REMBRANDT FECIT
Autoritratto di Rembrandt ridente, Wallraf-Richartz-Museum, Colonia
REMBRANDT FECIT
Autoritratto di Rembrandt ridente, Wallraf-Richartz-Museum, Colonia
LUCIAN FREUD. L'ATELIER
“Nella malattia ci rendiamo conto che non viviamo soli, ma incatenati a un essere di un diverso regno, dal quale abissi ci separano, che non ci conosce e dal quale è impossibile farsi comprendere: il nostro corpo”.
Proust, nei Guermantes
Il Centro Pompidou di Parigi dedica un omaggio singolare allo studio di Lucian Freud, uno dei più grandi pittori contemporanei, oggi 88enne. L’esposizione si organizza attorno al tema dell’atelier, questo luogo appartato e laboratorio che fonda la pratica del pittore che, attraverso il ritratto e il nudo, cerca di mostrare l’enigma e il mistero del corpo stesso della pittura ( « Voglio che la pittura sia carne »).
L'esposizione si dispiega nelle quattro grandi sale dell’ultimo piano del centro Pompidou, dove il visitatore è sovrastato da una cinquantina di opere, in gran parte pitture di grande formato, completate da una selezione di opere grafiche e dieci fotografie dell’atelier londinese dell’artista realizzate da David Dawson, assistente e modello di Freud.
Ad eccezione di The painter's room ( del1944 ), tutte le altre tele sono posteriori al 1963. Data che con Red-haired man on a chair segna l’inizio del predominio della materia sul contorno. A parte una mezza dozzina di esterni dipinti dalla finestra dei diversi atelier (da quello di Paddington dove s’installa nel 1943 per trent’anni, fino alla casa di Notting Hill passando per il loft di Holland Park ) tutte le altre tele hanno per soggetto la messa in scena del corpo fra gli oggetti rarefatti dall’atelier: qualche pianta verde, letti e poltrone usate, letti in ferro, lavabo, muri chiazzati di pittura.
Fra la serie di ritratti, spiccano i recenti e imponenti ritratti di Big Sue e quelli di Leigh Bowery , capolavori del pittore confrontato nel chiuso del suo studio con il suo modello e con il processo della creazione, fra “piccole percezioni” ( Cèzanne) e gesti crudeli ma necessari che trasformano la carne in colore e luce.
LUCIAN FREUD. L'ATELIER
PARIGI, CENTRE POMPIDOU
DAL 10 MARZO AL 19 LUGLIO
Lucian Freud su Google Images
… Et j’ veux aller là-bas
…
“Oggi – scriveva Lévi-Strauss nel 1955, in Tristi Tropici – è attraverso l’islam che contemplo l’India; quella di Buddha, prima di Maometto, il quale , per me europeo e perché europeo, si erge fra la nostra riflessione e le dottrine che gli sono più vicine come un rustico guastafeste che impedisce un girotondo in cui le mani, predestinate ad allacciarsi, dell’Oriente e dell’Occidente, sono state da lui disgiunte.Fattori inconsci e di disconoscimento sembrano essere oggi all’opera di fronte agli orrori, ormai quasi quotidiani del terrorismo islamico. In Europa si giunge fino a negare l’evidenza dell’aggressione islamista per vergogna, oppure a esagerarne le caratteristiche di “scontro delle civiltà”. D’altra parte, disorientare, colpevolizzare, sottomettere, stremare e avvilire è proprio ciò a cui mira la pratica del terrorismo jihadista. Nell’epoca dello squilibro del terrore, o si esagera o si minimizza. Spesso si distoglie lo sguardo per "non vedere".
Ma, come già notava Freud in "Disagio della civiltà", scritto nel 1929, alle soglie dell’avvento sfolgorante, quindi non visto, del nazismo, attenersi letteralmente al precetto, mette solo in svantaggio rispetto a chi non se ne cura. " Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva – osservava Freud – , se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!" Insomma, non è giusto morire vittime dell’odio che si arroga il diritto di uccidere e di distruggere « nel nome dell’islam » anche l’Amore che né da fuori né da dentro mai sarà distrutto.
Ciao Nadia. Buon ritorno all’Oriente di tutti gli Occidenti e di tutti gli gli Orienti. Buon ritorno a casa.
Passi di danza annunciano la ‘buona novella’ del Cristo crocifisso-risorto. Kolkata, la Provincia dei Gesuiti a cui appartiene Saju, è favorevole alla sua missione di evangelizzazione, perché, quando Sant’Ignazio ha parlato di una “maggiore gloria di Dio” nel contesto di “trovare Dio in tutte le cose”, ha voluto che i suoi figli spirituali santificassero ogni ambito della vita e della cultura della vita.
Diminuita virilità, quindi, nel senso tradizionale, maschilista, dei maschi, per la ridotta capacità di identificazioni decisive col padre; dall’altra parte, però “ minore drammaticità e, si direbbe, maggiore facilità e sicurezza nell’assunzione di un ruolo maschile meno impegnativo, per la maggiore autonomia della madre”. Di conseguenza, “accresciuta tolleranza delle omosessualità manifeste e di quelle tendenzialmente esistenti in ciascun maschio”.
… Passano gli anni, monsignor Scatizzi va in pensione, ma il mistero della presunta perdita, negli altri, della virilità, non cessa di ossessionarlo. Così oggi il vescovo in pensione dà un’intervista al sito ultra-conservatore Pontifex, per dire che i preti dovrebbero rifiutarsi di somministrare la comunione ai gay, in quanto “L’ostentata e praticata omosessualità è un peccato che esclude la possibilità della comunione», come peraltro esclude anche i divorziati. ( Ex vescovo: «Niente comunione ai gay» , Corriere della Sera ). Insomma, niente comunione con il Signore e fuori dal Paradiso, a meno che non ci si penta, confessandosi a don Scatizzi & C.