che abbia più forza, durata e splendore di ciò che banalmente accade e presto si consuma…

Vera vita” – ecco che un po’ di memoria mi sale alle labbra – era il titolo di un giornalino letto alle scuole elementari di Angri, lo portava in classe suor Gemma, delle suore Battistine di via Ardinghi, un ordine fondato dal beato don Alfonso Maria Fusco (1839-1910).

Nel giornalino “Vera vita” c’era anche una sezione dedicata alle avventure di Tommasino, un ragazzino sempre al bivio della sua coscienza, fra un angelo custode e un diavoletto che si chiamava Bick Bick…

Affiorano altri ricordi frammentari, dissociati, insieme a immagini di un fiume, di zuppiere fumanti e all’odore del “ragu”… immagini senza alcun legame apparente, galleggiando su un oceano d’incertezze…

A noi smemorati in vertigini di stelle ed esiliati dalla vera vita, vale a dire da niente di meno che dal Paradiso ( un Paradiso che somiglia stranamente all’infazia ed evoca chissà quale innocenza perduta in qualche giardino piantato in noi da prima che cominciasse la storia) non importa solamente delle strade che ci guidano – dalla povertà alla ricchezza, oppure a un’altra povertà; dalla schiavitù alla libertà, e alla morte inevitabile. Vorremmo anche sapere perché le strade promettono, e dove ci portano, dove ci spingono, e come mai poi ci abbandonano. Non ci basta stramazzare morti come siamo nati, sul ciglio di una strada o di un fiume che non abbiamo scelto. Insomma, credo che a nessuno basti nascere e morire da lontano – dall’immensa distanza dalla quale si scrive e ci si fa segno…finendo, nella maggior parte dei casi, con il morire davanti a una porta chiusa, oppure aperta sul buio…

Lontano da dove ? Certo, come noi, le strade non sorgono a caso, hanno un’origine. Un’origine illusoria, perché le strade non hanno mai un punto di partenza reale. Questo è l’oceano della vita e della morte. E prima di quella curva, di quell’onda o di quella storia ce n’era un’altra; e prima di questa un’altra ancora. L’origine diventa irreperibile, giacché a ogni incrocio si incontrano altre strade e onde che hanno altre origini. Se si dovesse tener conto di tutte le confluenze, si farebbe cento volte il giro della Terra. E l’idea del vuoto si affaccia ad ogni soglia che bisogna attraversare, da soli o in compagnia dei propri affetti. E comunque sempre con questa strana sensazione di “ un mal di mare in terra ferma” ( Kafka).

Per uno che fa il mio mestiere – il mestiere più solitario che esista – è meglio stare fermi. Sembrerà fuori-luogo, eppure per scrivere non bisogna viaggiare, ma scagliarsi, o ritirarsi e restare dentro la madrelingua. La vera patria di chi scrive è anzitutto una lingua che – prima ancora di diventare un’ossessione, un giro senza fine di travestimenti multipli e di falsi ricordi, una macerazione, una capsula o uno strano mestiere e un dovere – è una lingua viva. Una lingua viva ha, per definizione, una propensione all’abbraccio; cerca di abbracciare quanto più terreno è possibile – e quanto più vuoto, “mal di mare in terra ferma” o paradiso è possibile. Senza essere – per così dire – spugna delle influenze sociali, storiche , culturaliste o altro.

Credo che sia utile partire da un punto estraneo alla memoria delle tracce, utilizzandolo come una leva per impegnare il proprio avvenire. Si tratta di non restare soltanto prigioniero di un debito verso il passato, che si finirebbe con il pagare con il rimorso , con il lutto interminabile o con la nostalgia per ciò che è scomparso, ma di aprire un credito al futuro. Partire da un punto di estraneità, d’inquietudine e di meraviglia vale soprattutto in quest’epoca di fanatismi e di fascismi identitari, in cui ognuno, ognuna – aggrappandosi anche in sogno all’indigenza fondamentale di una maschera e di un’identità fissa e contratta – cerca di rivendicare il “proprio” pezzo di verità, il “proprio” pezzo di storia, il “proprio” pezzo di libertà, di fragile felicità o di diritto a un’uguaglianza fittizia, con il rischio di passare accanto alle differenze, cioè alla vividezza della vivente vita, e trasformare il mondo in una discarica di enormi frammenti e d’impedirsi di attraversare il futuro. Ebbene, l’introiezione di un punto di estraneità radicale al quale identificarsi come viandante mi sembra – sebbene possa sembrare il punto di vista tipico di un extracomunitario, di un disoccupato, di un poeta o di un mostro – un buon punto di partenza per prendere coscienza del proprio passato come una memoria forse densa, agglutinante – come pare sia quella di tutti gli esseri incompiuti – ma tuttavia una memoria in divenire.

Dietro il foglio bianco o il magma dove si costruisce c’è ancora un mondo e molte altre storie possibili o anche impossibili. Occorre che qui i fili si riannodino, per non diventare un nichilista e dissiparsi nell’illimitato. E’ allora che la Memoria soccorre e ci suggerisce che non è per arbitrio, o per snobismo, che ci consideriamo viandanti , nell’attraversamento di un vuoto come fresca traccia di un passaggio. Perché il vuoto è semplicemente l’esperienza del non-luogo, che si presenta come esilio, come termine, simbolo e dramma cardinale dello spostamento umano.

Un tale spostamento sarebbe erranza vana, un mero spostamento del diavolo, senza Memoria. E non c’è Memoria senza luogo. Insomma, Angri resta, per me, un luogo della memoria. E’ così! non ho altra prima memoria che quella della luce che si vede venendo al mondo in un luogo dal quale sarà giocoforza allontanarsi, e quella delle prime parole cantate da mia madre, dettate da mio padre, riprese dai fratelli e dalle sorelle. Si scopre allora che – da quello che non conoscendo altra origine che la luce o l’abbaglio primordiale potremmo chiamare “la notte dei tempi” – la questione dell’esilio, vale a dire del luogo, è la ricerca incessante di fondare ciò che potrebbe offrire riparo contro l’erranza , la dissipazione e l’oblio.

Mentre scrivo contro la mia dissipazione, mi viene in mente che la parola chiave, di questi tempi, è Sicurezza. E che Angri non è tanto “il luogo sicuro”, quanto quello degli affetti familiari, del parentado, della prima educazione ai principi della vita cristiana e del battesimo nella chiesa di san Giovanni il Battista e del ricordo del giorno della prima comunione e della cresima. Ovvero della conferma dell’incontro, attraverso tante persone care e gli altri, con un Altro che ci rassicurava con il suo pensiero e ci diceva di non aver paura, perché ci saremmo salvati insieme, come fratelli e sorelle. Era il solo uomo con un futuro di cui io abbia udito mai parlare, e credo che sia stato anche il primo amore, un amore sicuro. Legato a un luogo, a una trasmissione di memorie e a una chiesa di campagna che potrebbe anche trasformarsi in un miraggio…L’idea del deserto, del buio o del vuoto si affaccerebbe ad ogni nuova soglia che ci tocca attraversare, se ci credessimo soli al mondo e non inseriti in una storia concreta, in compagnia dei propri affetti e del proprio mondo.

La memoria non è quindi solo una traccia del passato, un legato, un’eredità , una “beata nostalgia”, un condizionamento o l’angoscia di un’influenza, ma un divenire.

Non è a caso che a Milano conservo l’immagine del “nostro” san Giovanni “vecchio”, una statua nera con il volto da “cafone” ricavata rozzamente – come narra la leggenda – dalla polena di una nave che mille anni fa trasportava orciuoli di creta dalla costa tirrenica alle terre africane. E’ un pezzo di legno bruciato e miracolosamente salvato dalla distruzione, o dalla cancellazione, raccolto dai miei antenati, dagli angresi, che sul posto del ritrovamento costruirono una chiesa. E’ a furor di popolo che, specialmente in occasione di pubbliche calamità, la statua nera del buon santo protettore, un tempo sollecitato dagli urli delle “zitelle” scapigliate, viene tirato fuori dalla nicchia e portato sul luogo del disastro, affinché possa constatare da vicino i danni provocati ai campi dall’inondazione del fiume, dall’alluvione, dal terremoto, dal bombardamento, dal lapillo vulcanico eruttato dal sovrastante  Vesuvio , o da una lunga siccità. 

Conservo in biblioteca, a Milano, anche i libri su Angri e l’agro nocerino sarnese appartenuti a mio padre Vincenzo; fra questi anche il libro di Gaetano Marra dedicato alle tradizioni, leggende, folklore della Terra di Angri. “Sono cose passate che è bene ricordare – scrive il compianto professor Marra, che era un buon amico di mio padre. – Ricercando nel passato si può trovare l’avvenire, perché anche il presente acquisti significato.”

Senza memoria dei genitori, dei fratelli e sorelle e degli amici o delle care suore battistine e del grato odore dei tigli scomparsi di Angri con i suoi monti Lattari oltre i quali si sapeva che c’era il mare, non sarei qui a dire che sono angrese o angrivaro e di ceppo “cafone”, ma non di Angri. Lo dico allo stesso modo in cui il cristiano dice di essere nel mondo ma non del mondo, oppure Agostino – a proposito della verità – scriveva che questa era nella coscienza, non della coscienza…

Continuo a scavare e a pensare che occorra assumersi la responsabilità di errare e avere la pazienza di saper attendere il Paradiso senza nostalgia per il passato e senza aspettare, chinandosi un po’ alla terra dove riposano le ossa dei cari morti e un po’ sull’orlo della tomba vuota.

Insomma, credo che occorra restare fedeli al luogo, al corpo e al linguaggio in cui si è nati.

E assumere non tanto un’identità acritica, nostalgica e tribale quanto uno stile di vita e una trasmissione aperti alla libertà d’azione e al divenire in Cristo – vale a dire legato al pensiero dell’Uomo con un futuro in una Terra, compresa Angri, che se Dio vuole un giorno si sveglierà, risorgerà con tutte le sue storie scomparse e le sue radici in cielo.

Come i Sette Dormienti della Cappella Pisacane, la chiesella di via di Mezzo, posti con i loro corpi di terracotta , le loro tuniche rosse e le loro scintillanti armature di guerrieri romani in una bacheca di cristallo sotto l’altare sovrastato da un affresco raffigurante una Madonna, una “Mamma schiavona” dagli occhi dolcissimi. La leggenda – risalente a Gregorio, vescovo di Tours dall’anno 573 al 594, e poi ripresa anche nel Corano dei musulmani attribuendo però a quei giovani una fede islamizzata – racconta dei sette giovani cristiani, che si addormentarono in una grotta nei pressi della città di Efeso (l’odierna Ayasolük, in Turchia), nella quale si erano rifugiati per sfuggire alla persecuzione dell’imperatore romano Decio (249-251) e dove furono murati vivi per essersi rifiutati di sacrificare agli idoli. Si ridestarono dal sonno quasi due secoli dopo, quando regnava l’imperatore cristiano Teodosio II (408-450) e il mondo era cambiato, era diventato cristiano, vale a dire più accogliente. Forse anche noi un giorno ci sveglieremo in un altro mondo, in un reale più largo che – fra tante cose rinnovate – ci libererà dall’accumulo di tante erranze vane e ci accoglierà come vuole, secondo verità e giustizia, il cuore.

P.S. Scusate se talvolta scrivo cose che sembrano impegnative, a volte molto impegnative” – come giustamente, a proposito dei lenzuoloni del presente blog, ha scritto Friedrich. Forse dipende dal fatto che nella vita, fin dall’infanzia ad Angri, mi sono incontrato e scontrato con la differenza tra ciò avrei voluto essere e ciò che gli altri volevano o dicevano che io fossi ed ero. Non è che un semplice caso di emergenza personale. Per cui è stato giocoforza impegnarsi – anche tramite le arti, la scrittura e la letteratura che non m’interessa che perché allena lo spirito a qualche trasformazione – nella questione cardinale del come essere.

Nella società in cui viviamo, la maggioranza delle persone, presa da problemi di sopravvivenza e di guadagno facile, non sembra più comprendere coloro che si pongono questi problemi. Anzi, non ci si bada più e si guarda con una punta di diffidenza e di disprezzo, tipico nella piccola borghesia di destra o di sinistra, agli intellettuali. Penso all’oblio in cui in Italia è tenuto il Petrarca, per esempio – nel degrado nostro, della natura, della cultura e della lingua – a chi volete che interessi ancora leggere o studiare Petrarca ? Ma i pensatori, i letterati, i poeti, i musicisti e i pittori non possono che porsi questi problemi petrarcheschi e impegnarsi nel grande dilemma, o altrimenti sarebbero persone comuni, e non susciterebbero scalpori né tra la gente, né tra i critici attenti e competenti, o tra quelli che ne resta. E ne resta, perché mi viene in mente l’amico Mariano Bargellini, che molto opportunamente e controcorrente, in un’intervista di Emanuele Pettener ha detto, evocando Heidegger e facendolo vibrare: “ abbiamo bisogno di una giusta lontananza dalla vita. Il compito della letteratura è ciò che vien definito dai formalisti russi “straniamento”: far sentire in tutta la loro forza la presenza e l’assenza delle cose, indipendentemente dal loro uso e dal loro reticolo d’interessi. È qualcosa di religioso: far sentire gli oggetti, le persone. La letteratura è lotta contro la corruzione delle parole, che è anche corruzione dell’immaginazione – a cui lavorano in tanti, la pubblicità in primis – immaginazione che diventa tautologica, piatta iperbole delle cose così come sono in superficie. Abbiamo bisogno di una lontananza dalle cose per vederle meglio nella loro singolarità creaturale”.

Quanto a me, consideratemi un figlio di Angri, un figlio difficile di questa convalle* della Campania. E scusate, anzi perdonate, se – mettendo in imbarazzo con i miei libri parenti e amici – talvolta dò l’impressione di non saper fare altro che scrivere e passare.

*il nome Angri deriva da termini del latino antico ancra, angra, ancrea, ancria, con il significato geomorfico di valle con valle, convalle. “ Ancrae: convalles, vel arborum intervallata”, si legge nell’epitome che nell’VIII sec. d.C. Paolo Diacono fece dell’opera molto più antica De verburum significatione ( II-III sec. d.C.). Dalla stessa radice deriva il termine alto tedesco o forse longabardo angar, continuato nel moderno tedesco anger , con il significato di prato, prateria. Sappiamo inoltre dell’esistenza ai tempi di Giulio Cesare del popolo germanico degli Angrivarii, abitanti delle convalli lungo il corso medio del fiume Weser, un territorio con caratteristiche simili a quello di Angri posta nella valle del fiume Sarno –  oggi tristemente noto come il fiume più inquinato d’Europa.

In calabrese e in siciliano il termine angra indica un terreno coltivato lungo il fiume. E tale immagine ha dato luogo al toponimo Angra, contrada di Corridoni, in provincia di Reggio Calabria, posta in una valle vicino a un fiume. Angrogna si chiama invece una valle del Piemonte e Anghironi un paese della Sicilia. Nella lingua spagnola angra significa invece baia, un significato che risuona nella voce dialettale di Ancona, angara. L’idea di rada e di baia si trova anche in Angra dos Reis in Brasile, in Angra do Heroismo, capoluogo delle Azzorre, e in Angra Pequeña, cioè Baia Piccola, paese nell’Africa Sud-occidentale – così denominato dal navigatore portoghese Bartolomeo Diaz.

Pubblicato in Varie | Lascia un commento