Un ricordo di Alain Daniélou

UN RICORDO DI ALAIN DANIÉLOU

UNA VITA PER L’INDIA

IL SIGNIFICATO DEL RISVEGLIO DELL’INDUISMO SECONDO UNO DEI PIU’ EMINENTI ORIENTALISTI CONTEMPORANEI

Alain Daniélou ( 1907-1994) è stato un uomo fortunato. Nato a Neuilly da una madre aristocratica e da un padre che fu più volte ministro, trascorse gran parte dell’ infanzia in campagna con dei precettori, una biblioteca e un pianoforte; studiò in una università americana, si dedicò alla musica, alla pittura e alla danza. Prima di diventare professore all’Università indù di Benares e direttore del collegio di musica indiana, partecipò all’effervescenza artistica dell’Europa degli anni Trenta, frequentando Cocteau, Stravinsky, Diaguilev, Valéry, Gide, Benedetto Croce. Ha poi – con grande disperazione della mamma, Madeleine Clamorgan, fervente cattolica fondatrice di un ordine religioso e del fratello Jean Daniélou ordinato cardinale da Paolo VI – vissuto vent’anni in India, presso il poeta Rabindranath Tagore, dal quale si allontanò per studiare il sanscrito e la filosofia presso eminenti maestri appartenenti agli ambienti tradizionali indù.

Ufficiale della Legione d’Onore, Ufficiale dell’Ordine Nazionale del Merito, Commendatore delle Arti e delle Lettere, Professore emerito del Senato di Berlino, membro dell’Accademia di Musica dell India e della Scuola Francese d’Estremo Oriente ha ricoperto diversi incarichi anche presso l’UNESCO e pubblicato in Francia e negli Stati Uniti opere fondamentali sulla religione, la musica e la storia dell’India, di cui alcune conosciute anche dal pubblico italiano ( Shiva e Dioniso, Yoga, metodo di Reintegrazione, Storia dell’India, tradotte da Ubaldini per la collana “Civiltà dell’Oriente”).

Nel gennaio del 1990 lo abbiamo incontrato insieme all’amico Felix Cossolo nello studio del Labirinto, la villa di Zagarolo, non lontano da Roma, dove viveva parte dell’anno. Lo studio rifletteva il lusso raccolto dei suoi viaggi e delle sue opere più note, diciamo, La Fantaisie des Dieux e La Sculpture erotique hindou. Assistito dal suo segretario e compagno di vita domestica Jacques Cloarec – un atletico ex para gentile e premuroso – il vecchio professor Daniélou sorrideva con occhi piccoli, infossati, eppure lucenti; le incredibili mani, delicate, scolorite da macchie brune come monetine, sfioravano di tanto in tanto i fogli del manoscritto sul tavolo da lavoro: erano i fogli della sua ultima opera in preparazione , una inedita traduzione completa del Kama sutra , un testo rivoluzionario sotto molti aspetti, che Cloarec diceva “molto atteso” dagli editori americani. Riprendo qui il testo dell’intervista, insufficientemente edita nel gennaio del 1990 per la rivista “Hot Line”, perché tocca nodi irrisolti e mi sembra ancora attuale.

INTERVISTA CON ALAIN DANIÉLOU

Professor Daniélou, recentemente Bernard Pivot, il conduttore di ‘Apostrophe’, l’ha definita un marginale di successo…

“Forse perchè, fin dall’infanzia, non mi sono mai interessato alla società borghese in cui avrei potuto trovare facilmente un posto. Ho sempre fatto cose che per la mia famiglia erano scandalose e fuori dagli schemi borghesi, cose in cui ho avuto abbastanza successo.”

Sono stati i suoi interessi per la musica e la danza a portarla in India ?

” Ci sono capitato per caso durante un viaggio in Afghanistan. Era il 1932, avevo ventiquattro anni e non avevo mai pensato all’India. L’ho trovata stupenda e ci sono ritornato per restarvi vent’anni. Vi ho trovato una civiltà dove c’era una libertà di vivere, di pensare e di essere, e una bellezza straordinaria degli esseri umani.”

E’ in India che ha scoperto il culto dell’amore mescolato al sentimento del divino ?

L’avevo sempre pensato. E’ nell’amore, nella bellezza del corpo e nell’intensità del piacere che si è più vicini alla felicità dello stato divino. In India ho trovato che il rapporto tra l’amore fisico e la vita spirituale veniva considerato come una realtà fondamentale. Nell’induismo il successo del viaggio della vita risiede in quattro cose da realizzare il meglio possibile: la virtù, la ricchezza, l’amore e la vita spirituale. La virtù e il successo materiale legano al mondo, mentre l’amore e la vita spirituale fanno uscire dai legami del mondo e sono l’immagine l’uno dell’altro. La beatitudine divina è in un rapporto di consonanza con l’estasi che si sperimenta nell’atto d’amore.”

E’ quel che oggi sostiene anche una teologa cattolica,  Maria Caterina Jacobelli , per la quale “il sesso è il segno di una realtà sacra”, battendo così in breccia uno dei più antichi tabù della Chiesa: il piacere del corpo. Naturalmente si tratta solo del piacere eterosessuale consacrato dal matrimonio.”

” Nell’induismo invece è proprio il contrario. Il sesso che più avvicina al divino non è quello matrimoniale, ma l’amore libero, non vincolato dai doveri sociali e di casta legati alla riproduzione.”

Anche il piacere omosessuale è una via d’accesso al divino ?

Non è niente di speciale. L’amore è l’amore, dove uno sente la beatitudine più grande lì c’è l’amore. Non essendo legato alla riproduzione e agli obblighi familiari, l’amore omosessuale è un amore più puro, più disinteressato. In India vi sono più problemi a far l’amore con una donna, perchè vi è implicata la riproduzione. Le prostitute hanno un ruolo molto importante ed è attraverso di esse che passa la tradizione artistica. Quando uno realizza, come nello shivaismo, che l’organo sessuale maschile è l’immagine dell’essere creatore divino, allora può iniziare a capire qualcosa delle forze naturali che lo legano e incominciare a liberarsi.”

Alcuni mistici cristiani, penso a santa Teresa o a san Giovanni della Croce, sono esempi di persone che sembrano vivere l’atto sessuale come molto vicino all’amore divino.

” Sì, ma separando corpo e spirito i cristiani hanno perso il senso del divino nel mondo. Pensano che Dio sia una persona separata dal mondo. Chi invece cerca di capire i segreti della natura e percepisce la presenza del divino, Lo trova in ogni atto della vita.”

Si può dire che ha anticipato la ricerca degli hippies e il viaggio in India degli anni Sessanta.

” Sì, ma con la differenza che non sono mai stato un vagabondo. Anche in India ho avuto la possibilità di vivere e di studiare in un ambiente colto e lussuoso: quello aristocratico dei brahmana. Non ho mai avuto a che fare con gli ashram di massa che vanno di moda oggi. I commercianti di pseudo-spiritualità mescolano tutto e non appartengono alla tradizione dell’induismo. L’insegnamento tradizionale è riservato e segreto , richiede molti studi e passa da maestro a discepolo.”

Lei è stato allievo di Swami Karpatri, il monaco all’origine del Dharma Sangha , il movimento per la difesa dell’induismo da cui ha avuto origine il partito politico Jana Sangha (Bharatiya Janata Party), che controbilanciava l’espansionismo della Lega musulmana ( Cfr. Vicious Islamic Onslaught on India – Negation of Indian History ) e oggi si oppone alla politica di occidentalizzazione culturale del paese voluto dal partito del Congresso. ( cfr. Un Autre Regard-Chapitre 10 : Le nationalisme indien).

” Il Jana Sangha è una forza molto importante nella politica indiana, è l’espressione politica del movimento induista che ha sempre lottato contro l’invasione di idee europee rappresentate da Nerhu e da Gandhi.

Fondato da monaci, da brahmana e da intellettuali raccoglie persone di tutte le caste ed è molto popolare. Si oppone a tutti quei movimenti creati all’inizio del secolo, che hanno voluto interpretare la tradizione riconducendola ad idee occidentali, senza rispettarne l’originale complessità, la sua alterità. Parlo di movimenti di gente come Aurobindo, per esempio, o dello  stesso Gandhi considerato come un “diavolo" negli ambienti tradizionali induisti. A mettere fiori ai balconi e nelle strade in tutta la città di Benares e a far festa quando purtroppo fu assassinato non fu la gente ricca, ma tutto il popolo.”

Il risveglio dell’induismo radicale ha ancora fatto migliaia di morti nel paese della non-violenza.

“I disordini derivano dal fallimento del consenso popolare basato sulla secolarizzazione e costruito da Nerhu all’indomani dell’indipendenza. I politici imbevuti di idee astratte vogliono di nuovo negare il rapporto tra le caste e le professioni. Si tratta di leggi che non funzionano, perchè non si può prendere gente di un popolo e metterlo al posto di un altro. L’ordinamento castale viene spesso presentato come una forma di tirannia e d’ingiustizia. Ma occorre vedere le cose nella loro prospettiva storica. L’India è un insieme di particolarità, di razze, di lingue, di culture diverse in cui tradizionalmente c’è posto per tutti, a patto che ciascuno stia al suo posto. Pochi capiscono che questo è il solo modo di permettere a certe etnie e a certe culture e religioni di sopravvivere e anche di prosperare in un mondo diverso dal loro. Solo un sistema di restrizioni, peraltro facile da osservare, che impedisce a una cultura o a una casta di calpestare le altre, può stabilire un modo di coesistenza pacifica e di cooperazione fra gruppi diversi che vivono mescolati e fianco a fianco. E’ certo che, come tutti i sistemi, anche quello tradizionale delle caste può dar luogo a degli abusi, ma non bisogna esagerarne l’importanza. Nelle città moderne occidentali si pretende d’ignorare la realtà della divisione sociale. Condizioni di vita come quelle delle bidonvilles in Francia o degli slums negli USA sono impensabili nel sistema indù tradizionale in cui ogni gruppo etnico, ogni professione, anche la più umile ha diritti e privilegi. Oggi, come un tempo hanno fatto gli inglesi, vengono alimentati in modo artificiale e crudele i conflitti tra musulmani e indù, aggravati dai milioni di rifugiati del Bangladesh e del Punjab. Quando s’incomincia a destabilizzare un paese creando tutti questi movimenti succede che c’ è gente che cerca di approfittarne.”

Anche in India, come in Medio Oriente, si rischia di soccombere al fanatismo. Come vede il futuro dell’India ?

” E’ difficile dirlo. Credo che finalmente non si potrà distruggere l’induismo. Come al tempo dell’arrivo degli Ariani che ridussero in schiavitù le popolazioni autoctone, oggi si sono di nuovo creati dei gruppi di occidentalizzati che hanno il potere e cercano di distruggere la cultura tradizionale. Cosa succederà in tempi vicini è difficile dirlo, ci saranno ancora conflitti, divisioni in tutti i campi. Hanno voluto fare dell’hindi la lingua universale del paese, ma i paesi del Sud resistono da 3OOO anni a questo gruppo linguistico per mantenere la loro lingua. Sorgeranno sempre nuovi conflitti e fino a che non si ritroverà un certo equilibrio tradizionale in India non ci sarà pace.”

Qualcuno pensa che nell’era delle telecomunicazioni via satellite, anche in India prima o poi tutti i contrasti e le diversità si fonderanno nello spazio.

” C’è un grande principio nella filosofia indiana: la differenza è la vita, l’eguaglianza è la morte. Quando le differenze spariscono e tutto diventa uguale, tutte le società muoiono. Negare la molteplicità di differenze e non rispettarle significa negare la realtà viva e molteplice della Creazione, delle società e del mondo.”

In seguito all’intervento del governo attuale della Cina, l’Unesco ha rinviato la reidizione del disco di musica religiosa tibetana da lei realizzato in qualità di editore generale delle collezioni Unesco di collezioni di musica tradizionale.

“Queste collezioni, alle quali ho consacrato più di quindici anni di ricerche e che considero come una delle realizzazioni essenziali della mia vita, avevano lo scopo di sostenere e d’incoraggiare tradizioni culturali di alto valore oggi minacciate di estinzione, dando loro una risonanza internazionale. Il Tibet è oggi vittima di un genocidio materiale e culturale . Il silenzio dell’Unesco, in queste circostanze, è una forma particolarmente perfida di assenso, al quale mi trovo mio malgrado associato e al quale mi oppongo con grande veemenza.”

Biografia, bibliografia e approfondimenti sullo scrittore indianista:

Alain Daniélou – Un sito dedicato alla vita di Alain Daniélou
IL FONDO DANIÉLOU- Archivi Fondazione Cini

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Nella casa della tragedia

 Nella casa della tragedia



Le cronache riportano che il dramma del giovane manager si è svolto facendo bisboccia, in quattro, nella casa di un transessuale . Ma perché saltare subito alle conclusioni e chiamarlo, in maniera cretina, La Lapa ? Povero ragazzo ! Sic trans (it) gloria mundi.

A proposito della polvere bianca, metto per il momento da parte il testo di una vecchia intervista con il professor Daniélou e leggo Cocaina di Michael Taussing, appena uscito in libreria per Bruno Mondadori. Coniugando storia naturale e storia politica, Taussing – che è docente di Antropologia alla Columbia University – analizza le modalità con cui la ipermodernità “fatta” anche di oro, coca e cacca si specchia nel fango delle mangrovie della Colombia. “ In fondo – dice la nota dell’editore – Taussing mette in mostra il desiderio sfrenato per le cose proibite, per le sostanze che trasgrediscono i codici morali, il senso comune e le convenzioni”. Insomma, ecco un’altra rappresentazione di quello “strano bisogno di sconvolgimento”, che sembra una delle caratteristiche dell’epoca.

Preceduto da una prefazione dell’ottimo Franco La Cecla, questo libro affascinante ed estremo sbarca in Italia nel periodo che forse lo richiedeva. Dopo aver fatto il giro – in una sorta di montaggio cinematografico e con un linguaggio da narratore vero, per niente accademico o alla Frankenstein – della realtà quotidiana dei contadini colombiani e interrogato i cucchiaini d’argento dei finanzieri di Wall Street, passando per i poliziotti, i rappresentanti bugiardi del governo, i soldati e, soprattutto, lo spettro del capitalismo e – ahimè – il suo solito emblema fiabesco, ultraterreno contro cui scagliarsi: gli Stati Uniti. A ognuno la sua droga.

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Nel tempio indu

  Antropologia

NEL TEMPIO INDU

Ho appena finito di leggere L’ erotismo divinizzato. Architettura e scultura del tempio indù di Alain Daniélou* ( red edizioni), una lettura delle sculture erotiche dei templi dell’India che continua lo studio dello shivaismo. Inseminato, per così dire, dal professor Daniélou, scrivo alcune note – poco più che appunti.

auparashtika

 Monaco eremita pratica auparashtika su un giovane principe in visita, Tempio di Chhapri –  XII sec. ( Foto di Raymond Burnier **). Grazie a Jacques Cloarec per le immagini.

Apparsa nella valle dell’Indo all’alba del II° millennio a.C., la religione shivaita, il cui culto fondamentale è quello del fallo ( lingam, “segno” dell’invisibile luce del principio maschile Creatore ) è la religione primordiale della natura e delle forze sottili che pervadono l’ universo.

 Permeato di materia, di vita e di pensiero, questo universo fluttuante ci appare solido, ma in realtà non ha sostanza. Materia, vita e pensiero non sono che relazioni energetiche, ritmo, movimento e attrazione reciproca. ( Nello shivaismo, religione primordiale, è assente la promozione della singolarità creaturale: gli esseri umani vengono detti "bestiame degli dèi" – degli dèi-forze sottesi alle forme che vengono all’esistenza condizionata ( samsara) e all’universo.

Shiva, il Creatore-Distruttore scaturito in forma di colonna di luce dalla vagina ( yoni) della dèa – simbolo dell’energia primordiale o vuoto radiante da cui il principio creatore maschile prende forza – è un componente della Trimurti e rappresenta un aspetto dell’ordinamento divino: quello che riguarda la vita sul pianeta Terra in un giro senza fine di creazione, preservazione e distruzione, attraverso processi continui ( continui, vale a dire quasi senza misericordia) di divisione e di ricongiungimento.

 Il dio dell’erotismo viene spesso raffigurato nell’aspetto di Re dei Danzatori ( nataraja ), e per i fisici moderni la vertiginosa "danza di Shiva" indica – come scrive Fritjof Capra ne Il Tao della fisica – la danza della materia subatomica: " come nella mitologia indù, essa è una danza incessante di creazione e distruzione che coinvolge l’intero cosmo". In accordo con i Veda e con la tradizione indu, l’attuale yuga o ciclo cosmico sarebbe il degradante kali yuga, letteralmente l’epoca “nera”, come la nera dea del Pantheon induista, la manifestazione femminile di Shiva, distruttore sì, ma anche restauratore del Nuovo Ordine. ( Cfr. Alcune considerazioni sulla teoria dei cicli cosmici (René Guénon).

Allorché Shiva, il creatore e distruttore delle forme, riassorbe in sé la vivificante energia femminile, appare come androgino ( ardhanarishvara) e la voluttà pura, immensa, totale lo penetra interamente.

Shiva androgino è l’essenza stessa della creatività, poiché è nel contempo colui che getta il seme e la vagina che lo riceve. La sua figura paradossale – con l’occhio maschile rivolto verso l’alto e con l’occhio sinistro, femminile, che fissa l’osservatore – allude all’indifferenziazione estatica e alla trascendenza del Principio oltre l’apparenza della dualità. Pertanto, tutto ciò che appare come bisessuale, omosessuale o androgino è – negli ambienti indù fedeli all’antica tradizione – considerato come di buon augurio. Nel suo desiderio di piaceri senza limiti, il Creatore formò – imprevedibilmente e al di là della ragione che diciamo umana – anche le donne che amano le donne e gli uomini che preferiscono gli uomini.

L’energia seminale versata nella vulva fa nascere la vita, l’armonia delle forme. “E ciò – scrive Daniélou – appartiene alla Natura e si collega al culto della Madre, teso a utilizzare l’erotismo per perfezionare l’essere umano, sviluppandone le capacità immediate e i poteri magici e mentali presenti in lui. Ma allorché, come accade nelle gerarchie shivaite monastiche più alte, ci si rivolge al principio maschile, questa stessa energia seminale, allorché si libera dall’aspetto inferiore della procreazione materiale, diventa la sostanza dell’intelletto”.




Nel mito, un ragazzo destinato al sacrificio al dio della morte Yama, si rifugia presso il lingam e viene salvato da Shiva. Sapendo che le cose del mondo sono effimere e che la morte non ha l’ultima parola, l’iniziato si affida al sottile principio creatore, al Padre che trascende la paura e la morte.

Fedele alla molteplicità del reale, il politeismo Indu non cerca di unificare il creato in un solo dio monolitico, che specialmente nell’islam assume spesso tratti astratti e violenti. I mille volti cangianti del culto di Shiva, il dio della natura e dell’eros non separati dall’Essere, appaiono quindi radicati nel politeismo dell’esperienza, in opposizione al logocentrismo astratto e alle semplicistiche metafisiche estroverse delle società mercantili urbane. Il suo culto, che scatena le potenze dell’anima e del corpo, ha incontrato non a caso viva resistenza da parte delle religioni urbane che lo hanno considerato antisociale.

"La forma occidentale dello shivaismo, il Dionisismo – scrive Daniélou in Shiva e Dioniso ( Ubaldini,1980) – rappresenta anch’essa uno stadio in cui l’uomo è in comunione con la vita selvaggia, con le bestie della montagna e della foresta. Dioniso, come Shiva, è un dio della vegetazione, dell’albero, della vigna. E’ anche un dio animale, un dio toro. Questo dio insegna agli uomini a irridere le leggi umane per ritrovare le leggi divine”.

Shiva, come Dioniso, è stato rappresentato in diverse culture come il protettore di quanti si tengono lontani dalla società convenzionale. Simboleggia, inoltre, tutto ciò che è caotico, pericoloso, inatteso. ( Tutto ciò che sfugge alla ragione umana e appare non-ordinario, lasciando la gente smarrita e gettandola nel terrore e nella preghiera – come ad esempio i terremoti, i crolli o i nuovi virus che oggi, secondo gli esperti , “potranno causare pandemie e avere un bilancio peggiore di quello della spagnola non può essere attribuito che all’azione imprevedibile degli dèi).

Nel suo aspetto di Distruttore, Shiva prende il nome di Shiva Bhairava , e i devoti di questo aspetto di Shiva lo chiamano Aghora, ovvero letteralmente il “non-terrifico”- un nome che è un eufemismo .

L’arcaico signore del desiderio, della molteplicità straziata e del suono primordiale e onnipervedente ( A-U-M), Shiva è anche il maestro dello yoga, del metodo tramite il quale – mediante la castità ascetica, ovvero la sottrazione del desiderio al suo orientamento nel tempo e la sospensione del respiro e del seme – la forza virile può essere trasformata in forza mentale e intellettuale, reintegrando il principio cosmico da cui tale forza deriva.

 L’asceta è nudo, il corpo cosparso di cenere di colore argenteo, con il membro sempre eretto. Spoglio d’ogni parola e concetto, la sua bellezza essenziale seduce tutti gli esseri, persino i saggi che praticano un austero ascetismo.

Il portatore di sperma, l’essenza della vita, viene anche rappresentato unito alla sua compagna

Shakti, l’Energia. Sebbene le due divinità siano entrambe creatrici di questo mondo, non è la procreazione – benché sia importante – il vero scopo della loro unione, bensì il piacere, la beatitudine divina ( ananda).

Nell’induismo il successo del viaggio della vita risiede in quattro cose da realizzare il meglio possibile: la virtù , la ricchezza, l’amore e la vita spirituale. La virtù e il successo materiale ( collegati a un buon matrimonio, alle virtù comuni e all’osservanza delle regole e delle convenzioni sociali) legano al mondo, mentre l’amore e la vita spirituale fanno uscire dai legami del mondo e sono l’immagine l’uno dell’altro.

Ogni esperienza erotica è anche esperienza simbolica, e l’estasi che si sperimenta nell’atto d’amore si pone in un rapporto di consonanza con la beatitudine divina. L’amore che più avvicina al divino è l’amore libero, libero come il vento di montagna, non vincolato dai doveri sociali e di casta, legati alla riproduzione. O vincolato al Pacs, questa assurdità che distruggerebbe il diritto di famiglia.

In un vertiginoso rimando di simboli, il maschile e il femminile si alternano in ogni essere creato e ogni voluttà è un riflesso della beatitudine divina.

Il corpo ne è il mediatore indispensabile: nel punto, intenso e feroce, in cui la vita va al di là. ( Punto limite conosciuto come bindu, nel linguaggio tecnico dello yoga).

La gioia è saper cogliere l’essenza dell’esperienza, ovvero la consapevolezza della vera natura beata, immacolata e aperta dell’universo ( che non è solo questa grande e scintillante metafora che ancora per poco sembra contenerci, ma esistenza e intelligenza).

LA RADIANZA PRIMORDIALE

L’esperienza di questa altissima energia non cercata, ma donata, che è la vita ad ogni istante nuova, sorgente – la cui vividezza crediamo di poter ridurre al “sessuale” ( questa rottura permanente della spina dorsale), o addirittura ridurre a gestione socialdemocratica dei cosiddetti “bisogni della gente” – ha un tono di meraviglia e di sorpresa che sembra assolutamente distinto dal tono dell’esperienza ordinaria. Lo sanno gli amanti nei momenti di piacere, di amore, di contemplazione della bellezza.

" Nell’amore mistico – scrive Daniélou – ogni essere è androgino. E’ al tempo stesso attivo e passivo, amante uomo e amante donna. Anche nel misticismo occidentale, alcuni santi hanno coltivato la loro natura femminile per meglio avvicinarsi all’amante divino. "Lì mi dette il suo petto – scrive ad esempio San Giovanni della Croce – lì una scienza mi infuse soporosa – ed io a lui mi detti, senza tralasciar cosa – e gli promisi allora d’esser sua sposa".

Gli psicoanalisti parlerebbero di fantasma di godimento femminile. Ma nel mistico, come nell’amante, il sistema nervoso – mediatore indispensabile di ogni esperienza estatica – è vicinissimo, quasi un “roveto ardente, e il rapimento che si vive appare in sé assolutamente indicibile. Da qui lo slittamento d’ogni discorso che evocando erotismo ed esperienza mistica, tocca una resistenza di fondo della nostra cultura, che è quasi il rifiuto di "una potenza antropologica avvertita – come notava Elvio Fachinelli ne La mente estatica ( Adelphi, 1989) – come incompatibile e dissolvitrice".

Sorprendente e persino urtante per l’Occidente, prigioniero della sua concezione astratta della superiorità dell’intelletto, i metodi corporali dello yoga adombrati nelle sculture erotiche del tempio indù, mostrano che la beatitudine divina non è separabile dal piacere, ma che anzi essa è sepolta e come dormiente alla base del corpo e dei suoi centri sottili. "L’esperienza di una luce assoluta – scrive Eliade in Mefistofele e l’androgino – può penetrare fin nelle profondità della vita organica, e scoprire anche lì, nell’essenza stessa del semen virile, la luce divina, la radianza primordiale che creò il mondo…". ( Cfr. anche Phallophanies: La chair et le sacré ). Questa gioia eccessiva, quasi un’eccedenza mistica ineliminabile da ogni vita umana, costituisce forse proprio il segreto del linguaggio.

Non possiamo qui trattare in dettaglio dello shivaismo e dei suoi "segni" erotici che rimandano a princìpi vertiginosi, a una antropologia orientale e a tecniche iniziatiche di risveglio della coscienza nirvanica. Precisiamo soltanto che lo shivaismo è all’origine dello yoga e delle pratiche tantriche a carattere sessuale che includono tutte le varianti dell’amore.

Scindere la natura dal divino e rifiutare il piacere sessuale, in qualsiasi forma esso ci si presenti, significa, per lo shivaismo, non capire niente delle forze che ci legano alla creazione e non coincidere mai con quell’ "istante di eternità" che permette, per così dire, di uscire dal mondo. Un’uscita che, secondo le tecniche corporali dello yoga, avviene in maniera labirintica, per vie traverse, gradualmente, alla maniera di un serpente che srotoli le sue spire secondo le regole della "sapienza terrestre". Oppure all’improvviso – nel punto esatto in cui ( come nell’orgasmo, ma senza stretto rapporto causale con esso, bensì di consonanza) – ci si sveglia di soprassalto dall’interno del proprio sogno.


I MILLE VOLTI DEL DIVINO

Le rappresentazioni erotiche che popolano i muri esterni e interni del tempio indù, invitano a considerare la natura del mondo così com’è. Guardando le scene esposte, coloro che tendono a credere che il mondo sia esclusivamente materiale e il sesso solo fisiologia, vengono inconsciamente influenzati dai significati interiori e nascosti, che trovano i lori simboli nelle immagini.

Dapprima vi sono le immagini dei baci, delle mani che scivolano sotto i vestiti, la stimolazione manuale fatta dagli uomini, dalle donne o dai bambini, su se stessi o sui partner; poi le immagini della penetrazione in tutte le posture immaginabili, talvolta vere e proprie acrobazie, che richiedono l’aiuto di altre comparse, ragazzi o ragazze, oltre ai due partner.

Nel tempio, asse del mondo, foresta trasfigurata in cattedrale e caverna in cui si compiono i riti magici, vediamo rappresentato il coito orale (auparashtika) , il cunnilingio, la sodomia, la masturbazione solitaria o in gruppo. E’ un groviglio di movimenti eccessivi, brancolanti, estatici, orientati verso il sol levante, affinché i raggi del sole colpiscano l’immagine in fondo al santuario durante certi giorni fausti.

Qui, sui muri del tempio, le donne copulano con gli animali e gli animali con uomini, con ragazzi o dèi e semidei che indossano corone. Vi sono donne all’impiedi che si offrono alle carezze delle bambine. Spesso l’omosessualità maschile è rappresentata da scene in cui almeno uno dei personaggi indossa l’abito monastico, con allusione a un rituale speciale connesso al culto di Ganesha e legato alla penetrazione anale ( adhorata, un rituale delle alte gerarchie shivaite, il cui equivalente in Occidente è "l’insufflazione di Febo" – forse praticato dai Cavalieri del Tempio).

Tutte le forme e gli atti erotici rappresentati in ogni possibile variante, hanno un senso profondo e magico che corrisponde di fatto alle diverse potenzialità del creato.

Il divino si manifesta non solo in ogni atto di procreazione, ma in ogni creazione, in ogni forma di piacere.

LA CAREZZA DEGLI DEI

I sospiri, i desideri e gli atti stessi dell’amore non sono che un sogno divino senza sostanza. Se ancora la vista di ciò che è erotico dovesse turbare o sviare il saggio dal cammino verso la perfezione, significa che egli s’illude di essersi liberato dal sesso e dai sempiterni giochi, illuminazioni e abbagli dell’amore, restandone, in realtà, inconsapevolmente schiavo.

Le carezze che, nelle immagini del tempio indù, scambiano fra di loro uomini, donne, bambini, piante, stelle, spiriti, animali e dèi, suggeriscono che è l’amore a legarci o a slegarci.

La peggiore delle schiavitù, essere schiavi dei sensi e abbagliati dall’amore, così come anche la liberazione da tutto ciò che ci vincola accade quando – nell’esperienza la più persa, la più nuda, scabrosa e suprema – scocca, insieme al seme, alle lacrime o al riso , quell’"istante di eternità" in cui l’essere e il nulla sembrano coincidere e la differenza loro sparisce.

Contemplare e praticare i giochi dell’amore in tutte le sue forme fa dunque parte dell’allenamento del saggio, della tecnica stessa della rinuncia. "Perciò queste immagini – scrive Daniélou – sono collocate sulla porta del santuario, la cui nudità interiore evocherà in seguito l’imperturbabilità, il silenzio del non-essere, meta finale di ogni esistenza".

E’ a questo vuoto come fresca traccia della Persona divina e alla beatitudine che s’irradia nell’inconto con l’Amato che tendono tutte le forze e le forme dell’amore.

Con il loro brancolante seguito d’incanti e disincanti, stupende illusioni e delusioni cocenti, gli amanti divini dai volti stilizzati con eleganza e durezza, come se fossero stati fusi nell’oro, tendono a quel punto intenso e feroce in cui la vita va al di là, nella paradossale coincidenza dell’atto umano e dell’atto divino.

Tale coincidenza, cioè l’estasi, il sacrificio di tutto ciò che qualcuno o qualcuna crede di essere, pur non derivando secondo un rapporto di causalità stretta dall’orgasmo, risuona in ogni forma di piacere e non si riduce all’egoismo del piacere. Come a chi è disponibile, aperto, intenzionato ad impregnarsi della lezione shivaita, insegnano le misteriose e stupende sculture erotiche del tempio indù. ( Ringrazio Jacques Cloirec per i suggerimenti e la preziosa collaborazione).

Note

* Come tutti i libri di Alain Danélou (1907-1994), orientalista oggi considerato tra i maggiori del Novecento, anche L’erotismo divinizzato ( tradotto per red edizioni da Greta Joris dagli originali francesi Le temple hindou e L’érotisme divinisé), non è solo un saggio di storia delle religioni, ma il rispecchiamento di un’esperienza personale: " la scoperta, in India, in questo museo della storia del mondo, della più fondamentale delle religioni". L’autore fu iniziato da un monaco errante, Swami Karpatri, in una foresta ai bordi del Gange durante la sua lunga permanenza in India. La bibliografia aggiornata dell’opera di Alain Daniélou, il cui nome indiano è Shiva Sharan, si trova nel sito internet: http://www.alaindanielou.org/

* * Raymond Burnier ( 1912-1968) che ha condiviso con Alain Daniélou la passione per l’India, è autore di quasi tutte le fotografie contenute nel libro. Le foto che rivelarono al mondo la bellezza dell’arte medievale indu sono anche un documento storico di grandissima rilevanza: ritraggono infatti sculture o edifici in gran parte distrutti dagli iconoclasti musulmani e dagli ingegnieri puritani inglesi che li consideravano osceni e ne utilizzavano colonne e capitelli per costruire ferrovie. Nel libro sono ritratte sculture che oggi, come fa notare l’editore, "complici il tempo e l’umana idiozia, non ci è dati più di vedere". Diversamente dal Mahatma Ghandi, educato in Inghilterra, che aveva inviato squadre di seguaci per ridurre in frantumi le rappresentazioni erotiche sulle facciate dei templi ( mentre il poeta Rabindranath Tagore cercava di fermare quello scempio iconoclasta), e diversamente anche dal Pandit Nerhu, molto irritato – come racconta Daniélou – dopo che questi ebbe fotografato e pubblicato un certo numero di fotografie di sculture che raffiguravano rapporti sessuali, le vere grandi anime sono libere di ogni complesso e di ogni inibizione, e saggiamente lasciano che i giochi d’amore le riempiano di gioia senza scolvolgerle.

 

monk layman 

Un monaco accarezza l’upastha di un laico in segno di saluto rispettoso (Tempio di Visvanatha, Kajuraho, India X sec.). E’ solo quando il pene (upastha) si radrizza che emette il seme, fonte di vita. Viene allora chiamato “ fallo” ( lingam) e, fin dalla preistoria, è considerato come “segno” del principio creatore, del processo tramite il quale l’Essere Supremo procrea l’universo. In un mondo consumistico e sempre più femminilizzato, il Fallo ( che dopotutto non è il pene) si è trasformato da “temibile e sacro” in   oggetto  ridicolo ( cfr. Claudio Risè, Essere uomini, la virilità in un mondo femminilizzato ( red edizioni). Per una ricerca genealogica  sulle origini della morale sessuale contemporanea, nell’attuale regime dell’ordine e della trasgressione in cui Kant si allea con Sade ,  vedi anche Le Pénis et la démoralisation de l’Occident ; tr. it. Il pene e la demoralizzazione dell’Occidente di Jean-Paul Aron (con Roger  Kempf, 1978; Sansoni 1979 ).

            Dalla rete :

[PDF] Shiva : Destroyer / Creator Dualities: Erotic Ascetic Tension of Opposites
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Shiva, il sesso divino

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HOWL compie 50 anni

 Anniversari

HOWL compie 50 anni

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"Howl (Urlo) di Allen Ginsberg uscì nell’ottobre 1956 come quarto volume della Pocket Series di Ferlinghetti.

Ferlinghetti aveva sentito leggere la poesia dall’ autore alla Gallery Six durante il reading ormai famoso del 5 ottobre 1955, organizzato da Ginsberg in favore del pittore Wally Hedrick e presentato da Rexroth, nel quale lessero Gary Snyder, Philip Lamantia; Michael McClure, Philip Whalen e Lew Welch mentre Jack Kerouac si aggirava nella sala gremita di settantacinque persone offrendo vino al pubblico (più tardi descrisse la serata in The Dharma Bums (Vagabondi del Dharma), dicendo: «Seguii i poeti al reading della Gallery Six quella sera, che fu la sera della nascita della Rinascita poetica di San Francisco. C’erano tutti. Fu una notte pazza… Tutti urlavano Go! Go! Go! come in una jam session e Rexroth si asciugava le lacrime dalla felicità».

Quella sera Ferlinghetti mandò a Ginsberg un telegramma ricalcando quello che Ralph Waldo Emerson aveva mandato a Walt Whitman quando aveva ricevuto una copia dell’edizione 1855 di Leaves of Grass, Fili d’erba: «Ti saluto all’inizio di una grande carriera». Ferlinghetti aggiunse: «Quando mi dai il manoscritto?». Il libro uscì con una prefazione di William Carlos Williams e venne confiscato dal capo della dogana provocando l’arresto di Shig Murao che lo vendeva e di Ferlinghetti che l’aveva pubblicato: l’editore raccontò questa storia sulla «Evergreen Review».

Il processo che seguì l’arresto di Ferlinghetti e di Murao , mentre Ginsberg era in Marocco, mostrò una della più grosse prese di posizione letteraria di tutti i tempi d’ America: in difesa di Ginsberg vennero a testimoniare fra gli altri Kenneth Rexroth e Mark Schorer e da tutta l’ America arrivarono dichiarazioni di solidarietà, di Kenneth Patchen, James Laughlin, Barney Rossett, Thomas Parkinson, Robert Duncan e così via. Alla fine del processo circolavano diecimila copie di Howl e il libro e il suo editore erano diventati un caso nazionale: Ginsberg considerò sempre questo processo il suo più bel premio letterario. (Fernanda Pivano, «Lawrence Ferlinghetti, il Prévert d’America», 1995).

Urlo – Allen Ginsberg
I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysteical naked /Dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix … (Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di droga rabbiosa …).

Intenso e feroce per forza e musicalità , nel 1956 Howl-Urlo esprimeva la disperata ed impotente denuncia di un’intera generazione contro il materialismo. Riletto oggi, a distanza di tanti anni, sembra drammaticamente attuale. La poesia di Ginsberg ( nella quale sembra di udire il liturgico suono del corno della ram, Shofar, se non di un pedale d’organo in sottofondo) non cessa d’interrogarci sul male (Moloch) che si è insediato nelle nostre società e su questo strano “bisogno di sconvolgimento” che sembra attraversare i nostri tempi e il secolo*.

* Un secolino, per la verità, che sembra voler tramontare così com’è cominciato, tra la violenza e la brutalità. O perlomemo così pare…

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 – Mondo Beat 1966-1967

– I Beat a Milano – Viaggio nella memoria di alcuni aspetti della cultura ‘underground’ milanese negli anni ’60.

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Per un touche pipi

 PER UN TOUCHE PIPI


IN ITALIA. Poiché toccarsi il pisello in pubblico ( ops, stavo per scrivere “in pubico”) è un gesto volgare, plebeo, i grandi cartelloni che reclamizzano una ditta di abbigliamento maschile e ritraggono due finti cafoni lampadati mentre si toccano sulle parti intime ha suscitato le proteste di molti cittadini: da qui la decisione dell’istituto di autodisciplina pubblicitaria di "congelare" la campagna di Oliviero Toscani.

Il testo del provvedimento è stato diffuso su internet, nel sito dello Iap. "L’ostentazione volgare e provocatoria di situazioni legate all’intimità sessuale – si legge nel testo – porta la comunicazione a scadere in una inaccettabile lesione della sensibilità del pubblico".

I messaggi – prosegue il testo – "oltre a turbare un pubblico adulto, possono colpire l’attenzione dei minori che non hanno chiavi di lettura per capire le immagini, provocando loro ansia e disagio". E poi c’è "la netta incongruità tra la comunicazione pubblicitaria avente fini meramente commerciali e le immagini diffuse".

"Lungi dal volere stimolare un serio e corretto approccio al tema della parità sessuale – conclude il testo – i messaggi mirano unicamente a colpire l’attenzione del pubblico ad ogni costo, turbandone la sensibilità attraverso rappresentazioni volgari tout court".

Non si tratta né di censura né di discriminazione contro gli omosessuali – hanno spiegato allo Iap, mettendo le mani avanti, nel timore di non apparire politicamente corretti a sinistra – ma di semplice tutela della sensibilità dei cittadini, soprattutto dei minori. Se si fosse trattato di eterosessuali sarebbe stato lo stesso.”

Immediata la reazione di Grillini dell’Arcigay, che cogliendo, per così dire, la palla al balzo, grida di essere vittima della censura: «Di questo passo finiremo per avere la polizia del pensiero». Del pensiero ?

Perplesso invece Alfonso Pecoraro Scanio, più sensibile a una semplice questione di senso comune: «Evitiamo la caricatura. Potrebbe nuocere ai gay». E spiega: «L’educazione vale sia per le coppie etero che per quelle gay. Nessuno si toccherebbe su un divano di fronte a tutti. Mostrare due uomini che si baciano è normale. Mostrarli in modo così sguaiato mentre chiediamo il riconoscimento delle coppie gay è controproducente». Pecoraro Scanio, che certamente  è un uomo di mondo, forse ha letto con qualche profitto Wittgenstein a proposito del concetto di “decenza”.

L’attore Leo Gullotta sdrammatizza, citando Shakespeare: «Molto rumore per nulla. La pubblicità usa sempre la pruderie , solo che finora sono state usate le donne, spesso nude. C’è una foto con un africano di spalle con tre donne vestite solo di stivali avvinghiate a varie altezze, perché nessuno protesta?». «In un Paese ipocrita, dove vige la morale cattolica ma esistono migliaia di locali in cui le coppie fanno cose nascoste e un matrimonio su 10 fallisce, Toscani scandalizza solo perché va dritto alla verità». Che ciazzecca la “morale cattolica?”. Segue dibattito.

Probabilmente “ la saggezza del nostro secolo, consiste anzitutto nel saper sopportare la volgarità senza irritarsi” ( Nicolas Gomez Davila).

IN IRAN. Nel frattempo – mentre in Italia per motivi commerciali si degrada anche il vizio – altre immagini volgari e indecenti, se non oscene invadono l’infosfera. Sono immagini orribili e tristi, e vengono offerte alle famiglie in gita domenicale – o meglio , di Venerdì, all’uscita dalle moschee – dall’Iran di Mohamed Ahmadinejad e dei lugubri mullah, dove per per uno “scherzo tra maschi”, un touche pipi o qualche altra sciocchezza tra ragazzi si può finire così : Irangay_teens_11 

 

 

 

 

 

 

 

Two teenagers executed for homosexual acts in Marshad, Iran – 19 July 2005

Oppure, nel migliore dei casi, così:  

I segni delle 100 frustate subite da Amir

20 September 2005 – Amir, 22 anni, frustato e incarcerato per rapporto omosessuale

These are the words of Amir, a 22-year-old gay man from Iran who has recently escaped brutal torture and who is now currently seeking asylum in Turkey. Amir, like many gays and lesbians worldwide suffers from the criminalization of homosexuality.

Recent attention was drawn to Iran’s suppression of gay when two teenage boys were executed by hanging.

Un gruppo londinese per i diritti degli omosessuali, “OutRage!”, ha reso nota la vicenda di Amir, iraniano di 22 anni, fuggito recentemente dall’Iran per paura di essere condannato a morte a causa del proprio orientamento sessuale.

In Iran, il giovane era stato arrestato diverse volte dalla milizia basij e dalle guardie della rivoluzione, che accusandolo di aver disonorato la memoria del padre, “martire” della guerra contro l’Iraq, lo avevano torturato con maggiore ferocia.

Condannato a subire 100 frustate, la sentenza è stata eseguita nella cella in cui era rinchiuso. Dopo la sua liberazione, le minacce di morte contro Amir sono continuate. La polizia lo ha convocato all’indomani dell’impiccagione – avvenuta a Mashad lo scorso 19 luglio – di due giovani, minacciandolo che avrebbe fatto la stessa fine, se fosse stato preso un’altra volta.

Per paura di ritorsioni, Amir non aveva denunciato le persecuzioni subite, ma ora che si trova fuori dall’Iran ha deciso di raccontare la propria storia. (Fonti: OutRage! , Persian Gays & Lesbians Organisation, 20/09/2005)

For more information, read Doug’s article in the latest edition of GayCity News

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 LE RADICI DELL’ODIO E LA DISPERAZIONE DEL TEMPO

Dopo la strage di Bali, preceduta da condanne di apostasia “che hanno scatenato sia la caccia ai musulmani riformatori e laici sia una recrudescenza nella repressione della comunità cristiana”, un articolo di Magdi Allam invita a non sottovalutare anche da noi la gravità delle accuse di apostasia emanate da esponenti del «partito italiano del takfir », anticamera ideologica del terrorismo maligno.

Dall’Indonesia alla Gran Bretagna, dall’Iraq a Israele, dall’Algeria alla Turchia, è l’apostasia il male dell’islam che scatena il terrore. La radice dell’odio che trasforma una persona in robot della morte risiede nella condanna di tutti coloro che non sarebbero dei «veri musulmani», finendo per legittimarne il massacro. Un male e un odio che hanno messo radici anche in Italia.

Ad aver perduto un “luogo sicuro” – se mai è esistito un luogo separato da tutti i pericoli del mondo – non sono solo i musulmani colpiti dalle fatwe dei terrificanti figli di una Umma idealizzata e transnazionale, senza territorio e tuttavia ubiquitaria e diffusa fin nell’infosfera. L’deologia islamista generalizzata dalle prediche e dagli scritti degli stessi dirigenti islamisti, secondo una strategia discorsiva che include la doppiezza, la dissimulazione e il ricorso a un vocabolario religioso di condanna a musulmani additati anche in Italia come apostati, riguarda tutti.

Tutti hanno perso – oltre a Bali, a Sharm, a Casablanca, a Istanbul, a Madrid, a Londra, a Milano o a Roma come “luoghi sicuri” – New York, dove ai tempi dell’ascesa sfolgorante del nazismo in Europa erano numerosi quelli che scappando laggiù erano sicuramente salvati. Abbiamo perso tutti – non solo i musulmani additati come “apostati”- la libertà dalla paura e la stessa idea che in qualche luogo del tempo o dello spazio possa esserci per noi un “luogo sicuro”. Abbiamo perso un mondo che avremmo desiderato un luogo di tranquillità mentale e fisica, un mondo la cui immagine – per sempre sfregiata dal crollo di torri, case, mercati, bar, ristoranti, metropolitane e luoghi di vacanze che grondano sangue – ci è ormai offerta dai terroristi.

Ad aiutare lo jihadismo sono anche quegli italiani – forse la maggior parte dei nostri concittadini – che temono di passare per “nemici dell’islam” e politicamente scorretti se non permettono che moschee collegate a gruppi fondamentalisti come quello dei Fratelli Musulmani ottengano finanziamenti dalle amministrazioni locali; e che gettando subito falsi ponti ( tanta è la voglia di essere lasciati in pace e l’ansia di negare l’esistenza, purtroppo, del “nemico”) corrono, agitando bandierine arcobaleno, ad accogliere in Italia e a portare in giro a fare conferenze qualsiasi islamista, nemico delle nostre libertà, disposto a fare ambigue dichiarazioni “contro il terrorismo”. Quando, sempre per l’ansia di essere lasciati in pace, non disturbano le esercitazioni anti-terrorismo di Roma al grido di “Pace subito” e di “Buffoni, buffoni, che state a fa…”.

La stupidaggine insiste sempre , – scriveva Camus ne La peste – ce se ne accorgerebbe se non si pensasse sempre a sè stessi”. I nostri concittadini con il velo o il passamontagna arcobaleno calato sugli occhi , al riguardo, sono come tutti quanti, pensano a sè stessi. E non vogliono che si prenda qualche precauzione, perché le barriere difensive sono brutte, mentre i ponti sono un sacco bello e il mondo sarebbe un Paradiso se non ci fosse, ahimè, qualche brutto Muro. In altre parole, se non proprio degli umanisti, quelli che hanno solo voglia di essere lasciati in pace sono dei buonisti aggressivi, dei pacifisti con le bombe lacrimogene, certi di trovare non poche scusanti e condiscendenza illimitata nell’opinione pubblica. “L’opinione pubblica, cosa sacra:- niente terrore, soprattutto niente terrore”*. Sì, niente problemi: solo dibattiti ! Così, mentre alcuni fiancheggiatori no-global cercano di convincerci sinistramente che la colpa è sempre e solo dell’Occidente “buffone”, specialmente degli Amerikani, e che basterebbe ritirare le truppe dall’Iraq per essere al sicuro, altri ci rassicurano con dei versetti: gli atti di terrorismo sono proibiti nel Corano che recita: “ che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera” (5,25). Ecco finalmente il luogo sicuro, il Testo sacro dei musulmani!

Per meglio goderne, si va a verificare il versetto , e si legge “chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra…”. E chi dunque decide se quest’uomo, che l’islamista vuole uccidere, non abbia “sparso corruzione sulla terra” ? E’ l’islamista stesso, o il suo gruppo. E questo perché l’islamista segue il Corano puntigliosamente, e la Carta del suo network pone chiaramente – sebbene su sfondo oscuro – che l’apostata sparge corruzione sulla terra e che – come pure gli Americani , gli Ebrei e i Crociati – non solo sparge corruzione e commette violenze ma è, in quanto tale, la corruzione stessa. E dunque, quando il pio islamista legge : “ Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione ( fitna) è peggiore dell’omicidio” ( 2,191), lo fa con tutto il cuore perché è secondo “giustizia” che l’islamista si fa giustiziere dei suoi fratelli e del mondo.

Legittimato dalla shari’a, eccolo dunque auto-immunizzato, pronto a “re-islamizzare” i musulmani e a liberare il mondo dalla fitna ( ovvero da “tutti i fenomeni, i comportamenti e le intenzioni connessi a persecuzione, sedizione, sovversione, scandalo, vizio, inquinamento, corruzione, discordia, disordine, disobbedienza, ribellione, contro Allah, le Sue leggi, le Sue creature” – come si legge nel commento fondamentalista alla traduzione del Corano oggi più diffusa in Italia, quella della Newton & Compton Editori, Roma, 1966, p. 49).

Per l’islamista non si tratta di aver fede nell’uomo con un avvenire, e neanche di costruire, utopicamente, l’ “uomo nuovo”, ma di far ripassare i musulmani “tiepidi” per l’origine dalla quale questi “pseudo-musulmani”, gli apostati e le stesse società che si dicono musulmane si sarebbero staccati, regredendo verso il tempo della jahiliyya ( l’epoca dell’ignoranza della Legge di Allah, prima dell’islam).

Come si legge nei testi dell’egiziano Hassan al Banna ( 1906-1949) e dell’afghano Abu Ala Mawdudi ( 1903-1976), i quali nel secolo scorso hanno, fra gli altri, gettato le basi teoriche dell’islamismo, occorre far “ripassare” i musulmani per l’origine. E’ quello che gli emiri fanno realmente, fino a far firmare a uomini e donne musulmani delle attestazioni di entrata nell’islam , datate e recanti geneneralmente la formula seguente: “ oggi sono entrato nella religione dell’islam sotto la mano dell’emiro ( un tale)”. Lo riferisce lo psicanalista tunisino Fethi Benslama. La teoria che pone i musulmani fuori origine, autorizza peraltro i gruppi estremisti violenti a uccidere e massacrare senza scrupolo, come in Algeria, ripetendo gli argomenti della regressione e dell’apostasia: sono dei simulacri di musulmani la cui morte renderebbe servizio all’islam.

E’ per questo che nel caso dell’islamismo la condanna di “apostasia” non è un’opinione innocua o semplice diffamazione, e neanche una metafora per indicare un allontanamento dalla pratica religiosa, ma un delirio costruito come una teoria da applicare realmente, annientando ogni interpretazione. L’omicidio compiuto dal giustiziere del mondo che si dice musulmano assolve i musulmani colpevoli di essere regrediti verso la pre-origine, di essere diventati dei musulmani solo in apparenza. I pii massacratori, sporgendosi verso le vittime per immolarle come si fa con i capri alla fine del Ramadan, durante la festa dell’Aid el kebir, annunciano loro la “buona novella” del ripristino allucinato dell’originaria Legge di Allah, tramite l’effusione del sangue espiatorio della vittima di turno. Generalmente la vittima è un innocente, spesso un “diverso” per non aver esibito i segni della sottomissione ai barbuti ed essersi opposto alla propagazione di una versione settaria dell’islam e del terrorismo .

Un terrorismo maligno che salda in maniera spettacolare la comunità all’origine allucinata e che trova aiuto anche nella nostra ignoranza dell’islam, del suo rapporto mistico con la morte, e nel rifiuto della sua complessità. “Nei rapporti con il fondamentalismo islamico – scrive Angelo Panebianco nell’ultimo numero di Panorama – la nostra tradizionale incapacità di apprendere dagli errori può rivelarsi assai pericolosa, mortale. A quattro anni di distanza dall’11 settembre noi italiani non disponiamo ancora di una politica per fronteggiare la sfida jihadista. Ci arrabbattiamo, come altri occidentali, per cercare di prevenire attacchi terroristici. Ma non abbiamo ancora compreso che per combattere il terrorismo non basta la polizia, occorre una politica di sistematica neutralizzazione della propaganda fondamentalista, tesa cioè ad essiccare le radici culturali del jihadismo”.

Nell’ideologia islamista sembra essersi ripetuta, su grande scala, l’ abrogazione dell’origine che si verificò l’8 agosto del 1164 ad Alamut, giorno in cui il gran maestro degli sciiti ismaeliti proclamò la fine della legislazione positiva dell’islam e annunciò ai seguaci della sua setta – poi conosciuta come la setta degli Assassini – l’inizio della religione esoterica, in cui ognuno poteva credersi in rapporto diretto con gli ordini dell’Onnipotente espressi alla lettera dal Libro sacro e i comandi dell’Imam occulto nascosto su qualche montagna dell’Iran. In ogni caso, il voler ripristinare un’età dell’oro islamica, in cui l’uomo islamicamente e interamente compiuto non sarebbe più in conflitto con l’esterno, somiglia alla credenza islamista nella perfezione dell’Origine che abolisce ogni futuro, ogni speranza, ogni orizzonte ulteriore, che non sia un ritorno a una Umma, o grande Matria, che sia perfettamente islamica.

Per l’islamista il meglio è già avvenuto, ed è l’islam sognato. Il Libro realizza il sogno di un linguaggio perfetto e il sole di Allah è sempre fisso allo zenith dal giorno della sua rivelazione ( a partire dal VII sec. d.C. ), dissipando ogni ombra dalla terra. L’apoteosi, così come l’Apocalisse, è dunque alle spalle : in un passato glorioso e insigne che il divenire – con la complicità di apostati, pseudo-musulmani, crociati e soprattutto, tanto per cambiare, ebrei – non può che decomporre. Tutto il possibile è stato dato nel passato, non resta che opporsi al divenire. Se alla prova della realtà e dei fatti l’islam sognato non trionfa è perché la realtà e i fatti sbagliano, non hanno letto il Corano. Anzi ne hanno ostacolato e perseguitato il Comando. Stando così le cose, in mancanza di ponti culturali ( questi sì necessari) il contatto dell’islam delle moltitudini con la modernità vira al disastro. E all’islamista non resta che oscillare fra una terribile depressione e una grande esaltazione. Una malinconica sottomissione , magari dissimulando e baciando la mano che non si può mordere ( come recita un proverbio arabo), è allora la sola posizione in attesa del Giudizio finale, a meno di una precipitazione nel terrore – incominciando a fare casino ovunque ci si trovi, soprattutto se a casa d’altri e specialmente dei kafir o kafirun , questi “ingrati verso Allah”, come comunemente vengono definiti con linguaggio polemico i non-musulmani.

Il letteralismo, il comunitarismo e la perdita di ogni capacità spirituale impongono, non a caso, all’islamista di avere una sensazione fisica della cosa originaria allo stesso livello del corpo, di corpi-gruppo imbricati gli uni negli altri nelle madrase, le moschee e le scuole islamiche fuori da ogni controllo, consegnate a predicatori estremisti. Qui, taluni vengono per fortuna a rassicurarci, a dirci che la massa dei musulmani non li approva e condanna gli atti osceni che procedono dalle loro prediche e dalla loro perfidia. Noi crediamo loro, abbiamo interesse ad accordare credito alla loro voglia di vivere e di far vivere affinché essi combattano fra di loro i terroristi. Ma come potranno combattere i “fratelli che sbagliano” se è scritto (mektub) che tutti i musulmani sono “ la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini”, e che Allah prescrive “raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Allah” ? Tanto più se ne sono convinti fino alla conclusione del versetto 110 della Sura 3 che recita: “ Se la gente della Scrittura [ebrei e cristiani, benché i cristiani non siano propriamente “gente del Libro”come erroneamente credono i musulmani] credesse , sarebbe meglio per loro; ce n’è qualcuno che è credente, ma la maggior parte di loro sono empi”. Fino a che punto i musulmani credono che gli altri siano davvero dei perversi o “empi”?

Da qui il problema: il cristianesimo ha messo venti secoli , numerose guerre e la Shoah per fermare – anche attraverso Vaticano II – i propri integralisti e i propri deliranti falsi profeti, e bandire dai propri testi la vendetta verso l’altro. L’islam può dunque prendere il suo tempo – tanto più che la civilizzazione islamica ha davvero conosciuto qualche periodo di relativo benessere proprio quando è riuscita, per breve tempo nella Baghdad di Harun ar Rachid o nell’Andalusia spesso favoleggiata dagli orientalisti – ad arginare le crudeli pretese dell’islam legalista, politico e puritano, se non purificatore. Ma il pianeta reggerà il doppio sogno o scisma del mondo islamico, scisso fra democrazia e lotta all’Occidente? Forse il sogno islamista si concluderà con un amaro risveglio e una presa di responsabilità dei propri guai . La cui colpa non è essenzialmente, come si ripete continuamente, dei crociati, degli ebrei, degli apostati e della politica Usa .

Intanto, aspettando che il mondo islamico nel suo complesso – e non solo l’Iran dei lugubri ayatollah – smetta di sostenere e di giustificare in permanenza, o anche “saltuariamente”, i terroristi kamikaze “ per la difesa dell’islam”, fino a quando si potrà tollerare che uomini musulmani riflessivi e sensibili vengano additati come “apostati” e minacciati impunemente di morte, in Italia, da questo o quel “fratello” mafioso che s’arroga il diritto di rappresentare il “vero islam” ?

D’altra parte, nell’attesa – non priva di una certa vena espiatoria – che l’islam si aggiorni e si disintossichi, sembra che la Umma dia prova di una certa maturità: mentre i caporioni urlano troppo forte morte morte morte alle orecchie del loro dio, offrendo all’odio una semplicista metafisica estroversa, un comune vocabolario religioso e le parole d’ordine più semplici e più adatte a sollevarla e spingerla verso il suicidio-omicidio, sembra non volerli seguire – come se si fosse stancata dei propri bambinoni difficili, i propri figli terribili. Certo, si comportano da bastardi e sequestrano vergognosamente l’islam e l’immagine dell’islam, tuttavia, come una Madre esaurita e sempre sull’orlo di una crisi di nervi, domanda soprattutto di vivere – sia pure bofonchiando qua e là in loro favore. Come recentemente a Venezia, per esempio, dove durante l’incontro tra politici italiani e rappresentanti musulmani su “Islam e democrazia”, promosso dai Democratici europei, insieme al comune di Venezia, sono stati diffusi i risultati di un’inchiesta che “la Repubblica” del 30 settembre definisce “shock”. E i “risultati shock” sarebbero quelli dei dati, a tutti noti da tempo, del sostegno dato dal mondo islamico alla shaada, ovvero della fabbricazione e della pratica dei martiri-assassini “per la difesa dell’islam”. Il giornalista di “Repubblica”, Roberto Bianchini, non poteva concludere il suo articolo che così: “ Colpa essenzialmente della politica Usa, condannata soprattutto da Giordania, Turchia e Pakistan”. Oltre che naturalmente condannata da Romano Prodi, quando afferma che se l’Unione andrà al Governo l’Italia ritirerà le «truppe occupanti dall’Iraq». ( cfr. Corriere della Sera – «Da Prodi incentivo a colpire truppe»).“L’opinione pubblica, cosa sacra:- niente terrore, soprattutto niente terrore”.

Qui, mentre cerchiamo di imparare a distinguere e a non commettere l’idiozia di confondere islamisti e musulmani ( con la conseguenza, propizia alla depressione, di trovarsi di fronte un miliardo d’integristi con gli occhi iniettati di sangue), gli islamisti non cessano di mascherarsi da “moderati” e, nello stesso tempo, di velarsi e di inalberare le loro insegne, dando a vedere essi stessi, pubblicamente, in maniera ostentata, minacciosa e lunatica le multiple manifestazioni di questo fenomeno di “re-islamizzazione”. Si tratta della testimonianza ( così evidente da non essere vista, come nella “lettera rubata” di Poe ) di una risorgenza organica della peste identitaria e del mito dell’Origine comune sul modo dello stigma e dell’organizzazione del vittimismo organizzato. E tuttavia occorre prendere misure di contrasto del fondamentalismo, prima che lo spazio accordato ( per ignoranza, per lassismo o per timore) all’islam politico radicale porti, ancora una volta e anche in Italia, i suoi frutti di odio e di morte. Restano da pensare le condizioni storiche, psicologiche e culturali che portano a tali stati di marasma paranoico-sacrificale, così diffusi e ormai generalizzati all’ombra di un antimessianismo pestifero, se non un vero e proprio anticristianesimo come disperazione di massa, disperazione del tempo.

Nota

* “ I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati. Il dottor Rieux era impegnato, come lo erano i nostri concittadini, e in tal modo vanno intese le sue esitazioni. In tal modo va inteso anche come egli sia stato diviso tra l’inquietudine e la speranza. (…) I nostri concittadini non erano più colpevoli d’altri. Dimenticavano di essere modesti, ecco tutto, e pensavano che tutto era ancora possibile per loro, il che supponeva impossibili i flagelli. Continuavano a concludere affari e a preparare viaggi, avevano delle opinioni. Come avrebbero pensato alla peste, che sopprime il futuro, i mutamenti di luogo e le discussioni ? Essi si credevano liberi, e nessuno sarà mai libero sino a tanto che ci saranno i flagelli.” ( Albert Camus, La peste, Bompiani, 1964, p. 38).

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        – Le radici islamiche del terrore di Gianni Baget Bozzo – tratto da Il Foglio del 19 luglio 2005

 – Vivre sans lieu sûr di Daniel Sibony

Solidarité avec les démocrates et laïques dans le monde musulman (Manifesto delle Libertà)

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Dissociazione e creatività

Libri

In uscita:

DISSOCIAZIONE E CREATIVITÀ – La transe dell’artista
a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta

Prefazione di Georges Lapassade

Campanotto Editore, 2005

Descrizione.
La pur vasta ricerca sugli stati non-ordinari di coscienza ha quasi del tutto ignorato l’esperienza creativa ed artistica, con poche eccezioni legate alle valenze stranianti della musica ed in misura ridotta della poesia e dell’azione teatrale. Riteniamo che il presente lavoro abbia il merito di colmare questa lacuna, avendo coinvolto sul tema proposto studiosi di varie discipline ed artisti di diverse pratiche, in un incontro a più voci, quasi un Convegno Virtuale, nel quale il “teorico” ed il “vissuto” hanno avuto la possibilità di confrontarsi, ponendo elementi di riflessione per ulteriori indagini e per ulteriori percorsi di ricerca.

Interventi di: Marta Ampolo, Vincenzo Ampolo, Angela Biancofiore, Donatella Bisutti, Luisella Carretta, Marilena Cataldini, Roberta Collu, Carlo Marcello Conti, Gianni De Martino, Eliana Forcignanò, Pietro Fumarola, Georges Lapassade, Daniela Liviello, Anna Nacci, Maurizio Nocera, Luciano Pagano, O. Rubén Bag, Fabio Tolledi, Nicola Valentino. Interviste a: Massimo Carrano, Teresa De Sio, Vito Mazzotta, Cosimo Pecere, Silvia

Argomenti attinenti:

Psicoattivo – Altrove

E’ una rivista che parla di stati di coscienza e di stati modificati di coscienza (SMC). Affronta cioè uno dei campi più discussi e fraintesi della nostra esistenza in quanto esseri umani. Le manifestazioni che chiamiamo “Stati Alterati di Coscienza” comprendono sì gli stati mentali prodotti da sostanze psicoattive chimiche e vegetali, ma anche una serie di fenomeni quali l’estasi, la trance, la possessione, la meditazione.

Dallo sciamano al raver. Saggio sulla transe di Georges Lapassade, Apogeo, 1997, Milano.

Sciamani e ossessi; Dioniso, il dio della danza; il sabba; i nuovi gruppi di trance; gli stati modificati di coscienza; la trance erotica; teatro e possessione; stati sconosciuti della vita quotidiana. L’autore descrive le procedure attraverso cui alcune società selezionano il potenziale estatico umano, trasformandolo e integrandolo nei rituali secondo le culture, i gruppi sociali e le situazioni locali.

Il Dio dell’ebbrezza . Antologia dei moderni dionisiaci, di Elemire Zolla, Einaudi, 1998, Torino

E’ possibile dare un’interpretazione, sottratta alla cronaca come al sensazionalismo, di ciò che di solito è chiamato “droga”?In un saggio che da solo ha l’ampiezza di un libro e in una personale antologia che raccoglie e ordina per la prima volta una sterminata quantità di testi, sia letterari sia etnografici, Zolla ricompone lo schema segreto di un persistente modello culturale. Questo libro rende visibile una zona vastissima ma normalmente celata, o al massimo consegnata a banali mitologie trasgressive, della storia e della vita dell’Occidente: la zona, segnata da confini mobili, dove continuamente risorge l’elemento dionisiaco.Se infatti gli dèi, non escluso Dionisio, il dio dell’ebbrezza, sono stati dichiarati più di una volta ufficialmente defunti, è anche vero che poeti e scrittori, (come anche i ricercatori abituati a osservare e conservare i tesori culturali di genti in angoli sperduti del pianeta che vivono in modo tradizionale), si imbattono spesso in comportamenti e stati di coscienza che sembrano indicare, tra mille insidie, la via di una conoscenza “giusta, pura, luminosa”.

La mente estatica di Elvio Fachinelli, Adelphi, 1989, Milano

L’estasi come potenziale e quanto mai raro sviluppo di menti elette, o come generale possibilità di ogni uomo comune di visitare i suoi livelli più profondi? L’estasi come trasgressione di un limite, o come vertigine a ritroso verso un arcaico paradiso perduto? Secondo Fachinelli l’estasi è innanzitutto una esigenza antropologica da recuperare, messa da parte nel corso dell’evoluzione dell’uomo cosiddetto civile. Alla base del vissuto estatico c’è una esperienza che è insieme percettiva, emozionale e cognitiva; un'”apice” psichico che non può e non deve essere ridotto alla sola dimensione mistica… Denominatore comune di tutte le esperienze estatiche, difatti, è la regressione verso quell’epoca perinatale denominata – a seconda dei modelli psicoanalitici di riferimento – “narcisismo primario”, “fusione”, “simbiosi”… Prototipo dell’estasi rimane la beatitudine dell’unione del bambino con la madre, nella perfezione inconsapevole di essere due in uno, senza confini, senza vincoli di spazio e di tempo, senza le costrizione del reale. L’autore spazia da incursioni storiche e letterarie (da Eckart a Proust, da Dante a Bataille) a riflessioni più propriamente psicoanalitiche; particolarmente interessante, verso la fine, la messa a confronto di Freud e Lacan, che, entrambi, “temevano la gioia eccessiva”. Sullo sfondo – sensibile, anche se raramente evocata – c’è l’esperienza clinica con i pazienti e con se stesso. (Recensione di Argentieri S., da L’Indice 1989, n. 9) .

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Copertina
Valter Binaghi pubblica presso Dario Flaccovio Editore “La porta degli innocenti“, un romanzo su un tema di stretta attualità, sulle giovani generazioni, dai sassi dal cavalcavia al delirio della realtà virtuale, tra nichilismo e fuga dal mondo.

 
 
 
 
 

Durante l’estate ho letto, fra l’altro,  Del simulacro perso nei sogni di Mariano Bargellini , Marietti, 2004

Scritto dopo la morte di un amore, nell’attraversamento dell’addio, la vertigine di una perdita infinita e lo spazio sottile dell’ assenza

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Alla prova del terrore

 ALLA PROVA DEL TERRORE

Permane il rischio di un possibile attacco all’Italia. Gli scenari prevedono le ipotesi più allarmanti.

Gli uomini in tuta gialla verificano l'eventuale grado di contaminazione da agenti batteriologici o chimici.

(…) Quelle spettrali tute gialle che si infilavano correndo nella metropolitana tra nuvole di fumo arancione rimandavano a Madrid, Londra, New York, e anche i più scettici non avevano più voglia di ironizzare e di sorridere”. Leggi tutto l’articolo di Guglielmo Sasinini :Famiglia Cristiana n. 40 del 2-10-2005 – Alla prova del terrore

Non è un mistero che il nostro Paese sia inserito a pieno titolo nella lista dei nemici di Al Qaida, ma non dovrebbe essere nemmeno un mistero il fatto che se Israele, il Paese più colpito dal terrorismo arabo-islamico, riesce a resistere dopo 57 anni di attentati e di attacchi, molto lo deve all’efficienza dei suoi apparati di prevenzione, al coordinamento delle forze in campo, alla perfetta macchina dei soccorsi. Il tutto unito alla consapevolezza di un’opinione pubblica che sa coniugare i diritti di una democrazia con la necessità di non ostentare immagini raccapriccianti. Queste riflessioni hanno accompagnato tutti coloro che, venerdì 23 settembre, hanno assistito in diretta all’evolversi degli eventi, mentre sugli schermi della sala di crisi della Prefettura scorrevano immagini che a volte ci si sforzava non poco per considerarle frutto di una finzione”.

La realtà diurna può rivelarsi, talvolta, più angosciosa di qualsivoglia incubo notturno. Da qui la tendenza, e il rischio, di minimizzare, di ironizzare e di sorridere, ma soprattutto di trattare la realtà e i suoi problemi come se fosse un fantasma. “Davanti a una minaccia che si fa ubiquitaria e diffusa – avvertiva lo psicanalista Elvio Fachinelli nel 1986, a proposito di quell’evento estremo che fu l’esplosione radioattiva di Chernobil e dei suoi effetti sull’inconscio ( cfr. “Il nucleare va in analisi”, Corriere 23 luglio 1986) – il singolo e i gruppi tendono a localizzare ad ogni costo questa minaccia, a darle un nome proprio, definito, per poterla quantomeno confinare in un ambito circoscritto. Sorge così il luogo sacro della vittima sacrificale, e chi pensasse sorridendo a riti antichi e desueti è pregato di ricordarsi della sfolgorante affermazione del nazismo, legata per sempre al progetto e poi alla messa in atto dell’ecatombe ebraica”.

Rilevando la caratteristica corrispondenza, e a volte coincidenza puntuale, tra alcuni dei più profondi fantasmi individuali e i tratti tipici dell’epoca stessa, l’analista prosegue con osservazioni che potrebbero adattarsi alla nuova epoca dello squilibrio del terrore alla cui ombra siamo entrati: “ Non mancano oggi molteplici tentativi di trattare la realtà e le sue minacce secondo questo tipo di procedimenti. Su molti gradini dell’arena sociale, molti cercano la schiena su cui appoggiare salutifere bastonate. Dacci oggi il nostro arabo, o il nostro ebreo, quotidiano”.

Si tratta di procedimenti e di molteplici tentativi arcaici e sanguinosi, per sfuggire – in maniera inefficace – al difficile compito di convivere con la minaccia e di elaborare la minaccia e i suoi effetti sull’inconscio. La stessa individuazione del terrorismo di matrice islamica, il cui rapporto mistico e maligno con la morte non esclude ed anzi prescrive l’uso di bombe-umane e di “ordigni sporchi”, cioè di bombe nucleari, chimiche o batteriologiche, non manca – nelle complesse società occidentali che oggi vivono in maniera variamente consapevole all’ombra di una possibile sciagura generale – di una certa vena espiatoria. E un chiaro malumore circonda oggi analisti, militari e politici – questi ultimi spesso inadeguati alla reale gravità della situazione e talvolta smarriti, come ad esempio il nostro Prodi quando afferma, tra l’altro, che “le truppe italiane in Iraq sono truppe occupanti”, confermando che se l’Unione andrà al Governo l’Italia ritirerà le «truppe occupanti dall’Iraq». Come se bastasse “ritirarsi” per mettere l’Italia al sicuro dal terrorismo, dalle minacce incombenti e dalle distruzioni che si preparano all’ombra dell’epoca dello squilibrio del terrore, purtroppo – non è una buona notizia – destinata a durare, specialmente se ci si ritira, lunghi anni a venire.

Dalla rete

Risultati da Google News su esercitazioni antiterrorismo

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Testori meglio di Ruini

 TESTORI MEGLIO DI RUINI


 

A proposito del dibattito sul riconoscimento statale del piccolo matrimonio gay ( legato all’incontro con il “doppio”) e il profondo simbolismo antropologico, biblico e teologico legato alla realtà bisessuale dell’incontro dell’uomo e della donna – una differenza che la Chiesa legittimamente deve custodire – m’imbatto nella lettura di un Giovanni Testori più intenso del politico Ruini, forse, e certamente più feroce e vero del lepido e conformista Michele Serra con la sua ultima “satira preventiva” per ‘L’Espresso’ dal titolo un po’ camp Fumata bianca per Samantha I .

« (…) La sola posizione giusta e rispettosa dei segreti, degli affetti e dei rapporti che ho avuto, è stata quella della mia famiglia, degli amici più cari e dei giovani di Comunione e liberazione: da tutti loro non mi sono mai sentito giudicato, ma solo accolto in virtù di un atto di carità che è anche giustizia.

Tutto ciò che è in più – approvazione, giustificazione, esternazione, spettacolarizzazione dell’omosessualità – lo trovo ‘fuori’, non necessario, non utile. Non aiuta a star meglio, a esser più felici. E mi riferisco ai cosiddetti “movimenti di liberazione”. Non parliamo, poi, di questa esecranda idea delle nozze tra ragazzi. Che senso ha questo spirito di rivalsa a tutti i costi, questa sindrome dell’ufficialità?

Io capisco, e difenderei con tutte le mie forze, il terribile diritto che l’uomo ha di svolgere il proprio destino. Immaginiamo che in un paese totalitario si fucilino gli omosessuali, o si leghino e si gettino in mare. Allora sì, per un diritto totale alla vita, mi batterei. Ma queste qui sono mascherate.

(…) Oggi non siamo più nell’antica Grecia, o prima di Cristo. Io trovo che questi qui facciano tutto quello che fanno per dimostrare a se stessi di avere estirpato da sé qualunque senso di colpa o di peccato. Se potessi parlare con loro, li vorrei convincere innanzitutto della tristezza di queste loro carnevalate. Perché in questi rapporti – ma, credo, in qualunque rapporto d’amore – c’è una tristezza sconfinata. Tuttavia, se questa tristezza viene accettata e accolta con carità, in primis come parte della coscienza di sé, allora diventa “dramma”, e può offrire qualcosa agli altri.

Ma se viene esternata in modo incosciente, allora diventa una tristezza lurida. Hanno un bel rinfacciarmi l’incongruenza del mio essere cristiano con il mio modo di vivere.(…) Lurido è ciò che si esibisce con la pretesa di essere, poi, lasciati in pace, o, per dir meglio – perchè la pace è un’altra cosa – di farsi gli affari propri (…). Inoltre trovo che l’accentuazione autoesibita dell’elemento carnale, sensuale sia una falsità. Viene completamente eliminata la tristezza, che è connaturale all’amore. Per quanto mi riguarda, l’interesse per l’incontro con un uomo viene sempre dall’abbacinamento della bellezza, dalla commozione: qualcosa che poi, non lo nego, cerca anche la soluzione del rapporto fisico. Ma il punto della questione non è mai stato lì, per me, e credo non possa essere lì per nessuno.»

( da: Luca Doninelli, Conversazioni con Testori, Guanda, Parma 1993, pp. 127-130).

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