A LETTO CON IL NEMICO

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A LETTO CON IL NEMICO

«Anarchici ed hippy di tutto il regno Unito vogliono chiarire che non hanno alcun ruolo in quello che è accaduto a Londra. Tutto quello che ha a che vedere con attacchi mortali è contro quello per cui stiamo lottando e non una vittoria».

«Speriamo non se la prendano con noi»: sul web le prime reazioni degli anti-g8

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BERTINOTTI: "L’europa pacifista prepari una grande mobilitazione"

Mascalzonate di Panorama del nr. 49 del 28 novembre 2003

Il segretario Prc: “Siamo ancora dentro, ferocemente dentro la spirale guerra-terrorismo”.

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Diliberto racconta il suo viaggio in Medioriente

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Dalla rete

– Informazione Corretta – Quelli che pensano che gli inglesi "se la sono cercata": rassegna di quotidiani

– La Stampa – Il Foglio -Corriere della Sera – L’attacco a Londra impone all’Europa di guardare in faccia la realtà le analisi di Fiamma Nirenstein, Giuliano Ferrara, Magdi Allam e Carlo Panella

Fonte : Informazione corretta

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 Jihad *

ATTACCO ALL’EUROPA

Londra, esplosioni su bus e metrò

In coincidenza con il giorno di apertura del G8 la città di Londra è stata travolta questa mattina da una serie di devastanti attentati su autobus e all’interno della metropolitana, tra la fermata di Liverpool Street e quella di Aldagate, nel centro finanziario.

Fonti del governo londinese parlano di almeno 20 morti, fonti sanitarie di almeno 90 morti.

La popolazione terrorizzata è stata invitata a non uscire di casa, l’effetto terroristico dell’operazione stragista è evidente, e la sua efferatezza porta a ipotizzare la matrice jihadista paranoico-sacrificale.

E’ molto probabile che si tratti di un attacco terroristico a lungo programmato e pianificato da gruppi criminali capaci di colpire in più punti , ma è troppo presto per dire che si tratti di al Qaeda e di radicalismo islamista, sebbene la perfidia degli attentati  porti la firma caratteristica dell’islam politico. Anche all’epoca dell’attacco a Madrid ci fu molta confusione sulla matrice del terrorismo islamico e internazionale. Secondo fonti arabe riportate dalla BBC vi sarebbe la matrice di al Qaeda.

A Londra come a New York, a Madrid, a Casablanca, a Istanbul, a Bali, a Gerusalemme, a Baghdad. Il prossimo dove sarà ? E con quali armi : chimiche, batteriologiche, più facili da dissimulare e da trasportare che non l’atomica in preparazione in Iran ?  

Grande apprensione al summit in Scozia. Tra pochi minuti Blair parlerà alla nazione* .

In Italia, sospese le sedute sia alla camera che al senato in segno di solidarietà e cordoglio con i britannici.

In televisione le immagini strazianti dei primi feriti, gente qualunque che andava a lavorare. Si teme che molte vittime innocenti siano intrappolate all’interno dei convogli.

* "E’ importante che tutti quelli che sono coinvolti nel terrorismo capiscano che la nostra determinazione di difendere i nostri valori è più grande della loro determinazione di creare morte e distruzione. Qualsiasi cosa faranno è nostra determinazione far sì che non raggiungano il loro scopo". Blair da Gleanagles, dove si stava svolgendo il G8.

fonte in tempo reale

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* 39 Princìpi del Jihad

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 Il Cairo. «Ucciso al Sharif l’ambasciatore egiziano». Nel giorno della strage di Londra un sito islamico annuncia « a nome di Al Qaeda in Iraq che il verdetto di Allah contro l’ambasciatore degli infedeli, l’ambasciatore d’Egitto, è stato eseguito. Grazie ad Allah» . Diffuso video. Il diplomatico Ihab al Sharif era stato rapito sabato scorso e dichiarato apostata. L’autenticità della rivendicazione a nome dell’ organizzazione che fa capo al terrorista giordano Abu Musa Al Zarqawi non è stata confermata.

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Aggiornamento :

– Immagini degli attacchi da TIME

 – Cossiga al Riformista: « Siamo politicamente, moralmente, organizzativamente impreparati ad affrontare questa minaccia terroristica (…). Non abbiamo piani operativi di difesa civile (difesa, non protezione!). Non abbiamo strumenti giuridici di lotta al terrorismo. Non abbiamo piani di gestione dell’informazione pubblica in caso di emergenza».

 

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Link 

  - Diritto internazionale e uso della forza – Materiali – AIC

Guerra oltre il moralismo ( di Pietro Di Marco)

– PDF]Terrorismo per franchising
intervista a Stefano Dambruoso, fonte:http://www.aspeninstitute.it

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CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

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CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 1)

   Jacques Lacan

Presento qui, per concessione dell’autore, un’intervista con Sergio Benvenuto, condotta a cura di Renato Parascandolo, già direttore di Rai Educational, per L’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche della RAI. Edita inizialmente nel 1993 con il titolo Jacques Lacan: ritorno a Freud , il testo che qui viene riproposto integralmente è stato perfezionato nel 1994 e riveduto dall’ autore il 28 giugno 2005 per la presente pubblicazione on-line. A margine, ho inserito ( fra parentesi quadre) qualche mia nota di lettura. Sergio Benvenuto ci parla di uno dei maîtres à penser della cultura francese attivo fin dagli anni ’30 ma emerso sulla grande scena internazionale solo negli anni sessanta, quando nel 1966 vengono pubblicati i sui Ecrits (Scritti). In Italia, Scritti, a cura di Giacomo Contri, vennero poi pubblicati da Einaudi nel 1974.

Il nome di Lacan ha una triplice risonanza: nel mondo della psicanalisi e del foro letterario, nel territorio accidentato dello strutturalismo e in quello politico-ideologico della cosiddetta liberazione del desiderio scolorita su tutta la società di massa e spesso propugnata – particolarmente in Italia e a partire dalla Francia – cercando d’innestare Lacan-con-Gramsci, lavoro dell’inconscio e comunismo, insomma menando Lacan per l’aia senza per questo diventare più buoni o perlomeno, nella maggior parte dei casi,  meno disperati. L’opera di Lacan si configura così come testimone e motore di tempi di ansia e di rivolta linguistica, esistenziale, politica, libidinale che a partire dai dintorni del ’68 hanno visto nel bene e nel male emergere artisticamente e poi dilagare nella pratica socio-politica un inconscio inizialmente presunto rizomatico e desiderante e poi – una volta "liberato" – rivelatosi alla prova dei fatti piuttosto meschino e polipesco ( un po’ come il genio o gin del racconto "La lampada di Aladino").

Tre grandi rischi minacciano  l’opera di Lacan, di questo pensatore che si è voluto maestro della lettera nell’apparentemente totale silenzio dello spirito e il crollo della fede: l’errore di trascurarlo, quello di cercare d’interpretarla e quello di diventare la prudente, informata e fedele vestale del guru in un rapporto ancora una volta incapace – come osservava Elvio Fachinelli a proposito dell’impossibile raggiungimento della Cosa e la preoccupazione di evitare un “eccesso di piacere” – di andare oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione.

Fra le risonanze ideologiche che ha avuto il linguaggio di Lacan basti citare, per esempio, la teoria queer: una teoria sul sesso e sul genere entro il più ampio campo degli studi queer. I/le teorici/che queer suggeriscono di costruire categorie e gruppi sulla base di associazioni liberamente stabilite dagli individui. L’ Altro non sarebbe che effetto della cultura, ovvero nient’altro che linguaggio in cui ciascun significante taglia il significato corrispondente S/s, in un rapporto arbitrario, convenzionale con la realtà rappresentata ( come ad esempio nella doppia iscrizione su alcuni orinatoi pubblici: Uomini/Donne, che rimanderebbe imperativamente ad una intollerabile ed illiberale distribuzione disciplinare delle persone ed anche a tutta una cultura – immemorabile – di segregazione dei sessi). Da qui la rivendicazione non solo di una ridistribuzione dei limiti ma l’assoluta giustificazione teorica della costruzione di categorie e gruppi sulla base di travestimenti multipli liberamente stabiliti di volta in volta dagli individui in un giro senza fine di identificazioni relative e di confini evanescenti.

Assumendo criticamente parte del pensiero di Lacan, Judith Butler ad esempio riconosce nell’identificazione il momento chiave del “processo di assunzione” di un sesso da parte dell’individuo, si tratta però di identificazioni fantasmatiche, instabili, multiple. Il discorso dominante propone delle identificazioni “lecite” – l’uomo e la donna eterosessuali – che conferiscono all’individuo, ovvero all’io-parlante lo statuto di soggetto, e ne rinnega altre. L’insieme delle identificazioni precluse costituisce l’ambito dell’abietto, ovvero il territorio sociale temuto, “inabitabile”, a cui le leggi dello Stato dovrebbero porre rimedio. E’ proibito proibire, perché il discorso cosiddetto “dominante”, una volta decostruito, non sarebbe nient’altro che paura dell’eccesso, "omofobia" e "islamofobia" eccetera, non portatore dell’amore per il limite.

Le prime influenze storiche sulla teoria queer sono quelle di Jacques Lacan, Louis Althusser e Jacques Derrida. Influenza primaria la ebbe Michel Foucault; I/le teorici/che successivi/e sono Judith Butler ed Eve Kosofsky Sedgwick. Tra gli italiani spicca Mario Mieli. "La coprofagia – scriveva l’amico Mario Mieli in Il risveglio del faraone – è fonte di piacere, beninteso se si mangia merda perché lo si vuole fare e non si è costretti a farlo. La coprofagia fa star bene e sviluppa le nostre facoltà creative, inoltre concilia nell’individuo pulsione di vita e pulsione di morte – la merda è sintesi di vita e di morte. E’ difficile descrivere gli effetti della coprofagia: sarebbe un po’ come descrivere quelli dell’Lsd a chi non abbia mai fatto un trip. Però Lsd alla lunga fa male, mentre la merda no". Alcune/i studiose/i di teoria queer vedono la prostituzione, la pornografia , il bondage , il S/M , la coprofagia e, perché no?, anche la pedofilia e la necrofilia come legittime e valide espressioni della sessualità umana. Così all’esempio della lesbica fallica , del gay effeminato e del candido coprofago, si potrebbero aggiungere tutti i soggetti costituiti dal discorso dominante come “diversi”, “abietti” e “preclusi” da un linguaggio che in sé è vuoto e determinato da un potere arbitrario e una storia contingente e non necessaria. Perché rinnegare, ad esempio, il mostro di Dusseldolrf, la saponificatrice di Correggio o Moussab al-Zarkaui il tagliagole definito “resistente” dal mondo letterato europeo ? Anche questi “diversi” vengono relegati dal discorso al di là dei confini del soggetto decente.

 Nella prospettiva liberazionista, il soggetto che “si costituisce attraverso la forza dell’esclusione e dell’abiezione” dovuto a un “sistema fallologocentrico” ( detto anche “ Bio-potere”) andrebbe trasceso in massa, collettivamente, in nome di un’emancipazione politica posta sotto la guida di avanguardie che tra illuminazione e abbaglio restano pur sempre parlanti, fallologocentriche e fallaci. E’ un tale "soggetto" che  oggi viene preso a carico da sindacalisti-psicologi  e politici avidi di voti, populisti, sinistri e utopici guardiani dei bisogni che come nella Spagna zapatera si illudono di poter ridurre la sessualità a gestione ottimale dei “bisogni della gente” ( come si dice in gergo canagliesco). “ …Essi sono specializzati nel recupero borghese di ogni iniziativa inizialmente rivoluzionaria, per cui finiremo per esserne strumentalizzati. Il loro scopo sarebbe quello di incanalare le nostre energie in una sterile lotta volta al miraggio dell’emancipazione politica… che è una strana cosa… si dilegua nei fatti, mentre resta codificata in leggi astratte, che mettono il cuore in pace al borghese oppressore e legalizzano la stessa vita triste e la morte squallida della checca isterica……” ( Mario Mieli , “Elementi di critica omosessuale”, Einaudi 1977 ).

Il giro senza fine di travestimenti multipli e di bestialità politica si ammanta dei cascami del marxismo critico e delle ideologie derivate dal discorso prima surrealista e poi lacaniano e decostruzionista, e fa leva su storie di piccola sessualità europea, medio-europea. In pratica, agitando il feticcio del "politicamente corretto" e in particolare della  “omofobia” ,  ripete invertendone il segno lo stesso discorso del controllo psichiatrico che dice di volere abolire. In pratica, non fa che ripetere meccanismi di esclusione e moltiplicare lo spettacolo di modeste deviazioni e piccole e grandi perversioni. Alle macchine desideranti degli anni Sessanta e Settanta sono così succedute le tipiche macchine ossessive dei nostri giorni, il cui scopo sembra essere il ritorno a uno strano desiderio di legge ( per esempio la finzione giuridica del matrimonio omosex = all’unione tra l’uomo e la donna ) per occultare la legge del desiderio ed evitare il piacere di vivere all’altezza della differenza, della gioia e della terribilità del vivere secondo la verità di un desiderio più alto e più veloce della morte abituale. Il desiderio può confondersi con il bisogno più elementare, distorcersi per mancanza di soddisfazione o di riconoscimento, oppure anche assumere forme particolari e non darsi alcun oggetto se non assoluto. La riduzione del desiderio e delle complesse vicissitudini del desiderio, di qualsiasi forma di desiderio,  a conquista civile socialdemocratica e a diritto umano, è un po’ come voler ridurre psiche ad anguilla in scatola.  

 Assistiamo al dilagare di un inconscio banale, se non banalizzato, che le ideologie nichiliste del desiderio dell’Identico pretendono di liberare praticamente, confondendo arte e vita in un conflitto non riconciliato tra vita e forma, desiderio e legge, godimento d’organo e gioia oltre il godimento ( quello che Elvio Fachinelli definiva “gioia eccessiva”, e che forse costituisce il segreto del “desiderio dissidente” e del linguaggio).

Sergio Benvenuto si ricollega invece non solo a un esame puntuale del lavoro clinico dell’eminente psicanalista ma anche dei suoi scritti e del “discorso” lacaniano ritenuto d’accesso difficile e incerto, e spesso sottomesso alle ideologie della liberazione del desiderio e del relativismo etico. Il suo lavoro tende anzitutto a isolare le principali nozioni-chiave utilizzate da Lacan, in modo da chiarire in qual misura e in che senso si tratti di un ritorno alle fonti del pensiero freudiano “ in polemica con le tendenze prevalenti negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, ad opera della cosiddetta scuola della Ego-psychology, psicologia dell’Io” .

Parascandolo – Jacques Lacan è nato il 13 aprile del 1901 ed è morto nel 1981. Come è diventato lo psicanalista francese più noto e più influente nel mondo?

Sergio Benvenuto – Jacques Lacan ha compiuto una specie di miracolo. La Francia era uno dei paesi europei che aveva resistito più a lungo all’influenza del pensiero freudiano, a differenza di altri paesi come l’Inghilterra, la Germania o gli Stati Uniti. Lacan invece dagli anni cinquanta e sessanta in poi è riuscito, grazie al suo fascino, all’influsso del suo pensiero, a rendere la psicoanalisi una delle culture dominanti nella cultura francese, almeno dagli anni sessanta fino ad oggi. Egli è riuscito a fare una grande operazione di traduzione, nel senso che ha tradotto i concetti fondamentali del pensiero di Freud adattandoli alla sensibilità, allo stile e anche alle mode del pensiero francese degli anni quaranta, cinquanta e sessanta di cui egli stesso – una persona di una vastissima cultura – era profondamente imbevuto.

La sua storia detta in breve: egli veniva da una famiglia cattolica molto tradizionale, ha compiuto studi di medicina, ma nello stesso tempo ha sempre frequentato corsi di filosofia alla Sorbona. Ha avuto una precoce celebrità quando con la sua tesi di dottorato, nel 1932, pubblicò delle poesie di una sua paziente paranoica, ormai diventata famosa, che chiamò Aimée. Queste poesie e il commento che lui ne fece interessarono molto i surrealisti, in auge negli anni trenta erano in Francia a Parigi. Essi pubblicarono le poesie di questa sua paziente paranoica nella rivista di Paul Eluard, per cui egli divenne, in un certo senso, “lo psicanalista surrealista”. Effettivamente lo stile, la sensibilità, anche certi aspetti ideologici del surrealismo hanno avuto un chiaro influsso sul giovane Lacan.

Un’altra influenza fondamentale nella formazione di questo psicanalista-filosofo avviene negli anni trenta attraverso l’insegnamento e i seminari di Alexandre Kojève, che per tre anni a Parigi tenne dei seminari, rimasti celebri, sul pensiero di Hegel. A questi seminari non ha partecipato soltanto Lacan, ma il fior fiore della gioventù culturale francese dell’epoca: basti fare i nomi di Lévi-Strauss, di Raymond Aron, di Georges Bataille, di Maurice Merleau-Ponty, di Jean-Paul Sartre, Raymond Queneau, praticamente quelli che poi costituiranno la grande cultura francese nei decenni successivi. Questi seminari, per quanto durati poco, hanno avuto un grande influsso perché hanno introdotto Hegel nel pensiero francese, anche se attraverso l’interpretazione che Kojève dava della filosofia hegeliana – interpretazione in un primo tempo considerata esistenzialistica. Ma in effetti l’influsso di Kojève avrà un impatto molto più lungo, arriverà fino allo strutturalismo e post-strutturalismo francesi, di cui Lacan a torto o a ragione è considerato un rappresentante.

Quindi, le due grandi influenze, oltre Freud chiaramente, che hanno formato il giovane Lacan sono il surrealismo francese con il suo stile e la sua ansia di rivolta linguistica e politica, e l’approccio a Hegel attraverso l’insegnamento in particolare di Kojève e dell’epistemologo Alexandre Koyré, il quale appunto aveva invitato Kojève a tenere seminari su Hegel.

Lacan può essere considerato uno dei padri fondatori della psicoanalisi in Francia; questa, come ho detto, ha incontrato in un primo momento forti ostilità e resistenze dovute al fondo spiritualista e anche cartesiano della cultura francese. Eppure Lacan emerge sulla grande scena solo negli anni sessanta, quando nel 1966 vengono pubblicati i sui Ecrits (Scritti), raccolti e curati da Jacques Alain Miller. Questa pubblicazione ha avuto veramente l’effetto di un tornado nella cultura francese nei ruggenti anni sessanta. All’epoca andava forte lo strutturalismo, attraverso l’influsso dell’antropologo Lévi-Strauss e del critico letterario Roland Barthes. Lacan diventa solo allora uno dei maîtres à penser, dei maestri, della cultura francese di quegli anni. Il suo celebre Seminario, che tenne dal 1953 fino alla morte (nel 1981), frequentato al principio da poche persone, cominciò ad essere frequentato dal tout Paris, da migliaia di giovani, intellettuali, signore che accorrevano ad ascoltarlo. Per quanto riguarda i suoi rapporti con la psicoanalisi ufficiale: Lacan era stato uno dei capostipiti della psicoanalisi in Francia sin dagli anni 30, eppure egli entra ben presto in rotta di collisione con la direzione dell’Internazionale Psicoanalitica che in quel periodo, come in parte anche oggi, era dominata soprattutto dagli analisti di lingua inglese, in particolare americani. Egli entra in un conflitto crescente, che nel 1963 sfocia in pratica nella sua espulsione, nel senso che egli non è più autorizzato a insegnare psicoanalisi ai suoi allievi. Egli fonda allora una sua scuola che chiama "Ecole Freudienne de Paris", scuola freudiana di Parigi. Egli stesso dopo circa vent’anni scioglierà la sua scuola, un anno prima della morte, nel 1980: allora dirà che il tentativo di fondare una scuola, una istituzione che formi gli analisti, è stato per lui un fallimento. Nel 1981 muore di cancro.

  L’Autre manque. Ca me fait drôle à moi aussi. Je tiens le coup pourtant, ce qui vous épate, mais je ne le fais pas pour cela.

Un jour d’ailleurs auquel j’aspire, le malentendu m’épatera tant de venir de vous que j’en serai pathétique au point de n’y plus tenir.

S’il arrive que je m’en aille, dites-vous que c’est afin d’être Autre enfin.

On peut se contenter d’être Autre comme tout le monde, après une vie passée à vouloir l’être malgré la Loi. Jacques LACAN, Dissolution – Séminaire du 15 janvier 1980 ( dal testo pubblicato dal quotidiano Le Monde il 24 gennaio 1980 con una lettera datata 24 gennaio 1980).

Oggi i suoi allievi, la scuola lacaniana, è una delle scuole più influenti nell’ambito della psicoanalisi nel mondo, anche se in modo non omogeneo. L’influenza del pensiero di Lacan è viva soprattutto nei paesi di lingua latina, e alcuni maligni dicono che alligna soprattutto nei paesi cattolici: oltre ai paesi francofoni, ha avuto un grande seguito nei paesi dell’America Latina di lingua spagnola e portoghese. La malignità consiste nell’insinuare che il suo influsso in culture cattoliche non è casuale: ci sarebbe una segreta ispirazione cattolica nel suo pensiero (a differenza della predominanza ebraica nella psicoanalisi delle aree tedesca e angloamericana). Oggi il suo influsso è crescente nei paesi di lingua inglese – un’influenza in verità più tra gli studiosi dei campus che tra gli analisti praticanti. L’influsso del lacanismo nei paesi anglofoni è difficile da valutare perché in realtà il pensiero di Lacan è profondamente legato alla storia della cultura francese nel periodo che va dagli anni trenta agli anni settanta; perciò la sua traducibilità in culture diverse da quella francese è talvolta difficile. Da notare poi che gli scritti di Lacan – non tanto i seminari – sono particolarmente ardui da leggere. Sono stati tradotti in italiano da Giacomo Contri. Malgrado lo sforzo dei traduttori, i suoi scritti restano molto difficili e ardui, soprattutto per chi non abbia familiarità con il pensiero di Freud.[Cf J. Lacan, La cosa freudiana e altri scritti, tr. it. a cura di G. Contri, Torino, Einaudi, 1972; “Nozioni fondamentali nella teoria della struttura di J. Lacan”, in: AA.VV., Cahiers pour l’Analyse, Boringhieri, Torino, 1972, pp. 244-289. Vedi anche: LA COSTITUZIONE GIURIDICA, PSICHICA E MORALE DEL SOGGETTO UMANO nel pensiero di Giacomo Bernardino Contri].

–  Lacan amava sottolineare la continuità del suo pensiero con quello di Freud. Ma al tempo stesso sappiamo che ha introdotto moltissime novità nel pensiero psicoanalitico. Possiamo in maniera concisa riassumere queste novità?

Forse Lacan non sarebbe stato d’accordo con questa domanda, perché lui ha lanciato la bandiera di un Ritorno a Freud. Egli si voleva, in un certo senso, il vero interprete di Freud contro le deviazioni della teoria e pratica analitiche. Questo suo ritorno a Freud era in polemica con le tendenze prevalenti negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, ad opera della cosiddetta scuola della Ego-psychology, psicologia dell’Io. Lacan ha cominciato così la sua battaglia contro la corrente dominante nella psicoanalisi internazionale, rivendicando un ritorno a Freud, anche se un Freud letto ovviamente secondo la sua particolare ottica. Difatti lui ha sempre tenuto a dare il nome di freudiane alle scuole e al movimento che lui ha creato.

 Questo Ritorno a Freud è contestato perché alcuni giustamente pensano che egli abbia innovato rispetto a Freud. In cosa consiste questa sua innovazione? Io direi che il suo contributo ha un valore soprattutto filosofico, nel senso che il pensiero di Freud si presta ad un equivoco. Freud veniva dalla cultura del positivismo austro-germanico ottocentesco, che pensava di fondare la psicologia, come generalmente le scienze umane, sul modello della fisica e delle scienze della natura. Alla fine dell’Ottocento le cosiddette scienze umane – non solamente la psicologia, ma anche la sociologia, l’economia ecc. – si volevano sin dall’inizio degli adattamenti del modello della fisica di Newton all’uomo. Freud, educato ad una mentalità positivista, pensava che la psicoanalisi fosse essenzialmente psicologia, che il suo metodo clinico fosse un metodo scientifico, che la psicoanalisi fosse una scienza dell’anima. Lacan introduce invece di importante questa idea: che la psicoanalisi è una scienza certamente, ma di tipo completamente diverso, in quanto è una pratica e teoria che si fonda sul linguaggio. Certamente anche per Freud il linguaggio era estremamente importante, però Lacan introduce, rispetto a Freud, l’idea – anzi lo slogan – che ormai ogni lacaniano inalbera come il proprio distintivo o bandiera, e cioè che “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Questo Freud non lo ha mai detto, ma è questo il programma di Lacan.

Che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio può sembrare strano, dato che quando pensiamo all’inconscio freudiano pensiamo a qualcosa piuttosto di affettivo. Di fatto la frase di Lacan è ispirata dalla linguistica strutturale, che proprio in quegli anni cinquanta, sessanta, emergeva nei paesi latini. Lacan è molto interessato agli studi linguistici e si è rifatto al pensiero di Ferdinand de Saussure, il linguista svizzero considerato il fondatore della linguistica strutturale all’inizio del 900. In un certo senso Lacan ha preso in prestito i suoi concetti fondamentali dalla linguistica dominante negli anni quaranta, cinquanta, sessanta e cioè la linguistica strutturale di matrice saussuriana. Però bisogna vedere oltre il riferimento alla linguistica della sua epoca, che è ormai lontana decenni da noi. In effetti, la linguistica predominante oggi non è più la linguistica strutturale di derivazione saussuriana, ma quella di Noam Chomsky, completamente diversa.

Lacan ha notato comunque una cosa estremamente semplice: che la psicoanalisi è un metodo di cura attraverso il linguaggio. Non opera cioè con farmaci, non opera sul corpo, l’analista non tocca il suo paziente, non usa sostanze chimiche; l’analisi è semplicemente conversazione, è parola. E in un certo senso Lacan ha sfruttato quest’uovo di Colombo da lui scoperto dicendo: se l’analista cura semplicemente attraverso le parole, attraverso il linguaggio, questo significa che l’inconscio è esso stesso fondamentalmente linguaggio. E’ un’operazione concettuale che assomiglia, per certi versi – dato anche il legame che Lacan ha sempre avuto con Hegel – all’operazione che la filosofia idealista tedesca ha fatto nell’ambito del pensiero occidentale. In fondo Hegel ha detto: il nostro approccio con la realtà avviene sempre attraverso concetti – noi parliamo del tavolo, che certamente è reale, perché abbiamo il concetto di tavolo. Quindi, conclude Hegel, noi filosofi possiamo accontentarci del concetto di tavolo, non abbiamo bisogno di considerare il tavolo concreto. Lacan in un certo senso ha compiuto un’operazione analoga: siccome l’analista opera attraverso il linguaggio, possiamo pensare che l’inconscio è fatto fondamentalmente di linguaggio, che quindi esso è strutturato come linguaggio o al limite è esso stesso linguaggio.

Ora, questa idea linguistica era presente già in qualche modo in Freud. Quando Freud nel suo primo libro fondamentale, "L’interpretazione dei sogni" del 1900, avanza la sua interpretazione psicoanalitica dei sogni, indubbiamente egli fa una linguistica di fatto: interpretare significa mettere in forma verbale delle immagini oniriche. Però Lacan accentua alcuni aspetti che altri freudiani non accentuavano. Porto un esempio: Freud a un certo punto cita un sogno dell’imperatore Alessandro Magno, quando assediava la città di Tiro in Fenicia. Alessandro Magno sognò che un satiro danzava su uno scudo. Ovviamente, come si faceva all’epoca, interrogò l’interprete dei sogni – anche nel mondo antico c’erano degli interpreti di sogni, che non erano chiamati analisti, ma erano delle persone pagate per svolgere questa funzione. L’interprete dei sogni rispose che il satiro significava in realtà "sa turos" che in greco significa “Tiro è tua”. Il senso di questo sogno era Tiro è tua, cioè hai già vinto la battaglia, cosa che in realtà avvenne: dopo poco tempo Alessandro conquistò Tiro. Consideriamo una certa tendenza post-freudiana – per esempio quella della scuola di Jung. Ebbene, un analista junghiano di fronte ad un sogno del genere fatto da un paziente Alessandro Magno direbbe subito: “bisogna capire il satiro cosa significava nella cultura greca, i rapporti di questa figura con altre figure arcaiche, che cosa significa l’immagine del satiro rispetto al sesso, cosa significa in genere lo scudo, ecc.”. occorre insomma ritrovare i significati archetipici, come dicono gli junghiani. Invece Freud dice che l’interpretazione giusta era proprio quella dell’antico interprete fenicio, era cioè semplicemente un gioco di parole, un rebus. Lo stesso Freud consigliava ai suoi allievi di occuparsi soprattutto di rebus, diremmo in Italia della Settimana Enigmistica: alla base del sogno c’era semplicemente un gioco di parole. E’ questo che Lacan mette in grande evidenza: che interpretare è qualcosa che avviene sempre al livello del linguaggio. Cioè, non bisogna essere molto profondi quando si interpreta, bisogna restare un po’ alla superficie, e direi soltanto alla superficie. Questo è l’altro aspetto direi profondo e filosofico della novità che Lacan porta rispetto a Freud: ha accentuato certi aspetti di Freud a cui i filosofi contemporanei sono particolarmente sensibili, soprattutto nel senso che elimina un equivoco che nel freudismo sicuramente c’è: l’idea che Freud in quanto psicologo avrebbe arricchito il mondo interiore, la vita interna, l’inconscio, come qualcosa che è dentro l’uomo, nel suo profondo. Lacan, analista avvertito filosoficamente, interpreta l’inconscio freudiano nel senso che l’inconscio è soprattutto fuori dell’anima.

Mi si permetta una citazione di Sartre, non a proposito di Lacan, ma di Husserl: Sartre disse che l’importanza di Husserl è di averci liberato della vita interiore. Si può dire la stessa cosa di Lacan, che ha contribuito a liberarci della vita interiore – ha detto che l’inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo. Oggi immaginiamo miticamente il corpo come una specie di cassa, e dentro questa cassa c’è l’anima e quindi poi le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc… L’inconscio per Lacan invece è qualcosa che si trova fuori dell’essere umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama l’Altro con la A maiuscola, e che per lui è linguaggio. Il linguaggio è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre dall’esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre, dagli adulti che sono attorno a noi; quindi l’inconscio ci viene, da un punto di vista lacaniano, sempre dall’esterno. [ In effetti, il linguaggio, specialmente nel senso più corrente del termine, la lingua-madre, la lingua parlata con la sua struttura preesiste all’entrata che ciascun soggetto fa in esso a un momento del suo sviluppo mentale, inserendosi nel movimento del discorso sotto la forma del suo nome ed espondendosi alla sfilata continua, vale a dire senza misercordia, del significante. E’ quello che chiamo “l’angolo che mai si chiude”].

Alcuni, sensibili a questa idea che l’inconscio non è dentro ma fuori di noi, tendono a dare un’interpretazione interpersonale dell’inconscio. Vi sono alcune scuole, formate anche da analisti, che tendono a ridurre un po’ l’inconscio a dinamica interpersonale: l’inconscio è il mio rapporto con l’altro, con l’altra persona. Non è questo il senso che Lacan dà a questa esteriorità fondamentale dell’inconscio. Lacan non pensa che la base dell’inconscio, del nostro rapporto con gli altri, sia l’interpersonalità. Lui pensa l’inconscio in un senso molto più vicino a quello di Hegel: l’inconscio ci viene da una alterità assoluta, che è quella del linguaggio. (…). 

Qual è il punto di partenza della reinterpetrazione di Freud da parte di Lacan? Abbiamo detto che Lacan pensa di essere fedele al senso stesso di Freud. Il bambino appena nato piange. E quale operazione gli adulti e la madre in primo luogo fanno con questo bimbo che frigna? Dicono “tu piangi perché hai fame”, oppure “piangi perché hai freddo”. La madre interpreta il perché di questo pianto usando parole. Ed ora, nell’istante in cui la madre parla come l’Altro, con la A maiuscola, compie due operazioni simultanee, ma che per Lacan sono profondamente connesse: da una parte insegna il linguaggio al bambino – in questo caso la lingua italiana – ma nello stesso tempo interpreta il desiderio del bambino, traducendolo in parole italiane. Ora, non sapremo mai perché il bambino frignava, ma la madre, l’Altro, gli fornisce quello che Lacan chiama un significante. L’adulto dice: “hai fame”, “vuoi latte” per esempio, dà un significante, cioè fissa il desiderio in una rappresentazione. Questa rappresentazione viene chiamata da Lacan – che prende il termine dalla linguistica strutturale – un significante. Questo farà sì che in realtà il bambino potrà percepire il proprio desiderio profondo – quello che causava il suo pianto – soltanto attraverso il linguaggio della madre, in una alienazione fondamentale (alienazione è un termine hegeliano). Egli può sapere qualcosa del proprio desiderio perché un altro gli ha detto che cosa lui desidera. Ma che cosa lui veramente voleva resterà sempre un grande mistero; e questo grande mistero di ciò che l’uomo desidera o di ciò di cui egli gode prima che la madre parli, cioè prima di ogni linguaggio, è quello che Lacan chiama le manque, la mancanza. Questa mancanza in Freud certamente è sempre presente, ma non la aveva esplicitata come Lacan la esplicita. Lacan pensa che la mancanza strutturi l’inconscio, e quindi – nella misura in cui l’inconscio è la soggettività stessa – struttura lo stesso soggetto umano.

CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 2)

Però alcuni pensano che al tempo stesso Lacan abbia spiritualizzato in qualche modo la teoria freudiana, la quale insisteva, piuttosto, sulla forza delle pulsioni, sugli affetti, sulla libido ecc…

 Sì, effettivamente questa è una critica che si fa continuamente, non solamente a Lacan, ma ad altre scuole psicoanalitiche francesi. Si dice che sono cartesiane perché accentuano molto l’aspetto del linguaggio, della scrittura, del logos, della logica. L’ultimo Lacan è molto interessato alla matematica e alla logica. In realtà, non è vero che Lacan non dia importanza alle emozioni e agli affetti – quando egli parla del sesso come di qualcosa connesso a significanti ovviamente non trascura il fatto che il sesso sia qualcosa che si vive in modo emotivo, viscerale.

Vorrei raccontare un aneddoto. Siccome Lacan ha praticato per molti anni a Parigi ed era un analista molto noto, molte persone sono passate per il suo studio: sono fiorite allora tutta una serie di leggende, di racconti più o meno veri, e c’è ne uno che mi ha particolarmente colpito. Lacan aveva una pratica abbastanza originale, nel senso che lui non pensava che le sedute dovessero essere di quarantacinque, cinquanta minuti – come fanno gli analisti ortodossi – non pensava che ci dovessero essere delle sedute standard. Gli analisti freudiani generalmente fanno delle sedute con tempo standard, come del resto faceva lo stesso Freud, il quale vedeva i suoi pazienti per cinquanta minuti. Lacan pensava invece che la seduta dovesse essere variabile, cioè, a seconda di come l’inconscio esce o non esce, una seduta poteva durare o cinque minuti o anche due ore, non ci poteva essere nessuna regola. E’ l’analista che decide a che punto tagliare, mettere una punteggiatura. Così, di fatto, i suoi pazienti venivano un po’ alla rinfusa, senza un orario preciso, lui li faceva entrare ed uscire senza una regola rigida; allora molti di questi pazienti si incontravano nel bar sotto casa sua in rue de l’Université.

Ci sono dunque due pazienti che una volta si incontrano, e uno esce appunto da una seduta fresca fresca. Il primo è molto triste perché la seduta è andata male; chiunque ha fatto analisi sa che ci sono sedute che vanno male, da cui si esce tristi, depressi. L’altro amico, anche lui paziente di Lacan, gli chiede perché, e il primo si lamenta che non era riuscito a dire quello che veramente voleva dire; il secondo gli dice: "va bene, perché non torni da Lacan e non gli dici quello che dovevi dirgli?". Questa cosa con Lacan era possibile, perché appunto applicava regole molto flessibili. Il primo allora dice: "sì, ottima idea, torno su e chiedo un’altra seduta". Il secondo resta nel bar, a Parigi si passano lunghe ore nei bar a pensare, a leggere e a scrivere. Dopo un po’ torna questo suo amico e questa volta appare tutto contento, giulivo; si vede che la seduta questa volta è andata bene. Allora il secondo dice: "Allora come è andata?" E lui risponde: "appena sono entrato, gli ho subito detto: ‘Je me sens vraiment foutu’, io mi sento veramente fottuto" e Lacan ha risposto: "Lei si sente? Lei E’ fottuto!" e così effettivamente tutto è andato bene.

Non so se questo aneddoto sia vero, però mette a fuoco qualcosa di importante nello stile di Lacan; cioè Lacan è profondamente estraneo all’idea che la psicoanalisi si occupi dei sentimenti, degli affetti, del sentirsi fottuto, o felice ecc.., come la materia prima e ultima dell’analisi. Lui pensa che la materia prima e ultima sia invece il reale, inteso come quello che si è, non il modo di sentirsi. Stranamente proprio Lacan, che insiste sul fatto che l’inconscio è strutturato come linguaggio ed è quindi esso stesso linguaggio, non lo dice per dire che tutto si può interpretare in qualsiasi modo: al contrario, alla base non ci sono i sentimenti e gli affetti ma il reale. Certamente i sentimenti e gli affetti sono importanti, ma come un epifenomeno di qualcosa che avviene a livello del reale. E che cosa Lacan intende per reale?

Ora, un altro dei cavalli di battaglia della teoria di Lacan – e in questo egli innova rispetto a Freud – è la sua distinzione di tre registri, come lui li chiama: l’immaginario, il simbolico e il reale. Il linguaggio comune ci dice abbastanza bene cosa è il reale e cosa è l’immaginario: il reale è quello della realtà esterna a noi, l’immaginario è quello che avviene nel nostro pensiero. Si suppone che Freud abbia costruito una teoria dell’immaginario e non del reale. Lacan introduce un terzo elemento, o registro, il simbolico, che è equivalente al linguaggio. Ora, lui pensa che la specificità dell’inconscio sia proprio l’introduzione di questo registro del simbolico, dei simboli, dei significanti del linguaggio. Senonché l’introduzione di questo simbolico, come terzo registro, modifica l’essenza anche degli altri due, cioè del reale e dell’immaginario, che pur crediamo di conoscere talmente bene attraverso il nostro linguaggio comune. In realtà l’analista che ci fa accedere al nostro simbolico è anche il guru che ci fa accedere al reale.

Il reale per Lacan è il reale della nostra mancanza, del fatto che noi non siamo. [ Siamo-e-non-siamo, in un continuo tentativo di odio, di amore e di strutturazione metaforica su sfondo di offuscamento, di nescienza o di manque. La mancanza a essere fondamentale è dell’Io che si crede solido e irrelato, un Ego come fuso in un sol blocco. “L’Io è la vera sede dell’angoscia” ( Freud). La psicanalisi finisce restituendo un soggetto al reale della sua stessa mancanza a essere radicale, ovvero alla verità del desiderio e del godimento di un soggetto in stato di manque. Non a caso, Lacan consiglia a coloro che si accostano alla psicoanalisi di leggere Il Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius, definito il poeta di Meister Eckhart . Nel Seminario, libro I, p.287, così dice: " è tempo che vi porga adesso il distico d’Angelus Silesius…’Contingenza ed essenza. Uomo, diventa essenziale: perché quando il mondo passa la contingenza si perde e l’essenziale sussistÈ. Proprio di questo si tratta, al termine dell’analisi, di un crepuscolo, di un declino immaginario del mondo e addirittura di un’esperienza al limite della depersonalizzazione. È allora che il contingente cade- l’accidentale, il traumatismo, gli strappi della storia – E l’essere viene a costituirsi. Non potrei consigliare mai abbastanza a chiunque faccia dell’analisi di procurarsi le opere d’Angelus Silesius”. Si tratta di opere di teologia negativa o apofatica che trova una ricca e articolata formulazione soprattutto in Dionigi L’Areopagita ( Pseudo Diongi). Tuttavia, “sebbene interpellati direttamente, la mistica e i mistici spesso presenti nell’opera di Lacan vengono, nello stesso tempo, rinviati o sottomessi ad altro”. L’osservazione è di Elvio Fachinelli. Dal momento che per una tale psicoanalisi negativa l’Io che persiste non dispone più di nulla a cui aggrapparsi – se non all’etica del rapporto di verità con un oggetto che non potrà mai essere trovato – c’è da chiedersi se questo stato non sia proprio quell’esperienza di tranquilla disperazione nella quale accomodarsi. Accomodarsi in maniera garbatamente malinconica, supponendo sapere vuota la sfilata del significante, e cercando di resistere nel bianco senza andare oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione, e senza mai nulla raggiungere. D’altra parte, è anche vero che il luogo più bello è quello in cui si è mai stati, e che il liquore più delizioso quello che non si è mai gustato né bevuto. O meglio, se non contraddittoriamente nell’”atto genitale”, e più precisamente nell’orgasmo, peraltro connotato da Bataille come “trance degli organi” : “ Senza dubbio in quest’atto, in un solo momento, – afferma Lacan – qualcosa può essere raggiunto per cui un essere è per altro al posto, vivo e morto insieme, della Cosa. In quest’atto, e in questo solo momento, egli può simulare con la sua carne il compimento di ciò che non è da nessuna parte.” A tale proposito così osserva Elvio Fachinelli: “ E’ difficile sottrarsi all’impressione di una valutazione intrinsecamente contraddittoria. Essere al posto della Cosa, luogo centrale del desiderio, non può ridursi a una simulazione, a un fingere e far apparire qualcosa che non c’è”. Una volta che il guru ci fa accedere al reale, restituendoci alla verità del desiderio e del godimento in stato di manque, potrebbe anche accadere – per un’improvviso colpo di vento – di farsi canguro, canguro della lettera. Una battuta, perché no? La gioia non ha bisogno di interrogare la lettera, e non occorrono astrusi sistemi di pensiero per provare disagio di fronte alla sofferenza altrui e il desiderio di uno spazio di non-morte. Attraverso il nichilismo più che all’enigma si potrebbe giungere al mistero di una Presenza che conserva la sua parte nel silenzio, e che resta irriducibile all’interpretazione. Esemplare mi pare, a tale proposito, qualsiasi raro gesto d’intelligenza, di poesia o di pietà. Ecco, ad esempio, la poesia del giovane poeta avellinese Domenico Iannaco, diventato un caso da quando i giornali hanno riferito dell’interesse e dell’incoraggiamento dedicatigli da Mario Luzi prima di morire. E’ una poesia che s’intitola Madonna: “ Madonna/delle stelle dipinta/da angeli infanti,/degli slanci, delle preghiere/ che vorticano/come la lava d’amore/come piume accese di cigno/Madonna/della pura potenza,/delle intelligenze pietose/perché il ciclo è chiuso/e la tragedia ha impressionato la carne./Madonna che vorticava prima del tempo/umile goccia che ha generato/il Figlio dell’Uomo,/speranza dei vinti/io ti prego/per la mia anima/d’uomo//che può solo intuire/quella luce celeste /(…) ].

Prima ho portato l’esempio del bambino che piange e che ad un certo punto apprende verbalmente dalla madre che piange perché ha fame; in questo modo egli fissa certamente simbolicamente il suo desiderio nel significante "aver fame". Ma anche questo è un tradimento della vera ragione per cui egli piangeva, che sarà per sempre il suo reale irraggiungibile, pur essendo la causa del suo piangere. Ogni essere umano che piange, e quindi proprio perché piange, va dall’analista, cerca sempre questo reale, la causa reale del suo dolore. E ovviamente le emozioni, cioè la sofferenza, l’angoscia, la depressione, sono l’effetto di questo reale. Per Lacan dunque le emozioni sono importanti, ma sono effetti, non cause. Mentre una tendenza post-freudiana dice che le cause dell’inconscio sono gli affetti, Lacan dice che gli affetti sono effetti, mentre le cause sono l’alienazione che il bambino subisce nell’istante in cui gli si insegna il linguaggio; semplicemente questo [ Non a caso Ts’ang Kie – il leggendario inventore cinese della scrittura piangeva durante la notte. Wou Wei-ye ( 1609-1671), nel commentare il caso dell’inventore della scrittura in Canzone triste donata all’amico Wou Ki-tseu, così commenta: “ C’era davvero di che piangere” ]. 

 Lei ha paragonato l’inconscio di Lacan a quello di Jung, considerando l’aspetto collettivo ed esteriore all’individuo di questi due inconsci. Qual’è però una differenza tra i due?

 Per certi versi si potrebbe dire che Lacan è l’opposto di Jung. Possiamo considerare Jung e Lacan tutti e due come allievi di Freud, anche se Jung, come sappiamo, ha litigato e rotto con Freud, mentre Lacan viene dopo Freud (Freud e Lacan non si sono mai incontrati nella loro vita). Effettivamente questi due allievi sono opposti. Perché per Jung l’inconscio freudiano viene messo in relazione con alcuni significati fondamentali che Jung considera dei significati extrasoggettivi, universali. A proposito dell’esempio che ho fatto prima del sogno del satiro, uno junghiano direbbe che il satiro deve essere interpretato non come una fantasia mia personale, ma come qualcosa che io ho ereditato attraverso una trasmissione inconscia, eredito un archetipo così come eredito un gene. Jung tende a mettere in rilievo tutto ciò che è invariante ed invariabile: l’inconscio collettivo è un inconscio che ereditiamo, è un inconscio di significati per cui il satiro della tradizione greca ha a che fare con altre figure, per esempio con certe figure della cultura indiana, ecc.

Invece Lacan mette in rilievo non il significato più o meno universale, ma quello che lui chiama il significante, che è sempre particolare – abbiamo detto che riprende i suoi concetti dalla linguistica strutturale di Saussure. La linguistica strutturale si basa su una certa teoria del segno linguistico in generale, per cui esiste un doppio versante del segno: da una parte il significante, dall’altra il significato. Il suono tavolo è il significante, mentre il tavolo indicato come tale nella lingua italiana è il suo significato. In realtà Lacan ha messo tutto l’accento sul versante del significante, in opposizione a Jung che invece mette tutto l’accento sul versante del significato. Secondo Lacan, in effetti, l’inconscio è un insieme di significanti, i quali però non sono tutti della stessa stregua, non sono tutti sullo stesso piano. Ci sono alcuni significanti che hanno un valore privilegiato, e qui Lacan riprende qualcosa che è completamente assente in Jung e anche in tanti post-freudiani: Lacan dà un grande rilievo alla teoria sessuale di Freud. Questo sembra strano perché ormai tutti sanno dai manuali che la celebrità di Freud nella nostra cultura è connessa all’aver detto che l’inconscio umano ha a che fare soprattutto con gli impulsi e i desideri sessuali. Eppure gli analisti dopo Freud hanno cercato di attutire questo primato della sessualità in Freud, dando sempre più ai concetti sessuali di Freud un senso e una connotazione metaforici: dicono che è sì sessualità, ma sessualità nel senso dell’emozione, della affettività. Così quello che conta sempre di più nei freudiani ufficiali è il rapporto affettivo con la madre, il fatto che la madre sia più o meno buona, riesca più o meno a fantasticare, e conta sempre meno il rapporto sessuale e in genere qualsiasi cosa che abbia a che fare con i genitali.

Certamente il concetto di sessualità in Freud è molto ambiguo, e sappiamo che lui rompe con Jung proprio sulla questione della sessualità, almeno ufficialmente questa era la ragione della loro rottura. Lacan è uno dei pochi post-freudiani che dà invece alla dottrina sessuale di Freud il massimo rilievo; nel senso però che la sessualità si articola nel linguaggio. Lacan pensa che, poiché l’inconscio è fondamentalmente linguaggio, esiste allora un inconscio perché noi siamo degli esseri parlanti. Per il solo fatto che parliamo abbiamo un inconscio, che è un effetto del linguaggio; per questa ragione non possiamo parlare di un inconscio degli animali, ad esempio, anche se gli animali domestici certo risentono del nostro inconscio. Esistono però alcuni significanti fondamentali, come ad esempio il Nome del Padre e il fallo in modo particolare. Poi nel suo pensiero più tardo Lacan arriva a formulare delle specie di slogan, potremmo dire, che assomigliano un po’ a certi slogan o certe frasi a effetto dei guru orientali. Sapete che nel pensiero orientale – ad esempio nella pratica Zen – è abituale lanciare delle specie di frasi enigmatiche. Una delle frasi enigmatiche del tardo Lacan era: "non c’è rapporto sessuale…". Cosa diavolo voleva dire con questo? Si possono dare varie interpretazioni di questo slogan enigmatico. Egli voleva dire sicuramente, riprendendo certi concetti di Freud, che la differenza sessuale non è inscritta nel nostro inconscio, nell’inconscio c’è solamente il fallo. Con questo Freud non voleva dire che l’inconscio è maschile, voleva dire che nell’inconscio abbiamo a che fare soltanto con il fallo, e che quindi quelli che sono gli atti sessuali, i rapporti tra i sessi reali, non sono qualcosa che ha un’inscrizione inconscia, ma sono qualcosa che avviene in un certo senso in modo artefatto. Potremmo dire che gli atti sessuali sono bricolage. Siccome non ci sono due sessi psichici, ma i rapporti sessuali comunque avvengono, grazie a Dio, c’è qualcosa di artificioso, di surrealista, potremmo dire, nei rapporti tra i sessi. Sapete che gli artisti surrealisti facevano dei bricolage, dei montaggi. Questo è un concetto abbastanza importante in Lacan: il fatto che la sessualità umana non corrisponda ad una differenza sessuale istituita. Per esempio, per quel che riguarda la sua differenza con Jung: Jung pensa che la differenza tra maschio e femmina abbia una base inconscia, che egli chiama animus e anima. L’animus è la parte maschile dell’anima, diciamo così, e l’anima è la parte femminile dell’anima. Maschile e femminile hanno cioè per lui un’inscrizione inconscia. Lacan, da freudiano, pensa che esista una sola sessualità, articolata attorno al fallo e ai suoi scambi, e che quindi ogni essere umano, maschio o femmina, si debba arrangiare, come si direbbe a Napoli, attorno a questi significanti traballanti. In questo senso credo che la reinterpetrazione lacaniana della teoria sessuale di Freud sia alquanto originale.[ A tale proposito ricordo un poetico proverbio napoletano che dice “ A’ fessa piace ‘a l’uommene, o’ pesce piace a tutte quante”, e un altro che quasi gli fa eco : “Tira cchiù ‘nu pilo ‘e fessa ca ‘na pareglia ‘e vuoie”, inutile tradurre! ]

  E cosa vuol dire Lacan, quando insiste sulla natura squisitamente etica dell’inconscio freudiano?

 Uno dei migliori seminari di Lacan si chiama "L’etica della psicoanalisi". Come ho detto prima, effettivamente Lacan è doppio: c’è un Lacan che parla, un Lacan insegnante che fa dei seminari che sono durati per oltre venti anni; e c’è un Lacan che scrive. Ho detto che il Lacan che scrive è un Lacan molto difficile da capire, usa un linguaggio molto barocco; invece il Lacan che insegna, come si vede dalle trascrizioni dei suoi seminari curate da Jacques Alain Miller, è molto chiaro. Si capisce veramente fino a che punto Lacan abbia insegnato la psicanalisi e Freud ad un’intera generazione di analisti francesi. E uno di questi seminari, uno dei più interessanti filosoficamente, è proprio questo seminario sull’etica. In realtà egli torna continuamente sull’etica, nel senso che effettivamente pensa che la psicoanalisi sia una scienza di tipo particolare, che non ha niente a che vedere quindi con la psicologia intesa come una applicazione del modello della fisica all’anima dell’uomo. Il suo interesse filosofico è essenzialmente in questo: che in realtà l’analista non è uno scienziato dell’anima, ma è una persona che rappresenta una istanza etica per il soggetto. E’ solamente quando rappresenta un’istanza etica che il paziente o l’analizzante può in qualche modo cambiare, quello che noi chiamiamo in senso medico la guarigione. Che cosa egli vuol dire con questo?

  Abbiamo detto che una delle novità che Lacan porta è questa idea che la psicoanalisi abbia a che fare con il linguaggio. E questo che cosa implica? Quando Lacan dice che l’inconscio è linguaggio, è strutturato come un linguaggio, egli dice che lo strumento con cui l’analista e il suo paziente lavorano, cioè il linguaggio, la parola, non sono un puro strumento che conosce qualcosa di esterno al linguaggio, ma l’inconscio stesso è linguaggio. Cioè, lo strumento con cui analizzo l’inconscio fa parte della stessa sostanza dell’inconscio. Mutatis mutandis, quello che l’analista fa non è una pura conoscenza oggettiva dell’inconscio. Cioè, il fatto che l’analizzante o paziente parli di tutti i propri problemi, di tutte le impossibilità e impotenze, di tutte le proprie mancanze, non è un puro oggetto dell’analisi, ma l’analisi stessa fa parte di questo processo. Ora questa è una differenza fondamentale rispetto alle scienze della natura, il cui modello è fondamentalmente la fisica. Sappiamo che la fisica, da Galileo e Newton in poi, ha avuto quel grande sviluppo che sappiamo proprio perché in realtà ha sviluppato degli strumenti che sono assolutamente diversi dal proprio oggetto. Il fisico che si occupa del calore non parla in termini di calore, parla in termini matematici, usa un linguaggio e non differenze di calore. Il fisico usa il linguaggio e i suoi oggetti sono in realtà oggetti fisici: calore, masse elettriche, costellazioni, ecc. Ora questo per Lacan, da buon hegeliano, non può avvenire nel caso della psicoanalisi, in quanto essa ha a che fare con l’ethos nel senso greco, cioè con il carattere e il costume delle persone. Però questo ethos non è il proprio oggetto, perché la stessa psicoanalisi è etica; e soltanto nella misura in cui la psicoanalisi è etica che essa può influire sull’ethos, cioè sul costume e sul carattere delle persone. Così come il fatto che la psicoanalisi è linguaggio fa sì che essa possa influire sull’inconscio e sul suo stesso linguaggio. Potremmo dire, al limite, che c’è un isomorfismo tra il linguaggio e il suo oggetto in psicoanalisi: il soggetto e l’oggetto dell’analisi hanno la stessa forma. E questo è il contrasto della psicoanalisi con le scienze fisiche.

Ciò non toglie che il Lacan più tardo pensi che la matematica sia estremamente utile, oltre che alla fisica, anche alla psicoanalisi. Lacan si è occupato di logica e di matematica ed ha sviluppato una sua teoria matematica anche abbastanza particolare. Non è però la matematica di Galileo: egli pensa che la scienza dell’inconscio abbia bisogno di strumenti soprattutto geometrici, così ha scelto una branca della matematica che si chiama topologia. La topologia studia soprattutto i rapporti fra spazi, la struttura interna degli spazi. Se consideriamo l’inconscio come uno spazio – che non possiamo certo definire mentale, ma uno spazio descritto dal linguaggio – lo possiamo allora descrivere in modo geometrico. Dei “registri” ho parlato prima: reale, immaginario e simbolico sono tre registri collegati fra loro matematicamente. Lacan pensa che sia possibile matematizzare l’inconscio, ma non è la stessa matematica della fisica, perché è una matematica etica, cioè una matematica che opera sul proprio oggetto.

Uno dei concetti fondamentali di Lacan è comunque questo: che, contrariamente a quello che si pensa, l’analista è un agente etico, perché in qualche modo inizia il paziente – cioè il soggetto – ad accettare il proprio desiderio, come dice Lacan, ad essere fedele al proprio desiderio. Questa è un’interpretazione abbastanza originale che Lacan dà di Freud. Freud pensava che i sintomi psicopatologici siano dovuti soprattutto a quella che Freud chiama rimozione: la rimozione è dovuta al fatto che il soggetto non vuole saperne del desiderio inconscio, cioè della propria vera soggettività potremmo dire. La guarigione o comunque una certa forma di rasserenamento, di superamento della nevrosi, può accadere quando il soggetto realizza che attraverso la rimozione ha tradito il proprio desiderio, è stato cioè infedele alla propria soggettività. Per Lacan l’azione etica dell’analisi consiste non nel costringere, reprimere o frenare il desiderio, ma nel far sì che il soggetto possa finalmente accettarlo. E questo è anche uno degli obiettivi polemici di Lacan. Prima ho detto che Lacan si è affermato con la bandiera del ritorno a Freud; ho anche detto che questo ritorno a Freud era in funzione un po’ polemica al trend, si direbbe oggi, allora dominante nel mondo americano e newyorkese, la ego-psychology. Questa psicologia dell’Io ha dato un’interpretazione di Freud, secondo cui la funzione etica dell’analista sarebbe quella di rafforzare l’Io. L’Io è in qualche modo il nostro io cosciente, razionale, ed ha a che fare con due nemici: con le proprie pulsioni interne, e anche col mondo esterno che gli chiede delle prestazioni sempre più forti e difficili. Quindi l’analista deve rafforzare questo Io per far fronte a questa doppia minaccia, delle pulsioni e del mondo esterno. Sostanzialmente la funzione etica dell’analisi è dunque una funzione di adattamento dell’Io alla realtà sociale esterna.

Ora Lacan si afferma fin dai suoi primi atti pubblici con questa protesta etica contro l’idea che l’analisi e l’analista siano dei rappresentanti della società esterna e dell’adattamento. Egli riafferma un’etica secondo cui l’analista in realtà deve ricordare al soggetto che egli non può fare a meno invece del proprio inconscio, che egli deve rassegnarsi al proprio inconscio, al desiderio come lo chiama lui. Il desiderio – désir – a sua volta è una traduzione francese che Lacan fa del termine freudiano di "libido", che denota un desiderio fondamentalmente sessuale, ma non solo; la libido o desiderio è la stoffa, la materia prima del nostro inconscio. La fedeltà al desiderio è dunque la sola via di superamento del sintomo, non si tratta certamente di un adattamento a imperativi sociali esteriori.

Ecco, questa è la specificità dell’etica di Lacan che noi, a nostra volta, possiamo mettere in rapporto alla formazione culturale di Lacan. Essa, come ho detto prima, risale agli anni trenta, subisce l’influsso di una interpretazione “modernista” del pensiero di Hegel attraverso l’insegnamento di Kojève, ed è sensibile alla protesta surrealista. Il surrealismo era un movimento soprattutto artistico, ma anche politico ed ideologico che si richiamava a Freud, e che tendeva a rivendicare una spontaneità fondamentale dell’inconscio. Si poteva agire cioè artisticamente, si poteva fondare una società nuova, non reprimendo o in qualche modo indirizzando l’inconscio secondo le vie utili per sopravvivere, ma bisognava invece lasciare parola libera all’inconscio. Credo che questa formazione originale del giovane Lacan abbia improntato anche tutta la sua etica successiva: non quindi l’analista come qualcuno che rappresenta l’ideale razionale dell’Io scientifico e saggio, ma come qualcuno che lascia parlare l’inconscio, che fa sì che il soggetto accetti il desiderio e si rassegni ai costi che esso impone.

CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 3)

Più si procede nella descrizione del pensiero di Lacan, più ci accorgiamo che il Ritorno a Freud è una sorta di eufemismo. Già abbiamo visto nel pensiero filosofico questa differenza tra il positivista Freud e l’idealista Lacan. Ma anche sul piano dello stile, si può ricordare che Freud ebbe, credo, un unico premio in vita sua e fu un premio letterario, il premio Goethe per la letteratura, per la sua scrittura chiara ed evidente. Invece la scrittura di Lacan era barocca e astrusa. Allora come la mettiamo con questo Ritorno a Freud?

 Si potrebbe rispondere in modo clinico, si potrebbe eliminare cioè il problema dicendo che Lacan aveva dei problemi a scrivere, delle difficoltà personali, e quindi gli scritti che ne risultavano – egli non ha scritto molto – effettivamente risultano difficili. Non c’è niente di male, abbiamo una tradizione intellettuale illustre, da Socrate fino a molti moderni, di pensatori, scienziati, filosofi che avevano delle grandi difficoltà a scrivere; a cominciare da uno dei maestri di Lacan, Ferdinand de Saussure, il fondatore della linguistica strutturale: egli non ha scritto praticamente mai niente. Quello che noi sappiamo dei pensieri di Saussure lo sappiamo attraverso gli appunti dei suoi allievi. Un altro maestro di Lacan, Kojève, ha lasciato una grande impronta nella cultura, ma i suoi libri su Hegel sono in realtà delle trascrizioni degli appunti presi da altri. Possiamo dire che gran parte del pensiero di Lacan è un pensiero insegnato, raccolto da Jacques-Alain Miller, il quale era anche suo genero. Quindi possiamo dire che come per Socrate, Saussure, Kojève e altri, anche quello di Lacan è soprattutto un pensiero che si è trasmesso attraverso l’insegnamento.

  Però sarebbe un modo troppo facile di eliminare il problema, anche perché in realtà non possiamo affatto dire che Lacan fosse un cattivo scrittore, tutt’altro. Sono convinto che alcune pagine degli Ecrits, gli Scritti, resteranno nelle letteratura francese di questo secolo. Alcune pagine sono particolarmente brillanti, quindi possiamo dire che era anche un eccellente scrittore, come del resto lo era anche Freud. Anche in questo caso c’è un certo influsso del surrealismo e di George Bataille. Ma soprattutto credo che la scelta stilistica di Lacan dipenda proprio dalla sua etica, che ha a che fare con quello che si è detto or ora. Lacan non crede cioè in una scissione fra il linguaggio e l’oggetto, non crede che si possa parlare dell’inconscio con un linguaggio razionale o puramente razionalizzatore. Egli cerca una scrittura che sia adatta ad esprimere l’inconscio, che non lo rappresenti e lo congeli dall’esterno. Questa è una critica che si può fare persino ai surrealisti i quali, quando scrivono le poesie surrealiste, si lasciano andare al loro inconscio, però quando teorizzano sul surrealismo usano la sintassi normale e usano al limite un linguaggio accademico. In un certo senso Lacan è voluto andare oltre gli stessi surrealisti, ha voluto creare un linguaggio teorico che fosse adatto al suo tipo di oggetto, e questo non dovrebbe stupirci. Effettivamente, quando Galileo incominciò a descrivere il mondo fisico, compreso il mondo delle stelle o delle masse e delle accelerazioni con linguaggio matematico, egli risultò, a quell’epoca, assolutamente incomprensibile. Infatti, prima di Galileo la tradizione aristotelica distingueva, scindeva in modo netto il mondo fisico e il mondo della matematica. Fino a Galileo, per la tradizione occidentale la matematica si occupava delle cose immutabili, dei concetti puri, dei numeri, mentre il mondo fisico sublunare era costituito dal mondo delle cose che mutano continuamente. L’impresa scandalosa di Galileo fu di scommettere sul fatto che il linguaggio delle cose eterne e la matematica erano adatti a descrivere il mondo fisico dove tutte le cose mutano, quindi trovò questo linguaggio adatto. Lacan cerca di fare oggi, tenendo conto degli ambiti diversi, un po’ la stessa cosa: egli scommette sul fatto che il barocchismo sia un modo per descrivere scientificamente l’inconscio.

Negli ultimi anni Lacan ha lavorato molto sulla scrittura di James Joyce, di cui si è occupato anche come caso clinico, in quando James Joyce certamente aveva un inconscio abbastanza particolare, psicotico potremmo dire. Ma Joyce era anche un grande scrittore, e Lacan era convinto che Joyce fosse riuscito, attraverso la propria scrittura, a descrivere il mondo attraverso uno strumento freudiano, potremmo dire una scrittura del lapsus, sfruttando al massimo giochi di parole, allusioni, ecc. Il fatto di usare un linguaggio gongorista, normalmente ambiguo, per Lacan era un modo per parlare veramente dell’inconscio, non per aggirarlo – ovvero per far parlare l’inconscio nella teoria. Se l’inconscio procede per associazioni, per metonimie e metafore, le due figure retoriche fondamentali che, secondo gli strutturalisti, regolano il flusso del linguaggio, allora – pensava – bisognava scrivere anche sull’inconscio in questo modo. Altrimenti si tradiva l’inconscio: parlare dell’inconscio con il linguaggio delle scienze positive equivaleva per lui ad una rimozione. Quindi, dietro l’apparente confusione della sua scrittura, c’è un’esigenza etica di trovare un tipo di scrittura adatta al proprio oggetto.

 – Per concludere, in uno degli scritti di Lacan, vi sono due pagine dedicate al concetto della verità: c’è la verità che parla. Ecco, è strano ritrovare questo concetto di verità all’interno di una discussione psicoanalitica. Che cos’era la verità per Lacan?

 Lacan si è occupato spesso della verità, egli ha scritto anche un saggio intitolato "La scienza e la verità". Ovviamente Lacan cerca di ridefinire il concetto di verità in senso freudiano. Lacan è convinto che Freud non sia semplicemente uno specialista degli affetti come molti post-freudiani pensano che sia. Lacan in un certo senso ha idealizzato Freud: egli pensa che Freud abbia creato una vera spaccatura nel pensiero occidentale, e che le altre scienze debbano avere a che fare con la psicoanalisi. Questo è molto importante perché, negli ultimi anni soprattutto, anche in Italia si è diffuso un dibattito molto vivace, in cui ci si chiede se la psicoanalisi, quella freudiana in particolare, sia una scienza o no. Possiamo dire che Lacan si è occupato di questa questione della scientificità e quindi della verità scientifica della psicoanalisi, però ribaltando dialetticamente la questione. Egli ha detto: "Cosa potrebbero essere le scienze, tutte le scienze, fisica compresa, se tenessero conto del contributo di Freud?" Il problema non è tanto di verificare fino a che punto il pensiero di Freud sia scientifico, cioè se si adatti al modello ideale della fisica – la scienza ideale che oggi abbiamo – ma cosa potrebbe essere la stessa fisica se tenesse conto delle verità di Freud. Quindi allora il concetto di verità di cui egli si occupa non è la verità di una lunga tradizione metafisica che nasce da Platone o da Aristotele, e che tende a vedere la verità come "adeguatio rei et intellectus", cioè adeguazione o adeguatezza del pensiero alla cosa. Lacan, quando parla di verità, parla sostanzialmente della verità del desiderio o del godimento.

 Facciamo un esempio molto semplice: noi continuamente nella nostra vita cerchiamo degli oggetti, per esempio quando ci innamoriamo abbiamo l’impressione che la donna di cui ci innamoriamo, dell’uomo per una donna, sia l’oggetto che noi andavamo cercando da sempre, sin da quando eravamo bambini. E a un certo punto ci possiamo rendere conto, anche grazie all’aiuto del nostro analista, che in realtà questo oggetto non era il vero oggetto. In questo senso Lacan parla di verità, in un senso non meno concreto di quello della scienza. Noi abbiamo spesso la sensazione che il nostro oggetto, le nostre scelte di quell’oggetto, non siano autentiche, non siano il nostro vero oggetto. Lacan si interessa della verità soprattutto sul versante della autenticità e non tanto dell’adeguazione di una rappresentazione alla cosa reale. Che cosa noi intendiamo quando ci rendiamo conto che per esempio la donna che amavamo non era il nostro vero oggetto, ma era uno schermo del nostro vero oggetto? Questo vuol dire che la psicoanalisi dietro l’oggetto falso ci indica un oggetto più vero, la vera donna, il nostro vero oggetto. Perché lo stesso Freud ci insegna che i nostri primi oggetti sono degli oggetti infantili, ma, proprio in quanto sono degli oggetti infantili, sono oggetti che non ritroveremo mai più. Compiere l’autentica scelta dell’oggetto non significa tornare al vero oggetto originario – che sarebbe in un certo senso la madre o il seno della madre – semplicemente perché la madre ormai è vecchia oppure è morta, o anche semplicemente c’è stato il tabù dell’incesto, siamo passati per il complesso edipico e sappiamo che non possiamo tornare più al nostro oggetto originario. Quindi in realtà l’etica e la funzione dell’analista non sono certamente quelle di indicarci praticamente il vero oggetto originario, ma quello di mostrarci che esistono degli oggetti più veri degli altri: ci sono degli oggetti-maschera, degli oggetti che la tradizione analitica chiama narcisistici, e degli oggetti più veri. 

 Henri Cartier-Bresson che si ritrae allo specchio, ripreso da Martine Frank (1992).

Che cos’è l’oggetto narcisistico? Lacan ha dato un contributo importante, accettato universalmente anche dagli analisti freudiani non lacaniani, proprio sul narcisismo. Uno dei suoi primi contributi è sulla teoria del narcisismo: propone quella che lui chiama la fase dello specchio. Lacan mise in evidenza il fatto che il bambino a pochi mesi, sei, sette, otto mesi, passa per una fase in cui lui si innamora della propria immagine allo specchio. Il bambino scopre lo specchio, cioè si rende conto che il bambino che vede nello specchio non è un altro bambino, ma è lui stesso, e incomincia a flirtare un po’ come un innamorato, comincia a corteggiare questa immagine di cui è estremamente contento. Per Lacan questo è molto importante perché è alla base di quello che poi lui chiamerà il registro immaginario: cioè è sostanzialmente l’idea che il nostro rapporto con gli altri passi attraverso l’immagine speculare, che il nostro primo "altro" è la nostra stessa immagine. Ma il fatto che percepiamo tutti gli altri per differenza o identità rispetto a questa immagine con cui noi da bambini abbiamo fatto l’amore, non significa che essa sia il vero oggetto del desiderio inconscio. Ora, non possiamo dire che cosa sia questo vero oggetto, perché è un oggetto che nella realtà non ritroveremo mai; ma se lo ritroviamo nella realtà, nel senso che ha un nome e un cognome, possiamo capirne la struttura: che l’oggetto immaginario perimetra un punto vuoto. Ora, se ritroviamo questo punto vuoto, questo ci permette di sfuggire alle illusioni del narcisismo.

 

Che cosa si intende per illusione del narcisismo? Questo è qualcosa su cui Lacan, ma anche tutti gli analisti, sarebbero d’accordo: è l’idea che si ama l’altro, ma in realtà si ama soltanto la propria immagine. Ecco, questo è un altro punto fondamentale dell’etica della psicoanalisi che Lacan mette in rilevo. Ci sono degli esseri umani che confondono radicalmente gli altri e se stessi, che li amano come fossero la propria immagine: in psicologia clinica costoro vengono chiamati paranoici, pazienti di cui Lacan si è occupato soprattutto quando era giovane. I paranoici sono persone che entrano in un rapporto di rivalità e di amore con gli altri solamente nella misura in cui questi altri sono delle proprie immagini. L’etica dell’analisi ci mette in rapporto con questo oggetto che non potrà mai essere trovato. Ma, proprio perché non può mai essere trovato, occorre che restiamo sempre fedeli ad esso.

Osservazione. Mi chiedo come restare fedele a qualcosa che non c’è, e rispondo a me stesso con un’altra domanda, che però è una constatazione : " Avendo cura nel menar Lacan per l’aia ? ". Ecco una prova dell”originalità del pensiero di Elvio Fachinelli quando, come aveva previsto, l’inconscio é ormai dilagato ovunque, oggi lo si trova anche in rete, nel web… e scrivendo non lo si sa, si va.

AGGIORNAMENTO:

 Max Ernst

Via Herakleitos apprendo, ad esempio, che un recente articolo su Liberazione sul rapportò analità-accumulazione capitalista – tesi sostenuta dal compianto filosofo Luciano Parinetto e dalle ex braghette rosse degli anni Settanta – , sta dando luogo a un acceso dibattito fra i lettori del giornale comunista, che il cronista divide fra entusiasti ( presumibilmente verranno considerati imbecilli, dal momento che credono di trovare nel marxismo critico la giustificazione teorica di un’ars amandi che esiste da che mondo è mondo e che non tutti disprezzano) e scandalizzati (presumibilmente verranno definiti “omofobi”). Invece di trarre insegnamenti e qualche fragile piacere dall’aspetto vivente della questione, che può essere facilmente risolta alla pecorina, di sponda, o alla cosacca, ci si accalca, prudenti ed informati, in locali fumosi per discuterne animatamente, secondo l’Ordine del Giorno. Segue dibattito. E’ ancora necessario che i compagni mostrino il culo per la Rivoluzione? Variante: perché occorre farsi un culo così per guadagnare duramente la propria diversità e sconfiggere il Capitale? O anche: è vero che ci portiamo dietro il diritto umano come una specie di prurito e che le più avanzate conquiste civili e democratiche sono alle nostre spalle ? Insomma, i soliti talk show da asilo d’infanzia attraverso cui un semi-inconscio sanculotto e psicosessualmente immaturo dilaga in pubblico ( ops! stavo per scrivere “in pubico”; probabilmente non esistono solo dibattiti ma ancora problemi che affiorano nella consapevolezza pubblica e nello spettacolo in forma di veri e propri rodimenti di culo post-surrealista, post-moderno, post-mortem e post-tutto ). Viene allora irresistibilmente alla memoria il sottile reazionario, il Nicolás Gómez Dávila di In margine a un testo implicito (Adelphi) quando osserva che “dopo aver screditato la virtù, questo secolo è riuscito a screditare anche i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani frequentati in famiglia dalle moltitudini domenicali”.

 NO SEX

dalla rete:

FREUD-LACAN.COM
Le site de l’Association lacanienne internationale.

Lacan Online
"Das Ding se situe ailleurs." "Il ya autre chose dans
das Ding." "Das Ding est tout à fait autre chose." (Le Seminaire VII)


le Séminaire de LACAN
Ecrits + Autres-écrits ) par Jacques LACAN.

Jacques Lacan’s Diagrams
Jacques Lacan’s Diagrams. Here are the diagrams used by Jacques Lacan in Les Écrits.

Il seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973) – Lacan Jacques – Einaudi
Ancora (1972-1973); Autore: Lacan Jacques; Traduttori: Benvenuto S., Contri M.
Editore: Einaudi; Data di Pubblicazione: 1983; Collana: Einaudi Paperbacks

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Jacques Lacan – Biografia – Biografieonline.it

Jacques Lacan, la biografia completa

UNO SOLO È L’AMORE
L’imputabilità nel pensiero di Giacomo Bernardino Contri.

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 Fuori quadro

AL DI LA’ DEL REGIME DELL’OBBEDIENZA E DELLA TRASGRESSIONE

 SAN GIOVANNI BATTISTA , Leonardo ( 1513-1515), Parigi, Musée du Louvre.

" …E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano o sequestrano questi tipi di esperienze." (Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi 1989, p.24, citato in : La dimensione mistica nell’esperienza psicoanalitica di Salvatore Freni) .



Elvio Fachinelli (al centro) con Pinni Galante ( a sin) e Gianni De Martino ( a des.) Zagora, Marocco, maggio 1981.

Elvio Fachinelli era garbatamente ironico sia nei confronti del cosiddetto marxismo critico sia delle ideologie in voga del desiderio e della sfilata continua, vale a dire senza speranza né misericordia, del significante. Queste le osservazioni, dense e puntuali, a proposito di Lacan e la Cosa alla fine del suo ultimo libro scritto alle soglie della morte contro la propria e l’altrui dissipazione: “ Per rappresentare il rapporto tra la Cosa e la Legge, Lacan ricorre al celebre passo di san Paolo, in cui il peccato è messo in rapporto con la legge: “ Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: ‘Non desiderare’. [8]Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto” ( Rm., 7, 7-8). Lacan sostituisce Cosa a peccato e rileva che il rapporto tra la Cosa e la Legge non potrebbe essere meglio definito che in questi termini. Ma in questo modo egli omette che ciò di cui parla Paolo è il vecchio rapporto con la legge e che l’apostolo si dichiara svincolato da questa legge, “è morto ad essa”, per essere sottoposto alla novità dello Spirito e non più alla vetustas litterae.

Riprendendo solo la prima parte del discorso di Paolo, Lacan si condanna ad essere maestro della lettera, della vecchia lettera, e non avverte il salto effettuato da Paolo – e con lui da un’intera cultura – con la nuova formulazione, che non è certo una sostituzione o un riassunto della vecchia legge. L’omissione di Lacan si profila qui come il sintomo dell’incapacità di andare oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione.”

Leggi anche:

[PDF] Oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione
di Gianandrea Franchi Formato file: PDF/Adobe Acrobat

Fonte: http://www.hortusmusicus.com/home/home.php

Elvio Fachinelli così continua: “ A proposito dell’ ‘atto genitale’: ‘ senza dubbio in quest’atto, in un solo momento, qualcosa può essere raggiunto per cui un essere è per un altro, al posto, vivo e morto insieme, della Cosa. In quest’atto, e in questo solo momento, egli può simulare con la sua carne il compimento di ciò che non è da nessuna parte’. E’ difficile sottrarsi all’impressione di una valutazione intrinsecamente contraddittoria. Essere al posto della Cosa, luogo centrale del desiderio, non può ridursi a una simulazione, a un fingere e far apparire qualcosa che non c’è. Ora, questa valutazione si ripercuote in valutazioni successive. Per esempio in Encore il ‘godimento fallico’ è puro ‘godimento d’organo’ e nello stesso tempo esiste un ‘godimento al di là del fallo.

“ E’ per questa via che Lacan può giungere a incontrare la mistica e i mistici, spesso presenti nella sua opera e, si direbbe, interpellati direttamente ( per esempio in questo seminario, Echkart a proposito di das Ding), ma nello stesso tempo rinviati o sottomessi ad altro.

Con la Cosa Lacan si avvicina ad essi ( il roveto ardente della Bibbia è, esplicitamente, ‘ la Cosa di Mosè’), ma se ne allontana nel momento stesso in cui si renderebbe necessaria una configurazione specifica, che oltrepassi le ‘formule gnomiche’ usate abitualemente. L’esperienza mistica è al di là della barriera dell’incesto e in essa si manifesta un aspetto antropologico sinora rifiutato, o temuto o assimilato tout court all’impostazione religiosa.

E così la gioia eccessiva, che è al cuore dell’esperienza estatica, viene trascurata. All’orizzonte del raggiungimento assoluto della Cosa c’è soltanto, essenzialmente, il dolore, come ci insegna la coppia satanica Kant-Sade. Eppure lo stesso Lacan, seguendo Freud , ha individuato una diversa linea di condotta. E’ quella in cui il rapporto con la Cosa è governato dalla preoccupazione di evitare, non il dolore ma un ‘eccesso di piacere’ – siamo nell’ambito del cerimoniale ossessivo o di ‘rispettare’ il vuoto di una particolare forma di sublimazione – la religione. Dunque : il cerimoniale ossessivo e la costruzione religiosa come modi per circoscrivere e salvaguardare il “roveto ardente” della gioia eccessiva”.

———-

Osservazione

In effetti, il mistero nel quale in quegli anni di tentativi d’amore e di rivolta esistenziale, politica, libidinale, dopo esserci messi sulla strada, ci sentivamo implicati, non si realizza su un territorio particolare – tipo ‘la mia esperienza’ o una qualche interiorità – bensì proprio nello spirito di quel vuoto di dualità e di concettualizzazione che essendo, per così dire, uno stato di grazia, di illuminazione, di un varco che s’apre – all’improvviso o per accumulo di impercettibili sfaldamenti – in uno qualsiasi dei punti dell’organizzazione egotica dell’esperienza, è in qualche modo più vicino al non-sense che non al Senso, al Libro o al Dio della lettera. Ma è caratteristica degli stati mistici quella di attrarre quasi automaticamente riflessi di natura sentimentale o opinioni religiose che spesso non hanno alcuna connessione reale con l’esperienza ipernormale, se non metafisica. Avremmo potuto chiamare quegli eventi di apertura radiosa “coscienza cosmica” con Alan Watts ( ma non c’era qualcosa come l’intenzionalità di una coscienza, non era una coscienza intenzionale); o “sensazione di gloria universale” con Raymond Roussel, forse conosciuto solo dai surrealisti; oppure “enigma della felicità” con Walter Benjamin e “domenica della vita con Hegel”, a proposito di certi quadri fiamminghi; oppure dire “satori” con Kerouac, cattolico imbevuto di zen e di tradizioni orientali. Io personalmente preferisco dire “ Pasqua”, consapevole tuttavia che ciò che i più diversi linguaggi suggeriscono è la traccia di un’esperienza certamente non-ordinaria, ai limiti della percezione, ma che tuttavia costituisce una delle dimensioni universali dell’esperienza umana e della cultura. *

 

Tale traccia non porta necessariamente la testimonianza di un incontro con una divinità con un nome familiare o esotico: prova semplicemente che un uomo, senza preoccuparsi della grazia divina, ha ricevuto dall’Altro – grazie a Dio – l’autorizzazione a vivere, a far vivere e a essere felice. ( cfr., con qualche modifica, ‘Gianni De Martino’ in: Mauro Bergonzi, Inchiesta sul nuovo misticismo, Laterza, Bari, 1980, pp. 158-169; vedi anche  Karim Kobrâ ,Voglio vedere Dio in faccia : Frammenti di un incontro estatico, a cura di Gianni De Martino, collana ‘ Spiritualità sperimentale’ a cura di Gianpaolo Fiorentini, Promolibri, Torino 1996   Un viaggio a piedi nudi fra le taverne e le moschee di un Oriente psichedelico, ove si alleano le droghe del Flower Power e il misticismo sufi degli ultimi Mutanti di Dio, è alla base di una singolare esperienza poetica della coscienza e del corpo, vissuta fino in fondo e nelle sue immagini. Leggi ).

* Cfr. Georges Lapassade, Saggio sulla trance ( uno studio sul fenomeno della trance nelle varie culture e società e sull’evoluzione che questo fenomeno ha subito nel corso dei secoli, arrivando fino alle forme più attuali, che si manifestano anche in imprevedibili ambiti metropolitani ) ; Elémire Zolla, Il Dio dell’ebbrezza: antologia dei moderni dionisiaci ( Questo libro rende visibile una zona vastissima ma normalmente celata, o al massimo consegnata a banali mitologie trasgressive, della storia e della vita dell’Occidente: la zona, segnata da confini mobili, dove continuamente risorge l’elemento dionisiaco.Se infatti gli dèi, non escluso Dionisio, il dio dell’ebbrezza, sono stati dichiarati più di una volta ufficialmente defunti, è anche vero che poeti e scrittori, – come anche i ricercatori abituati a osservare e conservare i tesori culturali di genti in angoli sperduti del pianeta che vivono in modo tradizionale – , si imbattono spesso in comportamenti e stati di coscienza che sembrano indicare, tra mille insidie, la via di una conoscenza "giusta, pura, luminosa"); Gianni De Martino, “Il muro del tempo” , in ALTROVE N°11, anno 2004.

L’estasi, che non è niente di speciale, una piccola esperienza, è senz’altro mediata dal corpo – mediatore indispensabile – ma non deriva dall’orgasmo né ne è la sublimazione: quello che è già sublime in sé non ha bisogno di essere sublimato, e l’estasi ha rapporti di consonanza con il “godimento d’organo”, non di causalità stretta. L’estasi è senza comune misura con l’orgasmo. Godimento al di là del fallo, immensamente al di là ed oltre il gorgo vuoto di qualsiasi godimento, la beatitudine infinita e senza causa incontra certamente un vuoto, ma un vuoto come fresca traccia che rimanda alla Presenza di chi , in noi, ci cercava, e ci fa segno.

Può accadere all’alba, o addirittura nell’aurora – ma è meglio diffidare di troppa luce, delle aurore e di quelle altre aurore chiamate notte. Dove per tanti arcobaleni e passi falsi… In genere accade nei chiaroscuri del crepuscolo poco prima della notte o poco prima dell’alba, in quei momenti che i Romani chiamavano SILENTIUM. Era la notte color d’inchiostri, di fughe e d’imboscate. E d’improvviso, a una svolta – dove si svolta una volta sola – il profumo di una pantera, un raggio di luce che al di là delle spendide rovine e delle trappole, trasfigura le apparenze spesso disperanti di questo mondo che ora traspare in nuova figura.

Caravaggio, vocazione di Matteo

La fede cattolica è un nuovo organo cresciuto nel buio, aperto all’inaudito e altrettanto concreto degli altri sei sensi ( odorato, tatto, udito, gusto, vista e mente, senso interno). La religione non è generalmente riducibile, mi pare, all’ambito del cerimoniale ossessivo o di rispettare il “vuoto” di una particolare forma di sublimazione. In particolare non lo è certamente la fede cattolica, che più che re-ligio, o addirittura din ( = debito) come nell’islam, è incontro personale con Gesù Cristo crocifisso a piè di lettera e risorto con un corpo che è carne nello Spirito: incontro personale, attraverso il nichilismo, con il mistero della croce di gloria, mediato dalle Beatitudini, la Scrittura, la trasparenza delle icone, la significativa bellezza dei dogmi, l’efficacia ( non solo simbolica) dei sacramenti, la poetica rinnovata della comunione e l’esercizio concreto della fedeltà , della speranza e della carità – gesti rari, come qualsiasi altro raro gesto di intelligenza, di poesia o di compassione.

Al di là del regime dell’ordine e della trasgressione, liberi in Gesù Cristo, l’augurio è quello di poter ardere per Lui senza bruciare. Il che, al limite, è un passo impossibile, ma perfettamente all’altezza, mi pare, della gioia e della terribilità del vivere, così come dell’impossibilità del reale.

 


 

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 Psicostoria

CHIESA MADRE E PATERNITA’ DI DIO



Mi pare che i credenti non possano negare che la paternità di Dio, e tutto ciò che comporta una tale Imago Dei in termini di vicissitudini del complesso paterno, sia un elemento decisivo della fede cristiana.

Per la psicanalisi il complesso di Edipo ha un ruolo strutturante per la psiche umana, e si annoda e si scioglie in una crisi storicamente reperibile, alla quale la clinica pone qualche rimedio per impedirne il misconoscimento e l’esito nevrotico. D’altra parte, il pensiero teologico si configura come pensiero del reale e dell’impossibilità del reale, illuminando l’ angoscia ( forse un altro nome dell’inevitabile senso di colpa, meno antico e meno criminale del credersi innocenti o indifferenti ) e il desiderio di felicità, talvolta abbagliato dal desiderio di onnipotenza infantile, senza tuttavia ridurre necessariamente la religione a una nevrosi collettiva.

Per quanto diversificato possa essere il credito che i fedeli accordano all’analisi freudiana della loro religione come “illusione” che ha nondimeno il merito di liberare dalla disperazione, hanno molto da imparare dall’analisi su ciò che significa il fatto di riconoscere e confessare Dio come Padre, Figlio e Spirito santificante ( a differenza dell’islam che a partire dal Corano afferma più volte che Dio non è il padre, e a differenza dell’ebraismo che in misura meno rigida, astratta e violenta dell’islam mi pare si limiti al salutare riconoscimento del posto di Dio ( = Padre) e all’osservanza della Legge, che non mira a salvare tanto dal peccato quanto a liberare dalla schiavitù).

Il genio del cristianesimo, la novità del credo cristiano è lo svincolarsi paolino dal “vecchio” rapporto letterale tra la Cosa e la Legge: un salto effettuato da Paolo – e con lui da un’intera cultura – che con una nuova formulazione ( “che non è certo una sostituzione o un riassunto della vecchia Legge”, cfr. Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi 1989 ) dà atto del “pungolo nella carne”, cerca di promuovere il piccolo ma sconvolgente eros a charitas e si sottopone alla novità dello Spirito e non più ai dèmoni, a una pletora di tirannici dèi del giorno e della notte, e alla vetustas litterae.

Il Credo cattolico confessa pertanto che Dio si è fatto uomo, incarnandosi “per opera dello Spirito santificatore”, in Cristo, “ Dio da Dio, Luce da Luce”, nel seno della Vergine Maria, ha espiato sulla croce ,“sotto Ponzio Pilato”, per amore di tutti gli uomini le colpe di ognuno, di ognuna, ed è risuscitato secondo Le Scritture: “ è salito al cielo, siede alla destra del Padre; e di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”.

Nell’attesa, non inerte, della venuta del “solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli”, il cristiano opera nel mondo come se appartenesse e non appartenesse a questo mondo, libero dalla disperazione, se non dal necessario senso di colpa, perlomeno “un po’”, e pratica concretamente i modi dell’aiuto reciproco e della preservazione delle ragioni di una vita che è fragile dono proveniente dagli altri ( dai padri e dalle madri) e dall’Altro, e nella credenza che l’uomo sia fatto a Immagine di Dio e la donna sia la Gloria di Dio, sostituendo peraltro i miti con il lavoro che ora si fa nella carne-coscienza, e gli idoli con l’Icona e la trasparenza teofanica dell’Icona che rimanda alla tomba vuota e all’Altro.

La religione illumina il desiderio e rivela l’inconscio. L’inconscio non è una tara. D’altra parte, dubito che tutto ciò, ovvero il desiderare di essere con il Figlio-Dio alla destra del Padre, sia nient’altro che espressione del desiderio di onnipotenza infantile, narcisismo o più semplicemente il sogno di una creatura dotata di poteri precari di ritornare sano e salvo finalmente a casa. Questo resistere nel bianco, controcorrente, esprime la sempiterna lotta del Sole con la Morte. E’ uno scrivere contro la propria dissipazione, ed è quasi un ES-o-ES che corrisponde al desiderio di evitare la sofferenza e realizzare l’illuminata felicità. Ovvero il voto di non soffrire mai più quello che tutti – malgrado i diversivi, gli anestetici, la promessa bio-tecnologica della grande Aspirina planetaria e gli accomodamenti di supeficie soffriamo ( la caducità, la malattia, la morte e la fragile felicità che prima si fa strada in un corpo giovane, liscio, fresco e piacente e poi in un corpo prudente, impaurito e che invecchia nel vuoto ).

Immersione necessaria, macerazione e – attraverso il nichilismo – l’incontro con il mistero, ovvero con la Realtà così com’è, vale a dire impossibile. Ecco un vuoto non nichilista, un vuoto come fresca traccia. Da un punto di vista antropologico e anche dell’esperienza che ognuno può fare nella vita corrente , è che la fede cattolica illumina il desiderio. La religione lungi dall’essere ( come pretende la bestialità dei Lumi, la cui veglia ha spesso generato mostri) nient’altro che un complotto dei preti per asservire le masse, si articola a una teologia che è pensiero del reale, e sul reale : vicino cioè alla realtà del corpo, delle emozioni e dell’anima vivente. La realtà ( cioè proprio quello che non va, ovvero l’impossibile) non è dialettica. E le reali, contraddittorie e complesse vicissitudini del desiderio possono darsi in diverse forme, assumere per esempio quella del bisogno più elementare, e anche essere desiderio senza oggetto, desiderio di assoluto, totalizzante, se non totalitario. E non solo in termini di brama, o concupiscenza, ma anche di voto, augurio di una vita più libera e più felice, di un reale più largo per tutti.

E’ come se ( non per menar Lacan per l’aia, perché no? ) pur nell’annientamento del vivente qualcosa ( ma i cattolici preferiscono dire qualcuno, una Persona, una Presenza, un “Tu”) preservasse irriducibilmente la sua parte. E’ da questo “irriducibile” Iddio, mi pare, che “bevuto” a grandi dosi come una specie di droga, oppio, anfetamina o veleno, derivano anche le estasi criminali dei martiri-killer islamici, in pieno marasma regressivo, se non paranoico-sacrificale, ed anche il movimento delle religioni che edificarono le piramidi, i templi, le torri, le fortezze e quelle meravigliose cattedrali che – perlomeno fino al XVI secolo, prima della scristianizzazione dell’Occidente, ovvero con l’inizio dell’espansione di attività secolari o mondane instaurate al di fuori dell’economia cristiana del desiderio – non erano costruite per essere visitate da turisti con il naso in aria sotto splendidi affreschi, insomma per incrementare il turismo e lo spettacolo in genere limitato solo all’occhio corporeo e alla moltiplicazione di un “misto” di nuove escatologie. Escatologie peraltro talmente triviali da farmi preferire di gran lunga, personalmente, non fosse che per fedeltà alla “mia” storia, l’escatologia cristiana.

Insomma, non posso e neanche voglio fingere di non essere “schiavo del battesimo” ( Rimbaud), ed anche della cresima, né che paradossalmente se non fossi schiavo del battesimo non sarei mai libero, neanche di scrivere nel modo in cui ne scrivo, all’ombra di uno spaventoso povero padre cristiano che dettava e di una madre ( anch’essa ferita, come tutti noi ) che cantava.

I FANTASMI ESISTONO

I fantasmi esistono. Vengono sia dall’esterno che dal profondo di noi stessi. Solo per tranquillità li chiamiamo fantasmi, che non sono botoli innocui, ma portatori di qualche rimorso ( ovvero di un’altra figura della colpa, reale, altrimenti forse non si darebbe rimorso). Morti dell’alba, morti fratelli, non vi affrettate, non ci assalite. Sono i morti che ci governano. E i fantasmi, un coro di fantasmi ( Hegel direbbe “ potenze interne”). Chi potrà scongiurarli ?

Potrei cavarmela forse con una battuta e dire ai morti che escono dai muri di casa con la testa vuota da dietro e si affollano come ombre, sollecitando i vivi come se questi fossero capaci di salvarli – ebbene potrei dire loro: “ Nessuna paura, anch’io sono un fantasma!”. Ma mio padre ( morto all’alba) e mia madre ( morta di sera) non erano fantasmi, ombre passate sulla polvere e neanche io lo sono. O perlomeno non sono ancora diventato un fantasma, riapparendo come un fosforo nella memoria dei miei figli, o passando tra due righe come s’imporpora un viso, con un gran bel naso da Pinocchio, oppure apparendo e scomparendo come un bianco viandante sulle rive dei sogni di un lettore fra cent’anni. In ogni caso, Tempo e Spazio non sono una risposta e il dèmone dell’interpretazione e della decostruzione, così come anche l’arte, non sono delle vere via d’uscita.

A parte pianti e lamentele, il vento che batte, la chioma che cade, ecco un’osservazione. Ella, professor Levi, afferma che “ Dio solo (= la Chiesa) detiene il monopolio sulla vita in tutte le sue forme. Per la Chiesa è proibito persino masturbare. L’uomo non ha diritti “soggettivi”, ma solo il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza”. Se è vero che il cattolico crede la Chiesa ( non “nella” Chiesa) “una santa cattolica e apostolica”, è anche vero che questa, ovvero la Chiesa non è = Dio. Mi pare che nella religione cattolica la Chiesa sia la madre degli uomini-figli di Dio. E gli dèi non masturbano, perlomeno non ufficialmente, specialmente se figli di Vergine. La tradizione cristiana, aliena all’infantile touche-pipi e ai giochi dei ragazzetti, specialmente in seminario, infatti attribuisce alla Chiesa i titoli di Vergine, Sposa e Madre.

Sposa di Cristo in quanto umanità che accoglie il Cristo, e san Paolo, riprendendo la narrazione biblica, comparerà la loro unione a quella degli sposi ( fino a ieri unione dell’uomo e della donna, in Spagna non più ). Madre dei figli di Dio, lo è per il fatto che a renderla feconda è lo Spirito di Dio, in quanto la nascita degli uomini al loro statuto di Figli di Dio non è opera di carne né di sangue, bensì una seconda nascita secondo lo Spirito e l’acqua, il battesimo che rigenera i cristiani essendo opera congiunta dello Spirito e della Chiesa. San Paolo chiama la Chiesa “Corpo di Cristo”.

Con le parole di papa Benedetto XVI: “ La Chiesa è corpo di Cristo nel modo in cui la moglie insieme al marito diviene un solo corpo e una sola carne. In altre parole: essa è corpo non secondo una identità indifferenziata, ma in virtù dell’atto pneumatico-reale dell’amore che unisce gli sposi. Detto ancora con altri termini: Cristo e la Chiesa sono corpo nel senso in cui marito e moglie sono una sola carne, così che pur nella loro inscindibile unione fisico-spirituale restano tuttavia non mescolati e non confusi. La Chiesa non diventa semplicemente Cristo, essa rimane la serva che nel suo amore egli innalza a sua sposa che cerca il suo volto in questa fine dei tempi. Ma in questo modo sul fondamento dell’indicativo che si annuncia nelle parole «sposa» e «carne», appare anche l’imperativo dell’esistenza cristiana. Diviene perciò evidente il carattere dinamico del sacramento, che non è una realtà fisica predeterminata, ma qualcosa che si realizza a livello personale. Proprio il mistero d’amore come mistero sponsale manifesta l’immensità del nostro compito e la possibilità di caduta nella Chiesa. Sempre di nuovo, attraverso l’amore unificante, essa deve divenire ciò che essa è, e sottrarsi alla tentazione di rifiutare la propria vocazione per cadere nell’infedeltà di un’arbitraria autonomia. Diviene evidente il carattere relazionale e pneumatologico dell’idea di corpo di Cristo e della concezione sponsale, e la ragione per cui la Chiesa non è mai giunta a perfezione ma ha sempre bisogno di rinnovamento. Essa è sempre in cammino verso l’unione con Cristo: ciò che comporta anche la sua propria, interiore unità che diviene, viceversa, tanto più fragile, quanto più si allontana da questo rapporto fondamentale” ( cfr.La dottrina paolina della Chiesa come corpo di Cristo. (J. Ratzinger, La Chiesa, Edizioni Paoline 1991, pp.23-28) .

TERRA CELESTE E CORPI DI RISURREZIONE

dipinto del primo ‘500 intitolato "Allegoria Cristiana" di Jan Provost, esposto al Louvre.

Nella città dei risorti con un corpo pneumatico, la Gerusalemme celeste presentata come una giovane sposa preparata per il suo sposo ( Apocalisse 21, 2), tutti sono chiamati vergini (14,4) perché si sono dati a livello personale interamente a Cristo, la Chiesa ( = l’umanità che accoglie il Cristo come Signore ) è unita con Cristo e le vicissitudini e l’enormità del desiderio hanno trovato grande pace e compimento nel “tu” che è Lui: nostro Signore Gesù Cristo, il Vivente nei secoli dei secoli.

( Come forse tutti gli innamorati sarei nel bel melone e sogno un bel finale su una specie di belvedere, e come se fossi su un palco all’Opera forse mi sto assopendo, forse mi sto svegliando. Non è forse quando ci si accorge di sognare che ci si sveglia? Una volta mi chiedevo, tra illuminazione e abbaglio: “ Svegliarsi dentro il proprio sogno, esiste forse un’altra terra per l’approdo?”. Altre volte ho sognato il ritorno alla placida orizzontalità dell’animale, dicendomi che era quello il paradiso, senza osare curiosare ancora più indietro: nella placenta, dove confluiscono e si confondono le acque della vita e della morte. Ad ogni modo, per raccontare il proprio sogno occorrerebbe essere infinitamente svegli. Svegli nel proprio sogno e nella lingua che lo dice. Non per un oltrepassamento dei sensi, ma per una loro trasmutazione a partire da una responsabilità e un lavoro che incominciano dai sogni, da una lingua e una memoria. La memoria di una una lingua madre, per esempio, che aperta all’inaudito non può esprimere – come in Dante, il doppio nella lingua – la totalità divina desiderata che attraverso la voce mite, modesta, dell’acqua trasparente, della neve “che al sol si disigilla”, del “vento nelle foglie lievi” ( dove “si perdea la sentenza di Sibilla”), del raggio di luce in cui – per superare la “corta favella” con l’invenzione di quelle parole nuove che tanto imbarazzo pongono ai linguisti – Dante dice l’ inventrarsi, l’ inluiarsi, il trasumanar per un’esperienza che è insieme concreta e inimmaginabile, reale e fuori del tempo. Se “nomina sunt consequentia rerum” ( Vita Nova, XIII), allora occorre smetterla di fare giochetti intraverbali, ed accogliere la lezione che Pound ricavava proprio da Dante, quando suggeriva di un “fare al bisogno”, del tutto diverso dall’inseguire o il fare “novità vocabolaresche”.

Non avendo imparato a camminare sulle acque, mi dico che forse è il caso di costruire qualche barca, diga o ponte su cui far passare in maniera bella, utile e significativa il mutamento. E poi, proprio come l’assassino che per un caratteristico impulso ritorna sempre, o perlomeno nella maggior parte dei casi , sui luoghi del delitto, sono di nuovo tentato di andare sui limiti. Proprio qui, nel punto esatto della fenditura di un soggetto, ovvero nel punto, intenso e feroce, in cui la vita va al di là dell’io, del mio, e dell’egoismo del piacere o del dispiacere.

La chiamano Morte, in gergo canagliesco. E il poeta, Mallarmè, per tranquillità volle dirla “un modesto ruscello a lungo calunniato”. Il varco, il segreto delle energie mutanti e l’acqua viva della creazione è qui, dove “ripullula il frangente?” ( Montale). “ Das ding!”, esclamerebbe il buon Lacan, prima agitando il fazzoletto e poi, alla fine, immobile, muto, a fare e disfare nodi borromiami su una lavagna nera ).

Sto morendo, Signore ?”. Sveglia, Giovanni, sveglia, spalanca gli occhi degli occhi, tendi la mano per altro che per masturbare il secolino o per prendere da un Oriente in ascesa sfolgorante e un Occidente al suo tramonto: noi siamo arrivati, o meglio giunti al Polo attorno cui ruotano le stelle, e abbiamo saputo che sei un viandante, la rugiada sui piedi, un po’ di nebbia nella testa e sulle spalle. Insomma, proprio mentre il Sole smette di litigare con la Morte e noi lasciamo una macchia, non c’è più ombra, né sesso né Cosa in Paradiso. E non c’è neanche la bellezza, che è parola nostalgica.

Licenziato e messo in pensione l’Arcangelo con spada fiammeggiante che impediva l’accesso a quel giardino piantato in noi da prima che cominciasse la storia, tutti i morti – liberi e felici come dovrebbero essere tutti i cari morti – aprono mille braccia, spalancano mille occhi e dicono: “ Venite, entrate tutti in giardino a riposare un poco in pace”. Suppongo che la musica sarà molto più importante dell’odio, dell’amore e degli equivoci della sempiterna lotta dell’odio e dell’ amore; e che laddove non c”è dove e niente trascina o spinge, potremo trasumanare la danza lieve e immacolata dei beati e forse discorrere eternamente su un cuscino di vere rose con Gesù.

Dico “forse” perché la scrittura non è una lapide e non ho poi tutta questa fretta di andare in Paradiso, e non vorrei neanche sembrare uno che ha la pretesa di dire a Dio come andrebbero fatte le cose nella casa del Padre.

IL TERZO TERMINE FRA LA CARNE E IL SACRO

Ora debbo lasciarla: è l’appello della campanella, è mamma-Chiesa (che, lo confesso, mi sta a cuore) che chiama tutti i suoi figli a casa per la santa Messa, quelli che siedono umilmente al suolo e quelli persi ai limiti della percezione e giocano in cielo con i bimbi morti. Sì, è mamma-Chiesa che chiama per la confessione dei peccati, l’eucarestia ( in cui il Signore ci da il suo corpo e fa di noi un solo corpo per la rinascita della Chiesa ) e la gioia di una poetica rinnovata della comunione.

Prima di alzarmi e andare a confessarmi ( costa molto meno di una seduta a pagamento di 45 minuti da uno psicoanalista) , resta del tempo per un’ultima, sia pure non definitiva osservazione. Se è nello Spirito che anima la Chiesa che diciamo con Cristo: «Abbà», perché siamo diventati figli (cfr. Rm 8,15; Gal 4,5), il conflitto tra Padre e Figlio si scioglie, o perlomeno così pare. Il terzo termine, necessario per uscire dal conflitto, è quell’apertura spirituale a Cristo che è la Chiesa, che allorché “rinasce” – personalmente, molecolarmente e cattolicamente – mi pare più in quella posizione che la psicoanalisi chiama “fallica” ( terzo termine, conseguenza della relazione d’amore Padre Figlio, che si pone nella linea paterna, e che rappresenta la potenza del desiderio) , che non nella posizione Chiesa=Dio.

In altri termini, si osserva una sovrapposizione della posizione fallica all’elemento femminile accogliente, aperto e materno della Chiesa di cui il Fallo è precisamente il luogo comune e il medio termine.

«Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,17). “Anche qui – scrive il santo Padre , la parola «spirito» non dev’essere intesa secondo la sensibilità linguistica moderna, ma dobbiamo leggerla nell’accezione paolina; in tal caso non è così lontana dal «corpo» nel significato. Essa vuole indicare una sola esistenza spirituale con colui che nella risurrezione è divenuto «Spirito» dallo Spirito Santo ed è rimasto corpo nell’apertura dello Spirito Santo. Ciò che poco fa è stato sviluppato a partire dall’immagine del nutrimento, diviene ora più trasparente e comprensibile a partire da quella dell’amore; nel sacramento come atto dell’amore avviene questa fusione di due soggetti che superano la loro divisione e divengono una cosa sola. Il mistero eucaristico, proprio nell’applicazione metaforica dell’idea sponsale, rimane il nucleo del concetto di Chiesa e della sua definizione mediante la formula «corpo di Cristo»( cfr.La dottrina paolina della Chiesa come corpo di Cristo. (J. Ratzinger, La Chiesa, op.cit.).

E’ in effetti sempre in termini di amore, di fecondità e di potenza generatrice che la tradizione cristiana ha presentato la persona dello Spirito Santificatore, tanto nell’articolazione o processione o dialettica trinitaria che per l’opera che esso svolge nel seno della Chiesa e nel mondo. Potenza maschile, è il soffio sovrannaturale che feconda la Vergine Maria, che anima la Chiesa e che genera i cristiani a nuova vita; è tale potenza ( non a caso lo Spirito Santo non viene mai rappresentato in forma umana) che manifesta la nascita e la risurrezione di Gesù ( cfr. ( cfr. A Phallic Shadow. Interview by Jacques Henric, art press no. 262, november 2000 ).

Nota. Nel lavoro La significazione del fallo Lacan esplicita il fatto che l’inconscio freudiano non tiene conto della differenza anatomica tra i sessi, ciò significa che una diversa ratio domina l’inconscio, a partire da ciò, Lacan introduce l’idea che è un ordine diverso da quello anatomico a reggere la ratio inconscia, che suppone essere l’ordine significante.

Milano, 21 giugno, san Luigi Gonzaga, Solstizio d’estate 2005

Dalla rete


Phallophanies: les images du livre
Fallofanie, la Carne e il Sacro, Éditions du Regard, 2000
, espone una scoperta. Una Cosa, nell’arte cristiana, che nessuno aveva ancora visto ( come nella “lettera rubata” di Poe, di cui parla Lacan), d’improvviso appare: sul corpo del Cristo battezzato o crocifisso affiora un fantasma fallico che interroga lo spettatore. ( Grazie al dottor Luigi Puddu per la segnalazione).

Nota 2. Nel lavoro La significazione del fallo, Jacques Lacan esplicita il fatto che l’inconscio freudiano non tiene conto della differenza anatomica tra i sessi, ciò significa che una diversa ratio domina l’inconscio, a partire da ciò, Lacan introduce l’idea che è un ordine diverso da quello anatomico a reggere la logica inconscia, che suppone essere l’ordine significante. Entriamo così nella dimensione del simbolico, il simbolico è propriamente l’inconscio ma nessuno lo sa… e se qualcuno lo vuole sapere va in fallo, fallisce, si sbaglia. Come il soggetto infante, il falloso ( in genere ripetitivo, palloso: non esattamente come questa nota che invece è una ripresa della nota 1 ) attraverserà delle fasi di erranza, prima tra tutte lo «stadio dello specchio», arrivando ad un punto in cui il desiderio sfugge al soggetto, inconscio, rimosso celato com’è nell’Altro, ciò equivale a mentire e a negare la mancanza ad essere che si traduce in angoscia ( con termine usato da Kierkegaard, poi da Lacan).

La legge del desiderio è appresa dal nostro corpo quando nel nostro mero o puro movimento ci imbattiamo nella presenza /assenza della madre, primo vero Altro- il quale risponde, solo se può e quando vuole alla nostra insaziabile domanda d’Amore. Anche quando il bambino piange perché ha fame esprime una domanda d’Amore, ciò vuol dire che l’apprendimento del linguaggio nel bambino è funzionale alla sua urgenza di significare la mancanza, per non patirne più il muto ed angoscioso peso. Al centro del grafo Lacaniano troviamo la teoria della castrazione simbolica, con cui egli cerca di significare l’indicibile di quest’assenza.

Il fallo ha una doppia valenza, immaginaria e simbolica, esso diverrà appunto, da oggetto immaginario per il possesso della madre a significante dell’impossibile soddisfacimento del desiderio.

Partendo dal complesso di Edipo il bambino, cercherà un rimedio alla dolorosa consapevolezza di non essere tutto per la madre (Altro) e lo troverà nella Parola che, dicendola, proprio per questo vela , occulta, rimuove la propria mancanza ad essere. Si chiude così il grafo con l’accettazione della mancanza che è la sola verità del desiderio.

Nota 3. Di un desiderio che nelle persone rimaste bambine, invece di diventare come bambini, si traduce nel tipico e abietto desiderio di essere amate “per come sono e mi pongo, perché pago le tasse e siamo in democrazia siamo tutti uguali e diversi”.

Tutti degni di essere amati ed accolti come vuole il cuore da qualche don Pirla con la kefiah: fossero pure il mostro di Dusseldorf, i poveri stupratori extracomunitari di Milano o di Bologna ( non senza logica ed etica inconscia proposti dalla Lega per la castrazione chimica) ** oppure i “diversi” in generale solo perché “diversi”: a partire dai poveri “resistenti” irakeni costretti dalle circostanze a torturare e a sgozzare cristiani, indù, buddhisti e musulmani “tiepidi” in mondovisione, passando per i kamikaze portati da “un vento divino” e i martiri-killer costretti, sempre dalle circostanze e dal vittimismo organizzato, a farsi esplodere per amore tra i nemici, fossero pure dei civili; per non dire di Leonarda Cianciulli, la tormentata saponificatrice di Correggio – autrice di “Confessioni di un’anima amareggiata”, scritto nel manicomio criminale di Aversa dove per fortuna fu rinchiusa prima che cominciasse a regalare, come le suggeriva il suo buon cuore e desiderio di essere amata “per come sono e mi pongo”, saponette di grasso umano ai vicini.

** LA LEGA E LA CASTRAZIONE CHIMICA DEI MIGRANTI

«Castrare con un colpo di forbice, e non necessariamente sterilizzata» gli stupratori . Per lanciare la sua "proposta" il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega Nord) ha preso carta e penna e ha diffuso una nota ufficiale senza dubbio ricca di spunti . «In una sola settimana — scrive Calderoli — a Milano sono state stuprate quattro donne e, guarda caso, i delinquenti sono tutti d’origine extracomunitaria. Si tratta di una situazione intollerabile» La soluzione ? Presto detto «Per prevenire simili reati serve una sola cosa. la castrazione fisica di quei delinquenti. Un tempo si parlava di castrazione chimica, ma personalmente sono propenso a metodi più semplici un colpo di forbice, non necessariamente sterilizzata»CALDEROLI (VICE PRESIDENTE DEL SENATO), Fonte: Il Sole 24 ore 1 luglio 2002.  Questo accadeva tre anni fa. Oggi la situazione si ripete. Dopo la recente violenza subita da una quindicenne nel parco di Villa Spada a Bologna ad opera di due marocchini , caso che è stato al centro delle polemiche innescate dalle assurde dichiarazioni del capo procuratore della città Enrico Di Nicola ( in un’intervista al Corriere della Sera ha dato la colpa a Berlusconi e alla “classe dirigente”, praticamente attenuando la responsabilità dei poveri stupratori in quanto sarebbero, tanto per cambiare, vittime delle circostanze ) giunge la notizia di un ennesimo crimine di abuso sessuale commesso da un gruppo di migranti, la cui vittima è una diciannovenne milanese che si era appartata in zona Fiera con il suo compagno. Dalla Lega, tramite il ministro Calderoli, viene ribadita la proposta di effettuare la castrazione chimica sugli autori di questo genere di crimini.

COMMENTO: Non mi pare che Berlusconi operi nel parco di Villa Spada di Bologna o nella zona Fiera di Milano. Quanto alla proposta del Ministro, il suo linguaggio sembra strutturato come un inconscio non del tutto civilizzato ( il che non è una tara), o perlomeno non all’altezza della civiltà cristiana e dei comandamenti “ Ama il prossimo tuo come te stesso” e “ Ama i tuoi nemici”, che poi sono lo stesso, spesso incompreso se non incomprensibile, comandamento. Pagano, più che padano, un tale inconscio esprime un’etica che pare quasi naturale: la solo etica che soddisfa veramente l’inconscio, quella che trova una formulazione nella cosiddetta Legge del Taglione. Si tratta di una verità psicologica rigorosamente proibita, specialmente oggi in tempi di democratica dittatura del political corretness. A dare espressione a tale verità psicologica dovrebbero però essere i poeti non i politici responsabili. A tale proposito, in una nota a margine a Il disagio della civiltà (1929) , Freud riporta uno scritto del grande poeta Heinrich Heine, che in Gedanken und Einfalle vol. II , così confessa : “ Ho un temperamento il più pacifico che esista. I miei desideri sono: un’umile capanna con un tetto di paglia, ma un buon letto, buon cibo, latte e burro freschissimi, fiori davanti alla finestra, qualche bell’albero davanti alla porta, e se il buon Dio mi volesse rendere del tutto felice, mi dovrebbe procurare la gioia di vedere sei o sette dei miei nemici impiccati a questi alberi. Prima che muoiano, con cuore commosso perdonerò loro tutti i torti che mi hanno fatto in vita: certo, si deve perdonare ai propri nemici, ma non prima che siano stati impiccati.”

Il perdono sembra avere ben poco a che fare con l’inconscio umano, è categoria davvero divina. Come lo è del resto la castità, che togliendo alla concupiscenza il suo orientamento nel tempo, trasmuta i sensi – con l’aiuto di Dio – nella luce e il calore del grande abbraccio della vita al servizio della vera Vita e "per" il Regno ( cfr. Il valore della castità evangelica) .

***

 

Francesco di Giorgio, “La Castità” (sec. XV)

Il cuore della questione di Andrew Cohen ( In questa intervista con Andrew Cohen, Padre Thomas Keating parla del celibato e della rinuncia come qualcosa di molto intenso, come l’amore di Dio che giunge a compimento dentro di noi). Nella “notte oscura” di san Giovanni della Croce, uno dei maestri del misticismo cattolico, sono descritte tre grandi prove o tentazioni, una delle quali è definita lo “spirito della fornicazione”: in essa vi sono continue ed enormi tentazioni di attività sessuali e di abbandono del celibato. Ed è in questa lotta intensa che la virtù della castità viene testata. Il rinunciante viene spinto dalle tentazioni al fondo della carne-coscienza e della sua anima, dove diventa realmente saldo di fronte a tutte le tentazioni. Fonte: innernet.it – Genere e sesso

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 EUROPA / ESPAÑA

In piazza per i diritti dei minori e del matrimonio 

Albrecht Dürer , Adamo ed Eva, 1504

Oggi in Spagna, mentre cresce l’adesione da tutto il mondo cosiddetto civilizzato, si protesta contro la deriva del governo di Zapatero e un’aberrazione giuridica che rende il matrimonio indifferenziato , riducendolo a un fatto privato, abolendo per legge la famiglia formata dall’unione dell’uomo e della donna e credendo di poter ridurre la sessualità a gestione ottimale dei bisogni.

La chiesa spagnola in prima linea per il rispetto delle differenze e la promozione della famiglia, della vita, della libertà e della memoria antropologica, storica e civile dell’Europa.

Gli organizzatori vogliono che il governo riceva ed ascolti le famiglie perché fino a questo momento e nonostante le firme raccolte a sostegno dell’iniziativa legislativa popolare “per il matrimonio e l’infanzia”, nessuno si è degnato di ricevere i rappresentanti di questa iniziativa.

D’altra parte, gli organizzatori si sono detti sorpresi per la furibonda reazione che si è scatenata da parte delle organizzazioni di omosessuali e per gli attacchi ricevuti da alcune settimane dopo la relazione elaborata da esperti sulle conseguenze nei bambini adottati da coppie di omosessuali che è stata inviata a tutti i senatori e per l’indizione della manifestazione. Da diversi siti Internet si sta incitando alla violenza contro il movimento familiare e contro la Chiesa, proponendo atti di sabotaggio della manifestazione. Si sono già registrati alcuni atti di intimidazione ed aggressione. Alla sede della piattaforma Hazteoir da mesi si ricevono telefonate, e-mail e messaggi con insulti e minacce, provenienti non solo dalla Spagna. Gli organizzatori hanno chiarito in numerose occasioni che non si vuole lottare contro gli omosessuali ma contro una legge dannosa per la famiglia. “In considerazione di queste deplorevoli situazioni – afferma Ignacio Arsuaga, Presidente di HazteOir – acquista ancora più senso uno degli slogan sotto i quali si convoca la manifestazione: “Per la libertà”. Inoltre ha dichiarato che “il dibattito sull’adozione ed il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato sottomesso a costanti tentativi di mettere a tacere ogni voce discordante, perfino proveniente dall’ambito scientifico e giuridico". (RG) (Agenzia Fides )


 C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: é il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario, contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia". (CHARLES PEGUY ) qui l’intero brano di Peguy (Il padre di famiglia il vero avventuriero).

Dalla rete

"La familia SÍ importa”, “Por el derecho a una madre y un padre”, “Por la libertad”
http://hazteoir.org/18j/

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 Psicostoria

RIUSCIRA’ LA CHIESA DI PIETRO A SALVARE, ANCORA UNA VOLTA, L’OCCIDENTE ?

Gentili amici,
A scanso di equivoci, vorrei solo chiarire la mia valutazione sulla posizione della Chiesa.
Non ho sostenuto che “sia la Chiesa a turbare l’uomo suggerendogli il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza”, anzi direi che questa, imponendo all’uomo di piegarsi al volere della Divina Provvidenza, proponga una soluzione ai suddetti turbamenti.
La Chiesa impone all’uomo di sentirsi in colpa per le proprie pulsioni vitali, che Freud ha definito Eros. Cosa molto facile da fare in quanto l’uomo si sente in colpa a priori. La religione non può instillare nell’uomo qualcosa che questi non abbia già dentro di sé, ma riattiva i suddetti contenuti per poterli canalizzare in favore della propria ideologia. Come spiega il protagonista del racconto di Kafka “Il bagno penale”: “Nel nostro tribunale, la colpa non è mai messa in discussione." Facendo leva su questi sensi di colpa, viene anche esacerbato il turbamento. Ma la Chiesa dà anche tutte le risposte: se vi affiderete alla Divina Provvidenza, i vostri turbamenti verranno risolti. La sottomissione alla Salvezza, che è sempre dipendente dalla benevolenza divina, rappresenta anche la soluzione di ogni turbamento. Quindi, la Chiesa, rappresentando delle certezze, in un’epoca di turbamenti e perdita di direzione, viene percepita come un punto di riferimento, una solida àncora, lì dove mancano lidi di approdo. Non dimentichiamo che la Chiesa è quella che ha salvato la cultura occidentale dal disfacimento susseguente al crollo del mondo antico. Siamo davanti a una ripetizione. Anche allora, allucinazioni di martirio e di Paradiso riguadagnato, furono canalizzate in ideologia salvifica. La debolezza dell’Occidente di fronte ai martiri di Allah, è il sintomo più evidente di quanto ci si identifichi con questi aspiranti embrioni.
Se anche questa volta la Chiesa cattolica riuscirà a salvare l’Occidente, è una questione aperta. Personalmente ho qualche dubbio, ma lasciamo la profezia ai profeti. Sospetto che questa volta, se salvezza ci sarà, questa verrà semmai dai “New Born in Jesus” e altri militanti protestanti che si sono cinti della spada di Paolo. Le soluzioni da questi proposte sono molto meno ambigue dei balbettii esitanti che escono dal trono di Pietro.

Iakov Levi

Non è facile, eppure comprendo che il senso di colpa resta “ il problema più importante dello sviluppo della cultura” ( Freud, 1929 ). Che “un po’” di senso di colpa sia salutare, la Chiesa cattolica lo sa molto bene, mi pare. Della Chiesa ammiro il modo in cui ha saputo trasmettere attraverso il tempo lo splendore estetico, il vigore intellettuale e la saggezza della civiltà greco-romana e di quella giudeo-cristiana. Personalmente non vivo la Chiesa come un oppio o un oppressore, e anzi sono dell’opinione che voler negare alla Chiesa ogni sapere sul bene sia una forma di odio viscerale, se non una tipica forma di sterile “rivolta di schiavi nella morale” ( l’espressione è di Nietzsche, che non è un mio maestro).

Per aiutare la Chiesa a salvare, ancora una volta, l’Occidente ( che tuttavia è mortale) è d’importanza decisiva accogliere la proposta del papa Benedetto XVI, ovvero, perlomeno come la recepiscono i cattolici più sensibili e riflessivi: quella di peccare con maggiore intelligenza, consapevolezza e grazia, comportandosi come se Dio esistesse. Per ritrovarsi nell’infinito ( “Oh,l’infinito? va’, citrullo!”, dico a me stesso) occorre prima distinguere tra il bene e il male e poi – dopo aver riconosciuto i propri errori, fatto penitenza, emendato e perdonato – unire. Altrimenti ci si dissipa nell’illimitato, nell’ illusione di una propria presunta innocenza naturale primordiale.

La Chiesa opera controcorrente, contro la dissipazione della memoria, della cultura, della stirpe, della persona cosiddetta civilizzata e della stessa lingua che lo dice. La Fede che la Chiesa cattolica propone attraverso l’incontro con Cristo mediato dai dogmi, dai riti, dalla sacramentalità dell’Eucaristia e la poetica della comunione, possiede caratteristiche di valutazione, rispetto e santificazione del corpo di carne, inteso come amore per la vita con le sue percezioni, emozioni e cognizioni e piaceri sensuali , che nell’etica protestante – e ancor più nell’islam iconoclasta, giurisprudenziale, nemico dell’apollineo, lunare, misticamente attratto dalla morte e portatore di un monoteismo dai tratti astratti e violenti – è condizionato dall’assenza della gratuità del dono e da maggiori proibizioni e divieti.

Non a caso Marshall McLuhan, lo studioso dei mass media convertito al cattolicesimo ( forse non molto amato da quei cattolici che non desiderano essere inquietati nel loro tran tran) riteneva la Chiesa cattolica il sale della modernità, ovvero della modernità tecnologica, in quanto portatrice di una fede reale e concreta quanto i sensi dell’udito, del tatto e della vista, senza dimenticare l’odorato ( l’incenso) che però è subordinato alla vista che permette una messa in prospettiva delle cose e una pluralità di punti vista – non limitati solo all’occhio corporeo, ma anche a quello della mente.

Personalmente sono grato alla Chiesa cattolica sia di Pietro che di Paolo (il cui insegnamento non è spiritualista, e neanche materialista, ma aperto all’Incondizionato e all’Inaudito ) per avermi avviato fin dalla prima infanzia al gioco ( specialmente a quello, molto educativo e formativo, della vittima e dei carnefici) e alla filosofia, alla psicologia e all’antropologia, alla poesia e alla musica, all’allegria e alla consapevolezza, alla libertà responsabile e all’amicizia.

Coinvolgendoci in una storia d’amore fra i figli e un Dio padre onnipotente che per amore s’incarna in Cristo Gesù e osa innalzari sulla croce , e additandoci, inoltre, la tomba vuota, la Chiesa cattolica forse ci ha raccontato una bella favola. E’ una favola che racconta dell’altro mondo in questo, e che quindi non spinge come nell’islam a dover ritornare in Paradiso troppo in fretta, ma anzi a vivere e a far vivere, cercando i modi dell’aiuto reciproco, come se fossimo dei fratelli e delle sorelle che si ricordano del padre, e anche della madre, dei nonni e dei maestri.

Forse è una favola, che tuttavia ci evita la sfiga di crederci tutti dei bastardi, tutti degli erranti disponibili ( come quei disertori che vagano smarriti tra le nebbie, chiedendosi quale guerra stanno combattendo e perché, avendo ormai perso il contatto con il quartier generale, o Superio che dir si voglia). Quella insegnata dalla Chiesa cattolica forse è una favola, ma è una bellissima favola in cui – personalmente – preferisco, anzi voglio credere; anche perché risveglia in noi il meglio che s’ignora e quello che in noi è ancora capace di venerazione, di rispetto e di osservanza – sia pure tra illuminazione e abbaglio, e tra rivolta e obbedienza ( per via del Peccato Originale e del libero arbitrio, che presumibilmente investe una parte della mente umana che si comporta come un sistema caotico intenzionale).

Nessuno crede se non vuole” ( san Tommaso). L’insegnamento della Chiesa cattolica ( fossero pure “i balbettii esitanti che si escono dal trono di Pietro” ) forse non mi salverà dalla violenza della storia, dall’atrocità delle cose terrene e dal “disagio della civiltà" (Das ungluck in der kultur), ma mi libera da adesso e per sempre dalla disperazione.

D’altra parte, comprendo anche coloro che si sono cinti della spada di Paolo. E’ comprensibile: cos’altro avrebbero dovuto fare gli uomini una volta individuati quelli che buttano loro giù le torri e sgozzano uomini, donne e bambini anche in mondovisione ? Finché non arriverà il momento di rinfoderare la spada di Paolo, aggiungerei anche un’invocazione a san Michele e alla sua spada, se proprio necessario per evitare mali peggiori ( come per esempio l’uso , più volte minacciato dal lugubre regime nazi-islamico degli ayatollah, di lanciare missili a testata nucleare per distruggere Israele. In tal caso, ove sopravvissuto alla catastrofe, non parteciperei alle ripetitive fiaccolate di cordoglio e di protesta all’ONU dei tanti farisei e penitenti: fra quelli che non sanno e che non avranno mai saputo, a battersi il petto e a balbettare in lingue sia ancora barbare sia civilizzate sotto nebbie radiottive dal Medio-Oriente al Mediterraneo su su fino alla Norvegia).

P.S. Il professor Levi ha anche scritto: “ Uno dei sintomi del conflitto tra il mondo protestante militante e quello cattolico conciliante trasparisce nel diverso atteggiamento di Bush da quello dell’Europa e della Chiesa verso il fondamentalismo islamico. Bush, che non a caso è un New born in Jesus, ha preso la spada di Paolo, mentre la Chiesa tiene saldamente in mano le chiavi al Paradiso di Pietro”. ( cfr. Psychohistory: un approccio psicoanalitico alla storia ).

Si tratta di una questione complessa, esplorata con perizia e competenza dal professor Levi. A tale proposito non saprei che dire di più. Se non limitarmi a un’osservazione, sia pure per obliquo, che forse potrebbe essere utile: e cioè che tra la spada di Paolo ( portatore anche di un suo caratteristico “pungolo nella carne”) e le chiavi di Pietro ( a cui Gesù disse di rinfoderare la spada, prima di farsi prendere come agnello e crocifiggere ) esiste certamente una dialettica ambivalente, se non ambigua. Mi viene infatti in mente una raffigurazione di Pietro e Paolo che si trova nella mia città, Castellammare di Stabia ( Arcidiocesi di Sorrento) , dove ho trascorso gli anni della gioventù, al liceo dai padri salesiani. Si tratta di una placca in avorio ( presumibilmente un pettine liturgico del V secolo ) raffigurante i due apostoli che si abbracciano “prima del martirio”.



I due apostoli di Gesù simboleggerebbero la concordia e l’unità della Chiesa, e fra loro suppongo esista una dialettica ambivalente, se non ambigua: Paolo è stato, forse non a caso, raffigurato dall’artigiano con la barba lunga, ed è inconfondibilmente virile, mentre Pietro, per l’acconciatura e i fianchi assai marcati, sembrerebbe quasi una donna, se non fosse per la corta barba. Tutto ciò mi sembra rimandare all’inevitabile ambiguità di psiche e al formidabile compito – volenti o nolenti – conosciuto come “riconciliazione degli opposti”. E’ proprio qui che : "spinto così dall’Es, stretto dal Super Io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia tra le forze e gli impulsi che agiscono in lui e su di lui; e noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione : la vita non è facile!" (cfr. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 31° lezione).

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 Paolo della Sala de Le Guerre Civili ha scritto:

IL COMMENTO DI PAOLO ( giunto via mail perché il pc è andato in crash)

Il tema della questione di Levi è importante. Tuttavia, pur da protestante non ecclesiale (che cioè non "tifa" per nessuna chiesa, inclusa la sua, ma solo per la Chiesa invisibile…), non convince neanche me. Intanto la chiusa, che per salvare l’Europa bisogna "cingere la spada" protestantemente… No, e lo dico da sostenitore di tutte le politiche finora seguite dagli angloamericani e Israele (con alcune riserve su Israele, ma con qualche giustificazione da dare in più). La spada è stata necessaria SOLO perchè l’Europa si era venduta al nemico. La responsabilità della guerra è dei "pacifinti" di stato…

Secondo, la concezione della Chiesa cattolica che sale dal giudizio di Levi, è alquanto vecchiotta. Pur condividendola in parte, trovo molto più interessanti le fughe in avanti che alcuni cardinali (meno i vescovi) e una piccola parte del clero hanno avute, rispetto alla chiesa storica, e ancora più interessanti sono i movimenti del basso, quelli individuali: questi sì, protestanti, nel senso buono, cioé frutto di meditazione personale… e rapporto diretto con lo Spirito. Francamente il senso di colpa del cristiano, e anche di Freud, non lo sento più mio. Sento che esso esiste, ma solo per le masse. Spiega ad esempio il comportamento dei cattocomunisti, e di qualche riccone senza colori, ma bona lè. Tant’è vero che la gente sceglie l’ipocrisia, ma non l’asservimento alla chiesa. Il problema è l’asservimento mancato a Dio, e non più l’asservimento alla chiesa, di cui frega ai laicisti, ma non più molto a me”.

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  Luigi Puddu : Innanzitutto Levi, da non cristiano, sembra avere (detto con il massimo rispetto) una sorta di conoscenza di seconda mano dell’argomento “Chiesa” e rende meno che nel suo ambito.
Noi crediamo “in” Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo; e crediamo “la” Chiesa (lo spazio esistenziale del pieno rapporto col Dio unitrino) e la crediamo una, santa, cattolica e apostolica. È una differenza di atteggiamento sostanziale: la Chiesa è Popolo “di” Dio, Corpo “di” Cristo, Tempio “dello” Spirito Santo e tanto più si dimostra “Chiesa” quanto più dice questa radicale appartenenza: che si esprime anche in una “dogmatica” (così come in una liturgia, in una morale, in una spiritualità), ma mai in una “ideologia”.
La Provvidenza, poi, non è primariamente un volere ma un ben-volere, l’iniziativa di Dio Padre che, benevolo fin dalle origini (e in nulla simile al padre kafkiano), ci ha infine, nella pienezza dei tempi, mandato Cristo Gesù, a stabilire la Nuova ed Eterna Alleanza nel suo sangue (e se l’uomo come uomo è nell’angoscia della colpa, in Lui è nella gioia del perdono).
È da uomini che hanno vissuto profondamente “l’amicizia di Cristo”, come San Benedetto, che la classicità è stata salvata e tramandata (e, se Dio vuole, lo sarà ancora).
E il fatto che papa Benedetto non sia un fondamentalista islamico, né un predicatore protestante, non autorizza a pensarlo come un “re tentenna”.

luigipuddu

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OSSERVAZIONI DI UN TOPOLINO

ULTIME NOTIZIE DAL LABIRINTO

E’ l’oceano della vita e della morte e pare un labirinto, non è vero ?

Una volta entrati nel labirinto non è facile avere la garanzia del ritorno. Anche perché la discesa in questo antro di Ciclope e kali yuga è molto facile, più difficile la risalita verso il venticello dell’alto ( inutile cercare di elevarsi tenendo sempre duro e in alto lo stendardo della Ragione, oppure tirandosi su per per i lacci delle scarpe firmate da uno spirito divino senza corpo, né memoria, né lingua, né mani per farci una carezza e al quale poter dire “Tu”! – attraverso un "tu" non privo di storicità). Riuscirà il nostro eroe a uccidere il Mostro, a salvare la sua bella e a ritornare sano e salvo a casa? Riuscirà la Chiesa cattolica a salvare, ancora una volta, l’Occidente ? E noi, se non l’anima, riusciremo a salvare perlomeno il culo, il formaggio e la psiche? Capisco i dubbi, gentili nuovi amici.

Continuo a pensare che se non ci fosse una spada da stringere convulsamente in una mano e un filo da seguire ( offerto in grazia di Arianna che per amore di quel ganzo ne regge l’altra estremità con mano sicura) somiglieremmo ancora a quei nostri lontani progenitori semiciechi, topi o sorci ad annusare l’aria del periodo Triassico ( o giù di lì) tremando acquattati tra le foglie del sottobosco di felci primordiali per l’arrivo tempestoso di qualche montagnoso carnivoro, dinosauro o crudelissimo drago della cui scomparsa presumibilmente non ci siamo ancora ripresi. Sì, perché questo labirinto sembra un oscuro ( e invischiante) guscio di chiocciola preistorica o trilobite, una ragnatela luminosa, un enorme formaggio fluorescente.

 Scusate se m’intrometto ( Arianna, la mia fidanzata, mi chiama Topolino) . Continuo a pensare che se oltre al mouse non ci fosse anche una spada da stringere in una mano ( spada sottratta per un attimo se non a una decisione di sana castrazione come vorrebbe Umberto Eco, ebbene ( riprendendo fiato e filo) se non ci fosse la spada , avanzando nell’ingegnosa costruzione l’ombra del Minotauro, gli inevitabili riflessi della colpa o dell’innocenza, gli echi delle vergini sacrificate e gli occhi allucinati dei tanti fratelli-feti agglutinati in angoli rischiarati d’irrealtà e di arcobaleni ci riempirebbero fino in fondo il cuore di “paura affascinante” ( l’osservazione è del compianto Elvio Fachinelli) , portandoci a sentirci noi stessi Minotauro sfigato, vergine sacrificata e feto allucinato, topo o sorcio tremebondo.

Questo più o meno ci dice il mito, uno dei miti maggiori dell’Occidente, quello di Teseo, così come ce lo siamo raccontato, trasmesso e cercato d’interpretare. In un’epoca cinica e disincantata, in cui psiche, quel drago prodigioso, sembra ormai ridotta a anguilla in scatola, riusciremo a ridurre Eros, Agape e Charitas a gestione ottimale dei bisogni? E soprattutto, per quanto riguarda la questione posta dal professor Levi, come conciliare – volendo – tutto questo ( compresa l’attrattiva torbida dell’insufficienza) sia con Paolo che cinge la spada ( egli stesso continuamente in dubbio e portatore di un suo caratteristico “pungolo nella carne”) con quella virile figura “con un cuore” che dice a Pietro “ rinfodera la spada”, e si lascia snobbare, tradire, bistrattatare e addirittura uccidere su una croce, gridando se non balbettando in un gemito “ Padre, perché mi abbandoni?”.

Già! Il diavolo, via Nietzsche e una pletora di devoti satanassi, lo predica morto da più di cent’anni; e( aspirando nell’aria e fra i campi di sterminio non solo dell’Europa il puzzo di quel nobile cadavere ) si ha l’impressione, quasi la concreta percezione, che Dio abbia voluto distogliere lo sguardo dalla sua più grande promessa, lasciandoci quaggiù nel secolino a sbrogliercela da soli sotto un cielo scipito e blu.

 Eppure anche qui, nonostante tutto, la speranza rifiorisce, tenace, come le erbacce nei cimiteri ( erbacce, come dicono i sapientoni, forse solo perché non ne conoscono ancora le virtù).

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 HO TROVATO UN COMMENTO

nel post qui sotto dal titolo “Cassandra e il degrado dell’Occidente”. E’ un commento del professor Iakov Levi che riporto per intero:

Posso solo aggiungere che il preludio alla disintegrazione di una cultura è appunto la perdita di identità. Il sintomo più eclatante che siamo già in uno stadio molto avanzato di questa fase finale è il Referendum sulla soggettività o non soggettività degli embrioni. Come dichiarano i manifesti di cui sono tappezzate le strade: “Siamo tutti ex (ex o attuali?) embrioni”.

La cultura occidentale non si identifica più dunque con i suoi eroi, giovani novizi adolescenti che si cingono i fianchi per sconfiggere il drago ed ottenere la bella. Non più dunque un’ acquisizione di identità attraverso il superamento del rito iniziatico puberale, esso stesso conferma di una posizione psicosessuale ben definita, ma una regressione dall’Edipo ai contenuti amorfi della placenta. “Siamo tutti embrioni”, come i martiri di Allah che aspirano all’estrema regressione intrauterina.

Questa volta la chiesa cattolica non c’entra. I cattolici almeno sono coerenti. Non sostengono che il diritto degli embrioni derivi dalla loro soggettività, ma dalla volontà divina. Dio solo (= la Chiesa) detiene il monopolio sulla vita in tutte le sue forme. Per la Chiesa è proibito persino masturbare. L’uomo non ha diritti “soggettivi”, ma solo il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza. La posizione della Chiesa non mi turba affatto. E’ un’ideologia laica, che attribuisce soggettività agli embrioni (perché no anche a spermatozoi e ovuli, a entrambi, sempre in nome dell’uguaglianza?) che considero perturbante.

Dopo tutti gli stadi precedenti, democrazia, oligarchia, tirannide, plutocrazia, la società occidentale è arrivata a un nuovo stadio: la fetocrazia.” ( Iakov Levi )

Trovo condivisibile il commento dello psicanalista dottor Levi, a parte qualche riserva sull’affermazione ( quasi lapidaria, se non un po’ troppo perentoria) che per la Chiesa “l’uomo non ha diritti ‘soggettivi’ , ma solo il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza”. A me pare che non sia tanto la Chiesa a turbare l’uomo suggerendogli il dovere di piegarsi al volere della Provvidenza, quanto il Tempo: il Tempo che prima o poi ci piega volenti o nolenti come un punto di domanda:?

Stando così le cose ( già spezzato da lontano ai gomiti e ai ginocchi, e poiché Tempo e Spazio non sono una risposta ) preferisco piegarmi alla Provvidenza adesso: piegarmi liberamente sia davanti alla nascita dell’Altro mondo in questo sia davanti alla tomba vuota, prima di chinarmi o Dio non voglia addirittura di curvarmi davanti a questa e a quella mangiatoia e quell’altra ancora e ancora, nella credenza ( avendo abbandonato una cosiddetta “illusione religiosa”) a un “misto” di illusioni : ! ( Naturalmente si tratta di un punto di vista quasi pascaliano, se non kierkegardiano; e pure “molto soggettivo”, come direbbe anche Woody Allen).

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In rete

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 LA FATTORIA DEI GEN RICH 

 Particolare di san Nicola con Bambini cm. 170 Vetroresina con occhi di cristallo 

 L’ingegneria genetica umana è inevitabile perché “il mercato globale regna sovrano”. Lo afferma Lee Silver, professore di biologia molecolare e neuroscienza alla Princeton University , sostenendo che questo condurrà a una maggiore stratificazione sociale e alla fine a specie umane separate, i “Gen Rich” e i “Natural”.  I Gen Rich controlleranno l’economia, i media e l’istruzione, mentre i Natural faranno i lavori servili. Silver liquida il destino dei Natural (che, secondo lui, comprenderanno il 90% della popolazione) con un’alzata di spalle, per poi lanciarsi in una celebrazione dell’intelligenza, della saggezza e del potere geneticamente superiori dei Gen Rich. 

Lee Silver, in his book "Recreating Eden" (1997), describes the division between the "Gen-rich" (who have artificial chromosomes with cassettes of desirable genes) and the "normals" in the year 2350. They are in the process of separating into different species : The Gene Letter by GeneSage – Archives 

 Affermazioni recenti di scienziati e studiosi sulla nuova tecno-eugenetica:

[Nel futuro] i «Gen Rich» (che saranno il 10% della popolazione americana) avranno tutti geni sintetici… Tutti gli aspetti dell’economia, dei media, dell’industria dello spettacolo e della cultura saranno controllati dai membri della classe Gen Rich… I Natural lavoreranno a basso prezzo come manovali… [Alla fine] la classe Gen Rich e quella Natural diventeranno… specie completamente separate senza alcuna possibilità di incrocio, ma con un interesse romantico l’una per l’altra, così come oggi gli esseri umani possono essere curiosi di uno scimpanzé… In ogni caso, io credo, l’uso delle tecnologie reprogenetiche è inevitabile… Che ci piaccia o no, il mercato globale regnerà sovrano”. Lee Silver, professore di biologia molecolare e neuroscienza alla Princeton University; autore di Remaking Eden: How Cloning and Beyond Will Change the Human Family.

 “La biotecnologia riuscirà a fare ciò in cui le ideologie del passato, con i loro mezzi incredibilmente grossolani, hanno fallito: creare un nuovo tipo di essere umano… Entro un paio di generazioni… avremo definitivamente scritto la parola fine alla storia dell’uomo, perché avremo abolito gli esseri umani in quanto tali. A quel punto, comincerà una nuova storia postumana.” Francis Fukuyama, docente di scienze politiche alla George Mason University.

Alcuni la odiano, altri la amano, ma la biotecnologia ci sta portando inevitabilmente in un mondo in cui le piante, gli animali e gli esseri umani saranno parzialmente prodotti dall’uomo… Supponi che i genitori possano aggiungere 30 punti al quoziente d’intelligenza dei loro figli. Forse che non vorrebbero farlo? E se non lo facessero, i loro figli sarebbero i più stupidi del quartiere.” Lester Thurow, docente di Economia alla Sloan School of Management, MIT; autore di Creating Wealth: The New Rules for Individuals, Companies and Nations in a Knowledge-Based Economy.

Non ci sono dubbi che a un certo punto del prossimo millennio fare figli attraverso il sesso sarà raro… Molti genitori accetteranno subito la possibilità di avere figli più intelligenti, belli e robusti… Le preoccupazioni etiche saranno accantonate… dalla considerazione che la tecnologia si limita a creare bambini migliori. In una società competitiva di mercato, la gente vorrà dare ai figli una marcia in più… Lentamente, si abituerà all’idea che un vantaggio genetico non è diverso da un vantaggio ambientale.” Arthur Caplan, direttore del Centro di Bioetica dell’Università della Pennsylvania.

via http://www.innernet.it/geoxml/home.htm

Dalla rete

Programma di Medicina, Tecnologia e Società della UCLA (direttore: Gregory Stock, fra i più eminenti e i più attivi sostenitori della manipolazione genetica umana) http://research.mednet.ucla.edu/pmts/germline

Vedi anche: Basta vite da scarto. Il tic dell’usa e getta

di Claudio Risé, da Avvenire, 9 giugno 2005

 "PROCEDERE SULLA CODA DELLA TIGRE "

Nel dicembre del 1990 incontrai lo scrittore americano Michael Crichton nel suo hotel milanese, a due passi dal Museo di Scienze Naturali, dove Piero Angelo e Guido Almansi presentavano il suo libro. Lo scrittore di fantascienza, 47 anni, l’aria dello scienziato distratto, con quegli occhiali da studioso e la figura allampanata ( era alto circa due metri, come si poteva non notarlo?) era a Milano per la presentazione del suo libro Jurassic Park in uscita per Garzanti, un bestseller annunciato dal quale poi Spielberg avrebbe tratto un film da cento milioni di dollari.

Il libro era una finzione, un racconto di quanto poteva succedere, e voleva essere una parabola sui rischi insiti in queste nuove tecnologie. “ L’ingegneria genetica – disse Crichton – presenta un campo di grandi promesse e di immense possibilità, ma io sono preoccupato dal fatto che possa essere usata con troppo libertà, se non addirittura con incoscienza”. Poiché nel suo libro La vita elettronica ( Garzanti 1984), Crichton aveva citato l’ I King, il libro oracolare cinese che si dice “abitato” dagli spiriti dettiscenn”, confessai di averlo interrogato anch’io sui rischi dell’ingegneria genetica, e che la risposta ottenuta era l’esagramma LU – IL PROCEDERE : “ Procedere sulla coda della tigre” : una sentenza oracolare che suggeriva prudenza e circospezione nel corso di impresa pericolosa. “ Mi sembra una risposta congrua – osservò allora Chrichton. – Anch’io talvolta interrogo I King e ottengo risposte sensate come questa. E’ un libro che m’interessa molto e ho anche scritto parecchi programmi di computer per poterlo interrogare ( …). Il segno da lei ottenuto m’incuriosisce e, leggendo l’I King, mi ha sempre fantasticamente colpito. Tra l’altro c’è un film di Kurosawa sull’uomo che cavalca la tigre: un’immagine che potrebbe essere riferita a quanto avviene in Jurassic Park e, più in generale, ai rischi delle manipolazioni genetiche.” ( Il testo completo della mia intervista con Michael Crichton si trova in “Rinascita” n.46, 30 dicembre 1990, pp.52-54, pubblicata con il titolo : ‘ Brevetti per catastrofi’ ).

L’individuazione della realtà del nuovo potere bio-tecnologico con le sue immense possibilità e anche le sue minacce attribuite alla nuova tecno-eugenetica che si profila all’orizzonte, circonda oggi di un chiaro malumore non solo il cosiddetto uomo della strada ma anche scienziati e tecnologi… Non pochi fra loro, avendo rinunciato alla cosiddetta “illusione religiosa”, considerandola nient’altro che una favola, diventano poi i preti di un laicismo che crede in un “misto” di illusioni, compresa l’illusione nel progresso e il comfort illimitati e la credenza nella cristalloterapia, negli oroscopi o ne’ I King, per non dire negli angeli new age. L’individuazione della minaccia in generale ( minaccia che può essere bio-tecnologica, ma anche atomica, ecologica, politica, economica) non manca, nella maggior parte dei casi, di una certa vena espiatoria, tipica di un Occidente che è insieme se stesso e il nemico di se stesso.

Lungo la china espiatoria, di fronte al danneggiamento anticipato dall’immaginazione o dopo che è accaduto, in genere sono tre le reazioni possibili: 1) quella nevrotica, ovvero l’auto-colpevolizzazione nutrita dall’attrattiva torbida dell’insufficienza e dall’odio di sé , che attualmente percorre specialmente l’Europa; 2) quella paranoico-sacrificale, che attualmente percorre specialmente il mondo arabo e musulmano, caratterizzato da un rapporto mistico con la morte e portato secondo moduli arcaici e sanguinari ad accusare dei propri guai sempre e solo gli altri ( gli “infedeli”, gli “ingrati verso Allah”, ovvero i kuffar come si dice con termine polemico di uso comune); quella umana e quasi eroica che consiste nel considerare la minaccia non esportabile, da affrontare come un ostacolo da superare.

Il compito di elaborare la minaccia secondo moduli meno nevrotici e meno arcaici e sanguinari, così come il compito di allenarsi a convivere con la minaccia, ovvero con la morte, all’ombra di una possibile sciagura generale, richiede certamente l’uso della ragione ( ancorché la sua sola veglia non basti per non generare mostri ), ma anche il ricorso a forze spirituali che permettano a ognuno, a ognuna, di agire per vivere e far vivere; e agli scienziati e ai tecnologi di procedere sulla coda della tigre con prudenza e circospezione: secondo scienza e secondo una verità illuminata che – come non a caso insegna la Chiesa cattolica – non è “della” coscienza, bensì “nella” coscienza.

Un’istanza molto fragile, la coscienza, in oscillazione fra illuminazione e abbaglio, e tuttavia anche un compito nella cui coltivazione attenta e consapevole ( e realizzazione con un’anima e con un corpo ) è forse possibile rintracciare – oltre che una qualche fragile felicità – la risurrezione di una gioia che resta per noi inaudita e che è il meglio dell’uomo.

Piante, animali e esseri umani non sono fatti per finire nel solito mare di pus. E, pur nell’annientamento del vivente, qualcosa d’incondizionato in loro sembra conservare la sua parte. Forse la gioia è l’essenza dell’esperienza, ed è per questo che siamo nati e dovremo morire. Sebbene , nella maggior parte dei casi,  la vera gioia in noi e tra noi s’ignori, quando non sembra passare per una porta stretta furtivamente, fugacemente, quasi colta al culmine nel suo apparente svanire in Oriente e in Occidente, la gioia resta l’ essenza indistruttibile dell’esperienza forse ancora per poco umana.

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 Referendum & stream of consciousness

BLOOMSDAY

Milano, gay pride. Manifestante per quattro “Sì”, travestito da ovocita. Foto TGCOM.IT

Si sono da poco chiusi i seggi elettorali e la notizia che a votare un referendum sbagliato siano andati quattro gatti mi arriva dalla radio accesa mentre rileggo l’Ulisse. E’ un libro che ho sul comodino da circa trent’anni, e che finora non ero mai riuscito a leggere per intero e fino in fondo: inevitabilmente fin dalle prime pagine incominciavo a sbadigliare e mi veniva una strana voglia, dopo aver fatto alle pagine qualche orecchietta, di lasciarlo lì. Intanto, penso che si tratti di una piccola vittoria dell’ Italia profonda e di quel che ancora resta della saggezza di un popolo a lungo calunniato. Non sono esattamente una  vecchia tartaruga, una "pia vecchietta con il fazzoletto in testa" e neanche un politologo: vorrei da semplice lettore commentare quanto accade in maniera indiretta, per obliquo.

L’Ulisse si svolge in un giorno ben preciso, il 16 giugno 1904: il Bloomsday, come lo chiamano gli appassionati dell’opera di James Joyce. Bloom, infatti, è il nome del protagonista della riscrittura in chiave moderna dell’Odissea omerica, con l’agente di commercio Leopold Bloom al posto di Ulisse, sua moglie Molly nel ruolo che fu della fedele Penelope e l’aspirante poeta Stephen Dedalus impegnato a ripetere le peregrinazioni del buon Telemaco alla ricerca del padre dato per disperso dalle parti di Troia…

Fin dalle prime battute assistiamo all’apparizione dall’alto delle scale del solenne e paffuto Buck Mulligan che leva in alto un bacile di schiuma su cui sono posati in croce uno specchio e un rasoio, mentre intona “Introibo ad altare Dei” e poi, dopo un attimo di sospensione, chiama berciando Kirch ( “ Vieni su, pauroso gesuita”). L’ Ulisse è un libro che ha fatto discutere anche per quanto riguarda la particolare posizione religiosa di Joyce. La presa in giro sembra fin dall’inizio un’ evidente manovra di allontanamento dello scrittore dall’ autorità di un cattolicesimo del quale si sente causalmente vittima , come si ricava dal continuo riaffiorare – in alcuni passaggi decisivi del romanzo – di un riconoscibilissimo sottotesto teologico che pare scritto da un riformatore a cui per intanto riesce solo lo sberleffo, la protesta e la negazione.

A dire “Sì” sarà alla fine la moglie di Bloom , lieta per il ritorno del marito. Il libro sta per finire ( finalmente!) e Joyce-Penelope-Molly si rallegra di non dover più tessere un drappo o lenzuolone di parole senza fine, permanendo in quell’angolo che mai si chiude, vale a dire una scrittura che si fa e si disfa fra l’ordito e la trama… Nell’ultimo capitolo dell’ Ulisse, intitolato “Penelope”, il ritorno a casa di Bloom sveglia Molly che comincia il celebre monologo in otto frasi senza punteggiatura che inizia e finisce con la parola "Sì". Mentre Bloom si addormenta, molte cose passano per la testa di Molly, come nel dormiveglia accade a molti…. Venuta meno la vigilanza della coscienza, Molly si lascia andare e senza alcun freno inibitorio entra nel dettaglio delle sue pulsioni sessuali. La sua è una trance, o piuttosto un sogno lucido tra libere associazioni, sogni, rimpianti e ricordi. Nel dormiveglia, gira come l’enorme palla terrestre con moto sognante, uniforme e monotono, essendo i suoi 4 punti cardinali i seni, il culo, l’utero e la figa, espressi dalle parole because, bottom, woman, yes.

La parola di Molly è prodiga di “Sì”, risentita e franca. Sfotte gli uomini, superficiali e viziosi, e giustifica il loro utilizzo per la riproduzione della specie. Critica suo marito ma gli riconosce grandi qualità umane e lo accetta per ciò che è, come al loro primo incontro, nel “sì” finale. Molly-Penelope, carnale e infedele, viene peraltro descritta dall’autore come dotata di humor e perfettamente sana piena amorale fertile falsa sottile limitata prudente indifferente. «Weib. Ich bin des Fleish der Stets bejaht » (Joyce a F. Budgen).

La signora Bloom ( che il 17 giugno 1904, alle due del mattino all’incirca, saltando tempo e spazio che non sono una risposta come del resto non lo è neanche la storia, ma forse solo l’Incondizionato, se fosse davvero una risposta e non un’eco ancora ci parla da Dublino, al numero 7 di Eccles street, facendoci segno dal suo letto, mentre si sente afferrare dal sonno) è  un personaggio cartaceo, e tuttavia sembra una persona viva, addirittura molto più viva di tanti suoi lettori e lettrici. In ogni caso, Molly appare al mondo così come ella sente di essere: una boccalona ( come siamo anche noi, talvolta), un corpo individuale di carne autogestita che trasuda sesso mentre si rigira nel proprio “personale”, mangia cioccolattini, fa qualche scoreggina all’insegna di una piccola idea di spirito come forza che, mirando in basso, deve dischiudere, liberare la lettera, e intanto aspetta il ritorno del marito per scopare alla pecorina, di sponda o alla cosacca “un attimino” ( “… sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì… eccetera”).

Il monologo della signora Bloom sembra esprimere una rivolta, ancora attuale, contro il moralismo edificante dei buoni sentimenti e un “bene” tradizionale, percepito come un tiranno che impedisce la possibile espansione della ricchezza corrosiva della vita reale. Da questa rivolta ottocentesca, fattasi nel solco della letteratura del Novecento e trapassata nelle piazze rosso sangue, non ci siamo ancora ripresi. “Rivolta di schiava nella morale”, sarebbe un motto nietzscheano non inadatto a Molly. Insomma, oggi Molly potrebbe inserire nel suo monologo un “ più autodeterminazione e meno vaticano”, riecheggiando quello che in questi giorni strillano gli auto(no)mi, le donne liberate ( sebbene non del tutto) dal cosiddetto ganzo e i fetocrati arcobaleno.

TUTTI FIGLI DI MOLLY

Per coloro che ancora oggi si sentono legati a una morale troppo volte presentata in modo conformista, angusto e asfittico, sbattere per così dire la realtà sul pavimento e offrirsi a un riconoscimento “obiettivo” da parte degli altri del proprio mondo e del proprio “essere in quel modo” è sentito come un elemento liberatorio. Dopo la breccia aperta da Joyce, dalla psicanalisi , dalla letteratura del Novecento e la valorizzazione del “caro corpo” ( come ironicamente e profeticamente scriveva Rimbaud) , la volontà di dirsi ( ovvero di ESprimersi) è entrata nel costume sotto l’insegna della “riscoperta del corpo”, scolorendo su tutta la società e dando luogo a un vero e proprio regime di confessione pubblica generalizzata e spettacolare.

La storia che così si esteriorizza va dal tipico comunista da salotto, felice di esporre nella sua seconda casa al mare o in montagna l’icona di Che Guevara per dire obiettivamente, una volta tanto, com’è fatto il suo mondo sempre innamorato dell’uomo sbagliato, alle pubbliche confessioni delle sorelle Lecciso o ai coming out dei Pecoraro Scanio, dei Cecchi Paone oppure di filosofi come Vattimo che tra veglia e sonno, adesso non ricordo esattamente, confessano chi in tv e chi a Vanity Flair gli amori, poco corrisposti, per questo o quel cubista. Il dilagare delle storie di piccola sessualità italiana, medio-italiana ( direi medio-europea) e anche i coloratissimi gay pride servono per dire obiettivamente ( i gay pride solo una volta all’anno) in chiave liberatoria e presunta rivoluzionaria, com’è fatto il mondo degli sfigati e di un’Europa di benestanti satolli, cinici ed annoiati, un’Europa trasformatasi, per improvvisa amnesia, nel salotto di Maria De Filippi, insomma nel mondo dei progressisti in cerca di libertà fra tante stelle e stelline sullo sfondo di un cielo scipito e blu. Sembriamo tutti usciti fuori dai conventi e dai seminari, dai misteri delle sacrestie , dei talk show e dei confessionali, dalle regole degli istituti preteschi di “paurosi gesuiti” o défroqués , fra cui oggi taluni con la kefiah, la chitarra ed il sombrero. Saremmo tutti figli di Molly ?

Non a caso recentemente Simone Morgagni, rievocando il “Sì” reiterato della signora Bloom ha potuto scrivere con semiologia disinibita che “ La nostra società si pone in un rapporto con la classe politica che può in qualche modo essere rappresentato attraverso un flusso di coscienza come il lungo monologo di Molly Bloom nell’Ulysses di Joyce, ricco all’inverosimile di spunti propositivi celati però dietro un caos apparente di suoni voci e colori” ( cfr. Molly Bloom e l’assassino del partito di Simone Morgagni).

Se il monologo di Molly piace tanto alla società letterata di sinistra, e al suo seguito di lettori che lo prende come paradigma della “liberazione del corpo” e dell’offerta di “spunti propositivi”, predispondendolo allo sfogo della barbarie, è che quasi tutti vi vedono un’illustrazione delle idee ancora in voga: la bontà originaria della natura umana, la sua corruzione ad opera della legge sociale, della civiltà, delle istituzioni, della proprietà, della decenza e anche il pregiudizio che la fede cristiana sia ostile al corpo e a una sessualità che il progresso prima o poi riuscirà a ridurre a gestione ottimale dei bisogni .

Se n’è accorto persino l’acrobatico Fini, a capo di An, quando – chissà con quanta lungimiranza – ha creduto opportuno sciogliere d’un colpo certi lacci, nodi o trecce al nuovo vento zapatero. O meglio, con le parole dell’acuminato Baget Bozzo, quando in occasione dei referendum : “ ha voluto rompere con le radici cattoliche della tradizione missina motivate dall’identità nazionale, ha tenuto conto che l’Europa marcia sulla linea di Zapatero e ha di colpo modificato la figura del partito facendogli adottare la scelta che in tutti i Paesi d’Europa è una scelta che ha per centro la sinistra”.

I lacci, purtroppo – nota Morgagni – sono sempre duri da rompere”. Chissà come mai tutte le iniziative prese dal Progresso sotto forma di movimenti e di partiti di sinistra “per cercare di raggiungere la nuova società ed i giovani in particolar modo si sono rivelate ampiamente fallimentari”. La colpa dello stallo sarebbe della mancata presentazione al popolo di “ forti programmi che stacchino direttamente col passato più prossimo, proponendo un nuovo attivismo militante che sostenga un’istruzione informatica e comunicativa di base rivolta alla popolazione in modo da renderla immune alle campagne di disinformazione che ci avvolgono quotidianamente e che rendano la partecipazione il più possibile collettiva”. La colpa, sempre dello stallo, sarebbe anche della mancanza di coraggio ( che – nota Morgagni – “non sembra abbondare”: il che riecheggia il celebre slogan di Sade : “Cittadini, ancora un passo per essere rivoluzionari!”).

In definitiva per il clero giacobino-marxista la colpa sarebbe soprattutto delle solite forze reazionarie. A livello di tali forze, infatti, lo stallo in cui ci veniamo a trovare provocherebbe “come reazione secondaria – sempre secondo Morgagni – la vittoria del centro destra alle ultime elezioni, in particolar modo per la sua componente forzista”.

LA SUPERIORITA’ DEI SINISTRATI

Scommetto che a sinistra il flop referendario verrà interpretato in questi stessi termini, ovvero come l’esito “di un’istintiva autodifesa delle classi meno istruite che si rifugiano sia nel disinteresse politico che in soluzioni politiche di stampo fondamentalmente autoritario e populista come riteniamo sia da leggere la recente sconfitta dei referendari, ovvero dell’Italia più istruita e progressista eccetera…”. La cultura, la superiorità morale e le classi più istruite, vale a dire acculturate, si troverebbero sempre e solo a sinistra. E’ il versante dal quale l’avanguardia del clero laicista pretende di liberare il popolo, o meglio i soggetti, da una specie di polizia metafisica imposta all’umanità libera, innocente e progressista con abile inganno vaticanesco. Negare alla Chiesa ogni sapere sul bene è una forma di odio: l’odio dell’abbacinato che crede di trarre un beneficio dal coprire la luce, o del prigioniero che scambia il deserto sconfinato per il paradiso. Insomma, i soliti tic della sinistra utopica e sanculotta , che allorché trapassano in programmi da applicare alla realtà provocano quei fallimenti che sono sotto gli occhi di tutti, se non proprio miseria e morte, per non dire delle vandee.

Anche nel monologo di Molly  ( come in genere non a caso accade nei monologhi )  c’è ben poco di libero e d’innocente. Ed è proprio questo monoideismo, questa indifferenza, questo solipsismo, questa noncuranza per niente benevola che Joyce-Molly dimostra per l’altro e per la sensibilità propria e del lettore, a inquietare e innervosire. “ E’ uno stare a sé, – osservava Jung in La realtà dell’anima del 1932 – una fredda non-relazione dello spirito, che sembra procedere dalle regioni dei sauri: una conversazione nelle e con le proprie viscere…”.

Trasposta dalla letteratura alla vita, quella che sembra la rivolta di un inconscio rizomatico, propositivo e desiderante contro gli automatismi sociali si riduce nella maggior parte dei casi all’espressione dell’inconscio meschino e polipesco di una massa di James Joyce in sedicesimo e di Molly stralunate. Rinchiuso nell’egoismo del piacere e del dispiacere, il cosiddetto soggetto collettivo de sinistra non supera il regime dell’ordine e/o della trasgressione, in un sistema in cui Kant finisce con allearsi con Sade. In pratica – mentre in televisione crollano torri e cattedrali in un tripudio di teste mozzate a cristiani, ebrei, buddhisti, indù e musulmani “tiepidi” – si assiste a uno scoppio spettacolare di vesciche, al disfarsi di un accumulo di simbolicità e di una storia che è la nostra, al vomitare l’indignazione, la rabbia, lo schifo che si prova nei confronti della propria identità di occidentali animati da un cupio dissolvi molto triste e che tuttavia durante i girotondi vuole apparire allegro.

Intanto, i pensieri di Molly scorrono freddamente e obiettivamente in un mondo “sdivinizzato” e preso al rovescio del cristianesimo e della pietà per la vittima quale Nietzsche non se lo sarebbe mai sognato, accumulando mobili ricordi e le considerazioni più prosaiche, in un flusso o stream of consciousness comparabile a quello da lei urinato sul suo vaso da notte, il cui yes! yes! echeggerà come un Es-o-Es in tutto Finnegans Wake. Qui, dopo aver teso l’orecchio all’inondazione delle parole della carne prudente, impaurita e che invecchia , l’artista Stephen Dedalus ( parziale raffigurazione di Joyce stesso da giovane), partirà verso l’ Oriente alla ricerca di una resurrezione del corpo nel testo: in una scrittura che se non lapide tombale resta come una lunga veglia funebre che tenta di recuperare la vita in tutte le lingue e in tante storie cercando invano di tracciare un significato nel caos del mondo: “ Finnegans Wake”.

Adesso mi sembra di capire perché non ero mai riuscito a leggere l’Ulisse di Joyce: perché ero giovane, non avevo ancora conosciuto la morte e la tragedia, e non sopportavo le lunghe veglie funebri. Anche oggi, del resto, non credo che sia proprio di un lutto, anticipato o post rem, quello di cui si ha veramente bisogno. E non dite, per carità!, che la letteratura o l’arte siano delle vie d’uscita.

P.S.

DOPO BABELE

“Più autodeterminazione meno vaticano”, come strillano gli auto(no)mi ? Se Benedetto Croce ( nomen omen ) padre nobile del liberalismo italiano fosse vivo, forse riconoscerebbe che "noi non possiamo che essere cristiani", anziché dire il suo "noi non possiamo non essere cristiani". Non possiamo che essere cristiani, non fosse che per obbedienza a quei limiti che per i nostri padri che dettavano e le nostre madri che cantavano erano parole come “fedeltà” o “disinteresse”. Erano parole pronunciate con affetto e sollecitudine da persone ferite, proprio come noi. C’è qualcosa, in noi refrattari, tuttavia aperti all’Incondizionato, se non all’inaudito, che sembra ancora capace di venerazione, di lingua madre e di memoria. Sia pure di una memoria densa, agglutinante, come pare sia la memoria di tutti gli esseri incompiuti… Dal momento che siamo in tema di stream of consciousness, lasciate che ve lo scriva in un blog un soggetto non spiritualista e non materialista, che resta e vuole restare – nel bene e nel male – gravemente cattolico, apostolico e – se non proprio romano – perlomeno “un po’” romantico…

Quei referendum sbagliati e tutti quei “Sì” ci opprimono, ci chiamano “il figlio di Ruini” e insinuano l’orribile suggestione che noi refrattari si possa essere – in un giro senza fine di travestimenti multipli – ora una massa di ovociti, ora un grappolo di feti in persona, e ora un’orda di bastardi smemorati, dei reazionari o un girotondo di orfanelli e di mullah. Queste sinistre suggestioni cercano di mettere addosso agli astensionisti consapevoli una paura tremenda. E’ imperdonabile ! Già! si perdona più facilmente a qualcuno che ci ha offesi che a qualcuno che ci ha fatto paura. Troppi “ che che che”. In ogni caso, noi refrattari cerchiamo di non cancellare ( come di solito fa la morte, riempiedo i buchi), e ci ribelliamo non andando a votare per macellare una legge che pone qualche limite al Far West. Insomma, se qualcosa ci opprime, noi ci ricordiamo chi siamo e ci ribelliamo, va da sé.

Per i cristiani ex-embrioni e tuttavia incompiuti gli ideali e i gesti concreti d’intelligenza, di poesia o di pietà, restano degli atti creatori: piccole luci e fari, non carceri o carcerieri, oppure una specie di polizia metafisica imposta con abile inganno vaticanesco all’umanità in caduta libera, innocente e progressista. Ricordo ancora, per esempio, le parole – quasi un paracadute – di Giovanni Testori, scritte nel marzo 1988, dopo la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro da parte dei compagni che sbagliavano: Perché almeno ieri, almeno oggi, almeno adesso, non si pone fine al sistema delle retoriche, opposte eppur eguali, e non si aiuta l’uomo a porsi con terribile chiarezza di fronte alla realtà? Perché chi ha la possibilità e, dunque, il dovere di farlo, non l’aiuta a capire come sia proprio la realtà sociale a naufragare una volta che essa venga privata del suo sangue sacro e religioso? Perché s’è avuto e si ha ancora il timore di dire che il Dio rifiutato è un vuoto che nessuna demagogia del benessere e dell’eguaglianza, o d’ambedue assieme, può colmare; e che quel vuoto, a riempirlo, sarà solo il cupo inferno della materia impazzita e della sua impazzita cecità e solitudine? (…) ”.

Cecità e solitudine, disperazione di massa. Incapace di vera irrisione e di rivolta, impantanata nelle sabbie immobili accademiche, editoriali e giornalistiche, l’intellettuale avanguardista giacobino-marxista crede che sia la paura dell’eccesso e non l’amore per il limite ( che dà significato alle cose, alla stessa cultura e alla vita ) a inquietare quello che resta di una coscienza, malgrado le condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza.. Sarei tentato di aggiungere : “ a inquietarci nell’attesa, non inerte né sognante, e attraverso il nichilismo, dell’incontro del mistero di gloria della croce e della risurrezione con un’anima ed un corpo di tutto quello che sembra perso fra di noi, compresa la parola”. Cancellerò quest’aggiunta. E’ un passo, al limite, impossibile. E poi non è vero che la verità è della coscienza, al limite si potrebbe dire che è nella coscienza. Ma vacci tu a districarti, in massa referendaria, dai tanti equivoci di ciò che pe tranquillità chiamiamo una coscienza, oppure anche l’inconscio. Dopo aver rinunciato ai dèmoni del Novecento e al politeismo dell’esperienza, non vorrei affliggere i quattro lettori dicendo loro di avere incontrato Gesù come quelle attricette che compaiono in tv, “con il culo ancora fresco di calendario”( lo ha notato il critico Malvino , forse sanamente ateo, grazie a Dio, eppure stranamente pur sempre attratto dall’incenso) . D’altra parte è anche vero che non avremmo potuto incontrare il vero liberatore adesso, se non lo avessimo già incontrato nella più lontana infanzia, grazie ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri maestri, filosofi, artisti, poeti, musicisti, scultori e al Vaticano.

Insomma, ciò che nella Chiesa cattolica e nel popolo italiano e cristiano resiste a un referendum sbagliato, così come anche all’interpretazione, e si rifiuta a quella vera e propria crudeltà che consiste nel mettere in pratica l’Idea, potrebbe anche essere un soggetto spirituale che resta tale anche se nessuno lo interpreta e nessuna massa lo segue: un soggetto spirituale con un’anima ed un corpo per il quale la libertà non è un obiettivo futuro, ma è sempre presente.

SOTTOTESTO

GRAZIE, MOLLY

Resisti alla tentazione di ritornare ai giochi dei ragazzetti e a un corpo simile, magari a quello di un tuo doppio “eternamente giovane”, non necessariamente di un cubista, e dai alla bella addormentata nel bosco ( talvolta anche nel basco) un bacetto per svegliarla. Per dirla in gergo canagliesco, il solo linguaggio che oggi pare comprensibile, benché qui possa apparire politicamente scorretto ma “vivace”: dove sono più i pezzi di figa ? Basta rimpianti. E’ da perlomeno ventimila anni, se non dai tempi degli Assiro-san-babilonesi, che mentre la barca affonda e tutti gridano “ Dacce le staminali… N-non v-vogliamo morirrre”, i sopravvissuti ora alla peste nera, ora alla Rivoluzione, alla restaurazione o allo sterminio, hanno dei rimpianti: il rimpianto, per esempio, di essere tra quelli che non sapevano, e che non avranno mai saputo, anche perché nella maggior parte dei casi è proprio quando si vuole sapere che ci si sbaglia…

In ogni caso, la baci – la bella addormentata – come se le lucciole fossero ritornate giù in giardino o in quel bosco e in cuor tuo speri di non aver risvegliato in lei anche Molly, Euridice, una qualche pupa travestita da ovocita militante se non da Cappuccetto rosso persa, con il dito in bocca, ai margini del bosco. Speri di non avere addirittura risvegliato Biancaneve, quella testarda, convinta di dover restare per sempre come ostaggio consenziente nella baracca dei sette nani resistenti e di non doversi svegliare mai più da quel suo tipico, caratteristico sogno d’amore che dice “per sempre un attimino… sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse del Manifesto o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì… eccetera””. All’infinito ? Sì, va’ citrullo! Vacci morsicando ( con piccoli denti) il vuoto oppure una mela verde, non ancora perduta in quel giardino che sembra piantato in noi da prima che comiciasse la storia, mentre lei fa, “ E’ da stamattina che digiti, adesso sono le 22,05  ma quando lo finisci sto post?”.

Grazie Molly, se non ci fossi tu, o zavorra adorata, saresti ( chi? ) ancora un girino nello stagno, un embrione scartato, forse a correre con una copia del quotidiano “Liberazione” nella tasca del paltò non tanto dietro alle ragazze o ai cubisti, ma proprio a correre dietro la vita; e – nel punto esatto della fenditura di un soggetto – saresti rimasto chissà quanto tempo a fare un duetto con Antonin Artaud, chiedendo al pubblico chi ha imputridito la vita e persino l’idea di vita.

Mentre sorgono tanti arcobaleni ( ovvero il tipico alone o iridiscenza dei corpi, anche sociali, splendidamente decomposti )  dacci tu una voce, signora Bloom, e chiamamaci tutti dalla casa al numero 7 di Eccles street, facendoci segno dal tuo letto, mentre ti senti afferrare dal sonno.

Grazie , Molly, se non ci fossi tu forse il fessacchiotto sarebbe rimasto a camminare avanti e indietro nella nebbia con Cèline un attimo prima di finire nel solito mare di pus.

Tante tante grazie, Molly, scoreggiona adorata: se non ci fossi tu a chiamarci a casa per uno stufato e alla festa dell’Unità per una bonaria piadina emiliana sarei rimasto con le fette di prosciutto sugli occhi seduto con i miei fratelli feti sull’uscio di casa, oppure insieme ai tanti bimbi morti  che giocano in cielo con Ruini e con Gesù.

Era la spirale, ecco cos’era. E occorre essere davvero adulti per svegliarsi e scoprire con un brivido un corpo di donna carnale e infedele, la compagna Molly che dorme o finge di dormire di traverso nel tuo letto.

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