Gli Arhat e la via della compassione

di Daniel Goleman

Han Shan piange quando muore una persona che ha conosciuto e amato. Ryokan versa una lacrima per la sorte di un adolescente testardo. Queste sono lacrime di compassione, non di rabbia, ira o tradimento. Infatti, davanti ai travagli della vita, questi esseri sono essenzialmente imperturbabili: i loro cuori possono ancora spezzarsi alla vista delle sofferenze degli altri, ma le loro lacrime sono prive di attaccamento.

Tale è la vita emotiva degli “arhat”, i “Nobili” del buddismo, coloro che hanno estinto ogni passione. La loro è un’equanimità oltremondana; il canone Pali, i testi classici del buddismo Theravada, descrivono gli arhat come esseri così rilassati da poter facilmente “sopportare il caldo, il freddo, la fame, la sete, la puntura delle zanzare e dei tafani, le creature dell’aria e della terra, il linguaggio offensivo, le sensazioni fisiche dolorose, pungenti, dure, brutte, fastidiose e mortali”.

Questi sereni santi buddisti sono un modello prezioso, fonte di ispirazione per il meditatore comune. Ma, in un certo senso, sono problematici. Il loro aspetto sereno rappresenta un tipo ideale, la pace alla fine del cammino… Che però sembra qualcosa di remoto e irraggiungibile dalla limacciosa realtà dei praticanti.

Potrei citare un numero infinito di casi in cui, qualche settimana, giorno od ora dopo essere tornato da un ritiro in un ottimo stato d’animo (che mi piacerebbe definire, in qualche modo, “da arhat”), mi sono improvvisamente ritrovato d’umore brutto e irritabile. Per colpa del traffico, di un assegno falso, delle zanzare, dei tafani, di un linguaggio offensivo… Le diecimila seccature della vita. A un arhat non accadrebbe mai. Ma alcune recenti scoperte sulla neurofiosiologia delle emozioni mi fanno provare più comprensione per me stesso, in questi momenti.

Una parte del cervello, una struttura chiamata l’amigdala, è stata identificata come la sede dei ricordi emotivi intensi: in essa sono immagazzinati i traumi, le ferite, la paura, la rabbia ecc. Di fatto, i ricordi amari e pungenti vi sono conservati con una forza particolare: gli stessi ormoni che spingono il corpo a lottare o fuggire segnalano all’amigdala di codificare questi ricordi nel modo più indelebile possibile.

A lungo si è pensato che l’amigdala venisse allertata sulla natura emotiva degli eventi da segnali provenienti dal cervello razionale, che prima vi rifletteva sopra. Ma adesso i neuroscienziati hanno scoperto che l’amigdala ha un accesso diretto all’area che decifra nel linguaggio del cervello i segnali sensoriali provenienti dall’occhio e dall’orecchio. Questa via di accesso aggira completamente il cervello ed è in grado di provocare una reazione emotiva prima che abbiamo il tempo di pensarci.

Una vasta rete di circuiti parte dall’amigdala verso tutte le aree del cervello, rendendola capace di provocare in noi una reazione di rabbia o paura in meno di un secondo. Questo vuol dire che l’amigdala funge da irascibile e nervosa sentinella, intenta a esaminare tutto ciò che ci accade per vedere se può collegarla a qualche minaccia del passato. Se è così (e il “legame” può essere alquanto impreciso), essa suona un allarme, “sequestrandoci” emotivamente prima che la mente razionale abbia avuto letteralmente tempo di capire cosa stia succedendo.

Questo sequestro ha la forma di un arco: raggiunge un picco di intensità e reattività emotiva, poi gradualmente decresce. La domanda è: quando comincia il sequestro, quanto tempo impieghiamo a tornare in noi? Propongo che un’indicazione del progresso sul cammino consista in un più veloce tempo di recupero dai nostri sequestri emotivi.

Gli arhat, naturalmente, non hanno mai queste reazioni, anche se i dettagli delle loro dinamiche emotive dipendono dal livello e dal tipo di arhat (ed esistono tanti tipi di arhat quante sono le scuole di buddismo). Alcuni sostengono che un arhat può avere un’inclinazione passeggera verso un sentimento afflittivo, ma mai la piena emozione; come ha detto una fonte: “Gli arhat possono scivolare, ma mai cadere”. Secondo altre scuole, gli arhat hanno sradicato il minimo segno di emozioni disturbanti, in quanto “hanno vinto il nemico” – “kilesas”, o tendenze negative – “che offusca e disturba la mente”. Piuttosto, la gamma delle loro emozioni è trascendente: compassione, gentilezza amorevole, equanimità. Quando piangono, le loro lacrime sono motivate da questi sentimenti superiori, non dall’attaccamento.

Consideriamo alcuni tratti emotivi distintivi dell’arhat (secondo un elenco compilato dallo studioso svedese Rune Johanssen, ricavato da fonti Pali sulla vita di uomini e donne che divennero arhat più o meno all’epoca del Buddha): gli arhat non provano ansia, risentimento o rabbia; non hanno paure di alcun tipo e in loro non esiste lussuria o desiderio di piaceri sensoriali; non provano la minima avversione verso condizioni come la sconfitta, l’infamia e il disonore; non desiderano niente che non sia lo stretto necessario e non hanno alcun desiderio consumistico.

Allo stesso tempo, l’arhat mostra una percettività rapida e intensamente operante, oltre a un’acuta capacità di attenzione; inoltre, ogni esperienza è per lui fonte di un tranquillo piacere (non importa quanto mondana o noiosa). Gli arhat sono l’opposto di una persona goffa e maldestra: ogni loro attività è caratterizzata da compostezza e maestria. Oltre a ciò, gli arhat personificano qualità trascendentali: l’equanimità in ogni circostanza, l’imparzialità verso gli altri, la compassione e la gentilezza amorevole.

Per i meditatori moderni, il problema è che le virtù degli arhat sembrano incredibili. Forse è comprensibile. L’arhat è il prototipo buddista del santo, un prototipo che spicca nei moderni sistemi di pensiero per la sua assenza. La radicale trasformazione dell’essere rappresentata dall’arhat oltrepassa gli obiettivi e i sogni più grandi delle nostre filosofie e psicoterapie; da un punto di vista moderno, l’arhat è troppo bello per essere vero.

Per noi, meditatori comuni, la distanza tra la squallida realtà delle nostre emozioni e i luminosi standard dell’arhat sembra insormontabile. È come se questi ultimi fossero caduti da qualche galassia vicina, forse da Alpha Centauri.

Paragonarsi a un arhat vuol dire favorire la demoralizzazione. Piuttosto, proporrei un modello più accettabile per misurare i progressi emotivi dei meditatori. Anziché usare come metro di paragone i più grandi campioni olimpici di tutti i tempi, potrebbe essere utile valersi di una scala di misura più modesta.

Nella classica psicologia buddista, i “fattori mentali” – le qu
alità della mente che si combinano “aromatizzando” e definendo i nostri stati mentali di momento in momento – determinano la realtà dell’osservatore. Come dice un proverbio zen: “Per l’amante, una donna bellissima è un piacere; per un monaco, una distrazione; per un lupo, un pasto”. Questo sistema psicologico distingue le qualità mentali “pure” e sane da quelle nocive o “afflittive”. La regola pratica fondamentale alla base di questa lista è se una qualità della mente aiuta od ostacola la meditazione.

La principale qualità nociva è l’illusione, un offuscamento percettivo; tale ignoranza fondamentale viene considerata la radice della sofferenza. Tra le altre qualità percettive di una mente non sana vi sono la perplessità, che riempie di dubbi una persona, e l’impudicizia, che porta a ignorare i propri valori morali. Una terza è il narcisismo. Le restanti qualità nocive sono di natura emotiva: l’agitazione, la preoccupazione, l’avidità, l’avarizia, l’invidia, l’avversione, la contrazione e il torpore. Questa lista, ovviamente, non è solo del buddismo: chiunque abbia studiato il catechismo durante l’infanzia vi riconoscerà alcuni dei “peccati mortali” del cattolicesimo.

La principale qualità sana è l’intuizione, la chiara percezione delle cose così come sono. Una seconda è l’attenzione, che sostiene tale chiarezza. Queste due qualità, da sole, sopprimono tutte quelle negative. Un gruppo – la modestia, la discrezione, la rettitudine – è di supporto alla vita etica. Un altro – l’elasticità, la flessibilità, l’adattabilità e la bravura – dona agli arhat scioltezza naturale, serenità e maestria in ciò che fanno. Il resto – il non-attaccamento, la non-avversione, l’imparzialità e la compostezza – riflettono quella tranquillità fisica e mentale che è il “marchio di autenticità” della vita emotiva degli arhat, in quanto tali. Nella mente degli arhat non sorge alcuna qualità nociva.

Per quanto riguarda il resto di noi, queste qualità mentali costituiscono una “lista di controllo” grazie alla quale possiamo misurare i nostri cambiamenti di umore. Nella misura in cui il nostro stato mentale tende gradualmente alle qualità della lista sana – o si distacca più rapidamente dagli stati negativi – la pratica sta procedendo nella giusta direzione: verso una leggerezza dell’essere.

da: Tricycle magazine, www.tricycle.com

Traduzione di Gagan Daniele Pietrini

Fonte: INNERNET. Percorsi di consapevolezza e anima del mondo.

http://www.innernet.it/geoxml/home

Bibliografia

Daniel Goleman, Dalai Lama. Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusione., Mondadori. 2003; Daniel Goleman., Intelligenza emotiva, Rizzoli. 1996; La forza della meditazione. Rizzoli. 2003; Menzogna, autoinganno, illusione. Rizzoli. 1998.

Vedi anche:

LE GRANDI VIE SPIRITUALI
Il mandala buddhista di Gianni De Martino.
Fonte: http://www.globalvillage-it.com/enciclopedia/index.htm

***

Lama Yeshe, Buddhismo in Occidente Una via per una nuova ecologia della mente, trad. it. di Lorenzo Vassallo, prefazione di Gianni De Martino, Chiara Luce Edizioni 1990; Il Suono del Silenzio Cristianesimo e Buddhismo, trad.it. Silvia Mori, prefazione di Gianni De Martino, Chiara Luce Edizioni 1985.

Il libro Il Suono del Silenzio Cristianesimo e Buddhismo include una meditazione sulla figura divina di Gesù, la storia del santo tibetano Je Tzong Khapa e una dissertazione sullo sviluppo dell’amore e della compassione, comuni sia al buddhismo che alla cristianità.

Fonte: http://www.chiaraluce.it/Default.htm

***

Osservazione. Gesù di Nazareth era certamente uomo ed ebreo, ma Gesù risorto, il Cristo, non è né uomo, né donna, né ebreo, né gentile, né tibetano, e neanche cristiano o cristianista, buddista, musulmano o indu. Il valore " universale"  del Cristo affiora nell’esperienza spirituale nutrita dalla preghiera, la meditazione, l’uso dei sacramenti e, per quanto riguarda chi scrive, il rispetto per l’insegnamento e i dogmi della Chiesa cattolica e la fedeltà alle proprie “radici” o “rizomi” costituiti da una memoria, da una creatività  e da una storia relative.

Cristo non è solo Gesù, ma ovunque grazie all’azione dello spirito santo – che “soffia dove vuole” – vi siano cuori, menti e anime aperti all’innumerevole esistere, mani e piedi davvero in grado di riportare – non troppo in fretta – ognuno, ognuna, sano e salvo alla casa del Padre. Senza perdere mai la speranza, la consapevolezza e la pratica dei modi umani e divini dell’aiuto reciproco e dell’entrare in una relazione decente e significativa con se stessi, con l’universo o i multiversi, con gli altri e con l’Altro, in una poetica rinnovata della comunione.

In termini psicologici si tratta di non subire irresponsabilmente la prepotenza di ciò che per tranqullità chiamiamo Inconscio, quando questi affiora nelle immagini o di una natura indifferente oppure di un dio oscuro. In tal senso la divinoumanità del Cristo si costituisce anche come Imago Dei che media fra l’io e il non-io, questo mondo e l’altro, il visibile e l’invisibile.

—————

In cronaca

Articolo con il quale "Avvenire" ha riferito del convegno “Mente, cervello e spiritualità.” domenica 21 novembre 2004 "Ma i neuroni non tolgono l’anima

————-

Estratto da :

La natura della consapevolezza, intervista a Oliver Sacks

di Christian Wertenbaker

Oliver Sacks: La coscienza è solo un’interiorizzazione della disciplina dei genitori e delle sanzioni sociali, o esiste qualcosa che trascende tutto ciò, un senso del bene e del male? Io credo che esiste una forma trascendente di coscienza, che non ha nulla a che fare con ricompense e punizioni.

Christian Wertenbaker: Questa coscienza è qualcosa che si impara o è innata?

Oliver Sacks: Wittgenstein usava il termine decenza, cioè se si era esseri umani decenti. Non vedo come si può dire se una cosa come questa è appresa o innata, perché la gente, a parte i ragazzi-lupo e cose simili, subisce sin dall’inizio l’influenza del mondo della cultura. È difficile parlare della “natura umana” in quanto tale, perché siamo sempre sotto l’influenza della cultura. Questa è una delle ragioni per cui i ragazzi-lupo sono così affascinanti: per questa idea secondo cui potremmo vedere in essi la natura umana allo stato primitivo.

Christian Wertenbaker: Il sistema visivo è chiaramente sia innato che acquisito: si nasce con un sistema connettivo innato che è massicciamente modificabile dalle esperienze, e che non si svilupperà adeguatamente se non verrà esposto a queste ultime.

Oliver Sacks: Giusto. Direi che allo stesso modo può esistere una sorta di primitivo sistema connettivo morale all’interno dei lobi frontali, e tra questi e il sistema limbico ecc., lo sviluppo del quale può dipendere da complesse esperienze sociali e morali. La cosiddetta empatia è innata o acquisita?

Quando guido, sono affascinato dal comportamento sconsiderato, impulsivo, egoista, violento o criminale di certi guidatori. Questo mi fa sorgere il desiderio di conoscere più da vicino il loro tipo morale, così spesso li raggiungo per vedere la loro fisionomia morale, la posa, l’espressione dei volti.

Sono ossessionato dalla nozione delle bugie, o delle non-verità – mie o di qualcun altro – incluse quelle cose inconsapevoli che sono quasi automatiche. Nel mio lavoro, trovo che talvolta sono necessarie varie riscritture per raggiungere una sorta di correttezza morale e di equilibrio intellettuale (…).

Oliver Sacks: La coscienza è solo un’interiorizzazione della disciplina dei genitori e delle sanzioni sociali, o esiste qualcosa che trascende tutto ciò, un senso del bene e del male? Io credo che esiste una forma trascendente di coscienza, che non ha nulla a che fare con ricompense e punizioni.

Christian Wertenbaker: Pensi che esistono livelli intermedi di consapevolezza, oltre al sonno e la veglia?

Oliver Sacks: Oh sì. Ci sono dei momenti in cui si è più sensibili, in cui il proprio intuito è più vasto e profondo. Uno dei poteri dell’arte è rendere più grande e profonda, in modi diversi, la consapevolezza di una persona, che si tratti di consapevolezza estetica, morale o mistica. Questa è una funzione anche della scienza e della filosofia: favorire forme di consapevolezza intellettuale più ampie e profonde. Una persona ha degli stati d’animo, o degli umori, nei quali la consapevolezza sembra espandersi e farsi più comprensiva, accogliente, generosa, sensibile e anche particolareggiata, mentre in altre occasioni sembra restringersi. L’educazione andrebbe considerata come educazione della consapevolezza, e non solo come l’insegnamento delle varie professioni.

Esistono molte forme di consapevolezza. Per esempio, leggendo Simone Weil, avverto una straordinaria consapevolezza mistica e religiosa. Anche se non è alla mia portata e non rientra nei miei gusti preferiti, riesco ad avere un’intuizione dello spazio in cui si trova lei.

Christian Wertenbaker: Quando si sperimentano questo allargamento e questa “consapevolezza particolareggiata”, non siamo nello stesso campo di cui sta parlando Simone Weil?

Oliver Sacks: Forse. Esistono le esaltazioni. Come diceva Flaubert? “Anche la mente ha le sue erezioni”. William James pensava che le droghe, compreso l’alcool, erano mistagogiche, e certamente l’espressione “espansione di consapevolezza” era molto in voga negli anni sessanta. Anche la perdita e il dolore possono espandere la consapevolezza. Ho scritto la maggior parte di Risvegli subito dopo la morte di mia madre. Tutti i tipi di esperienza possono espandere la consapevolezza, e forse in questo c’è un elemento mistico.

Alla fine del mio libro L’isola dei senza colore, descrivo una passeggiata nella foresta in cui la percezione dell’antidiluviano, di prospettive immense del tempo, sembrava portarmi da un orizzonte egoico meschino, pressante e ordinario, a qualcosa di più spazioso e trascendentale… Un sentimento di amicizia con la terra, la sensazione di essere quasi coevo del mondo. È molto interessante muoversi tra piante, rocce, animali e isole molto più antichi dell’uomo (…).

Christian Wertenbaker: L’idea di un Dio che guarda in basso verso di te è chiaramente non-atea, ma è anche possibile considerarsi più piccoli di una cellula, dal punto di vista dell’attenzione ricevuta, e continuare a percepire l’esistenza di una sorta di scopo.

Oliver Sacks: Sì, in un certo senso si contribuisce alla storia dell’universo… Ma, detto questo, mi accorgo che parole come paradiso e inferno, benedizione e maledizione, preghiera e ringraziamento, sono spesso sulle mie labbra. Sul mio comodino tengo una Bibbia e un dizionario. Non posso dire di leggere la Bibba come se fosse letteratura, o perché mi piace il linguaggio della versione di Re Gia
como, anche se è così. Forse è un po’ come Vermeer o Bach: trovare un accesso almeno indiretto a un altro mondo o a molti altri mondi. Penso che occorre avere un atteggiamento di gratitudine per il fatto di essere vivi, e che bisogna sentirsi benedetti o privilegiati per essere qui, avere il pieno possesso delle proprie facoltà mentali e godere di discreta salute. Non sono sicuro del nome da dare a questo sentimento. Non si tratta solo di un sentimento morale. Spesso voglio dire grazie, ma a chi? Per cosa? Mi piace lavorare in un’atmosfera religiosa: tutti i mercoledì lavoro al mattino in un ospedale ebraico, e al pomeriggio in una casa cattolica.

Christian Wertenbaker: Nel pensiero medico dell’India, la mente viene considerata un altro organo di senso. Tu stai descrivendo un rapporto con il mondo che richiede la mente, perché essa può conoscere il significato di ciò che vedo; ma allo stesso tempo tale rapporto richiede qualcosa di più, perché la mente da sola non conduce a quel tipo di sentimento.

Oliver Sacks: Quando mi sento bene, ho la sensazione di essere un germoglio che sta sbocciando: questa sensazione, questa immagine biologica, per me, è l’immagine della consapevolezza e della coscienza. Non è assolutamente un’immagine meccanica. Winnicott sentiva che all’interno di ognuno c’era qualcosa di simile, che lui paragonava a un tulipano: un’identità unica e autonoma, inaccessibile alla consapevolezza, protetta da interventi o interferenze nei modi più comuni, e pensava che uno dei compiti della psicoanalisi fosse mantenere il terreno sgombro da tali interferenze. Credo che una delle ragioni per cui mi piacciono le piante sia la sensazione della loro persistenza in ciò che sono, senza essere – per così dire – spugne delle influenze sociali o altro.

Prendo la maggior parte delle mie metafore dal mondo biologico, e un numero sorprendente da quello vegetale. La gente direbbe subito: “Beh, siamo animali”, usando quindi metafore animali, ma penso che la nozione vegetale di un germoglio in fioritura sia un buon simbolo per la consapevolezza. Sono più sensibile al mondo nella natura che a quello della cultura e degli uomini. Che si tratti delle stelle, della foresta o di immersioni subacquee nelle barriere coralline, sento che queste cose espandono la consapevolezza.

Fonte:


Parabola 22:3 – Conscience and Consciousness

"The Nature of Consciousness: An Interview with Oliver Sacks”

http://www.daimon.ch/Parabola3.htm

Leggi tutta l’intervista a Oliver Sacks in italiano: http://www.innernet.it/geoxml/home

***

Sphoera Mundi. Allegoria cristiana di Jan Provost ( primi del 500), Parigi, Louvre

Osservazione: l’espansione della consapevolezza fu il messaggio dei capelloni e dei figli dei fiori degli anni 60 e 70. Ma la ricerca si svolse, nella maggior parte dei casi, in una logica di iperconsumo e una ricerca di sensazioni forti, poi scolorita su tutta la società, non portando che ai “trip” e agli “sballi”, come si disse in gergo canagliesco, alludendo a niente di buono e a qualche disastro  tecnognostico

Continuo a pensare che la mera “espansione della coscienza” sia inutile in un mondo che già trabocca di emozioni, e che occorra invece, oltre che espandere ed aprire le cosiddette porte della percezione, ovvere aprire un po’ la mente e il cuore, anche intensificare la consapevolezza: ovvero riferirla a un centro e a un significato, fissando liberamente le barriere della fedeltà e del disinteresse. Altrimenti ci si disperde nel politeismo dell’esperienza e ci si dissipa nella ricchezza corrosiva della vita, per non dire del multicultarismo di chi dopo aver rinunciato alla propria fede, considerandola nient’altro che una illusione religiosa da decostruire, si fa schiavo di un “misto di illusioni” scientiste, neo-gnostiche e new age, compresa la credenza nelle cosiddette "energie" e nella cristalloterapia.

Vorrei poter dare le dimissioni dalla mia generazione sfortunata, quella che dopo aver rinunciato ai dèmoni del Novecento, da un po’ di tempo ha incominciato ad affliggere il mondo con gli angeli new age e l’orribile prospettiva – fra le tante escatologie triviali nate dall’andare dove porta il cuore – di un futuro rosa confetto e zapatero. Per non dire della dèrive ( questa idiozia ! ) in un giro senza fine – magari queer o dionisiaco – di travestimenti multipli che non mettono i progressisti in relazione con niente e nessuno, finendo come finiscono nel trash, ovvero la solita immondizia piagnucolante e il mare di pus ( rida chi può: nella maggior parte dei casi i credenti nell’economia rosa non offrono per niente spettacoli gioiosi o gai, e neanche gay. Quando poi hanno la disgrazia di credersi anche gnostici, nel loro nichilismo, tutto quello che sanno fare è offrire un pezzetto di carta assorbente alle creature che stanno
per affogare, rallegrandosi – come i miei colleghi dell’Adelphi – di veder passare il mondo. Magari tra le braccia di Sophia, se non di qualche Natura simile a una ballerina bella e naturalmente indifferente) .

***

In rete

leggi "Il Dio della Rete"

di Carlo Formenti

Fonte: http://erewhon.ticonuno.it/

***

Articolo con il quale il quotidiano della CEI "Avvenire" ha riferito del convegno “Mente, cervello e spiritualità.” domenica 21 novembre 2004 "Ma i neuroni non tolgono l’anima

E questo è l’articolo con cui ne ha parlato "L’espresso" : www.chiesa | La chimica dellanima
( Da “L’espresso” n. 45 dell’11 novembre 2004. di Sandro Magister ).

Pubblicato in Varie | 3 commenti

DOPO L’ONDA “ASSASSINA”

” VIVERE, SOLO VIVERE ?”

Innocente Onda in arrivo. Spiaggia di Hat Ray Lay ( Thailandia)

Vivere, solo vivere e fare letteratura, esiste forse un sogno più bello e crudele di questo? Dopo la grande onda “assassina” – troppo a lungo calunniata – la disillusione è lenta, si fa nel solco di uno sveglione di capodanno e con l’assistenza degli psicologi e degli psicopompi. Tanti ragazzi che saltellavano tra le onde e amavano fare il surf su cavalloni immensi mentre il sole giocava sui loro ombelichi, oggi sono stupiti da una natura ballerina che riduce le isole coralline a una pozzanghera e rimescola indifferentemente pezzi di creature, di tavole che galleggiano e avanzi di radici.

————

Se qualcuno, magari non proprio il Grillo parlante o Topolino, ci avesse preavvertiti gentilmente dell’amarezza che è al fondo della cosiddetta natura e della sua solare e ridente innocenza, forse saremmo rimasti meno stupiti, non saremmo diventati così buonisti e avremmo potuto fare come Rimbaud quando una sera prese la Bellezza sulle sue ginocchia e la sculacciò. Che scompiglio nel giardino della natura, così come in quello della bellezza artistica !

Un tempo, se ben mi ricordo, la mia vita era un festino dove si aprivano tutti i cuori, dove tutti i vini scorrevano.

Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. – E l’ho trovata amara. – E l’ho ingiuriata…

Mi sono armato contro la giustizia.

Sono fuggito. O streghe, o miseria, o odio, è a voi che il mio tesoro è stato affidato!

Io giunsi a far svanire nel mio spirito tutta la speranza umana. Su ogni gioia per strozzarla ho fatto il balzo sordo della bestia feroce.

Ho invocato i boia per mordere, morendo, il calcio dei loro fucili.

Ho invocato i flagelli, per soffocarmi con la sabbia, con il sangue. La sventura è stata il mio dio. Io mi sono disteso nel pantano. Io mi sono asciugato all’aria del crimine. E ho giocato dei bei tiri alla follia.

E la primavera m’ha portato l’orrendo riso dell’idiota ( magari zapatero, n.d.t).

Ora, proprio da ultimo essendomi trovato sul punto di fare l’estrema stecca, ho sognato di ricercare la chiave dell’antico festino, dove io riprenderei forse appetito.

La carità è codesta chiave. – Codesta ispirazione prova che io ho sognato!

Tu resterai iena, ecc. …,” si risente il demonio che m’incoronò di sì amabili papaveri. “Giungi alla morte con tutti i tuoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i peccati capitali.”

Ah! me la son presa troppo: – Ma, caro Satana, io te ne scongiuro, una pupilla meno irritata! e nell’attesa di qualche piccola vigliaccheria in ritardo, tu che ami nello scrittore l’assenza di facoltà descrittive o istruttive, io ti stacco questi pochi orribili foglietti dal mio quaderno di dannato ( Arthur Rimbaud, Les illuminations – 1873).

***

Se le scienze, comprese le scienze umane ( spesso così poco umane!) non avessero trattato l’aspetto religioso della vita umana come un’arcaica favola primitiva, forse ciò che è avvenuto il 26 dicembre 2004 a quelle stesse isole da sogno di sui sopra, avrebbe suscitato meno stupore. Ricordo, incidentalmente, che uno stesso effetto confuso e stuporoso oscurò un mondo ballerino, il nostro, che l’11 settembre 2001, giunto al Ground Zero, si popolò di formichine incazzate e di penitenti incalliti, di buonisti farisaici e di fanatici pronti a circoscrive ogni minaccia nell’ambito di qualsiasi “diversità” o “diverso” sulla cui schiena appoggiare apocalittiche e salutifere bastonate – lasciandosi peraltro sfuggire quelle carogne di Bin Laden e dei suoi fratelli, in un pianeta che vive ancora nella convinzione della propria eternità. “ È una convinzione sbagliata di origine aristotelica – scrive René Girard – e che non mette in conto la possibilità che il nostro universo un domani possa essere distrutto…”. Distrutto dalle stecche prese da una natura bella, indifferente e ballerina, oppure dalle forze dell’odio che agitano tanti fratelli poco evoluti, in preda alle sempiterne forze dell’invidia e del rancore che naturalmente, insieme ad un eros smemorato, vanno consumando da sempre, pare, una battaglia in tanti cuoricini e cervellini presi in un giro che sembra senza fine di travestimenti multipli, anche armati di bombe-umane e coltellacci.

Insomma, se un padre non avesse dato le dimissioni e ci avesse detto ( magari senza fare il “ggiovane”, il cristalloterapeuta o il don Pirla con la kefiah) che questa vita bella e terribile non è tutta rose e fiori, e che durante i girotondi si può affogare come mosche all’orlo del bicchiere del liquore preferito, forse ciò che è avvenuto il 26 dicembre 2004 alle isole da sogno e le rovine delle discoteche che chiudevano solo all’alba, avrebbe davvero suscitato meno stupore. Ci avrebbe solo profondamente addolorati e – dopo il lutto, traumatico ma breve, perché non è di un lutto atroce che abbiamo bisogno, sia esso anticipato o post-rem – ebbene, dopo l’esame di coscienza, avremmo cercato e trovato i giusti modi dell’aiuto reciproco. Siamo invece, nella maggior parte dei casi, ancora a chiederci chi è “il colpevole” di turno, dimenticando che la natura è semplicemente indifferente al vivo verde, ai fiori e al dolore e alla fragile felicità delle creature.

D’altra parte, dove ci si potrebbe mai riprendere se non nel grande abbraccio della Vita, sperando che i tanti bimbi persi che giocano nel cielo, e quelli ritrovati che giacciono nel fango, possano un giorno ritornare finalmente a casa sani e salvi fra le braccia di un padre ?

E’ un passo, quello della fede, al limite impossibile. Pare, infatti, che sia sempre troppo presto, o troppo tardi ( specialmente dal giorno in cui il diavolo ha sparso la notizia che Dio è morto il secolo scorso, mentre i padri si davano chi alla macchia e chi alla fuga, magari in compagnia di Zapatero in corsa sotto il sole che ride verso un futuro rosa confetto). Eppure il Vecchietto oggi sembra più vivo e arzillo che mai, e forse davvero lo è … forse siamo noi che non ci sentiamo così vivi e che con l’andar del tempo ci curviamo su questa o quella spiaggia come tanti punti di domanda: ????????????????????????????

Fino al punto da dimenticare che Quello è lo stesso che fa segno ai suoi pesciolini, all’ulivo e alla colomba dopo ogni diluvio, e si fece Presenza in un “roveto ardente”: i cui raggi mistici potrebbero, nella loro eccedenza, anche costituire il segreto del linguaggio, e non essere nient’altro che modeste anticipazioni dei raggi tecnici.

Ma tutte quelle vecchie favole così vicine al corpo, all’intelligenza emotiva e all’anima, sembrano ormai dimenticate “un attimino”. E, diventati giornalisti, psicologi e sociologi – magari dopo un’infanzia mite e dopo aver sognato, da giovani, di morire per odio o per amore – osiamo persino – lasciando laggiù Giobbe solo con il suo e nostro letamaio- continuare ad accusare un Dio che è oltre ogni nome e idea di debolezza o forza, di sconfitta o di vittoria. Accusare cioè storditamente un Padre, pare, che non darà mai le dimissioni e che forse ci vuole intrepidi, sensibili e riflessivi come fratelli e figli, e che comunque ci lascia per sfortuna o sventura liberi.

***

In cronaca



Per quanti s’interrogano in questi giorni sul senso delle “prove anche più difficili e dolorose”, segue il testo integrale delle parole di Giovanni Paolo II prima dell’Angelus. Il santo padre è un uomo autorevole, il quale poiché oggi viene considerato tra numerosi filosofi & sociologi un “ritardatario” e un personaggio “superfluo”, non può che essere – dico a me stesso – un vero amico. L’accenno è a una frase di Sören Kierkegaard : “ “Un amico, di fatto, non è quello che tra filosofi chiamano l’Altro necessario; è l’altro superfluo”. Ecco il testo delle parole del papa, ce l’avete sotto gli occhi:

“In questa prima domenica del nuovo anno risuona nuovamente nella liturgia il Vangelo del giorno di Natale: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Il Verbo di Dio è la Sapienza eterna, che opera nel cosmo e nella storia; Sapienza che nel mistero dell’Incarnazione si è rivelata pienamente, per instaurare un regno di vita, di amore e di pace.

La fede poi ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose, – come nelle calamità che hanno colpito nei giorni scorsi il Sud-Est Asiatico -, Dio non ci abbandona mai: nel mistero del Natale è venuto a condividere la nostra esistenza.

Il Bambino di Betlemme è Colui che, alla vigilia della sua morte redentrice, ci lascerà il comandamento di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato (cfr Gv 13,34). E’ nell’attuazione concreta di questo ‘suo’ comandamento che Egli fa sentire la sua presenza.

Questo messaggio evangelico dà fondamento alla speranza di un mondo migliore a condizione che camminiamo nel ‘suo’ amore. All’inizio di un nuovo anno, ci aiuti la Madre del Signore a fare nostro questo programma di vita”.

Fonte : AsiaNews

***

Consiglio di lettura

Sören Kierkegaard ( 1813 – 1855 )

Le sue opere più significative : Sul concetto di ironia; Aut aut (di cui fa parte il Diario di un seduttore); Timore e tremore; La ripetizione ( oppure La ripresa) ; Il concetto dell’angoscia; Il punto di vista sulla mia attività di scrittore; La malattia mortale; Esercizio del cristianesimo.

***

Brevi frasi di Sören Kierkegaard

“Un amico, di fatto, non è quello che tra filosofi chiamano l’Altro necessario; è l’altro superfluo”.

“La fede comincia là dove la religione finisce”.

“ La fede si può definire un’illogica fiducia nel verificarsi dell’improbabile”.

“La vita: la si comprende guardando all’indietro, la si vive guardando in avanti”

.“Se mi etichetti mi annulli”.

“L’uomo non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come per esempio della libertà di pensiero; pretende invece come compenso la libertà di parola”.

“Parlo volentieri con i bambini, perché in fin dei conti si può sperare che diventeranno esseri ragionevoli. Quanto a quelli che li sono diventati, ah! Signore!”.

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

BUON ANNO NUOVO


Capodanno “minore”, tra lutto e attesa non inerte.

NOTERELLA ANTROPOLOGICA

L’Indonesia possiede nel proprio territorio il maggior numero di vulcani attivi al Mondo. Circa 75.000 anni fa è stata sede della più grande eruzione di tutti i tempi finora individuata: quella del vulcano Toba nel Nord dell’isola di Sumatra (isola oggi spostatasi per effetto del maremoto del 26 dicembre 2004 ). Il professor Stanley Ambrose dell’università di Illinois a Urbana-Champagne crede che l’eruzione del vulcano Toba in Sumatra abbia contribuito a una drastica glaciazione. L’inverno glaciale approssimativamente 70.000 anni fa comportò l’abbassamento dei mari e la siccità in molte zone dell’Africa, con conseguente scomparsa di molte specie.

Per inciso, anche oggi scompaiono molte specie, ma per effetto di quell’altro terremoto che è l’azione dell’uomo operata sulla natura non più considerata “sacra” o vista alla luce della poesia e della trasfigurazione, ma unicamente dell’utilità. Tanto che, come osservava il poeta Ceronetti, gli animali oggi non ci fanno più paura se non attraverso l’incubo della loro estinzione. E’ possibile che durante il traumatico e difficile periodo della glaciazione a cui contribuì l’eruzione del vulcano Toba ( oggi un lago ) in Sumatra circa 70 o 75 K.Y.A. or sono vi fu quella migrazione ricordata come la distruzione della più antica Lemuria, e che un piccolo gruppo dei nostri antenati proto-umani si siano ritirati nelle rimanenti aree temperate, umide e montagnose subartiche. Una tra le possibili aree di ritirata per i nostri antenati proto-umani potrebbe essere stata negli altipiani abissini dell’Etiopia, tra le più alte ed estese aree montuose dell’Africa. Qui in un paesaggio allora cosparso di foreste di betulle e di conifere, ripresero la ricerca di cibo e acqua: incominciando a organizzare i modi dell’aiuto reciproco nel corso della raccolta e della caccia. La memoria del trauma che fu insieme una rottura ( fra lampi, tuoni e maremoti) e inizio ( sotto un cielo che finalmente dopo lo scampato pericolo dell’estinzione dovette apparire loro più ampio , più sicuro, luminoso e significativo) rimase, e si trasmise attraverso il racconto dei miti dell’origine di generazione in generazione. Nacquero i primi culti resi ai morti, agli spiriti e ai pianeti, s’incominciò a prendersi cura gli uni degli altri e a stupirsi del vivente. Il mondo non appariva loro attraverso le idee, ma le percezioni, il fiuto e le emozioni molto più vicini al corpo e al grato sentimento del pericolo scampato, la meraviglia di ritrovarsi, sia pure in pochi, sani e salvi

L’ultima glaciazione risale a circa 35mila anni fa. A quell’epoca, e già prima, l’uomo di Cro-Magnon aveva preso il posto di quello di Neanderthal. Questa è anche la data approssimativa (36.000 anni fa), in cui secondo lo storico egizio Manetone (III secolo a.C.) ebbe inizio il governo degli dèi sulla Terra. Dopo il governo degli dèi, durato 13.900 anni, governarono semidèi e spiriti della morte (forse seguaci di Horus, se non di Seth).

I proto-umani e poi gli umani – quasi incidentalmente e con giusta imprecisione – dopo ogni cataclisma accelleravano così la loro evoluzione verso il tipo di homo sapiens sapiens che poi inventò le religioni, le arti e – appena 5 o 6mila anni fa anche la scrittura. Un tipo di homo sapiens sapiens, peraltro bipede, che oggi – con non poca insipienza – popola e domina con arroganza il pianeta Terra entrato, ancora una volta, all’ombra di una possibile sciagura generale, e forse di un nuovo, traumatico, piccolo salto evolutivo.

Non a caso, oggi sembriamo ancora esposti a quell’ imprevisto e a quel’inaudito che ai nostri antenati dovette apparire non solo nei fulmini del cielo ( da cui siamo al riparo, nella maggior parte dei casi, dal giorno in cui Franklin inventò per fortuna i parafulmini) ma anche e forse soprattutto dovette apparire nella luce di un arcobaleno o di qualche aurora boreale che dovette far sembrare loro il cielo più ampio, e quasi una promessa di significato, di una quasi erotica alleanza fra cielo e terra e di nuove nascite e di aurore future.

Tenace, come le erbacce dei cimiteri ( erbe chiamate “erbacce” dai sapientoni, forse solo perché non ne conoscono ancora le virtù), rinasceva la speranza. E il compito dei primi Scribi, oltre a quello di tenere i conti per il Despota, consisteva probabilmente anche nel trasmettere speraza di generazione in generazione. Forse anche allora esisteva qualche Scriba che non scriveva per il Potere, non scriveva per il Ribelle, e neanche per essere punito, ma si ostinava a scrivere, malgrado tutto, contro la dissipazione propria, della memoria e della stirpe del cosiddetto uomo civilizzato, nella maggior parte dei casi ancora tentato dall’inumano.

In ogni caso, ogni uomo è in bilico: basta una goccia d’acqua per far saltare ogni computer e spegnere tutte le luci di villaggi, metropoli brulicanti e grand’hotel. Tuttavia forse i pesciolini ( così come venivano chiamati nei primi tempi i cristiani, e oggi quello ne resta) , continueranno a nuotare più vicini al corpo, alle emozioni, ai sentimenti e all’anima, dove – anche a costo di sembrare dei ritardatari – ancora vive in loro la memoria e l’esigenza, antropologicamente inevitabile, della croce, e la speranza nella resurrezione. Perché l’Uomo che osò innalzarsi nella catastrofe , pensando a noi risorse – perlomeno a chi scrive così piace credere – dal momento che se non risorse allora, non risorgerà neanche adesso o in futuro.

Non essendo angeli e non avendoci “ancora” la tecnica e la scienza forniti di piedi in grado di camminare o levitare sulle acque, ci stiamo dando una mano a rinforzare qualche diga o ponte, se non qualche arca per attraversare Tempo e Spazio, che comunque non sono una risposta. Può darsi che il futuro sarà quello del dio forte, non del nostro debole bambinello e “cadaverino appeso ai muri” che tanto scandalizza barbuti dalla voce dura e donne mascherate nelle scuole e negli uffici pubblici. In ogni caso, come constatava uno sbalordito e preoccupato san Rimbaud “ noi andiamo verso lo Spirito!”. E William Shakespeare – che Giovanni Testori, altro “orribile lavoratore”, ovvero un poeta, riteneva fra gli ultimi profeti – avvertiva : “Tutto ciò che vive deve morire, passando dalla natura all’eternità”.

Certamente è intenso e feroce ogni punto in cui la vita va al di là ( ogni nascita e ogni morte è terribile, come lo è ogni trauma personale compresso nell’imbuto del privato, oppure collettivo e dispiegato su intere società ). Tuttavia forse è meglio andare nello spirito come uomini e donne, fratelli e figli al Padre, anziché come orde di Bastardi smemorati, di Titani tuoneggianti o d’insignificanti Cibionti interconnessi. Meglio andare nello spirito con una Grazia che abbia cuore e significato umani, una Carità meno pelosa e un Amore che abbia umana forma divina, in una poetica rinnovata della comunione.

Perlomeno è questo l’augurio per un capodanno 2005 che oggi si celebra, anche nel nostro Paese, nella consapevolezza del lutto e del dolore altrui, così grandi da diventare il nostro. L’augurio è che tutto vada per il meglio, nel grande, consapevole e imperfetto abbraccio di un mondo che non è eterno e di una vita che non è tutta rose e fiori. Ma che comunque contiene rari gesti d’intelligenza, di poesia, di bellezza e di pietà, e un significato che molto probabilmente – riprendendosi, volendo, tra Libertà e Grazia – trascende i nostri precari poteri umani e tecnocratici

Poteri precari tra un cielo e una terra entrambi belli e terribili, mentre passa anche questo capodanno “minore”, celebrato nel lutto e nell’attesa , non inerte.

Il lavoro del lutto comporta così, ancora una volta, l’apertura di una mente e di un cuore a tratti inattesi e all’imprevisto. Se non l’accoglienza di quel’inaudito che ai nostri antenati proto-umani dovette, dopo il trauma e la catastrofe, rivelarsi ai raggi di una Gloria che rischiarava e dava significato a tutte le palafitte, le caverne e le case della morte. Non si costruiscono anni nuovi e nuovi mondi possibili, o anche impossibili, senza fatica e la disponibilità a lasciarci meravigliare “come” bambini. Tanti cari auguri di buon lavoro a tutti (gdm).

In rete

NEWTON – Super-vulcani potrebbero minacciare la vita sulla Terra
L’ultima super-eruzione, spiega Rampino, risale a 73.000 anni fa: un super-vulcano
si attivò a Toba, sull’isola di Sumatra.

Fonte: http://www.newton.rcs.it/index.shtml

L’EVOLUZIONE IMPERFETTA

Fonte:
www.bloom.it/gaiarin6.htm – 15k

***

 – Tsunami video, da jkgolson blogspot.com

– 2004 Indian Ocean earthquake: la pagina di Wikipedia in continuo aggiornamento

– resoconti dai luoghi del disastro

 ***

Consiglio di lettura

Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, (introduzione e cura di C. Gallini) Einaudi, Torino. 1977

La fine del mondo è il libro, da rileggere alla luce dell’attualità, in cui lo storicismo assoluto del primo de Martino – secondo il quale il senso e le forme delle civiltà umane e delle religioni si risolvono per intero e senza residui nella loro storia – sfuma, lasciando notevole spazio ad una prospettiva fenomenologica.

“Nel primo capitolo, ‘Mundus’, l’Autore intende prendere in esame tutta la dinamica che va dalla crisi esistenziale al simbolismo mitico-rituale, inteso come strumento di reintegrazione culturale. La documentazione psicopatologica relativa alla descrizione delle forme assunte dal “delirio di fine del mondo” viene contrapposta alla documentazione storico-religiosa: cioè a quel complesso di riti e/o di miti, largamente diffusi nel mondo antico, che periodicamente celebrano la fine e la rinascita del mondo. In particolare, l’attenzione intende rivolgersi all’esame del rituale romano indicato col nome di mundus patet. Mundus era la fossa che, tre volte all’anno, veniva aperta ritualmente, perché i morti tornassero a circolare sulla terra. I giorni in cui restava aperto questo collegamento con l’al di là venivano considerati nefasti, ed ogni attività umana restava sospesa, celebrandosi così, in forma limitata e simbolica, una temporanea “fine del mondo”. Il rituale del mundus evocherebbe il rischio della crisi di fine mondo, esorcizzando e controllandolo, attraverso la limitazione, nel tempo e nello spazio, del ritorno dei morti e della fine di ogni attività culturale umana.”

***

In cronaca

Il Papa ha deciso di celebrare una messa a mezzanotte, nella sua cappella privata, e di dedicarla alle vittime del terremoto in Asia. “A mezzanotte di oggi, 31 di dicembre, il Papa – ha comunicato il portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls – celebrerà la Santa Messa nella sua cappella privata per tutte le vittime del maremoto nel sud-est asiatico. Il Papa ricorderà anche le famiglie delle vittime e quanti soffrono in questi giorni per le conseguenze di quel disastro, così come anche quanti si adoperano per alleviare le immani sofferenze delle popolazioni colpite”.

Altre notizie le potete seguire dal sito di Asia News:

http://www.asianews.it/main.php?l=it

***

Aggiornamento

In rete

Per una cultura della vita ( e alla faccia di uno tsunami maledetto e di una natura bella, terribile e semplicemente indifferente al vivo verde, ai fiori e al dolore e alla fragile felicità delle creature e dei figli di un Dio che è oltre ogni nome e idea di debolezza o forza, di sconfitta o di vittoria, e che ci vuole intrepidi, sensibili e riflessivi, e ci lascia per sfortuna o sventura liberi ) ecco un estratto dal forum Noi e gli altri dell’ottimo Magdi Allam, nel segno della condivisione di un augurio di ogni bene che non possiamo che ricambiare e fare anche nostro:

(…) Il mio auspicio è che dalle fosse comuni e dalle distruzioni causate dallo tsunami si erga una coalizione internazionale che ridia speranza ai sopravvissuti e ricostruisca sulle ceneri delle rovine. Che si accrediti una nuova etica nelle relazioni internazionali che faccia propri i valori della solidarietà e della giustizia. Noi parliamo già di globalizzazione dei mercati, delle finanze, dell’informazione, dell’emigrazione e del terrorismo. Ebbene la mia speranza è che si colga questa occasione storica per affermare anche la globalizzazione dei valori.
Per un altro verso le prossime elezioni politiche nei territori palestinesi (il 9 gennaio) e in Iraq (il 30 gennaio) rappresentano un’opportunità eccezionale per favorire un futuro di pace, libertà e prosperità in Medio Oriente, finora l’area più instabile e destabilizzante del pianeta. Io non ho dubbi sul fatto che prevarrà il buon senso della maggioranza delle popolazioni che amano la vita e aspirano alla pace. Anche in quest’ambito è auspicabile la globalizzazione della lotta al terrorismo di matrice islamica fautore della cultura della morte e promotore di una realtà di costante violenza. Ci vorrà del tempo ma alla fine il Medio Oriente godrà della cultura della vita e farà parte a pieno titolo del mondo libero e democratico.
Così come la stessa vita ha portato alla globalizzazione, spetta a noi uomini assicurare che la globalizzazione tuteli la vita. La vita di tutti. Che si affermi ovunque il valore della sacralità della vita della persona indipendentemente dal sesso, genere, etnia, nazionalità, cittadinanza, religione, fede, ideologia, cultura ( …).

Fonte: http://www.corriere.it/Forum/Allam.html#

Pubblicato in Varie | 1 commento

EFFETTO TSUNAMI

 Dal Corriere di oggi , “Scienze e Tecnologie” : “… La modificazione dell’angolo dell’asse di rotazione può alterare il clima. Infatti l’alternarsi delle stagioni dipende proprio dal fatto che l’asse è inclinato. Se fosse perfettamente verticale, ai poli sarebbe quasi sempre buio e farebbe molto più freddo di oggi, mentre le regioni equatoriali e tropicali riceverebbero molta più radiazione solare e avrebbero temperature di gran lunga superiori alle attuali.

Perciò se l’angolo fosse minore degli attuali 23°40, farebbe più freddo alle alte latitudini e più caldo all’equatore, se fosse maggiore di 23°40 i poli riceverebbero più sole e le calotte di ghiaccio rischierebbero lo scioglimento.

Il fatto che l’angolo di rotazione non si è modificato, ma solo spostato lateralmente ci rassicura, ma non del tutto se si guardano i dati del recente passato.

Se i sismi di grado superiore a 8 spostano l’asse terrestre, sicuramente questo sarà avvenuto anche durante la fase sismica degli anni ’50-’60, che sono stati anche più forti. Anche allora lo spostamento dell’asse è avvenuto solo orizzontalmente e non ha modificato l’angolazione?

Non lo sappiamo, non c’erano gli strumenti in grado di misurarlo con accuratezza.

Sappiamo però con certezza che proprio in corrispondenza di quegli anni si è verificata una fase più fredda del normale. specialmente alle alte latitudini, con un abbassamento fino a 0,4 °C rispetto alla media. Dopo di che la temperatura media è aumentata fino ai massimi livelli del secolo di questi ultimi anni. La temperatura media dipende da molti fattori: gas serra, fasi solari, presenza di polveri nell’alta atmosfera dovute a grandi eruzioni, angolo dell’asse terrestre. Quest’ultimo inoltre varia non solo per gli «strappi» dei grandi terremoti, ma anche per l’attrazione di sole e luna. La fase fredda degli anni Cinquanta-Sessanta può essere stata dovuta a una combinazione di questi fattori, ai quali possono aver contribuito i grandi terremoti (…).

CONSEGUENZE – Se quindi siamo all’inizio di una nuova fase sismica parossistica, il clima può essere alterato, anche se in maniera limitata e per un breve lasso di tempo. Se così dovesse essere (e non è detto), speriamo che l’asse terrestre diminuisca la propria angolazione così da innescare un periodo più freddo specie ai poli e salvare per qualche anno in più le calotte ghiacciate in attesa che entrino in atto i benefici previsti dal Trattato di Kyoto.

Se invece l’angolo dovesse aumentare, le conseguenze catastrofiche dello scioglimento dei ghiacci avverranno con velocità ancora maggiore di oggi. Con danni rispetto ai quali il dramma dell’attuale maremoto nell’oceano Indiano sembreranno limitati.

Paolo Virtuani ( estratto da : “Spostato l’asse terrestre”, Corriere della Sera 29 dicembre 2004 )

***

In ogni caso, il Pianeta in bilico non è eterno, e sappiamo ( anche se è proprio quando si vuole sapere che ci si può sbagliare) che anche le stelle – non si sa quando, né se per eventi improvvisi oppure quasi impercettibili slittamenti – si spegneranno ad una ad una. Tutto ciò costituisce fonte, fin dalla preistoria, di terrori, di meraviglia e di domande fondamentali sul significato del “ tempo”. Tempo che, così come anche lo Spazio, non costituisce di per sé una risposta: né per noi pesciolini, né per la scienza dei nostri giorni, né tantomeno per quella Ragione la cui veglia, deificata e tecnocratica, ha prodotto numerosi benefici e ottimistici accomodamenti progressisti di superfice, ma anche numerosi mostri e i campi di sterminio.

Per non parlare della produzione di quella tipica volgarità diffusa, costituita appunto dal credersi immortali ed eternamente senza rughe, ridenti e depilati, ovvero quella volgarità ora trionfante e ora piagnucolante costituita dal credersi ora un dio e ora naturalmente un animale o un angelo new age, ovvero proprio quello che che non si è.

Cinici e disincantati, e tuttavia credenti nella cristalloterapia, nel multiculturalismo e in un “misto d’illusioni”, la maggior parte dei casi sembriamo passare in un giro senza fine di travestimenti multipli: presi come siamo un po’ tutti in una specie di giostra, se non grande centro naturista e salutista di vacanze e crociere di sogno immaginarie.

Credendoci sciolti dall’osservanza di ogni patto così come dal grande abbraccio della Vita, siamo sottoposti al regime spettacolare delle immagini, degli arcobaleni e delle evanescenze. Non padri o madri, né sorelle né fratelli, ma ora Titani e ora Cibionti empaticamente interconnessi, passiamo come ombre nella polvere roteante del post-moderno, del post-mortem e del post-tutto nichilista, che – nel degrado nostro e della natura – costituisce il nostro ovvio tran-tran quotidiano e la nostra malattia.

Dotati di poteri precari, oggi ci svegliamo “un attimino” sbigottiti . Scorrono le immagini, i poveri corpi a pezzi, in pezzi, i gemiti strazianti che accompagnano le anime dissolte in un lampo di assurdità senza nessuna ragione. E le sirene, le campane, gli ingorghi e le ambulanze. Proprio come sempre ?

I colori delle isole coralline di Gauguin sbiadiscono nel grigiore della morte, insieme alle Mille e una notte e alle tante Andalusie. Mentre cerchiamo a tentoni la vita, c’è qualche Babbo Natale non confuso né smarrito nelle mute conche del dolore e del furore, tra tanti pacchi “ancora” infiocchettati e gli alberi abbattuti insieme al grand’Hotel ?

Bene, se avete ancora piedi per correre e scappare ( verso dove? ) , se avete ancora mani per farvi una carezza, se avete qualcosa per illuminarci (gdm).

In rete

I vecchi ripetevano: un terremoto farà sparire il mondo. Le tribù cancellate avevano previsto la loro fine

Informazioni, numeri e siti utili

Corriere e Tg5: Un aiuto subito

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

UN PIANETA IN BILICO

L’ intera Terra che sposta il suo asse traballante e che risuona come una campana che vibra per effetto del disastroso maremoto di domenica 26 dicembre, le mappe geografiche da rifare, il buco nell’ozono che s’allarga pericolosamente , i mari inquinati, gli animali e le foreste che si estinguono, la vegetazione radioattiva, il cibo adulterato, i fumi, i miasmi, l’Aids e i nuovi virus che ogni giorno ci compenetrano avvelenando i piaceri dell’amore, gli ingorghi e le autostrade disperanti, le lunatiche bande di jihadisti nelle medine e nei quartieri dell’Europa post-nazionale errante e disponibile, le orde di sgozzatori rituali in mondovisione in nome di un dio oscuro, le stragi ricorrenti, le fosse comuni e i nuovi campi di sterminio, le armi chimiche, batteriologiche e l’atomica nelle mani di gruppi terroristi o perfidi ed efferati regimi di lugubri ayatollah, e le guerre aggressive o di difesa infelicissima e purtroppo necessaria : questa frammentazione di notizie e altre dello stesso genere che si susseguono, sbriciolano la fiducia nella cosiddetta “innocenza” primordiale della natura umana e la stessa immagine unitaria della natura, e ci fanno entrare nell’ombra di una possibile sciagura generale.

Ogni società di un mondo ormai globalizzato, dalle società più complesse ed evolute a quelle meno evolute e sottosviluppate in preda a una vera e propria “disperazione di massa”, sono costrette a convivere con una minaccia ubiquitaria e diffusa, che l’inconscio non riesce più a “compensare”, proprio perché sembra essersi sbriciolata sia la fiducia nell’uomo prometeico sia quell’immagine unitaria che l’uomo si è fatta della natura in epoche e culture diverse.

“Oh, Terra Madre nostra, a Te chiediamo per noi, tuoi figli, il dono dell’Armoniosa Convivenza”. Così negli antichi libri degli Atharva Veda. “ Madre natura” ? Di fronte alla brutalità delle passioni, a tanta efferatezza, a tanto odio trionfante e sfolgorante, a tanta immondizia piagnucolante in televisione e sulla terra, e a un intervento umano che ha minato alla radice la base stessa delle relazioni umani, vale a dire la giustiza e il rispetto per la vita e la fragile felicità del vivere, e reso artificiale il rapporto con la natura, se non la natura stessa, non suona forse ironica, oggi, questa antica e in fondo ambigua metafora? Per certi bambini – faceva notare lo psicoanalista Elvio Fachinelli – i boschi e le loro creature sono in primo luogo dentro la televisione. Come faranno i boschi ad uscire fuori dalla televisione?

Eppure, anche se ormai – nel regime spettacolare delle immagini, del trash e delle evanescenze – si è stabilita come una lontananza, se non una lacerazione, fra uomo e natura, il rapporto con la natura vivente resta pur sempre diverso da quello con le cose inanimate. Avvertiamo ancora il senso di una vicinanza, di un’essenza comune. Non però di un comune destino.

L’antica immagine di Pan, arcaico dio della natura, mescolatasi con quella del neo-paganesimo e del Diavolo, è presente ancora, in maniera sbiadita e assai distorta, nell’immaginazione letteraria ormai tendente al trash e alle storie di piccola sessualità italiana, medio-italiana. Ma Pan, il dio del panico, vive anche nel rimosso che ritorna. Non solo nelle psicopatologie dell’istinto che si fanno avanti nell’incubo e nelle qualità erotiche e paniche ad esso associato, ma anche nelle rivolte e nelle ribellioni dell’istinto, che cerca di reintegrare le profondità delle vite, dei destini e delle tante storie possibili o anche impossibili, nel grande abbraccio della vita. E tutto ciò avviene nel rifiuto di imparare a porre giuste domande e ad attendersi giuste risposte dagli adulti, dai più grandi e dai maestri latitanti, tentati dalla rinuncia o assenti, e il sospetto verso ogni pur minimo accenno all’autorità o a un tratto autorevole.

Ogni limite e amore per il limite viene, nella maggior parte dei casi, vissuto come una repressione, e ogni richiamo alla fedeltà e all’osservanza dei patti come un’oppressione, per correre a rottadicollo o dove porta il cuore del momento ( generalmente verso l’uomo o la donna sbagliati), oppure verso la moltiplicazione di escatologie triviali, dettate dagli innumerevoli dèi del giorno – se non dal sole ecologista, ridente e mentitore.

E quindi ogni ricerca che si dice “alternativa” o “antagonista”, e talvolta anche “di base”, avviene nell’oblìo del Padre, dell’osservanza dei patti, ovvero della parola ricevuta e data. Nell’oblìo, cioè, di quello che ci rende figli e fratelli responsabili ( vedi Nel nome del padreIntervista a Giovanni Testori, dal sito di Claudio Risé). Siamo distratti nella corsa al divertimento a tutti i costi, pronti a ridere di tutto e di tutti, riduttivamente ( alla maniera tipica del piccolo-borghese, capace di raccontare barzellette, ma incapace di vera irrisione e di autentica rivolta ) in un giro senza fine di travestimenti multipli e la corsa verso crociere di sogno immaginarie: in paradisi e nature “incontaminate”.

E’ così che, a partire dalle rivolte giovanili degli anni sessanta, è cominciato, tra l’altro, anche il boom del corpo., del “caro corpo”. E la coscienza del corpo è diventata scoperta dell’appartenenza alla natura e possibilità di emancipazione dell’Eros e anche di nuove emozioni radicate nel corpo.

Il guaio è quello di credersi innocenti e naturali, di un’innocenza che prima o poi si rivelerà ancora più arcaica e criminale della colpa. Un po’ di sano “senso di colpa” – senza dolorismi di facciata ed esagerati piagnistei – rende le persone più libere, più consapevoli e responsabili, che non il credersi innocenti vacanzieri alla deriva e pacifinti bisognosi solo di essere lasciati in pace, se giovani, e di godersi la pensione – se più anziani, bruttini e stagionati – con una indigena indigente o un giovane timido cafone del Terzo o Quarto mondo, “naturalmente” pronti a chiudere un occhio su un po’ di celluite.

Durante la breve stagione fiorita dei lunghi capelli – da cui anche chi scrive proviene – il mondo si è riempito di fauni stralunati, di giovani occhi accesi, di braccia sode e fresche d’erba “pura”, di umori, di suoni, di odori e di tremiti. Di “vibrazioni”, di “trip”, di “sballi” e di “viaggi”come si diceva allora, in gergo canagliesco.

Il discorso sul corpo e sul passaggio al bosco ( già presente nella cultura europea d’avanguardia fra le due guerre) si è allargato alla riscoperta della wilderness negli anni ottanta, dopo che il movimento delle donne, degli hippies, dei gay e le esperienze della controcultura giovanile- poi scolorite e degradate su tutta la società di massa e captatate dal new age, dai centri di benessere e le agenzie turistiche – lo avevano posto al centro dell’attenzione.

Contemporaneamente si moltiplica l’interesse per le culture primitive, specialmente sciamaniche, e per quelle orientali, con le loro discipline yogiche e tantriche, basate su una visione olistica ed unitaria delle forze e delle cosiddette “energie”, anche metaforiche e magiche, che percorrono sia gli universi che i corpi. Dietro questa ricerca confusa, non esente dai pericoli di abbagli, di colossali bevute e di nuove dipendenze, si affermano tuttavia nuovi bisogni collettivi, una vasta area di sensibilità emergente e una nuova cultura del corpo.

Al campo epistemologico inaugurato dal quelle scienze più recenti come l’antropologia, la biologia, la psicologia genetica, che ha situato l’uomo nella natura di cui fa parte, aprendo nello stesso tempo la possibilità d’intervenire su di essa, sembra però mancare una consapevolezza ulteriore: quella della poetica, se della sapienza, di una trascendenza che non porta indietro ( a una specie di ritorno al Paleolotico), ma apre alla meraviglia, a una vera poetica della comunione e al rispetto per ogni vita umana, animale, vegetale, e persino per i minerali o i cristalli, e a orizzonti ulteriori di senso, di bellezza, di poesia, di trafigurazione. E – per il credente – di Resurrezione. Non è possibile oggi pensare l’uomo come separato dalla sua dimensione naturale e dalll’apertura a un principio di trascendenza. Sarebbe un disastro, un seguito di disastri in un giro senza fine di degradazione nostra e della natura. Quel che i ragazzi dicono un Kali Yuga.

Passare alla natura cosidetta “incontaminata” o al bosco – a quello che oggi ancora per poco sembra restare delle inaccessibili foreste di un tempo – significa un bisogno di uscir fuori dai sentieri tracciati ed avvicinarsi a ritmi più naturali di distruzione e origine, di vita e di morte. Chi lo fa irresponsabilmente, senza aver trovato un proprio centro interiore, rischia di venirne inghiottito come una nave che senza timone voglia affrontare la sconfinata e crudele vastità dell’oceano.

Non abbiamo bisogno delle tavole galleggianti di un ennesimo ma epocale e tragico naufragio di turisti e vacanzieri, né – fra tanto dolore e il lutto – di un poema epico sugli umori delle piante, di un testo di riferimento sulla natura incontaminata, di un peana narcisistico alla coscienza cosmica, di una mappa che ci trascini e spinga verso la ricerca di qualche avanzo di radice indù., buddhista, islamica, pagana o cristianista, né abbiamo bisogno di un nuovo manuale ecologico-commerciale-politico sponsorizzato da un sole ridente e mentitore, di un pasticcio di erbe essiccate, di un’enciclopedia controculturale di antichi fatti e tradizioni.

Ma possiamo, volendo agire ed operare tra libertà e Grazia , riattivare le antiche e sempre nuove, sorgenti connessioni con l’universo, senza evitare la preghiera, la meditazione, i dogmi, gli insegnamenti e il lavoro della Chiesa, il richiamo alla bellezza dei riti e a una rinnovata poetica della comunione e di gesti concreti di aiuto reciproco, prendendoci cura – sul pianeta in bilico – gli uni degli altri. Siamo proprio messi male, di questi tempi! Tuttavia, malgrando tutto, talvolta basta – o perlomeno così mi pare – un raro gesto di intelligenza, di poesia o di pietà, per salvare una vita o molte vite, se non da tutti i terremoti e tutti i maremoti naturali e non sempre prevedibili, perlomeno dalle ondate dell’oscurantismo in ascesa sfolgorante e dal fango della disperazione.

Forse non guariremo del tutto, né tantomeno diventeremo immortali, al contatto con una natura anch’essa mortale, come tutte le cose. Ma, senza perderci nella nebbia di sentimenti indistinti, se sapremo riconoscere l’altro mondo in questo, la natura primordiale così come la relazione dell’uomo con se stesso, con gli altri, con l’universo e con l’Altro, troverà chiara espressione nel nostro pensiero e una nostra capacità di immedesimazione al dolore, alle fragili felicità e alle gioie comuni alla nostra e all’altrui vita.

Rovesciando nettamente – come auspicava Elvio Fachinelli, prematuramente scomparso – l’antica e ben nota posizione, secondo la quale la natura, madre divina, doveva salvarci, ora siamo noi uomini e donne ad essere sollecitati a prenderci cura gli uni degli altri e a salvare la Terra. Il nodo più difficile e più attuale è nel ritrovare, insieme alla consapevolezza, il proprio cuore insieme primordiale, umano e divino: il cuore di un Padre, di un Figlio e di uno Spirito sapientemente e sensibilmente aperti all’innumerevole esistere. Un “cuore ” – per usare parole di poeta – che comprenda sia il naturale che lo spirituale, basandosi su un senso religioso che nasce dall’esperienza di tutte le cose spirituali e naturali intese come unità significativa.

La natura primordiale dentro di noi, di cui la natura selvatica ed incontaminata è l’aspetto geografico, fisico, è comune a tutti noi. Ma come l’acqua dell’oceano contiene in soluzione tutte le “sostanze”, comprese quelle terapeutiche o benefiche, così la natura primordiale contiene in potenza tutte le qualità di psiche. E’ compito del singolo cavarne le cose più disparate, ma alla luce di una consapevolezza che lo metta in grado di distinguere le forze demoniache da quelle divine, le forze annientatrici da quelle vitalizzanti, le forze delle tenebre da quelle della luce .

***

Interactive graphics and photos describing the world’s most powerful earthquake in 40 years.

Video

Fonte: http://www.nytimes.com/

***

UN PIANETA NEL VORTICE DELLA “DANZATRICE” ?

La natura inumana

di UMBERTO GALIMBERTI
“Abbiamo chiamato “madre” la natura nel tentativo di propiziarcela e abbiamo dimenticato che la natura è semplicemente indifferente alle vicende umane. Come dice il Tao Te Ching al capitolo quinto: “Il cielo e la terra sono inumani: trattano i diecimila esseri come cani di paglia”. Ma che ce ne facciamo della sapienza antica noi, uomini della tecnica, che pensiamo, con i nostri dispositivi, di dominare il mondo? Questo delirio di onnipotenza ci rende immemori e ci fa dimenticare che le sorti dell’uomo non sono nelle sue mani e neppure sono protette dallo sguardo benevolo di un Dio, ma custodite nel segreto inaccessibile di una natura che Goethe, in un suo saggio sulla natura del 1783 descrive come una folle danzatrice che nella sua danza sfrenata perde gli uomini che gli sono aggrappati senza fedeltà e senza memoria.

Scrive Goethe: “Natura! Da essa siamo circondati e avvinti, né ci è dato uscirne e penetrarvi più a fondo. Ci rapisce nel vortice della sua danza e si lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. Viviamo nel suo seno e le siamo estranei. Costantemente operiamo su di essa e tuttavia non abbiamo alcun potere sulla natura. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita. Non conosce né passato né futuro. Il presente è la sua eternità”.

Da: La natura inumana

Fonte: http://www.repubblica.it/

***

UN PIANETA SOLIDALE

Un aiuto subito

Di fronte alla catastrofe che ha colpito intere popolazioni del Sud-Est asiatico, fra le più inermi, gentili e ospitali del Pianeta in bilico, serve uno slancio di solidarietà da parte di tutti.

Il Corriere della Sera e il Tg5 promuovono una raccolta di fondi intitolata «Un aiuto subito» per portare aiuto alle popolazioni dell’Asia colpite dal maremoto.

Chi vuole partecipare alla sottoscrizione può utilizzare le carte di credito CartaSi , Visa e Mastercard chiamando il numero verde 800-667788 (dall’Italia) e il numero 02-3498.0007 (per chi chiama dall’estero).

Il modo più semplice e più veloce, poi, è quello di dare il proprio contributo spedendo subito un sms al numero 48580 , che è valido per tutti gli utenti, sia quelli dei telefonini Tim , sia quelli di Vodafone e di Wind , sia per gli abbonati H3G . Al 48580 si possono anche inviare più sms, o indicando « Un aiuto subito Corriere della Sera-Tg5 » o senza alcun testo di accompagnamento. Per ogni messaggino spedito avrete donato 1 euro ”.

Fonte:

http://www.corriere.it/

***

Caritas di Vicenza: conto corrente della Caritas n. 117200 presso la Banca Etica filiale di Vicenza.

Caritas di Padova: conto corrente ha il numero 338020k presso la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo agenzia 20 di Padova.

Vaticano: conto corrente postale n. 603035 intestato a Pontificio consiglio Cor Unum, 00120 Città del Vaticano, indicando la motivazione ‘emergenza Asia‘.

Provincia di Treviso: conto corrente denominato “Emergenza Asia” presso Banca Intesa. In questo caso il conto corrente ha il numero 6153000000/10

Caritas di Aosta: conto corrente postale numero 14713119, sia sul conto bancario numero 11725, (ABI-CAB 1030 01200) del Monte dei Paschi, piazza Chanoux, Aosta, inserendo nella causale ‘Emergenza Asia‘. Le offerte possono inoltre essere consegnate direttamente nella sede Caritas di Aosta, in via Hotel des Etats 13.

Caritas di Udine: due conti correnti bancari, il primo presso Unicredit Banca (ABI 02008 CAB 12310 n. 1515712), e il secondo presso la Banca di Udine Credito Cooperativo (ABI 8715 CAB 12304 n. 424107). Le offerte possono venire fatte anche sul conto corrente postale 51029056 intestato a Centro Caritas dell’ Arcidiocesi di Udine Onlus. La causale da indicare è “Maremoto Oceano indiano 2004″.

Banca Mediolanum conto corrente numero 1500150 intestato a ‘Solidarieta’ ora – Emergenza Oceano Indiano’.

Per donazioni a Medici Senza Frontiere e Caritas diocesana di Roma è possibile far riferimento al sito internet: http://www.medicisenzafrontiere.it/conto corrente postale 87486007; Banca Popolare Etica c/c 000000115000 ABI: 05018 CAB: 12100 CIN: B Agenzia Unica Numero verde: 800 99 66 55 Causale “MAREMOTO IN ASIA” .

Caritas Diocesana di Roma Piazza S. Giovanni in Laterano 6/A, 00184 Roma ccp 82881004 Causale “SOLIDARIETÀ SUDEST ASIATICO“.

Caritas di Savona le offerte possono essere versate direttamente in sede dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 o tramite un bonifico bancario sul conto CRS (intestato a Diocesi di Savona- Noli/Caritas diocesana 891480, ABI 06310, CAB 10603), mettendo come causale Maremoto oceano Indiano 2004. Le offerte ricevute saranno girate interamente, senza alcuna trattenuta, sul conto che Caritas Italiana ha adibito per questa emergenza.

L’ ‘Anci, Associazione nazionale comuni italiani, mette a disposizione un conto corrente per raccogliere fondi. Il conto corrente è n.56748129 ABI 06230 CAB 03202 CIN A, intestato “Anci-solidarietà ” presso Cassa di Risparmio Parma e Piacenza, Agenzia n. 1, Via Cola di Rienzo, 23B, Roma.

In rete:

Emergenza maremoto Asia
La tua donazione all’UNICEF
può salvare la vita di un bambino
www.unicef.it

Pubblicato in Varie | 2 commenti

BUON NATALE

Michelangelo Merisi il Caravaggio, La Madonna dei pellegrini

la Vergine è a casa sua; dei pellegrini anonimi bussano alla porta. Disturbata da quello che noi oggi chiameremmo il suo quotidiano, esce sulla soglia di casa, mostra loro il Bambino Gesù. Osservate il fervore, i piedi sporchi, le mani giunte verso questa Vergine che li concerne.

OCCORRE PROPRIO CHINARE IL CAPO DAVANTI A QUESTA SUPREMA MESSA IN SCENA, DAVANTI A QUESTO PRESEPE, DAVANTI A QUESTA CATAPECCHIA DOVE TRA IL BUE E L’ASINELLO E’ STATO APPENA DEPOSTO SULLA PAGLIA DI UNA STALLA UN BIMBO ?

E’ COSA DIFFICILE, QUASI IMPOSSIBILE, PENETRARE L’INVISIBILE E VEDERE DIO , DAL MOMENTO CHE OGGI PARE CHE NESSUN VIANDANTE, PELLEGRINO, PASSANTE O TRASMIGRANTE ABBIA PIU’ L’ARDIRE DI INCHINARSI FINO A TERRA.

NON DICO PROPRIO CON LA FACCIA NELL’ACQUA E NELLA POZZANGHERA DELLA PROPRIA NOTTE ( PIAGNUCOLARE, Guardate un po’ qua!, QUESTO LO SANNO FARE IN MOLTI ! ) MA PERLOMENO D’INCHINARSI FINO AL SUOLO.

“E’ NATALE SULLA TERRA ! “, ESCLAMAVA RIMBAUD GIUNTO, ANSANTE, ALLA FINE DELLA SUA RICERCA SULL’ALCHIMIA DEL VERBO.

LIBERO PERCHE’ POTEVA DIRSI “SCHIAVO DEL BATTESIMO”, COSA VOLEVA QUEL POETA FIGLIO DELLA LUCE IN FONDO, MOLTO IN FONDO ? METTERSI ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA DELL’ETERNO CHE SEMBRA PERSA FRA DI NOI ? VEDERE FINALMENTE DIO CON UN’ANIMA ED UN CORPO ?

NELLA PIU GENERALE DEGRADAZIONE NOSTRA, DELLA NATURA E DELLA SOCIETA’ CIVILE, OGGI E’ FACILE VOLGERE LE SPALLE AL DONO DELL’ALDILA’ E SEGUIRE LA CORRENTE DELLA DISSIPAZIONE NOSTRA, DELLA STIRPE E DELLA MEMORIA.

PIU’ DIFFICILE E’ ORIENTARSI FRA LE TANTE STELLE E LE STELLINE CHE BRILLANO CHIARE, QUASI FRENETICHE, SU SFONDO OSCURO, E RICONOSCERE L’ALTRO MONDO IN QUESTO.

LA MORTE, RIEMPIEDO I BUCHI, DICE CHE L’UNIVERSO NON E’ CHE SCINTILLANTE METAFORA CHE ANCORA PER POCO SEMBRA CONTENERCI., E CHE ALLA FINE – DOPO AVER SOGNATO LE ISOLE CORALLINE CON GAUGUIN , CAMMINATO CON NIETZSCHE SUI GHIACCIAI O AVANTI E INDIETRO FRA LE NEBBIE CON CELINE – TUTTO FINIRA’ NEL SOLITO MARE DI PUS IN UNO SVENTOLARE DI BANDIERINE ARCOBALENO.

CHI SCRIVE INVECE CREDE CHE QUESTO SIA PROPRIO L’OCEANO DELLA VITA E DELLA MORTE,. E CHE NON AVENDO ANCORA IMPARATO A CAMMINARE SULLE ACQUE, FORSE SAREBBE MEGLIO NUOTARE COME PESCIOLINI; OPPURE – SENZA PRENDERE ECCESSIVE BEVUTE – COSTRUIRE QUALCHE BARCA, DIGA O PONTE., E SE PROPRIO NECESSARIO TALVOLTA ANCHE QUALCHE MURO O BARRIERA PUTROPPO DIFENSIVA E COMUNQUE RELATIVA E PROVVISORIA.

INSOMMA, NON VOGLIO PIU’ ESSERE TENTATO DALLA POESIA DELLE CARE IMMAGINI, DALLA SOCIOLOGIA E DALLA POLITICA, E NEANCHE DALLA GNOSI ( MAGARI DA QUELLA DELL’ADELPHI) E CONTINUARE COSI’ A RALLEGRARMI TEOSOFICAMENTE DI VEDER PASSARE IL MONDO .

( UN MONDO, IL NOSTRO, CHE A RIVOLTARLO CON IL PIEDE APPARE SPLENDIDAMENTE DECOMPOSTO , AUREOLATO COM’E’ DA QUEL SUO TIPICO E SPETTACOLARE SEX APPEAL SPETTRALE ).

NON AVENDO UN CUORE D’ACCIAIO, VALE A DIRE UN CUORE DI POETESSA, NON VOGLIO ANDARE DOVE PORTA IL CUORE – L’ALITO PROFUMATO DA MENTINE DA ORATORIO – ANDARE VERSO QUALCHE NEGOZIO EQUO E SOLIDALE, VERSO LA MOLTIPLICAZIONE DI ESCATOLOGIE TRIVIALI, LA CARITA’ PELOSA E LA MEDIOCRITA’ DI CERTI AMBIENTI CRISTIANI, OPPURE ANDARE DIRETTAMENTE ALL’OSPEDALE TRA LE BRACCIA DI QUALCHE DIALOGANTE DON PIRLA CON LA KEFIAH.

DOPO AVER RINUNCIATO AI DEMONI DEL NOVECENTO, SAREBBE INOLTRE ASSURDO ADESSO AFFLIGGERVI CON GLI ANGELI NEW AGE DEI MIEI TANTI COMPAGNI CHE VENERANO LA CRISTALLOTERAPIA, E IN UN MISTO D’ILLUSIONI D’ORIENTE E D’OCCIDENTE SON PASSATI DALLA dèrive ( QUESTA IDIOZIA !) A UN CUMULO MOLTO MOLTO TRENDY E QUASI CRIPTO-BUDDHISTA, SEMI-ISLAMICO E NATURALMENTE SHIVAITA DI ERRANZE VANE.

ERRANZE MULTICULTURALISTE E SEMI-MAGICHE CHE HANNO BEN POCO A CHE FARE CON UNA POETICA RINNOVATA DELLA COMUNIONE.

E L’INFINITO ? SI’, VA’ CITRULLO ! PER NON DIRE DELL’ILLUMINAZIONE- JET, DOVE NELL’ABBAGLIO A PAGAMENTO DI QUALCHE KUNDALINI IL SEMPLICIONE SALE SU, SEMPRE PIU’ SU VERSO UNA LEGGEREZZA CHE GLI PORTA VIA IL DITO, POI LA MANO, IL BRACCIO E L’INTERO CORPO INSIEME AL CERVELLINO, UN ATTIMO PRIMA DELLA DEFINITIVA DISSIPAZIONE FRA LE COSIDDETTE “ENERGIE” DI UN COSMO SCIPITO E BLU.

UN DIO CHE NON SIA PERSONA NON M’INTERESSA E COSI’ PREFERISCO ANDARE VERSO IL PRESEPE, DOVE MIO PADRE VINCENZO DE MARTINO – OLTRE AI PASTORELLI E ALLA SACRA FAMIGLIA CON BAMBINO – METTEVA IL MUSCHIO DI QUERCIA CON VILLAGGI E CIME DI MONTAGNE INNEVATE IN LONTANANZA, LE FONTANE CON LE LAVANDAIE, LE TAVERNE DOVE SI ROSOLAVANO BRACIOLE SOTTO UN CIELO DI SALSICCE E DI FORMAGGI, LE OSTERIE CON GLI ORCI DEI VINAI E CESTI DI PANE, DI PESCI, BANCHI DI LIMONI E DI TANTE ALTRE SPECIE DI FRUTTA E DI FIORI .

POICHE’ UN PAESAGGIO DI PALME SEMBRAVA UN PO’ SBILENCO, MIA MADRE FLORA STILE SORRIDEVA, POI MENTRE MIO PADRE DETTAVA, LEI CANTAVA E AGGIUNGEVA A QUEL PRESENTE LE LUCI E LE STELLINE.

POI SI ANDAVA ALLA SANTA MESSA, QUELLA DI MEZZANOTTE, E TUTTI, RITORNATI A CASA; ANCHE I FRATELLI E LE SORELLE, AVEVAMO CAPPOTTI E SCIARPE CHE SENTIVANO SIA DI NEVE ,SIA DEL GRATO ODORE AMBRATO E UN PO’ ACRE DELL’INCENSO .

NON ESSENDO PERALTRO UNA CONTESSA COCAINOMANE E NEANCHE UN’ATTRICE CON IL CULO ANCORA FRESCO DI CALENDARIO, NON ANDRO’ NEANCHE A “PORTA A PORTA” A DIRE CON LINGUAGGIO BANALE, SE NON BANALIZZATO, DI AVERE INCONTRATO GESU’.

SE NON LO AVESSI INCONTRATO ALLORA, NELL’ AMORE E NELLA GIOIA DELLA PIU’ LONTANA INFANZIA, COME POTREI DIRE DI AVERLO INCONTRATO ADESSO ?

IO NON L’HO MAI INCONTRATO ( QUI A SAN PIETRO IL GALLO TIRO’ LE ORECCHIE, MENTRE A ME CRESCE SEMPLICEMENTE UN GRAN BEL NASO DI PINOCCHIO), IO FORSE NON L’HO MAI INCONTRATO SE NON IN QUALCHE IMPERFETTO ABBRACCIO E IN QUALCHE RARO E LIEVE GESTO DI PIETA’ – RARO COME QUALSIASI ALTRO RARO GESTO D’INTELLIGENZA, DI POESIA O DI COMPASSIONE LEGATO PER SEMPRE AL GRANDE ABBRACCIO DELLA VITA.

VOGLIO RESTARE TRA I RITARDATARI ( SCUSATE SE MI DILUNGO UN PO’, OGGI E’ NATALE ), DARMI IL CORAGGIO DI ESSERE TENERO E SEMBRARE UN PO’ CRETINO ( VALE A DIRE CRISTIANO, ANZI GRAVEMENTE CATTOLICO, APOSTOLICO E ROMANTICO) , E DIRE CHE – BENCHE’ LA MEMORIA TALVOLTA GIOCHI STRANI SCHERZI – ANCORA MI RICORDO DEL PADRE RIVELATO NEL MISTERO DI CROCE E DI GLORIA DEL VOLTO RADIOSO DI QUESTO MERAVIGLIOSO BAMBINO ATTRAVERSO LO SPIRITO SANTO E L’INTERCESSIONE DI GRAZIA DI MARIA VERGINE SANTISSIMA.

* * *

MA CHI SEI, IL FANTASMA DEI NATALE PASSATI ?

FORSE UN PO’ PIU’ DI CIO’ CHE PER TRANQUILLITA’ CHIAMIAMO “UN FANTASMA”. SE REALE E’ CIO’ CHE AGISCE E CHE RISPONDE, QUELLO CHE NON MI DISSE COSA FOSSE LA VERITA’, NE’ MI MISE AL RIPARO DALLE TANTE STRETTE AL CUORE E L’AMAREZZA CHE E’ NEL MALE E NELLA FECCIA CHE E’ NEL FONDO DEL BICCHIERE PREFERITO, MA MI LIBERO’ PER SEMPRE DALLA DISPERAZIONE, EBBENE NON PUO’ ESSERE UN FANTASMA.

LA DISILLUSIONE E’ LENTA. SI FA NEL CORSO DELLA STORIA, DELLE MOLTE STORIE POSSIBILI, O ANCHE IMPOSSIBILI, E NEL SOLCO DEI SOGNI…. COSI’ E’ PASSATO FORSE UN MINUTO, UN EONE O UN SECOLO, SEMBRANO DUEMILA ANNI .

ECCO CHE IL BIMBO E’ NATO ! E’ VENUTO ALLA LUCE IL RE , SALVANDO QUELLO CHE IN NOI E’ ANCORA CAPACE DI MEMORIA, DI FEDELTA’ E DI VENERAZIONE.

E’ VENUTO AL CULMINE DELLA NOTTE, DELLA PIU’ OSCURA, UMILE E BANALE DELLE NOTTI, PORTANDO QUASI INCIDENTALMENTE L’ALTRO MONDO IN QUESTO !

SE UN DIO , OVVERO LA FIDUCIA STESSA, NON AVESSE AVUTO IL CORAGGIO DI DIVENTARE UOMO FRA QUELLI CHE ANCORA PER POCO ( NELL’INCOMBERE DEI TITANI E DEI CIBIONTI INTERCONNESSI CHE VERRANNO ) ANCORA POSSIAMO CHIAMARE UOMINI, DONNE E BAMBINI – E SE NOI RITARDATARI NON AVESSIMO PER AMOR SUO , DI DIO, FINALMENTE SMESSO L’ABIETTO DESIDERIO DI ESSERE AMATI O IL TIMORE DI CREARCI QUALCHE INIMICIZIA DI DESTRA O DI SINISTRA, EBBENE OGGI NON SAREMMO LIBERI NE’ DI AMARE NE’ DI PARLARE NE’ DI SFUGGIRE ALLA TIRANNIA DEGLI INNUMEREVOLI DEI DEL GIORNO E DELLA NOTTE.

LO HA RICORDATO, TRA GLI ALTRI NON PRIVI DI MEMORIA, ANCHE L’ AMICO “ IL FARO”, Sorvegliato Speciale , ( ESISTONO ANCORA PERSONE NON SMARRITE NELLA NEBBIA, OCCORRE SAPERLE RICONOSCERE TRA LE TANTE ORDE DI SBANDATI, DI PARACULI E DI BASTARDI DI BUON CUORE, PER NON DIRE DEI LUCIGNOLI E DEI FIGLI DELLE TENEBRE, CHE QUANDO NON SGOZZANO I CRISTIANI, GLI EBREI E GLI INDU IN MONDOVISIONE, NON DETTANO LEGGI ZAPATERE AGLI ALTRI E NON FANNO I GIROTONDI , SI AGGIRANO COME FANNO DI SOLITO I DISERTORI QUANDO SI PROCLAMANO “VITTIME DELLE CIRCOSTANZE” E PIAGNUCOLANDO DICONO DI AVER SMARRITO IL CONTATTO CON IL QUARTIER GENERALE NEL CORSO DI UNA GUERRA, ANCHE CIVILE, CHE NON RICORDANO NEANCHE PIU’ SE E QUANDO E’ COMINCIATA) .

IN OGNI CASO, IL BAMBINELLO E’ NATO. E TUTTI ( COMPRESO L’UNIVERSO E I MULTIVERSI DI ORI , DI VERTIGINI DI STELLE, DI BUCHI NERI E DI VAPORI ) ORA POSSIEDONO PIU’ FORZA, DURATA, DIGNITA’, LIBERTA’ E SPLENDORE DI CIO’ CHE ORRIBILMENTE E BANALMENTE ACCADE E PRESTO SI CONSUMA.

QUANTO ANCOR PIU’ TREMENDO E DISPERANTE DI QUANTO GIA’ NON LO SIANO SAREBBERO QUESTO MONDO E IL SOLE, IL GRANDE SOLE MENTITORE, SE NON AVESSIMO PIU’ MEMORIA DELL’ALTRO IN QUESTO.

E NON FACESSIMO NASCERE ANCHE NOI , IN NOI STESSI, UN ALTRO SOLE PIU’ ALTO E PIU’ VELOCE DELLA MORTE ABITUALE !

ECCO CHE UN BIMBO-RE E’ NATO ! E’ VENUTO ALLA LUCE – ANCORA UNA VOLTA, ETERNAMENTE -ATTRAVERSO IL NICHILISMO E UN VUOTO COME FRESCA TRACCIA SALVANDO QUELLO CHE IN NOI E’ ANCORA CAPACE DI MEMORIA, DI FEDELTA’ E DI VENERAZIONE.

E’ VENUTO AL CULMINE DELLA NOTTE, DELLA PIU’ OSCURA E UMILE DELLE NOTTI, PORTANDO L’ALTRO MONDO IN QUESTO !

LO SCINTILLANTE PRESEPE E’ DONO, MEDITAZIONE E AUGURIO, E FINALMENTE SOLO MERAVIGLIA.

TEMPO E SPAZIO, SONO FORSE UNA RISPOSTA ?

PREFERISCO RITROVARMI PESCIOLINO TRA LE ACQUE VIVE SE NON LE NERE ONDATE OSCURANTISTE CHE VERRANNO…, E PASTORELLO IN UN PRESEPE, SE NON PROPRIO ASSIEME AI TRE RE MAGI.

E SEGUIRE – NON FOSSE CHE PER CURIOSITA’ SPINTA – UNA COMETA CHE IMPREVEDIBILMENTE FILA ATRAVERSO IL CIELO DELLA NOTTE E – PROPRIO AL CULMINE DEL SUO SVANIRE – BRILLA ALLA SOMMITA’ DELLA BICOCCA O CAPATECCHIA DOV’E’ APPENA NATO UN ALTRO FUOCO E L’ALTRO SOLE.

SCAVALCANDO LE TANTE GIOSTRE, LE VETTE O I BARATRI DI QUESTO TREMENDO E FATUO LUNA PARK EUROPEO E PLANETARIO PER CRUDELI E STUPIDI BAMBINI MAI CRESCIUTI E FRATELLI FETI MAI EVOLUTI , PREFERISCO INCHINARMI LIBERAMENTE ADESSO.

E FINALMENTE – COME IN UN ANTICO QUADRO – CONGIUNGERE LE MANI ( VENI. DULCIS. JESU. VENI ) , PRIMA CHE SIA IL TEMPO A INCARICARSI DI CURVARMI COME UN PUNTO DI DOMANDA, INDUCENDOMI A TENDERE PIEDI, MANI E BOCCA VERSO NON IMPORTA QUALE MANGIATOIA.

****

AGGIORNAMENTO

CRONACHE. ROMA – “L’intera umanita’, segnata da tante prove e difficolta’, ha bisogno di Te. Resta con noi, pane vivo disceso dal Cielo per la nostra salvezza.” Cosi’ il papa ha concluso l’omelia della messa di mezzanotte, celebrata nella basilica di san Pietro davanti a una folla di fedeli. “Ricordati di noi, eterno Figlio di Dio, che nel grembo verginale di Maria ti sei incarnato”, ha invocato, ancora una volta, Giovanni Paolo II.

Anche noi qui, tra culla e bara ( ovvero tra le sempiterne due pulsioni dette eros e thanatos dai sapientoni) osiamo unirci alla preghiera del santo, ritardatario ed intrepido Vicario di Cristo Gesù il Risorto. Né la storia né la Chiesa hanno chiuso bottega. Chissà che ne sarà delle tante storie e dell’innumerevole esistere… Forse molto probabilmente noi ritardatari e amici e fratelli dei ritardatari saremo – se non così santi, lievi e immacolati come quegli angeli che dovremmo essere – perlomeno tra quelli che verranno dopo… Mai più tanta furente immondizia piagnucolante sulla Terra, mai più separati dal grande abbraccio della Vita! Dedicato alla Terra celeste e ai Corpi di resurrezione, dedicato all’enigma, se non al mistero, della più libera, felice e larga terra dei Viventi.

Dedicato, infine, a tutti quelli che nel frattempo resistono nel bianco – ricordandosi, sia pure di tanto in tanto , che alla parola che si perde fra di noi e che comunque non può essere una lapide, rispondono la santa Messa, la Comunione e la Parola.

***
In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose create è stata fatta. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende fra le tenebre ma le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per attestare della luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo e il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa sua ed i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati. E IL VERBO SI È FATTO CARNE ED ABITÒ FRA NOI e noi abbiamo contemplata la sua gloria: gloria come d’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità “ ( Gv 1,1-14) – .

***

IN RETE:

IL NATALE NELL’ARTE

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

Tutto il mondo attende la risposta di Maria


Antonello da Messina, Ritratto dell’Annunciata

Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.

Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti ì figli di Adamo, di tutto il genere umano.

0 Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi, sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola: dì la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.

Perché tardi? perché temi? Credi all’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola.

Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti, batte fuori alla porta.

Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Lèvati su, corri, apri! Lèvati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.

« Eccomi », dice, «sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1, 38).

Dalle « Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate, ufficio delle letture del 20 dicembre (Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54).

Fonte :

http://www.joecondor.net/la%20costituzione%20…del%20soggetto.htm

La costituzione giuridica, psichica e morale del soggetto umano nel pensiero di Giacomo Bernardino Contri.

Una ricorrente vulgata decostruzionista afferma che vi sono perlomeno due modi per esprimere la misoginia: la svalutazione patriarcale del femminile, che in alcune zone come quella islamica arriva fino all’imposizione del velo per salvaguardare il maschio dalla sedizione e dalla seduzione ( fitna) portata dalla sola vista del femminile, e la sublimazione della figura della donna, oggi sempre meno legata al matrimonio e alla maternità come “destino”.

In pratica, la differenza ( se non l’arcano ) del desiderio femminile viene assunta a quell’invenzione storica, contingente e non necessaria che è la “sessualità”, e questa rottura che si vorrebbe permanente della spina dorsale della persona umana viene poi ridotta a gestione ottimale dei bisogni.

Ristrettezza di una Ragione la cui veglia genera mostri, e miseria della teoria della sublimazione, quando tenta di spiegare il comportamento raro, eccezionale, persino ipernornale di una giovane donna titubante, sorpresa da un imprevisto che per noi resta inaudito, e che per lei fu la voce dell’angelo.

Può darsi che la giovane donna fosse nevrotica, forse ossessiva se non addirittura psicotica e, volendo, anche autistica. Tuttavia tanta bella legna da ardere non riuscirà mai a spiegare di per sé l’enigma, se non il mistero, dell’avvampare del fuoco di quel suo “ sì” alla grazia della vita.

Maria ha il profumo delle rose, ahimè sempre più deodorate della terra e della più antica e ormai quasi-dimenticata dignità terrestre.

Eppurre nell’approssimarsi del mistero di gloria che è nel legno della croce, in una sola goccia del profumo della Vergine ardono dolcemente, eternamente, senza bruciare, tutti gli alberi del Paradiso piantato in noi da prima che cominciasse la storia.

Miseria incurabile della teoria della sublimazione, che tenta di spiegare quell’assenso all’Altro che, se è sublime, è sublime , immacolato e puro fin dall’inizio.

Nell’accogliere, anche noi, al fondo dell’anima, quella nobile figura femminile di assenso e di accoglienza, abbandoniamo l’autopreoccupazione e lasciamo affiorare ciò che in noi, imprevedibilmente, è ancora capace di venerazione e ci cercava in uno spazio di non morte. In questo mondo e l’altro.

E’ qui che nasce, eternamente, quel giusto, quel lieve, quell’ immacolato che è pura meraviglia…

Nella degradazione nostra e della natura auguriamoci che soffi il vento: potrebbe essere un vento terribile, sentimentale, capace di spezzare aghi d’acciaio e anche di farci ammalare, oppure lo spirare di un venticello gentile tra le maglie della rete vuota.

Trattenendo il fiato come uno yogi, una madre, un padre, un figlio o un feto, io attendo, senza aspettare, il Re – nel timore che tutto possa perire, tutto possa rifiorire.

Auguriamoci che soffi il vento, auguriamoci che il bimbo nasca…

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

ESISTE L’ISLAM MODERATO ?

Una mentalità religiosa basata sull’idea della supremazia e le nuove ambizioni dell’islam, un duro pragmatismo influenzato, appoggiato e finanziato dal wahhabismo puritano, dal regime iraniano degli Ayatollah, dai centri politici dei Fratelli Musulmani e da imam semintellettuali e semiletterati fondamentalisti , tutti fautori di una religione ridotta a sistema che regola tutti gli aspetti della vita e degli affari della società, nonché più in generale una cultura basata sull’apprendimento e la ripetizione letteralista delle sacre scritture, sono alcune delle ragioni per cui è nato il terrorismo jihadista ed è fallito il concetto di compromesso e di buon vicinato nella cultura islamica.

Non a caso, nella lingua araba ( che è lingua della rivelazione del dio Allah, refrattaria all’interpretazione critica ) non esiste alcun termine equivalente alla parola “compromesso”., o per tradurre concetti come “laicità” , “ libertà”, “individuo” o “democrazia”. Lo stesso concetto di “uomo” è diverso da quello occidentale ed è sovradeterminato dall’islam legalista : “uomo” infatti si traduce – oltre che con il termine colto di al-insan – con il termine più generalmente in uso di “rajul”, che non include né la donna ( come quando noi diciamo “ l’ Uomo”) né i non-musulmani, in quanto “rajulia” ( l’ “ominità”, l’ “essere uomo”) comporta sia l’idea di portamento maschile sia quello dell’assunzione pubblicamente visibile delle virtù e dei costumi islamici ( come per sempio portare la barba, osservare il digiuno del ramadan, fare il pellegrinaggio alla Mecca, eccetera). . In tal senso, donne ( mra), schiavi e non-musulmani ( kuffar, letteralmente “ingrati verso Allah”, come si dice comunemente con termine polemico ) sono non-uomini. L’islamista non desidera essere altro, ma si dispera di voler essere se stesso in una quadratura statica di tratti unici: UNA religione ( l’islam), UN solo libro e un solo testo ( il Corano), ai quali viene ad aggiungersi, qua e là, il nazionale.

Quando vivevo in Marocco, dal 1967 al 1975, a Essaouira, e poi con residenza a Marrakech, un mio amico musulmano per niente osservante mi portò a casa sua ( harim) e mi fece conoscere suo padre, un musulmano osservante, con la divisa da musulmano, e cioè gellaba e barba. Ricordo che, prima di uscire da quella casa dove per l’occasione le donne erano state rinchiuse in cucina affinché non le vedessi – dopo avermi chiesto se ero sposato e se avevo una famiglia ( aila) numerosa, il padre rimproverò aspramente il figlio che mi salutava dicendo “ salam alik “ ( “ su di te la pace”), argomentando che un kafir ( un non-musulmano, letteralmente un “ingrato” verso Allah) non va salutato con questa formula, da riservare esclusivamente ai musulmani doc.

E’ come se nel non-musulmano fosse insita, oltre che qualcosa di inaffidabile, anche una forma di “impurità” : e cioè una specie di contagio semi-magico , qualcosa di pericoloso e di odioso dal quale è meglio che il buon musulmano si tenga alla larga, così come si fa di solito, per legge, con l’alcol, il buon vino, la donna mestruata o il porco., la carne di maiale.

Nelle religioni vi è sempre un “intoccabile”, declinabile perlomeno in tre accezioni:

  1. L’ Intoccabile in quanto concerne la dimensione sensibile di un corpo con il quale non si deve entrare in contatto: questo è il tabù.

  2. L’Intoccabile nel senso dell” Indenne, accezione che corrisponde a uno dei significati del termine islam. Questo termine proviene in effetti dalla radice “ S.L.M.” che significa “sfuggire a un pericolo”, “essere sano e salvo”. La parola “islam” nomina quindi il salvo della creatura dopo l’attraversamento di un pericolo. Quindi rimanda a un senso di sollievo , di pacificazione, e a una condizione di immunità.

  3. L’Intoccabile designa anche colui che beneficia dell’immunità

    In quanto non-musulmano, il kafir non può essere considerato una creatura sana e salva, quindi non mi si poteva dire “ salam alik”. In quanto non-musulmano, a meno di non stabilire un patto e diventare dhimmi ( un protetto a pagamento) per essere protetto da musulmani contro la sempre possibile sopraffazione o violenza di altri musulmani, un kafir non beneficia di alcuna immunità. Può essere oggetto di qualsiasi sopruso, non si troverà mai un buon musulmano disposto a solidarizzare con la vittima-kafir contro un altro musulmano.

    ( Così come per le forme di omosessualità sommerse, molto diffuse e fuori dal discorso critico in paese islamico – di cui riferisco nel romanzo, non auto-biografico, Hotel Oasis. Regraga – ho dovuto diventare etnografo per potermi orientare e vivere tra i musulmani, a partire dalla vita quotidiana e dalle sue implicazioni e strategie di sopravvivenza, e non per verificare “sul campo” a partire da una teoria come si fa di solito in ambito universitario. Una volta, per esempio, a Essaouira, durante la guerra del Golfo, un mio amico francese, professore universitario che ha molto contribuito a far conoscere al mondo la cultura popolare della regione – tanto da ricevere diverse onorificenze ed anche una lettera di apprezzamento di Sua Maestà Mohamed VI, ebbene fu insultato pubblicamente per strada da alcuni giovani barbuti al grido di “sale juif ! – “sporco ebreo!”. Il professore, peraltro, non è ebreo, ma l’insulto viene d’abitudine esteso a tutti gli occidentali in quel paese. Protestai con il capo della polizia, un mio conoscente di vecchia data, fin da ragazzi, e quello mi rispose: “ Lascia stare, cerchiamo di non danneggiare quei poveri ragazzi…”. Se qui, a Milano, un ragazzotto chiama “ sporco musulmano” un barbuto che ha appena sputato al suo passaggio, commette un reato, il Sindaco si mobilita per chiedere scusa pubblicamente al barbuto e ai suoi fratelli, e qualche don pirla con la kefiah scende in piazza a solidarizzare con il diverso da accogliere con cuore aperto e dialogante, in uno sventolare di bandierine arcobaleno ).

Nell’islam la verità che è scritta una volta per tutte e la legge ( haqiqa e shari’a ) sono solidali fin dall’origine, per cui il soggetto, posto davanti ai mutamenti del reale, si trova come in un eccesso di reale e di godimento che gli fa orrore, dal momento che non trova, nel suo universo immaginario e simbolico tradizionale e antico, niente che possa arginarlo. Da qui la nostalgia e il ricorso all’origine nel tentativo disperato di restaurare lo scudo della monolitica credenza religiosa. Tuttavia, poiché lo scudo è fissurato alla prova del mondo storico e scientifico contemporaneo, bisogna rattopparlo amalgamandovi i nuovi materiali appartenenti a questo mondo. E’ quel che fa l’islamismo politico, che non è un semplice vettore del ritorno del religioso, ma una nuova composizione ideologica eterogenea. Ovvero il nazi-teo-scientismo islamico, una pericolosa ideologia totaliria, armata e diffusa su scala planetaria. La composizione islamista affiora e dilaga a partire da una decomposizione della religione: una decomposizione che l’islamismo intensifica tramite gli stessi gesti ( fabbricazione e uso dei martiri-killer, sgozzamenti di innocenti in mondovisione , terrorismo islamico, eccetera) che vogliono salvare la sua verità in pericolo.

Più in generale, la luce di Dio, nell’islam, non è l’anima dell’uomo : uomo-rajul e dio Allah non partecipano dello stesso essere, ma sono separati dall’abisso delle qualità: Allah è l’Unico, il Signore dei mondi , e la creatura è serva da sottomettere al Più Grande in assoluto. Certo, è anche Rahaman, Rahim ( Clemente e Misericordioso, letteralmente provvisto di un amore simile a quello viscerale di una madre : RHM significa “utero”), ma un tale amore “uterino” che configura una misto di madrepadre, il Padre Androgino, si esercita solo a certe condizioni imprevedibili.

Il musulmano, d’altra parte, è per definizione un sottomesso (muslim) , una creatura “immunizzata” se si sottomette e tuttavia perennemente in bilico e dotata di poteri precari. Benché “califfo”, una specie di luogotenente con il mandato di far rispettare a tutto e a tutti gli ordini di Allah, resta una creatura di passaggio come un ‘ ombra sulla terra. La terra stessa, così come gli universi, non sarebbero che l’ombra del dio Allah. La società musulmana è monoteista, comunitaristica e gruppale, organizzata come un’orda di orfani, di fratelli senza padre o patria . L’islam – che deve molto al manicheismo e alla gnosi – insiste nell’affermazione che Dio non è il Padre e non è propenso in alcun modo ad accettare che possa esserci una dialettica fra Dio padre fonte di tutti gli esseri, il Logos-figlio che è il suo senso, e il Pneuma-spirito che è soffio vivificante ( della lettera e delle creature) e sua tensione verso il suo Volto e la Sua Gloria.

Il dio Allah resta l’Identico, che è una delle sue designazioni principali , Dio in effetti è chiamato: HUWA HUWA, che vuo dire letteralmente LUI LUI. O anche LUI E’ LUI. Un TRA Lui e Lui resta impensabile: il dio nell’islam è una specie di monolite, come fuso in un sol blocco, di cui si conosce solo la Volontà e il Comando rivelati letteralmente nel Corano. E questo aspetto celibe, assolato ed itifallico è rappresentato sia dall’indice puntato dall’imam verso l’alto, ripiegando a pugno chiuso le altre dita, sia dall’ergersi del minareto che sovrasta le case della città ( la medina). Nei paesi del Maghreb i minareti sono tozzi, a base quadrangolare, e non debbono avere attorno costruzioni che li superino in altezza, oppure negozi in cui si vendono alcolici.

Il monoteismo islamico proviene dal deserto e aspira a ritornare al deserto, dopo aver ripulito l’aria da ogni forma di vita non conforme al dettato islamico. Non è per niente bendisposto verso altre religioni o semplicemente verso altre idee oltre all’islam. Al di fuori dell’idea dell’Uno, identico a se stesso, il resto è un mondo materiale governato dalla volontà arbitraria, sovrana e imperscrutabile di Dio ( insciallah ) e destinato alla distruzione : un mondo privo di qualsiasi pluridealità e di modalità “spirituale”. La legge non salva da un qualche peccato originale: esprime solo una Volontà superiore e distribuisce, alla fine, premi agli obbedienti e punizioni ai disobbedienti. Ogni idealizzazione si troverà allora concentrata sull’idea dell’Uno, dando luogo a un monoteismo dai tratti legalisti ( nomocrazia ) , identitari, astratti e violenti, con conseguente alienazione e noncuranza per il reale, per lavoro ben fatto, per le arti, la tecnica, la cultura, la bellezza, ogni possibilità di creazione artistica, sociale, politica, e di “trasfigurazione”, e soprattutto con conseguente disprezzo generalizzato per la vita propria e altrui. Oltre l’apparenza di una certa bonomia, nei paesi musulmani si avverte nell’aria un’elettricità caratteristica, a un tempo esaltante e oppressiva: è come un’aria di pericolo e di una certa violenza pronta ad esplodere in qualsiasi momento.

Il Super-io non è nell’invisibilità delle coscienze, ma nello sguardo del vicino. In ambiente islamico si vive in un regime di sorveglianza reciproca generalizzata, perennemente nell’incertezza del diritto, mancando ogni cura per la giustizia che è alla base stessa delle relazioni umane. Chi si mostra “debole”, oppure non è protetto tramite il versamento di una specie di “pizzo” da un gruppo di forti, è destinato ad essere facilmente sopraffatto dall’orda dei fratelli. Se non ti mostri debole o troppo gentile, l’atteggiamento aggressivo diminuisce, secondo iI motto popolare : “ Bacia la mano che non puoi mordere”.

L’islam tuttavia resta una pluralità di versioni dell’islam, non ha un Vaticano per moderarne gli eccessi, gli errori e le derive, e non è un blocco monolitico. Nel corso della storia del suo espansionismo aggressivo e pretese imperialiste, l’islam politico si è frapposto con la spada fra l’Occidente cristiano e l’Oriente indù e buddhista, impedendo – come notava Levi Strauss – che la spiritualità dell’Occidente cristiano e dell’Oriente buddhista s’incontrassero e si unissero, “come due mani che si congiungono” . Alcuni islam hanno conosciuto momenti di alta spiritualità, di poesia e di bellezza quando i musulmani stessi si sono rilassati, ingentiliti ed aperti ai mondi non-musulmani sono riusciti , per brevi periodi, ad arginare le ristrettezze e l’angustia delle pretese dell’islam politico, letteralista e legalista ( nomocratico). Da quando si è diffuso l’uso di chiamare islamismo l’attivismo e l’estremismo di matrice islamica, non c’è più un termine per definire la religione dell’islam in senso stretto. Resta la parola “islam” ( a volte con la maiuscola, “Islam”, per riferirsi alla civilizzazione musulmana in generale ) che mescola un po’ tutto in quanto designa nello stesso tempo l’insieme dei popoli che professano questa confessione musulmana, la civilizzazione e la religione ( che peraltro non è religio, ma din-islam, ovvero “debito” verso il dio Allah).

La concezione islamica della “rivelazione”, a differenza di quanto avviene nel cristianesimo, vede il Testo Sacro non come semplicemente “ispirato” da Dio, ma da Lui letteralmente “fatto scendere” sul profeta che a sua volta lo trasmette ai credenti. Ne deriva quindi che sottoporre a un’analisi critica il Corano può sembrare un grave atto dissacratore.”

IN RETE alcuni brani dell’autobiografia di Zayd, di cui è appena uscita la traduzione italiana (Una vita con l’Islam, Il Mulino). Un altro brano dell’opera è stato pubblicato sul Riformista del 24 novembre, e un altro ancora lo si può leggere presso il sito della stessa casa editrice bolognese.

Sempre sul Web si può leggere un commento di Anna Foa, su Avvenire del 9 dicembre, e un articolo dello stesso Zayd, intitolato “Quale futuro per l’Islam?(in formato .pdf). Grazie per la segnalazione a Wind Rose Hotel

***

RIFORMATORI MINORITARI



I NUOVI PENSATORI DELL’ISLAM

di Rachid Benzine, Editrice Pisani

“Il Corano è una metafora, non una legge”. E’ così che un nuovo pensatore dell’islam, Rachid Benzine, critica i fratelli musulmani che presentano il Corano come “la Costituzione dei musulmani”.

In rete :

Islam alla prova del libero pensiero ( in formato .pdf)

Avvenire, 23-9-2004

****

LA CULTURA DELL’HAREM

di Malek Chebel

Bollati Boringhieri Editore – Scheda Libro

Edizione italiana a cura di Gianni De Martino, traduzione di Giancarlo Pavanello, Anno 2000. Collana «Saggi. Storia, filosofia e scienze sociali».

«Mentalità del serraglio» è il concetto forgiato dall’autore per cogliere meglio il peso tremendo della legge del Padre sulle menti e sui corpi degli uomini e delle donne maghrebine. Chebel ne mostra il funzionamento a partire da un certo numero di figure emblematiche: le omosessualità, l’androginia, il linguaggio osceno, il tabù della verginità, l’ossessione della virilità e dell’onore tribale, gli “iuiù” (i trilli delle donne); e poi ancora, il velo, la circoncisione e la letteratura erotica araba… Con un approccio che coniuga antropologia, etnografia e psicoanalisi, l’autore indaga i fantasmi che popolano l’universo erotico maghrebino maschile e femminile: quelli maschili della voracità sessuale e quelli femminili che rinviano alle figure della lacerazione. Viene così sollevato il velo sull’aspetto più segreto della vita di società ancora soggette alla legge dell’islam mentre non sfuggono agli assalti della modernità.

Malek Chebel (Skikda, Algeria, 1953), antropologo e psicoanalista, anima il Centre d’études et de recherches sur l’imaginaire arabo-musulman (CERIAMUS). Tra le sue opere più recenti: “Dictionnaire des symboles musulmans” (Albin Michel, 1995); “Encyclopédie de l’amour en Islam”, “Traité du raffinement” e “Du Désir” (Payot, rispettivamente 1995, 1999 e 2000).

 

****

HEROES

Dovremmo ricordarci sempre che loro ci hanno regalato la libertà, anche quella di offenderli e di bruciare in piazza la loro bandiera. Dedicato ai caduti di oggi che grazie al loro sacrificio daranno democrazia, libertà e prosperità ad un popolo oppresso. Contro tutti i fascismi (di ieri e di oggi)”

VIDEO DEDICATO AGLI EROI AMERICANI

CADUTI A MOSSUL

Fonte: Il Faro, Sorvegliato Speciale

****

ANSA.it – Attacco Mossul, 19 americani morti

****

Pubblicato in Varie | 2 commenti

ANDANDO VERSO IL MOSTRO

di Elvio Fachinelli


Antonio Canova (1757 -1822) -Teseo sul Minotauro

Riprendo di seguito e annoto alcuni estratti da una nota di Elvio Fachinelli al fotolibro “Travestiti”, insufficientemente edito e ormai introvabile ,di Lisetta Carmi, ( Essedi, Roma, s.d.). Apparsa anche, con qualche variante, in forma di articolo ” in ‘L’Erba voglio’ n. 11, maggio-giugno 1973, la nota di Fachinelli, molto densa, mi sembra di straordinaria attualità , in questo periodo di travestimenti multipli.

“ ( Quando Teseo entrò nel labirinto per uccidere il Minotauro, teneva fra le mani il filo datogli da Arianna, e l’altra estremità del filo era nella sicura mano di Arianna. Così l’eroe aveva la garanzia del ritorno.

Ma mano a mano che egli avanzava nei corridoi dell’ingegnoso edificio, l’immagine del mostro a cui si sacrificavano ogni anno fanciulle vergini gli riempiva sempre il cuore di paura.

Procedendo sempre più verso il centro dell’edificio, ad ogni passo egli doveva combattere contro la paura che lo spingeva a retrocedere: egli viveva e combatteva nello stesso tempo la paura affascinante che la vergine destinata al sacrificio provava nel suo andare verso il mostro.

Non ci fosse stata la spada che stringeva convulsamente nella mano, Teseo sarebbe stato invaso dal terrore della vergine, si sarebbe egli stesso e fino in fondo sentito la vergine sacrificata)

E’ da questo gioco complicato di relazioni che nasce la repressione. La repressione è secondaria e in funzione di tali relazioni.

Risulta allora evidente come soltanto una modificazione del ruolo virile, nel senso della virilità, tale da ridurre la paura di perderla, è in grado di ridurre il rifiuto dell’omosessualità.

In questo senso si può fare l’ipotesi che una società in cui i maschi riescono a realizzare una virilità effettiva – qualunque ne sia il contenuto concreto – è una società che non esclude, e anzi ammette l’omosessualità, mentre una società che istericamente la condanna ( come quella arabo-islamica, n.d..r) è una società poco virile, intimamente pervasa di omosessualità – anche se si ammanta di valori cosiddetti virili ( non a caso, nei paesi islamici, al contrario delle società occidentali in cui le omosessualità sono visibili e concentrate, le omosessualità sono sommerse e diffuse, molto praticate ma fuori discorso, se non quello popolare che, se attive e prive di affettività o coinvolgimento amoroso, ovvero unicamente insertive, le considera come una specie di surplus di virità e di potenza attiva da praticare, nella maggior parte dei casi, sui ragazzi effeminati, gli schiavi, i bambini, i turisti – anche vecchi e brutti, purché paghino – e i non-musulmani in genere , n.d.r. ).

La conferma di questa ipotesi, al livello degli individui, è cosa di tutti i giorni; al livello antropologico-storico, potrebbe costituire lo spunto per ricerche in più direzioni.

Si riuscirebbe forse a capire perché, per esempio, l’epoca di Proust, un’epoca di valori ‘virili’, militari addirittura ( si ricordi l’incidenza del caso Dreyfus), avesse dentro di sé, appunto Proust ( mentre invece la nostra epoca post-femminista, mammona, moralmente impigrita e indifferente a qualsiasi valore che non siano i malori di una piccola sessualità rinchiusa nell’egoismo del diritto al piacere indifferenziato e ridotta a gestione ottimale dei bisogni abbia dentro di sé, appunto i guardiani dei bisogni, gli Zapatero e gli sfigati neo-gay di classe media, prudenti, informati, con il borsello, nemici dell’oltraggio, sempiterne “vittime delle circostanze” e della cosiddetta “omofobia”, per non dire della disgrazia d’innamorarsi sempre dell’uomo sbagliato, n.d.r)

Ma che cosa produce un mutamento del senso della virilità, e correlativamente dell’accettazione o del rifiuto della virilità ? Si è accennato al fatto che, al fondo della paura di perdere la propria virilità, c’è la paura di una figura inquietante che spesso rimanda più alla madre che al padre.

Si può perciò supporre che un mutamento della posizione della donna.madre sia, a lunga scadenza, decisivo sotto questo aspetto.

Dall’epoca di Proust in poi, nelle società borghesi occidentali la figura del padre è andata sbiadendo, si è fatta anonima e meno significativa. Contemporaneamente però la donna si va rendendo autonoma, meno legata al ‘ destino’ di madre e casalinga, e quindi meno bisognosa di trovare nei figli una giustificazione di se stessa, meno bisognosa di recuperare in loro un potere da cui è esclusa. All’aumento di potere reale, è ben possibile che corrisponda una diminuita necessità di potere fantasmatico sui figli, e quindi una diminuita angoscia da parte loro di fronte ad esso.

Da questa situazione deriverebbero i tratti contraddittori, rispetto al sesso, rinvenibili nella nostra epoca: da un lato, diminuita virilità, nel senso tradizionale maschilista, dei maschi, per la ridotta capacità di identificazioni decisive col padre; dall’altra però, minore drammaticità e, si direbbe, maggiore facilità e sicurezza nell’assunzione di un ruolo maschile meno impegnativo, per la maggiore autonomia della madre.

Di conseguenza, accresciuta tolleranza nei confronti dell’omosessualità, sia di quella manifesta sia di quella tendenzialmente esistente in ciascun maschio. Il passaggio, in pochi anni del travestitismo da sofferenza piacere individuale, consumo segreto e psicanalitico, a fenomeno diffuso e di largo consumo sarebbe un indice vistoso, anche se non l’unico e il più significativo, di tale nuovo orientamento.

Elvio Fachinelli, dalla nota al fotolibro di Lisetta Carmi , Travestiti, Essedi, Roma, s.d. ( 1972 ?)

****

In rete

Altipiani e psicoanalisi – Freud, Musatti e Fachinelli
Elvio Fachinelli, medico e psicoanalista,
prematuramente scomparso a Milano il 21 dicembre 1989 all’età di 61 anni, nato a Luserna il 29 dicembre 1928

Elvio Fachinelli e Gianni De Martino con bambina, in un villaggio labirinto sulla via di Taroudant, Marocco, maggio 1981 ( foto di Pinni Galante)

Fonte: https://www.giannidemartino.it/

Pubblicato in Varie | Contrassegnato | Lascia un commento

IL DESIDERIO FEMMINILE
E IL TRAUMA DEI MUSULMANI

di Daniel Pipes- New York Sun, 25 maggio 2004

di Georghine Sandhi – Fonte: http://balder.org/Galleri/Galleri_00.php

(…) I musulmani ritengono in genere che il desiderio femminile sia maggiore di quello maschile, a tal punto che considerano la donna come cacciatrice e l’uomo come la sua vittima passiva.

I credenti provano poca apprensione nei confronti della sessualità in quanto tale, ma sono ossessionati dai pericoli che rappresentano le donne.

I bisogni sessuali di quest’ultime sono considerati così irrefrenabili da diventare l’immagine stessa delle forze brute e del disordine.

I desideri sfrenati e l’irresistibile fascino donano alle donne una forza da esercitare sugli uomini, che compete persino con quella divina.

La donna va tenuta a freno poiché la sua esuberante sessualità costituisce una minaccia diretta per l’ordine pubblico. Tant’è che il termine arabo fitna significa tanto disordine civile quanto bella donna. ( fitna significa sia “sedizione” che “seduzione” n.d.r.)

Per un gran numero di musulmani l’Occidente non costituisce solo una minaccia esterna, rappresentata dagli invasori infedeli, ma esso erode altresì i meccanismi tradizionali usati per tenere testa alla minaccia interna costituita dalla donna. Il che porta alla diffusione di timori circa l’adozione dei costumi occidentali, preferendo piuttosto aggrapparsi alle vecchie tradizioni.

In altre parole, il diverso modo di concepire la sessualità contribuisce a una generale riluttanza musulmana ad accettare la modernità.

La paura dell’erotismo all’occidentale finisce con il confinare i musulmani nei settori della politica, dell’economia e della cultura. I timori sessuali costituiscono una delle cause principali del trauma islamico in età moderna (…).

Leggi tutto in : Il desiderio femminile e il trauma dei musulmani di Daniel Pipes

Fonte: http://it.danielpipes.org/article/1831

***

Kleine Schriften zu zwischenmännlicher Sexualität und Erotik in der muslimischen Gesellschaft

In rete:

HATRED FOR WOMEN AND ISLAMIC TERROR

di Iakov Levi

“ ( … ) L’orda fraterna musulmana è una minaccia per la civiltà di Apollo ancora maggiore di quello che lo era stata l’orda nazista. Questa era composta da fratelli sadico-anali e “malignant narcissists” che anelavano ad avere sotto controllo l’Occidente, come ogni sadico anale vuole controllare e dominare, ma non anelavano a distruggerlo.

L’orda musulmana è invece un’orda sadico orale e borderline, con manifeste allucinazioni intrauterine, la cui unica strategia è la distruzione e l’annullamento.

L’Islam di oggi non è più quello dei califfi Omiadi e di Harun El Rashid. Allora erano al loro meglio, mentre adesso sono al loro peggio, e la regressione borderline è degenerata in paranoia. Questa è la loro condizione filogenetica e ontogenetica permanente.

I musulmani hanno preso la proibizione di guardare il genitale materno molto seriamente, e sono pronti a scoppiare su chiunque stia ancora guardando, per soddisfare le pretese di un Padre preistorico, non fantasticato come nella psiche occidentale e in quella ebraica, ma bensì allucinato.

Sarebbe un vero peccato vedere le statue di Michelangelo fare la stessa fine che ha fatto il Budda distrutto dai Talibani in Afganistan” .

Saluti a tutti
Iakov Levi

Fonte: http://www.geocities.com/psychohistory2001/giardinociliegi.html

Pubblicato in Varie | Lascia un commento