L’ ORDA DEI FRATELLI SENZA PADRE

E ALLUCINAZIONE INTRAUTERINA


La Sirenetta con il burqa, Danimarca dicembre 2004

Mi è sembrato significativo, nel corso dei miei soggiorni in diversi paesi islamici e alla lettura dei testi della tradizione, sia l’insistenza con la quale si ripete continuamente che Dio non è il padre – con la conseguenza dell’affermazione di un monoteismo dai tratti astratti e violenti – sia la vera e propria rimozione, se non il panico, dell’alterità femminile.

L’islamismo politico radicale appare come il sintomo più visibile delle rimozioni costitutive di un mondo che entra in crisi al contatto con la modernità . Senza il lavoro di una cultura che preparasse il passaggio da un tempo quasi immobile ai continui cambiamenti, e incapace di fare criticamente i conti con la propria storia, l’Islam, nella maggior parte dei casi, proietta polemicamente la “colpa” dei propri ritardi, delle proprie disfunzioni e delle proprie deficienze su un indistinto Occidente di “ebrei”, di “crociati” e di musulmani ritenuti “troppo tiepidi”, se non apostati.

Alla “cesura” del soggetto in evoluzione anche nei paesi islamici e all’immobilismo della tradizione – che dà luogo a una vera e propria disperazione di massa che si esprime in termini di terribili depressioni e di scoppi spettacolari di esaltazione fanatica – occorre aggiungere l’incremento demografico delle moltitudini arabe e islamiche, percorse da una gioventù verdeggiante, a un tempo entusiasmante e oppressiva,

“Mektoub”, ovvero “ è scritto”, esprime un lungo regime di proibizione di pensare e una chiusura interna all’islam, una vera e propria mentalità del serraglio e della sottomissione sia al più forte sia alla lettera che quando non uccide trasforma il reale in un cumulo di affabulazioni e la persona umana a un’ombra priva di ogni capacità di esercitare liberamente e responsabilmente la libertà in una relazione significativa con se stessa, con gli altri, con l’universo mondo e con Dio.

Un dio Allah che nella maggior parte dei casi viene concepito come una specie di Saddam Hussein cosmico, o comunque come separato dall’umano dall’abisso delle qualità.

La luce del dio Allah, eccetto che per qualche sufi, non partecipa dello stesso essere dell’anima dell’uomo e della donna, per cui la storia è immobile, l’apocalisse è già avvenuta, il sole del dio Allah brilla sempre allo zenith.

O perlomeno così dovrebbe essere, secondo i musulmani, “la migliore delle nazioni”. Dal momento che il sole si muove, che molte sono le storie possibili, o anche impreviste, e l’islam di fatto non trionfa la colpa non può che essere degli ebrei, dei crociati e dei musulmani non musulmani, che occorre far ripassare – con le buone o con le cattive – per l’Origine.

Il meccanismo fondamentalista legato alla nozione di “ritorno” a un islam immaginato puro, originario e vittorioso, si presta sia a un processo di elaborazione teorica dai toni nostalgici e regressivi , sia al delirio e poi all’aggressione e all’applicazione pratica del delirio.

Cominciando, come in Arabia saudita o nel lugubre regime degli ayatollah, con l’istituzione della polizia religiosa, i guardiani incaricati d’incrementare le virtù e di reprimere il vizio tramite il pio esercizio del terrore in nome della Legge del dio Allah. In sintesi: il dio-Padrone-dei-mondi è tutto, e l’uomo e il mondo sono niente.

Stando così le cose non resta che attrupparsi, come tanti girini in uno stagno, sognando la grande Umma o universale e gloriosa comunità di Allah, lamentandosi che se il reale con corrisponde all’eterna Aurora dell’Islam vittorioso è perché si è “vittime delle circostanze”. Se la colpa è degli ebrei e dei crociati, non resta che uscire dalle moschee con gli occhi iniettati di sangue, il volto ricoperto da quelle orrende kefiah simili ai cappucci del Ku Klux Klan.

Sono mondi, quelli arabi e islamici, in cui manca anzitutto la giustizia, ovvero la base stessa delle relazioni umane. Gran parte dell’insegnamento diffuso da imam semiletterati e da sceicchi semilintellettuali si riduce a una selezione – su base wahabita, khomeinista o da Fratelli Musulmani – della sterminata e variegata tradizione dei numerosi islam e dei passi più aggressivi del Corano, decontestualizzati e letteralmente appresi, secondo un’esegesi acritica e pragmatica, per niente simbolica o spirituale, che riduce l’immagine del mondo in cui vivono le giovani generazioni a un cumulo di affabulazioni, di sordo risentimento e di assurdità.

Lo sgretolamento profondo delle relazioni tra il reale e le forme simboliche dell’islam è rappresentato in maniera spettacolare specialmente dagli estremismi, che evacuando la metafora e aggrappandosi all’a-temporalità della lettera, tendono all’applicazione pratica dell’Idea dell’Uno, ovvero all’esercizio della crudeltà e all’instaurazione di regimi oppressivi e totalitari, facendo ricorso a un vocabolario religioso.

Il vocabolario del nazi-teoscientismo-islamico è l’esito catastrafico della crisi e decomposizione dell’islam e della sua ricomposizione nei termini dell’islam politico che oggi occupa la scena, presentandosi come un islam monolitico, costituito da una mescolanza di illusioni di tipo paranoico-sacrificale.

A ritornare non è il religioso o lo spirituale, ma una specie di contrazione verso l’informe decomposizione della funzione metaforica e dello stesso immaginario, dove l’Origine si mostra come un organo collettivo spalancato su un’angoscia politica senza fondo.

“Alla radice del problema – nota il fisico Haim Harari – vi è il fatto che tutta la regione musulmana è totalmente disfunzionale, e lo sarebbe anche se Israele avesse aderito alla Lega Araba e se da 100 anni esistesse uno stato indipendente palestinese. I 22 paesi della Lega Araba, dalla Mauritania agli Stati del Golfo, hanno una popolazione complessiva di 300 milioni, superiore a quella degli Stati Uniti…e con tutto il loro petrolio e le loro risorse naturali hanno un PIL minore di quello complessivo dell’ Olanda e del Belgio…Lo status sociale delle donne è peggiore di quanto fosse in occidente 150 anni fa. I diritti umani sono al di sotto di ogni standard ragionevole, malgrado il fatto grottesco che la Libia è stata eletta alla presidenza della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. In base ad una relazione preparata da un comitato di intellettuali arabi e pubblicata sotto gli auspici delle Nazioni Unite la quantità di libri tradotti in tutto il mondo arabo è inferiore a quelli tradotti in Grecia…

Tutto ciò crea un terreno di cultura senza precedenti per dittatori crudeli, reti terroristiche, fanatismo, incitamento all’ odio, assassini suicidi ed un declino complessivo. Ed è un fatto che quasi chiunque nella regione dia la colpa di tutto ciò agli Stati Uniti, ad Israele, alla civiltà occidentale, all’ ebraismo ed al cristianesimo, eccetto a sé stessi…. “.

Un gruppo o una comunità disorientata può così regredire perdendo la più comune capacità di autocritica, se non spirituale. “Il delirio collettivo – nota Fethi Benslama, a pag 53 di “La psychanalise à l’epreuve de l’Islam” – gli conferisce in qualche modo un corpo primitivo che sfugge all’interpretazione simbolica, come se avesse un bisogno imperioso di avere delle sensazioni fisiche della Cosa originaria a fior di pelle: a livello dello stesso corpo, di corpi imbricati gli uni negli altri.” Per questo gli islamisti debbono mostrare su se stessi, pubblicamente, le manifestazioni di questo fenomeno, e testimoniare di una risorgenza organica dell’origine comune nei modi della stigmatizzazzione. Si dede vedere, per esempio, la barba nell’uomo, il velo nella donna, la testa mozzata all’infedele, al miscredente o al musulmano “tiepido”, eccetera.

Naturalmente, come avvenne anche durante l’ascesi sfolgorante del nazismo in Europa, nel mondo musulmano esistono milioni di persone dignitose, oneste, perbene che sono devoti musulmani o anche poco osservanti, ma che sono cresciuti in famiglie musulmane. “ Essi – come osserva Haim Hariri – sono doppiamente vittime di un mondo esterno che ora sviluppa una islamofobia e del loro stesso ambiente che spezza i loro cuori con la propria disfunzionalità. Il problema è che questa vasta maggioranza silenziosa di musulmani non sono parte del terrorismo e dell’ odio ma non si sollevano contro di essi. Essi ne divengono complici per omissione “.

Riprendo qui uno scritto dello psicoanalista Isaak Levi, forse può essere utile per cercare di comprendere la fissazione regressiva che ha colpito l’islam e che rischia, per contagio mimetico, di impestare anche i semintellettuali e i semiletterati di civilizzazioni più evolute come quella occidentale, anch’essa tentata dalla barbarie nei suoi esponenti nichilisti, oppure semplicemente nostalgici del Paradiso in terra, del comunismo storicamente sconfitto, così come anche del nazismo.

Come altri esempi storici in Europa e altrove, il discorso islamista è la versione islamica della crisi moderna che ha prodotto moltitudini di smemorati che si vivono in "crisi d’identità", si comportano come bastardi patentati e – con la collaborazione di numerosi paraculi o collaborazionisti multietnici e politicamente corretti a sinistra – ha generato una ideologia sempliciona dotata di tutte le caratteristiche dell’ideologia totalitaria di massa. Come osservava, profeticamente, anche san William Burroughs, beat di antico pelo: " Quando il Semplicione sale su è difficile fermarlo…".

Ecco qualche estratto dello scritto che si può trovare integralmente, con ulteriori osservazioni di vari interlocutori, in : http://www.psicoanalisi.it/utilities/faqforum17.htm

Sei mesi fa ho scritto in "Hatred for Women and Islamic Terror" che tutta questa saga di terrorismo islamico, per me è un’allucinazione intrauterina.

Allora ci ero arrivato analizzando le dichiarazioni dei terroristi e dei dirigenti islamici, che passavano sempre dalle associazioni morte, suicidio, martiri, Allah, orfani, paradiso delle 72 Vergini.

Già allora ho paragonato la fantasia di incontrare Allah nel Paradiso delle vergini a Pinocchio che incontra il padre nel ventre del pescecane.

Arafat qualche mese fa ha dichiarato con lo sguardo sognante e il sorrisino ebete di vedere un milione di martiri che marciano su Gerusalemme. Non un milione di Eroi, bensì un milione di Martiri. Ovvero, la loro meta non è quella di liberare Gerusalemme (il corpo della madre), ma di morirci dentro .

Da qui anche tutto lo sfasamento del conflitto israeliano-palestinese.

Il rapporto degli ebrei con la Terra Promessa è un’interazione a livello edipico, mentre quello degli arabi avviene a livello intrauterino.

Mentre gli israeliani hanno proposto un compromesso, come un bambino che a un certo momento, dopo aver passato lo stadio delle fantasie di onnipotenza verso il corpo della madre, prende atto della realtà nella quale non è figlio unico e deve dividere la madre con i fratelli, gli arabi hanno bisogno del corpo materno come allucinazione intrauterina, e non sono in grado in ogni caso di interagire con lei a livello genitale.

Per questo tutti questi attacchi suicidi sono cominciati solo dopo che è stata proposta loro l’indipendenza, e non prima.

Fino a che gli israeliani si intestardivano su "not one inch" e si rifiutavano di riconoscere persino la stessa esistenza dei palestinesi, questi non ci pensavano nemmeno a suicidarsi.

Per me, lo scopo dei palestinesi non è affatto quello di distruggere Israele, ma solo quello di evitare la propria indipendenza. Paradossalmente stanno manipolando Israele (il borderline è abilissimo nel manipolare) a rioccupare, contro la sua stessa volontà, le zone che sono sotto la loro amministrazione per poter sentirsi le vittime e gli stuprati (livello omosessuale passivo del borderline).

E allora sacrificano i propri figli. Li caricano di bombe, li mandano davanti ai carri armati, e li fanno dormire nelle loro caserme e nei posti dove più ci si deve aspettare un attacco israeliano.

Naturalmente gli israeliani, che non capiscono che si sta trattando di acting out intrauterino, si guardano esterefatti e disorientati. Avanzano ogni volta nuove proposte, solo per ricevere nuovi attacchi suicidi.

Questo è quello che succede quando le persone e i popoli intergiscono tra di loro a livelli psicosessuali diversi.

Lachkar, ancora nel 1994 ha definito il conflitto israeliano – palestinese: "a marital relationship between a narcissist (Israele) and a bordeline (gli arabi)".

Allora la diagnosi era giusta.

Quello che in quei lontanissimi tempi (sono passati otto anni ma sembra che ne siano passati ottanta) ancora non sapevamo, è cosa succede quando il narcisista, per motivi inerenti alla propria evoluzione psicosessuale, si ritira dalle proprie posizioni narcisiste per lasciare spazio al "partner" di crescere e sviluppare la propria indipendenza.

Un disastro.

Il bordeline si sente abbandonato e viene assalito dal panico. A questo punto non gli rimane che suicidarsi, portandosi dietro il partner abbandonatore.

Questa, che è una situazione particolare che fa parte del dialogo Isacco (il figlio preferito dal padre e amato dalla madre) – Ismaele (il figlio cacciato dal padre nel deserto e tenuto lontano dal corpo materno (abbandonato quindi due volte, da ambo i genitori) si è inserito nel dialogo più vasto tra Occidente e Islam, che è un intercourse diverso, anche se ci sono alcuni punti di contatto.

Il punto di contatto principale consiste nel fatto che la società israeliana è essenzialmente una cultura occidentale (democrazia, permissività sessuale, liberalismo economico, avanzamento scientifico e tecnologico).

A questo livello, al di là del dialogo arcaico Isacco – Ismaele, Israele è percepita come una spina dell’Occidente nella loro carne monoteista e iconoclasta, malgrado ebrei e arabi condividano tra di loro, e non con l’Occidente, alcuni di questi parametri.

Riporterò a questo proposito un anneddoto, che non è tale ma storia vera.

Una decina di anni fa, il comune di Firenze ha deciso di regalare a quello di Gerusalemme una copia della statua del David di Michelangelo (dicono del valore di 700000 dollari), a condizione che venga esposta in una delle piazze delle città.

Quando ho sentito la notizia per televisione, mi è venuto da ridere.

Non si potrebbe immaginare niente di più impossibile.

Sembrava la ripetizione dell’ordine di Caligola di esporre la sua statua nel Tempio di Gerusalemme, che ha fatto scoppiare una delle rivolte contro i romani.

Il sindaco di Gerusalemme, con il suo solito humor, ha esclamato: "Sarebbe la prima volta che ebrei e arabi si troverebbero d’accordo in qualcosa. Nel lapidare me!"

Ha risposto a Firenze che ringraziamo per la generosa offerta, ma che noi non usiamo esporre statue nude nelle nostre piazze (avrebbe dovuto aggiungere "non esponiamo statue affatto, né nude né vestite"), e che possiamo mettere la statua in una delle sale del museo d’Israele (ben nascosta).

I fiorentini si sono offesi, non se ne è fatto niente, e poco dopo un mio amico, che è giornalista alla Nazione, mi ha scritto che uno dei giornali aveva riportato che gli israeliani non vogliono il David perché non è circonciso.

Mi scuso per questa disgressione, ma ci aiuta forse a capire come il dialogo ebrei-arabi, ebrei – Occidente, e arabi -Occidente sia complesso, e porti a continue incomprensioni e conflitti, che non possono essere capiti usando parametri "razionali".

Gli occidentali odiano gli ebrei, poichè questi, con la loro presenza, fanno una reattivazione del loro complesso paterno, gli arabi odiano gli ebrei perchè vedono in loro il fratello preferito dal padre e amato dalla madre, colui contro il quale possono solo sempre perdere, e attraverso la loro coazione a ripetere si mettono sempre in condizione di essere le vittime e i perdenti, e gli arabi odiano l’Occidente (questo è l’odio più feroce di tutti ), poichè rappresenta quello che più hanno ferocemente rimosso: la pulsione voyeuristica a quardare il genitale femminile.

Paradossalmente, il conflitto israeliano – palestinese si sarebbe risolto da solo a due condizioni 1) Se gli israeliani non avessero rinunciato al loro ruolo narcisista nella dinamica della coppia narcissist – borderline 2) Se il conflitto non fosse entrato a far parte integrale di quello più ampio Occidente – Islam.

E’ questo secondo quello insanabile, come d’altra parte dicono apertamente i vari Bin Laden e Houmeini, quando parlano di "Gerusalemme sulla strada per Washington".

Arafat si astiene dal dirlo, in quanto si vuole accattivare le simpatie dell’Occidente, facendo leva sull’antisemitismo radicato in questa cultura.

Come sappiamo, i borderline sono estremamente manipolativi e sono dei bugiardi patologici., sempre convinti di dire la verità.

A questo punto possiamo capire anche perchè la stessa inibizione regressiva a guardare il genitale materno, nel giudaismo si sia tradotta in nevrosi ossessiva, mentre nell’Islam si è tradotta in borderline disorder, regressione intrauterina e paranoia.

La risposta è la presenza dell’istanza paterna, che nel giudaismo è onnipresente, mentre nell’Islam è assente e quindi allucinata.

Isacco il narcisista si sente il popolo eletto. E’ il preferito del Padre, con il quale intavola un dialogo aggressivo a livello edipico, seguito da sensi di colpa e regressioni temporali al livello anale, per innescare nuovi tentativi al di là del livello genitale. Un eterno parricidio – espiazione – identificazione. Da qui il potenziamento della libido eterosessuale, attraverso canali sublimativi, mentre invece nell’Islam questa si impoverisce sempre di più dopo ogni fallimento indotto dalla coazione a ripetere.

Il risultato è che qualsiasi fallimento, perdita e lutto, nel giudaismo si traducono in ritorno al Padre, poichè questi è sempre lì che aspetta di venire assassinato ed espiato, una nuova coesione e la sicurezza della propria forza, malgrado spesso questa sicurezza, sul terreno della realtà empirica, non abbia su cui basarsi.

Sembra che gli ebrei si sentano forti anche quando sono i più deboli di tutti .

Gli arabi, invece, si sentono deboli e vittime, anche quando sono forti. Dopo aver completato la conquista di mezzo mondo, si sono trincerati in una depressione e in cicli di regressione borderline self -feeding.

Il punto che ci rimane da capire, e che ci ricollegherà all’inizio, è perchè proprio adesso, in questo ultimo decennio, il borderline disorder sia esploso in paranoia galoppante, e da qui, come da Lei sostenuto:

Uccidere-castrare il figlio- pene della madre equivale a uccidere quel se stessi-pene della madre che si é stati da feti e neonati. Come dire, un tentativo (di nuovo!) di castrarsi- separarsi da una madre totale arcaica, a prezzo della propria potenza generativa.

Bisogna ricordare che la libertà sessuale di cui gode-soffre oggi l’Occidente è una cosa di questi ultimi tre decenni. Fino agli anni settanta non era tale. L’esplosione di nudo è una cosa molto recente.

Bin Laden, che durante gli anni settanta era un giovanotto godereccio in cerca di divertimenti, è tornato dall’America improvvisamente disgustato e sopraffatto dalla promisquità occidentale. E’ lì che, dalle sue stesse parole, ha deciso di attaccare senza tregua e senza compromessi l’Occidente fino a distruggerlo.

Ovvero, messo difronte a tutti quei genitali femminili esposti, gli è esplosa la paranoia.

Per lui, come per molti arabi, l’esperienza ontogenetica dell’abbandono paterno era stata una ripetizione di quella filogenetica collettiva e l’aveva rinforzata. L’abbandono paterno era stato inconsciamente interpretato come causato dalla pulsione genitale – voyeurista. Messo di fronte alla causale dell’abbandono subìto, ha reagito con la determinazione di distruggere l’oggetto della sua libido e la causa del trauma subito: il pene femminile su cui quella si era fissata.

Bin Laden è la rappresentazione antropomorfica di tutto il mondo islamico. Solo negli ultimi decenni, sotto il peso della metamorfosi esperimentata dall’Occidente,e i media che hanno resa possibile la diffusione di immagini in tutto il mondo, questo si è trovato esposto al rimosso pene femminile, e ha innescato la reazione comune: distruggere i peni femminili, causale dell’abbandono paterno.

L’equazione pene femminile = bambino = sé stessi è facilitata ancora di più dai contenuti dell’allucinazione omosessuale paranoica, che sono quelli di incontrare il padre amato-abbandonatore- allucinato e odiato per l’abbandono subito.

Se torniamo alla percezione che tutti i peni siano del padre, maschili e femminili, e Lui è quello che decide quali "segare, quali umiliare e quali lasciare germogliare"(Ezchiele 17,4), nello scontro contro il pene femminile si ha act out anche nell’incontro con il pene paterno allucinato.

Il saldo di apertura di questo ultimo e decisivo stadio della saga islamica è infatti l’incontro – scontro – distruzione – di DUE torri, non una, il pene e il suo gemello, quello reale e quello fantasmatico, quello che c’è e quello che non c’è. Per parafrasare Nietzsche, il viandante e la sua ombra.

Il suicidio è quindi essenziale per rincontrare il Padre, e nell’unico posto contemplabile, visto che non si tratta di Padre fantasticato, ma allucinato: nella placenta. Solo lì ci sono peni maschili e femminili, a coppie, a gemelli.

Quelli femminili poi, non essendo reali, possono essere numerosissimi. Il Paradiso dei Martiri contiene 72 Vergini = peni femminili non evirati.

Anche queste sono intercambiabili con bambini. La pedofilia è diffusissima nel mondo islamico, poichè se lo scopo non è la penetrazione eterosessuale ma incontri- scontri con peni, l’orifizio diventa superfluo e la natura del pene irrilevante.

Cosa se ne fanno, infatti, di 72 Vergini nella placenta, se non perché queste sono peni e non donne ?

Vergini, perchè neanche lì non sarà loro concesso di osservare il genitale femminile, il loro pene verginale farà anche lì da strumento apotropaico contro il voyeurismo e la penetrazione genitale.

Lì si incontreranno con Allah e infiniti peni danzanti, di tutti i colori e le misure.

Iakov Levi

Fonte: http://www.psicoanalisi.it/index.html

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FIRMA URGENTE CONTRO UNA LAPIDAZIONE

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Urgente: Hajiyeh Esmaelvand, di Jolfa (città vicina a Isfahan) è stata giudicata colpevole di aver avuto relazioni sessuali prematrimoniali. E’ stata condannata a morte, sentenza da eseguirsi tramite lapidazione entro le prossime due settimane.
Amnesty international (Belgio) ha messo in linea una petizione per Leyla M.. Si può sottoscrivere aggiungendo nel testo il nome di Hajiyeh [link].
Dopo la firma arriverà una mail; è necessario confermare.

Si può inoltre scrivere al Presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Mohammad Khatami:
khatami@president.ir Fax: 0098 21 649 5880
Appello di KAVEH MOHSENI
Porte Parole de la Section Française du Daneshjoo.org :
Comité de Coordination du Mouvement Estudiantin pour la Démocratie en Iran.

***

A Marivan città del kurdistan iraniano è stata già uccisa con lapidazione Jila Izàdi la bambina tredicenne violentata dal proprio fratello dopo avere partorito i suoi figli in carcere. Gli sforzi di organizzazioni internazionali, Amnesty International non hanno potuto salvare la bambina vittima di violenza carnale da lapidazione secondo la barbarica legge della sharia in vigore nella Repubblica Islamica teonazista iraniana.

Secondo la legge del regime nazi-islamico iraniano , la condanna a morte può essere emessa nei confronti di bambine sopra i nove anni e di maschi sopra i 15, nel caso in cui commettano reati come lo stupro e l’omicidio. Può essere emessa anche contro minori sorpresi in una relazione etero o omosessuale.

Fonte: http://iranwatch.splinder.com/

Horrors of stoning captured on film

You need to have the Real Player to view the Video clip.

To watch the stoning video, click on the icon below. Viewing advisory suggested as this video contains inhumane act of stoning.

Fonte: http://www.wfafi.org/e-zan.htm

In rete :

http://www.daneshjoo.org/

***

LETTERE AL DIRETTORE (del Foglio)

Al direttore – Ho letto con interesse l’anticipazione del Foglio sulla trilogia fallaciana di prossima uscita. Tutto bene, se non fosse che non capisco cosa c’entrino i matrimoni gay con tutta questa faccenda sul terrorismo islamico. L’unico (grande) errore di Zapatero è stato il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq. Punto e basta. Per il resto qualsiasi imam, qualsiasi musulmano sarebbe completamente d’accordo con la Fallaci e con voi nel proibire i matrimoni gay. Cordiali saluti

Luca De Rocco, via Internet

Risposta del Direttore

Noi assomigliamo forse al “nemico”, ed è per questo che ci viene naturale combatterlo. Zapatero assomiglia alla caricatura che il nemico fa di lui, e per questo gli sembra giusto scappare. Contro le semplificazioni: siamo per la più totale libertà di unione civile degli omosessuali, titolari come ogni cittadino di diritti, critichiamo la “completa equiparación” di queste unioni al matrimonio tradizionale, cioè la soluzione di Zap., perché ci sembra un modo fatuo per abrogare di fatto e con un irriflessivo codicillo una antica e utile istituzione umana. Quando faremo ancora meno figli di adesso, vedrà che fine gli faranno fare ai coniugi gay gli islamisti radicali.

Grazie a :Sorvegliato Speciale

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Eros smemorato

EROS SMEMORATO

Paul Klee, 1939

 

***

Courbet, L’origine del mondo

Courbet dipinse "L’origine del mondo" nel 1866. Grazie, signor Courbet: grazie a voi non ci sentiamo soli nelle nostre ossessioni e una certa tendenza alla smemoratezza, se non a qualche modesta deviazione.

 

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Festa dell'Immacolata 8 dic. 1854 – 8 dic. 2004

FESTA DELL’IMMACOLATA

8 dicembre 1854 – 8 dicembre 2004


Jusepe de Ribera, Immacolata Concezione, 1635

 

La chiesa cattolica afferma che Maria è nata senza peccato originale. Quest’idea, conosciuta come "immacolata concezione", comparve per la prima volta nell’anno 1160. Fu ufficializzata nel 1477 da Sisto IV, e poi proclamata dogmaticamente nel 1854 dal Beato Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus.

Il signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora e io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era ancora stata formata; io ero già nata prima delle colline.

***

 



Nel XXXIII canto del Paradiso, san Bernardo innalza un’ardente preghiera alla Vergine Maria. San Bernardo di Chiaravalle – fondatore dell’ordine dei Cistercensi e primo Cavaliere Templare – implora la madre del Cristo affinché per sua intermediazione di grazia fra Dio e le creature umane a Dante venga concessa la visione della luce di Dio: anima dell’uomo e radiosa essenza dell’esperienza del vivente.

LA PREGHIERA DI BERNARDO

 

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’etterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridïana face

di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre,

sua disïanza vuol volar sanz’ ali.

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fïate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s’aduna

quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l’infima lacuna

de l’universo infin qui ha vedute

le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute

tanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l’ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi

più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi

di sua mortalità co’ prieghi tuoi,

sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi

ciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

Li occhi da Dio diletti e venerati,

fissi ne l’orator, ne dimostraro

quanto i devoti prieghi le son grati;

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,

nel qual non si dee creder che s’invii

per creatura l’occhio tanto chiaro.

E io ch’al fine di tutt’ i disii

appropinquava, sì com’ io dovea,

l’ardor del desiderio in me finii.

BERNARDO m’accennava, e sorridea,

perch’ io guardassi suso; ma io era

già per me stesso tal qual ei volea:

ché la mia vista, venendo sincera,

e più e più intrava per lo raggio

de l’alta luce che da sé è vera.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio

che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual è colüi che sognando vede,

che dopo ‘l sogno la passione impressa

rimane, e l’altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessa

mia visïone, e ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

Così la neve al sol si disigilla;

così al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla.

O somma luce che tanto ti levi

da’ concetti mortali, a la mia mente

ripresta un poco di quel che parevi,

e fa la lingua mia tanto possente,

ch’una favilla sol de la tua gloria

possa lasciare a la futura gente;

ché, per tornare alquanto a mia memoria

e per sonare un poco in questi versi,

più si conceperà di tua vittoria.

Io credo, per l’acume ch’io soffersi

del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,

se li occhi miei da lui fossero aversi.

E’ mi ricorda ch’io fui più ardito

per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi

l’aspetto mio col valore infinito.

Oh abbondante grazia ond’ io presunsi

ficcar lo viso per la luce etterna,

tanto che la veduta vi consunsi!

Nel suo profondo vidi che s’interna,

legato con amore in un volume,

ciò che per l’universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costume

quasi conflati insieme, per tal modo

che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.

La forma universal di questo nodo

credo ch’i’ vidi, perché più di largo,

dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.

Un punto solo m’è maggior letargo

che venticinque secoli a la ‘mpresa

che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.

Così la mente mia, tutta sospesa,

mirava fissa, immobile e attenta,

e sempre di mirar faceasi accesa.

A quella luce cotal si diventa,

che volgersi da lei per altro aspetto

è impossibil che mai si consenta;

però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,

tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella

è defettivo ciò ch’è lì perfetto.

Omai sarà più corta mia favella,

pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante

che bagni ancor la lingua a la mammella.

Non perché più ch’un semplice sembiante

fosse nel vivo lume ch’io mirava,

che tal è sempre qual s’era davante;

ma per la vista che s’avvalorava

in me guardando, una sola parvenza,

mutandom’ io, a me si travagliava.

Ne la profonda e chiara sussistenza

de l’alto lume parvermi tre giri

di tre colori e d’una contenenza;

e l’un da l’altro come iri da iri

parea reflesso, e ‘l terzo parea foco

che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto è corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,

è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.

O luce etterna che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta

e intendente te ami e arridi!

Quella circulazion che sì concetta

pareva in te come lume reflesso,

da li occhi miei alquanto circunspetta,

dentro da sé, del suo colore stesso,

mi parve pinta de la nostra effige:

per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond’ elli indige,

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l’imago al cerchio e come vi s’indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.

A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle.”

Dante Alghieri

Paradiso, Canto XXXIII

 

 

«In Maria è la Sapienza nel mondo creato; è in lei che la Sapienza è stata giustificata, e perciò la venerazione della Vergine si confonde con quella della Sapienza.

È nella Vergine che si sono unite la Sofia celeste e la Sofia del mondo creato, lo Spirito santo e l’ipostasi umana. Il suo corpo è diventato completamente spirituale e trasfigurato.

Ella è la giustificazione, il fine, il senso della creazione; ella è, in questo senso, la gloria del mondo.

In lei, Dio è già tutto in tutti»

(Semej Bulgakov ).

in rete:

Maria nella letteratura

Fonte: http://digilander.libero.it/mariaoggi/letteratura.htm

***

Sant’ Alfonso Maria de Liguori
Le G
lorie di Maria

Opera utile per leggere e predicare divisa in due parti

Fonte:

http://www.intratext.com/IXT/IXTCDITAP00034/IXT/_IDX076.htm

———

grazie a: Duca de Gandia

Weblog di Francesco Costa

 

Egli non aveva ancora creato né la terra, né i fiumi, né consolidato la terra mediante i due poli.

Quando egli preparava i Cieli io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”.

La stampa riportata sopra rappresenta Duns Scoto, inginocchiato, in atteggiamento estatico, davanti alla Vergine Immacolata, mentre pronunzia la preghiera: “Dignare me laudare te Virgo Sacrata”.

Egli regge in mano una penna a simboleggiare l’impegno di difendere in pubblico il Mistero dell’Immacolata Concezione di Maria. La Vergine è coronata di dodici stelle e poggia i suoi piedi sopra l’Arca dell’Alleanza, nella mano destra regge un giglio.

Intorno al capo di Maria c’è un coro di angeli, mentre il simbolo della Trinità domina su di Lei, attorno sono raffigurati i simboli mariani: la rosa, la fonte, il giardino chiuso, la stella, la città santa, lo specchio senza macchia, la porta del cielo, la torre, la radice di Jesse.

Sulla Stampa sono riportate le tesi teologiche che lo studente Andreas Jotti di Castignano, dedica a mons. Francesco Antonio Marcucci nel 1779.

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UNA VOCE DALL’ESILIO

“Perché i fondamentalisti uccidono il mio Corano “

di Abu Zayd Nasr

Nasr Hamid Abu Zayd

Fui un simpatizzante dei Fratelli musulmani. Non ero contro la rivoluzione, né ero contro Nasser, ero però dell’opinione che l’Islam fosse una cosa importante e che il governo invece ne abusasse.

Non che considerassi tutta la società «miscredente», come invece affermavano i Fratelli musulmani, ma c’era qualcosa che mancava. All’epoca il governo era riuscito a controllare l’Università di al-Azhar e ad utilizzarla nella lotta contro i Fratelli musulmani. Al-Azhar obbedì e cominciò a lodare i vantaggi del socialismo, del nazionalismo arabo, della pianificazione familiare e altro.

Le manipolazioni furono talmente evidenti da suscitare la mia rabbia. Oggi si sa perché Nasser fu così intransigente nel perseguitare i Fratelli musulmani: essi avevano appoggiato la rivolta degli Ufficiali Liberi del 1952, alcuni di loro avevano affinità ideologiche con gli Ufficiali liberi. Dopo il golpe però, i Fratelli musulmani volevano che l’Islam venisse dichiarato religione di stato e che la shari’a diventasse l’unica fonte del diritto.

Gli Ufficiali liberi invece non vollero cedere il loro potere, e offrirono ai Fratelli musulmani soltanto il ministero degli affari religiosi. Lo Stato cominciò a perseguitare i Fratelli musulmani, i quali nel 1954 reagirono con un attentato alla vita di Nasser. Ne seguì l’esecuzione di molti di loro. […]

Nutrivo ancora molto rispetto per la persona di Nasser e mi riconoscevo nei valori della rivoluzione, nell’obiettivo di una distribuzione più equa delle ricchezze e di una partecipazione dei ceti più poveri all’istruzione e ai servizi sociali. […] Ma sono stato derubato di un sogno, nobile e bello. Di fronte alla disfatta del 1967 mi meravigliai soltanto che nessuno l’avesse prevista. Nonostante avessi previsto la sconfitta, fu un momento tragico per me. Avevo intuito che un popolo che non è libero non è in grado di lottare. Sapevo che uomini derubati della loro dignità non possono essere dei buoni combattenti. E malgrado tutto ciò, la sconfitta fu terrificante.

Rimasi come stordito per una settimana intera. Soltanto quando i popoli, ad un certo punto, riescono a trovare la forza per distruggere le proprie figure-simbolo, allora probabilmente riescono a essere liberi. E Nasser è stato una di queste figure-simbolo. Il popolo egiziano lo amava.

Ma, come nella vita dell’individuo, anche in quella dei popoli arriva il momento in cui deve avvenire ciò che Freud chiama l’uccisione del padre, cioè appunto la liberazione dal dominio del padre.

Il carisma di Nasser ha fatto in modo che il popolo egiziano vedesse in lui il padre, per liberarsi il popolo avrebbe dovuto ucciderlo. In sé, non sarebbe stata importante tanto la sentenza di un tribunale, quanto il fatto che un sovrano si fosse sottoposto al giudizio di un tribunale. Il popolo egiziano in quel momento avrebbe potuto prendere l’iniziativa, invece gli diede carta bianca, anche se Nasser non aveva più alcuna possibilità di sfruttarla. Ogni altro leader avrebbe potuto farne dei miracoli, Nasser invece era già finito. Ebbe inizio così un periodo di grandi disordini e di molteplici intrighi.

La scoperta dell’ermeneutica

Dalle letture di Gadamer, Heidegger, Ricoeur, fatte in contemporanea a quella di  Ibn Arabi, mi apparve improbabile l’esistenza di due filosofie, una occidentale e l’altra orientale. Certamente i testi ricorrevano a terminologie, a metafore o ad una sintassi diverse, però fondamentalmente trattavano tutti lo stesso argomento: il rapporto tra il testo ed il suo lettore.

Il testo in questione poteva essere un testo rivelato, un’opera d’arte o riguardare il mondo intero, ma per poter esistere aveva sempre bisogno di essere letto. Contemporaneamente mi accorsi che la lingua non era soltanto un ricettacolo neutro, ma che era coinvolta nel formarsi dell’argomento. Fu allora che pubblicai il primo saggio in lingua araba sull’ermeneutica occidentale, che, iniziata con l’interpretazione del Vecchio Testamento, fornì a quest’ultima le basi teoriche.

Più tardi l’ermeneutica fece il suo ingresso anche in altre scienze, come la filosofia, l’estetica, le scienze letterarie, e anche in quelle sociali.

Tutto ciò, da noi, non si è verificato: l’ermeneutica araba è rimasta relegata all’esegesi coranica.

La crescita del fondamentalismo

Quando Sadat fu assassinato il 6 ottobre 1981 da quegli stessi che lui aveva contribuito a rafforzare, tutto l’Egitto rassomigliò ad un carcere. Un mese prima del suo assassinio, Sadat aveva definitivamente rotto con gli islamisti che reclamavano per sé il potere. Aveva imprigionato molti di loro e contemporaneamente aveva fatto arrestare in un’unica notte centinaia di intellettuali. Il primo sforzo di Mubarak, che succedette a Sadat, fu quello di rasserenare la situazione: rilasciò gli intellettuali e tentò di integrare i cosiddetti islamisti «moderati» nel sistema di potere.

La vera colpa di Mubarak tuttavia, così come dei suoi predecessori, consistette nella chiusura nei riguardi delle riforme democratiche. È dal 1981 che in Egitto vige la legge marziale.

Gli islamisti nel frattempo avevano già cominciato la loro marcia per conquistare spazio all’interno delle istituzioni e per avere un controllo sempre maggiore delle associazioni studentesche, delle varie categorie professionali, così come dei sindacati.

Contemporaneamente l’opposizione laica si era ulteriormente indebolita. Il terrorismo fisico si trasformò in terrorismo psicologico e si diffuse nella società.

Così facendo si creò un contesto nel quale divenne possibile che un tribunale condannasse un uomo per un reato chiamato apostasia e imponesse il divorzio a due coniugi, contro la loro volontà.

Il Corano

Il tratto specifico della civiltà islamica è l’autorità esercitata dal Testo.

Ciò non significa che razionalità ed altri fattori non siano importanti, ma che la sua peculiarità risiede nella funzione svolta dal Corano. È indubbio che dallo studio del Corano non sia scaturita solo la teologia, ma anche tante altre scienze, quali la grammatica, la letteratura, la giurisprudenza, la storiografia e le espressioni artistiche tipiche, come ad esempio la calligrafia ed il canto. Vi è però una grande differenza tra il riconoscere l’autorevolezza religiosa di un testo, sottolineandone la funzione generatrice di civiltà, e l’attribuirgli un’autorità assoluta su tutti gli ambiti della vita.

Il Corano è un’autorità in campo religioso, ma non è la cornice entro la quale contestualizzare le scoperte della scienza storica o della fisica. Oggi, tuttavia, si sta rafforzando la tendenza a pensarlo come «contenente già tutte le verità conosciute o conoscibili dalla ragione». Il ché è pericoloso ed ha in sé due conseguenze.

Da un lato sminuisce il significato della razionalità umana e consolida contemporaneamente l’arretratezza, dall’altro trasforma il Corano, da testo della Rivelazione, in un trattato politico, economico o giuridico. Lo priva così di una parte della sua essenza e cioè della sua specifica dimensione religiosa e spirituale. […]

Nella genesi coranica i due sessi sono parificati. La divisione dell’anima in una coppia non genera nessuna superiorità di una parte rispetto all’altra. E’ vero che il Corano cita spesso il nome Adamo, mentre non appare mai quello di Eva, ma nel Corano Adamo non rappresenta l’«uomo maschio»,e neppure uno specifico essere umano, bensì tutto il genere umano. Il Corano non distingue tra l’azione religiosa di un uomo e quella di una donna, neppure quando tratta della loro punizione o premio nell’aldilà. (ehm …e le 72 vergini? ndR)

L’accusa di apostasia

Tutto procedette normalmente fino al 1995, quando ebbe inizio la disputa a proposito della mia promozione. L’Università del Cairo mi aveva rifiutato l’ordinariato in seguito all’accusa di apostasia, rivoltami in uno dei tre rapporti richiesti dall’università per valutare il mio operato intellettuale. Gli altri due avevano appoggiato con insistenza la mia promozione, ma il senato accademico aveva dato seguito al voto minoritario di ’Abd as-Sabur Shahin, basato su una miriade di insulti, travisamenti e diffamazioni.

Aveva attribuito alle mie opere idee pervertite e pensieri ateo-marxisti, e persino il «più abominevole disprezzo dei fondamenti della religione».

Poi cominciarono ad apparire nella stampa articoli che mi attaccavano e che si riferivano, tutti quanti, al solo rapporto negativo di ’Abd as-Sabur Shahin e alla sua predica del venerdì nella principale moschea del Cairo […] in cui si faceva riferimento a un professore comunista ed ateo, dell’Università del Cairo, il quale, vistasi negata la promozione, stava infiammando gli animi dei comunisti. Cominciarono allora ad apparire caricature disgustose, di cui la peggiore fu forse quella dove si vedeva un uomo corpulento, il quale colpiva con un pugnale il Corano facendone uscire del sangue. Il titolo della vignetta era: Nasr Abu Zayd.

Nella nostra facoltà si insegnava poesia, filosofia, storia e islamistica. Molti studenti ora rifiutavano ogni novità: non accettavano la discussione, la respingevano. […]. Ci ritrovammo con una tipologia di studenti universitari programmata per ragionare in una sola dimensione: quella delle cose permesse o vietate. Se, durante una lezione, accennavo ad una poesia d’amore, poteva accadere che una diciottenne si alzasse per dire che nell’Islam le poesie d’amore erano proibite. Ed allora, io, in che situazione mi venivo a trovare? Invece di adempiere al mio compito, e quindi discutere della struttura e dei contenuti di una poesia, ne dovevo illustrare la legittimità all’interno dell’Islam. Mi dovevo abbassare ad un livello non degno dell’istituzione universitaria, quello del permesso e del vietato. E man mano si scendeva sempre più verso il basso.

È facile immaginare cosa accadesse quando, durante i miei corsi sul Corano, affermavo, per esempio, che il Corano è un prodotto della sua cultura.

L’insegnamento per me era un piacere, la mia vocazione. Ma ora mi sentivo come uno schiavo ai lavori forzati. Tutto il caso scatenato dalla mia promozione negata mi sembrava soltanto un episodio di quest’incubo più grande. […]

Ho conosciuto altre culture negli Stati Uniti, in Europa e a Tokyo. Sono ritornato per insegnare ciò che avevo imparato: che il mondo è grande, che né il Cairo, né Tokyo, né New York sono il mondo, ma che tutto messo assieme è il mondo.

La forza della fede

Non mi è dato di giudicare la fede di una persona, ma soltanto le sue opere. Chi si rende utile alla società, all’umanità, chi aggiunge del buono al Regno di Dio è figlio di questa comunità, che sia cristiano, ebreo, ateo, druso o quant’altro. Molto, moltissimo tempo fa incontrai un’indovina che leggeva la mano. Non credo in queste cose, ma lei guardò la mia mano e mi disse:«Nel tuo cuore porti una moschea di Dio che splende!»

In arabo la parola «moschea» (masjid) significa «luogo dove prostrarsi davanti a Dio» ed il mio cuore è tale luogo.

Se fossi davvero come è stato detto di me, sarei stato annientato.

Nessuno saprebbe opporre tanta resistenza se non avesse la fede ( Abu Zayd Nasr).

dal Riformista 24 nov 2004, “Perché i fondamentalisti uccidono il mio Corano ” di Abu Zayd Nasr , autore di Una vita con l’Islam ( Il Mulino, 2004). L’articolo del professore egiziano finito esule in Olanda ce lo fornisce Rolli ( grazie a Herakleitos )

Fonte: http://www.rolliblog.net/archives/002574.html#more

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Nato a Quhâfa, in Egitto, nel 1943, Abù Zayd , già professore all’Università del Cairo, nel 1995 è stato condannato come apostata, con la conseguenza tra l’altro che sua moglie sarebbe stata costretta a divorziare in quanto non è permesso a una donna musulmana restare sposata con un apostata. Costretto all’esilio dalla persecuzione dei fondamentalisti islamici, Abu Zayd è autore di una decina di opere sul pensiero arabo classico e contemporaneo, insegna attualmente all’Università di Leida, in Olanda, dove vive insieme alla moglie che lo ha seguito nell’esilio.

In Italia è già apparsa una sua raccolta di scritti, “Islam e storia. Critica del discorso religioso” (Bollati Boringhieri, 2002).

Il libro “Una vita con l’islam” ( Il Mulino, 2004) intreccia memorie personali e riflessioni tra Oriente e Occidente, sullo sfondo delle vicende mediorientali degli ultimi decenni. Uomo religioso e spirito indipendente, Abû Zayd parla in queste pagine, raccolte da Navid Kermani, della sua fede e della sua passione intellettuale, dell’amore e della delusione nei confronti dell’Egitto, di libertà e di democrazia, dei rapporti tra religione e politica nell’Islam, dell’ascesa del fondamentalismo: un racconto che porterà il lettore ad avvicinarsi al marasma della civilizzazione islamica e alla resistenza opposta all’ oscurantismo da pochi uomini sensibili e riflessivi di cultura musulmana: non in modo ideologico, ma al prezzo dell’esilio e attraverso una coinvolgente esperienza di fede e di vita vissuta in tempi di barbarie di matrice islamica e transnazionale, ormai ubiquitaria e diffusa.

Navid Kermani, nato nel 1967, ha studiato islamistica, filosofia e teatro. Nel 2001 gli è stata affidata la direzione del gruppo di lavoro “Modernità e Islam” presso il Wissenschaftskolleg di Berlino.

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OPERE RECENTI di Abu Zayd Nasr

Rethinking the Qur’an: Towards a Humanistic Hermeneutics, Utrecht (Humanistics University Press) 2004.
Spricht Gott nur Arabisch? (Does God speak only Arabic?), in Michael Thumann (ed.),
Der Islam und der Westen, Berliner Taschenbuch Verlag, Berlin 2003, pp. 117-26.
Thus spoke Ibn Arabi (in Arabic), The Egyptian National Book Organization, Cairo 2003.
“The Dilemma of the Literary Approach to the Qurán”,
ALIF, Issue 22, the American University, Cairo 2003.
“How the West blunders on about Islam”,
Middle East Times, October 27 2002.
“Heaven, which way?”
Al-Ahram Weekly, issue 603, 2002.
“The Qur’an: God and Man in Communication”, inaugural lecture for the Cleveringa Chair at Leiden University (November 27th, 2000);
Entries in the
Encyclopaedia of the Qur’ân: Arrogance, Vol. I, pp. 158-161; Everyday Life: Qur’an In, Vol. II, pp. 80-97; Illness and Health, Vol. II, pp. 501-502; Intention, Vol. II, pp. 549-551; Oppression, forthcoming.

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LA MEDUSA E IL PESCECANE


Il principe El Hassan bin Talal, fratello del defunto re Hussein di Giordania, risponde ad alcuni interrogativi pubblicati in un libro di Alain Elkann ( Essere musulmano. Saggi Bompiani). A pagina 33 c’è una domanda esplicita sul terrorismo di matrice islamica..

La risposta del Principe parte dalla constatazione che fino al Regno del Terrore, instaurato in Francia dopo la Rivoluzione, il termine terrorismo neppure esisteva e che solo negli ultimi decenni è stato trovato un sinonimo in arabo irhab, da arhaba che significa – spiega bin Talal minimizzando ed edulcorandone il significato – «intimidire»).

Spiega il Principe: «Ci si dovrebbe dunque chiedere chi ha imparato il terrorismo da chi. La religione islamica non perdona l’uso della violenza, l’intimidazione o il sacrificio di persone innocenti in nessuna circostanza, e quindi è chiaramente antiterroristica nei suoi principi. La pratica del terrorismo da parte dei musulmani negli ultimi decenni non giustifica l’associazione del termine “terrorismo” a Islam ».

Non è così. Purtroppo l’associazione fra terrorismo e islam è dato proprio dal ricorso, nei proclami jihadisti e le prediche di numerosi giuristi islamici, al termine coranico “Al Irhab”. Ancora una volta , nel tentativo di assolvere l’islam e di scaricare sugli altri la “colpa” del marasma in cui si trova l’islam al contatto con la modernità, c’è il rifiuto di prendere atto della realtà del terrorismo di matrice islamica.

Se è vero che non tutti i musulmani sono terroristi è anche vero che però tutti i terroristi sono musulmani, che i loro princìpi sono islamici e che il loro riferimento è la lettera contenuta nel Sacro Corano.

LA LETTERA CHE UCCIDE

Voi mettete nei loro cuori più terrore che Allah Stesso, poiché invero è gente che non capisce...” ( Corano, Al-Hashr, 59 :13 )

Arbaba, terrificare, è verbo coranico, e al-irhab ( quello che noi chiamiamo “terrorismo”) è vissuto dai jahidisti come un sacro dovere perché così è scritto (mektub):

8:59 ولايحسبن الذين كفروا سبقوا انهم لايعجزون

8:60 واعدوا لهم مااستطعتم من قوة ومن رباط الخيل ترهبون به عدو الله وعدوكم واخرين من دونهم لاتعلمونهم الله يعلمهم وماتنفقوا من شئ في سبيل الله يوف اليكم وانتم لاتظلمون

8-60 . WaaAAiddoo lahum ma istataAAtum min quwwatin wamin ribati alkhayli turhiboona ( liturhibo) bihi AAaduwwa Allahi waAAaduwwakum waakhareena min doonihim la taAAlamoonahumu Allahu yaAAlamuhum wama tunfiqoo min shay-in fee sabeeli Allahi yuwaffa ilaykum waantum la tuthlamoona

Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare ( turhiboona ) il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce . Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati “ ( Corano, Al-‘Anfâl, 8:60 )

Ciò che noi chiamiamo “Terrorismo”, in arabo si dice “Al Irhab” con nobile ed antico termine coranico. Anche se non ha il significato che noi attribuiamo al termine “Terrorismo” ( uso della violenza contro i civili per realizzare un fine politico), significa comunque “terrorizzare” chiunque venga designato dal primo semiletterato in grado di scrivere una fatwa ( un responso giuridico ) come nemico dell’islam.

Per i fondamentalisti musulmani, che hanno ripreso tale termine dal vocabolario religioso e l’hanno letto fuor di metafora, assumendolo come un comando operativo e terribilmente attuale, “Al Irhab” è l’applicazione pratica della sharia tramite quello sforzo estremo sulla via di Allah che è il jhiad transanazionale (arabo: جهاد) : una lotta fino al martirio che non ha altro fine che Allah stesso e che quindi non potrà che portare a un conflitto irriducibile.

Tutti i terroristi sono dei ferventi musulmani che dicono di agire in nome della loro religione e del Comando di una Volontà divina espressa nella lettera del Sacro Corano. Non hanno appreso “ Al Irhab” da qualche oscuro culto del terrore importato dall’occidente e risalente al Regno del Terrore instaurato in Francia due secoli fa.

A parte la più recente proclamazione del jihad di Osama bin Laden e dei suoi seguaci che vorrebbero restaurare il Califfato anche e soprattutto mediante “Al Irhab”, quando l’ayatollah Khomeini ha rovesciato lo shah nel 1979, il suo nuovo regime ha scelto il percorso del jihad globale, in una versione shi’ita. L’imam Muntazeri, l’ ideologo della rivoluzione islamica internazionale, ha costruito una dottrina del terrorismo in termini di “Al Irhab”. Ha sostenuto che la repubblica islamica ha un ruolo oltre l’imposizione della sharia alla propria gente (a scapito dei diritti dell’uomo e della libertà religiosa). Montazeri e i pasdarans hanno esportato questo jihad “rivoluzionario” in altre parti del Medio Oriente e nel mondo usando l’irhab (terrorismo sulla via di Allah ) come mezzo per re-islamizzare l’universo mondo. Il Satana principale ad essere attacato, dopo il Satana rosso sovietico, viene indicato come il piccolo Satana israeliano e il grande Satana americano. E se l’Europa o qualche paese arabo si frappone ai piani degli islamisti e dei jihadisti, le stragi di Madrid , di Casablanca o di Instanbul stanno lì come ammonimento, a dimostrazione di cosa potrebbe ancora succedere.

Per i jihadisti sia sciiti che sunniti “Al Irhab” diventa, molto prima dell’11 settembre e della guerra in Irak, la messa in pratica, fuor di metafora, del comando divino consegnato all’a-temporalità della lettera sacralizzata.




Perhaps the most emotive of these dangerous concepts from the West. Linguistically, al-Irhab (terrorism) is a noun derived from the verb arhaba (to terrify) with the meaning to frighten or scare. Allah (Subhanahu wa ta’aala) said,

تُرْهِبُونَ بِهِ عَدُوَّ اللَّهِ وَعَدُوَّكُمْ
(Liturhibu) to threaten the enemy of Allah and your enemy.” [TMQ. Al-Anfal: 60]

that is you should terrify the enemy.

Pretendere che il terrorismo non abbia alcuna connessione con l’islam significa eludere questioni molto dolorose e inquietanti come la fissità, la polarizzazione e il marasma in cui oggi versa una civilizzazione che un tempo era religione, civilizzazione e impero dominante su tre continenti.

Odio per il non-musulmano in generale e le nuove ambizioni di una certa èlite islamica della risma di bin Laden o di al Zawiri ricorrono a un’ideologia, a una mito-storia nostalgicamente celebrata come se fosse attuale e a un quadro intellettuale che deriva da una decomposizione e ricomposizione dell’islam nei modi dell’ islam politico globalizzato che oggi occupa la scena: il nazi-teo-scientismo islamico. Ora muovendosi dal basso, in profondità come una medusa, tramite l’occupazione degli spazi offerti dalle democrazie e dissimulando i propri obiettivi, ora esplodendo con azioni terrificanti e spettacolari, la forma che oggi ha assunto l’islam è portatrice di una pragmatica ideologia vendicativa e totalitaria.

Il suo attacco è basato su una strategia di lunga durata e un movimento sinuoso e avvolgente, composto da cellule che si moltiplicano e si dissimulano secondo la prassi della in attesa di attaccare quando le condizioni diventano propizie. Contro la medusa islamista combatte il pescecane americano, i cui attacchi sono massicci e non di lunga strategia, basati come sono su una concezione più lineare e superficiale del tempo.

Più in generale, l’islam politico, del quale i musulmani sono abituati ad aver paura fin da piccoli ( mentre noi stentiamo a renderci consapevoli del pericolo che la sua ricomposizione nei termini sia fondamentalisti e sia jahidisti esso rappresenta) costituisce un problema anzitutto per i musulmani stessi presi come in una specie di cesura identitaria. Non avendo costruito ponti per comprendere una modernità che hanno acquisito, per così dire, chiavi in mano, ai musulmani riesce penoso vedere la matrice islamica dell’attuale terrorismo transnazionale. D’altra parte, numerosi intellettuali europei, intimiditi dalla dittatura del politicamente corretto e dalle minacce islamiste, criticano tutto ma evitano qualsiasi critica all’islam. E’ una straordinaria forma d’inibizione che in parte deriva anche dalla poca considerazione che i portatori del politicamente corretto hanno per i musulmani. E’ quando si disprezza qualcuno che lo si blandisce e non gli si dice la verità sulla gravità della situazione avversa in cui ci si trova, gettando subito falsi ponti e rinunciando a trovare modi più adeguati alla realtà per un effettivo aiuto reciproco.

Nel rifiuto della complessità si annida, ancora una volta, la tirannia.

Link :

[PDF] Dangerous Concepts
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http://www.khilafah.com/home/index.php

( ANA MAAL”IRHAB )

***

NOTE SULLA PRATICA DELLA TAQIYA

Celare le proprie vere intenzioni è nello stesso tempo una mentalità e una pratica abituale ai gruppi e ai regimi islamici. L”Arabia Saudita o l’Iran, per esempio, ricorrono alla dissimulazione per appoggiare le organizzazioni terroristiche e negarlo organizzando conferenze contro il terrorismo, oppure – come nel caso dell’Iran – di proseguire nella costruzione della bomba atomica islamica e negare di averne l’intenzione.

La pratica della dissimulazione è una pratica prescritta esplicitamente dall’islam. Il termine giuridico per “dissimulazione” è tukya o taqiya o taqiyyah o anche taqiyah, a seconda della pronuncia locale, ed è collegato ai termini takwa e taqi, con il significato di “custodire” qualcosa.

L’autorizzazione alla tukya è data dagli imam e dagli sceicchi in accordo con la tradizione ( sunna) e in conformità con la shari’a, la legge islamica, quando palesare obbedienza alla Legge del dio Allah potrebbe essere lesivo dell’incolumità personale o della libertà. Mentire significa, nel caso, custodire la fede.

La dissimulazione – come nota Giovanni Cantoni ( in : Aspetti in ombra della legge sociale dell’islam), si affianca alla possibilità, in caso di necessità, di stringere amicizia con infedeli, di fare intese con loro «I fedeli non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro» (Corano, sura III, «Âl-‘Imrân» [La famiglia di Imran], 28).

Anche l’amicizia con un non-musulmano è quindi interessata, soggetta a riserva mentale e a dissimulazione, e può essere revocata unilateralmente a seconda delle convenienze e dei rapporti di forza. Persino il tradimento appare come una virtù gradita al dio Allah. C’è un proverbio popolare arabo che illustra perfettamente questo comportamento desunto dall’insegnamento coranico: “ Bacia la mano che non puoi mordere”.

Oggi quello della taqiyah è un lavoro specializzato, dato che l’obiettivo strategico è quello di distruggere i fondamenti delle civilizzazioni non- musulmane, come preludio alla sconfitta di Israele, dell’India, degli Stati Uniti d’America, della Gran-Bretagna, della Germania, della Francia, dell’Italia, della Russia, dell’Egitto, dell’Afghanistan, dell’Iraq e di tutti quei soggetti che non si sottomettono all’islam, oppure non pagano il “pizzo” per essere lasciati relativamente in pace.

La dissimulazione ( taqiyah) non è un fenomeno unico nella storia. Molti strateghi provenienti dagli ambiti più diversi se ne sono serviti per conquistare il potere o per sovvertirlo. Ma l’unicità dell’ attuale taqiyah praticata dagli islamisti è quello di essere un lavoro articolato, specializzato e ben finanziato, con il conseguente successo che ottiene presso le società democratiche avanzate e ad alto livello di sviluppo.

Specialmente in Europa. la strategia del taqiyah si sta rivelando vincente in una maniera massiccia a causa della mancanza di conoscenza dell’islam fra le elite europee.

– Taqiyya and kitman: The role of Deception in Islamic terrorism
Taqiyya has beenused by Muslims since the 7 th century to confuse and split ‘the enemy’.
Fonte:
http://www.ci-ce-ct.com/Feature%20articles/02-12-2002.asp

al-Taqiyya/Dissimulation (Part I)

Fonte: http://www.al-islam.org/encyclopedia/chapter6b/1.html

al-Taqiyya ( Parte II e Parte III ) in : http://www.al-islam.org/encyclopedia/chapter6b/

The concept of taqiyah.

Fonte: http://al-islam.org/taqiyah/1.htm#r1

La dissimulation (taqiyyah) chez les chi’ites et les druzes 9/7/2003

Fonte: http://go.to/samipage

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In rete

– Renato Farina, dialogo con Magdi Allam (Grazie a Rolli).

Magdi Allam: «Qui si tratta di intendersi su cosa sia l’Islam. L’Islam della mia esperienza non è questo! Io ho imparato da mia madre la fraternità, la solidarietà sociale forte, il rapporto diretto con Dio, senza bisogno di clero. Il fondamentalismo è segno di una crisi profonda. Il suo risorgere va legato alla sconfitta araba subita da Israele nel ’67. Tramontata l’utopia del panarabismo, queste forze radicali hanno investito sul panislamismo. I suoi momenti salienti sono stati la vittoria khomeinista nel febbraio del ’79, l’assassinio del presidente egiziano Sadat nell’81…».

Renato Farina: Non capivamo nulla. Ricordo nella tipografia del mio giornale la festa dell’uomo delle pulizie, un egiziano immigrato. Mi disse: vedrete, vedrete…

Magdi Allam: «Certo. I fondamentalisti pensavano di prendere il potere all’interno dei singoli stati arabi e islamici e poi di tracimare in Occidente. In Egitto ci provano eliminando il leader, in Algeria usando la democrazia in vista della sua negazione. Bloccato il tentativo, sono passati al terrorismo puro e semplice. Questa è la lezione: la radice del terrorismo è l’Islam adoperato come ideologia per il potere».

Renato Farina: Da una parte tu neghi che sia il vero Islam. Poi sei il più duro di tutti con gli imam gentili, i quali stringono la mano dei cardinali, assicurando che sono per il dialogo e contro il terrorismo. Come il caso di Milano. Il cardinale Tettamanzi (in assoluta retta coscienza, ovvio) ha spedito una lettera per la fine del Ramadan ed è stata letta e fatta propria da un emiro che sta dalla parte dei fondamentalisti algerini… L’ha pure intervistato la Rai…

Magdi Allam: «L’Islam che in Italia ha preso il possesso di quasi tutte le moschee è di questa stoffa subdola. Accettano le regole democrazia per occupare il territorio…».

Renato Farina: Come in guerra. La loro guerra è questa.

Magdi Allam: «Certo. In Occidente pretendono il dominio della comunità musulmana. E il modo per averlo è esattamente questa legittimazione fornitagli dalle autorità ecclesiastiche e civili. Io mi batto per farlo capire, ma non ci riesco. Magari tu sei cattolico, e ti ascoltano».

Renato Farina: Mi scomunicano, altro che, mi sono già arrivati avvertimenti.

Magdi Allam: «È sbagliato, queste persone hanno lo stesso obiettivo dei terroristi. Vogliono uno stato islamico. Gli uni con la violenza, gli altri dal basso. L’Occidente si crede colto, ma è ignorante. I prelati sono portati a scegliere come interlocutore qualcuno che gli rassomigli, dimenticando che nell’Islam non esiste un clero. Quelli che si spacciano per tali, compiono un’usurpazione dottrinale».

Renato Farina: Che fare allora per impedire che questa guerra già dichiarata e in corso esploda tragicamente? Tu hai scritto che bisogna prendere atto del fallimento di due modelli di convivenza, il multiculturalismo e l’assimilazionismo.

Magdi Allam: «Confermo. Sono insostenibili. Il multiculturalismo è il modello nordeuropeo. Si basa sulla certezza sia possibile convivere pacificamente, nello stesso spazio sociale e giuridico, mantenendo identità e idee di cittadinanza diverse. Ancora prima dell’assassinio di van Gogh, l’ideologo del multiculturalismo britannico, Trevor Philipps, caraibico, nero, sociologo raffinato, ha fatto marcia indietro. Il multiculturalismo ha creato ghetti spaventosi. Quartieri di pachistani islamici, di indiani indù, di musulmani somali. Ha sfilacciato la società, ne causa l’esplosione».

Renato Farina: Nel multiculturalismo ciascuno ritiene di essere depositario di un Codice morale assoluto. Van Gogh ha offeso la mia identità, ed io la faccio valere: essa ordina l’eliminazione del blasfemo.

Magdi Allam: «Proprio così. È interessante notare come l’assassino di Van Gogh sia un olandese di origine marocchina. Non è tanto l’immigrazione la questione dirompente, almeno nel Nord Europa, quanto l’emergere di cittadini ai quali non è stato chiesto di riconoscersi in una comune civiltà, in valori decisivi quali la libertà e la tolleranza, la sacralità della vita singola. No, a loro è stato detto: ciascuno ha diritto di vivere secondo la propria identità e cultura, ritenendosi tranquillamente europeo».

Renato Farina: L’Europa come guscio vuoto.

Magdi Allam: «Abbiamo sbagliato tutto. La società olandese e quella belga sono fragilissime. Quando manca questa unità, allora nascono le reazioni di presunti fronti cristiani. È una reazione esecrabile e devastante».

Renato Farina: L’assimilazionismo è invece francese…

Magdi Allam: «Certo. Impone a ciascuno di rinunciare alla propria identità religiosa e culturale per aderire a un patriottismo che coincide col laicismo. Insopportabile, nefasto. Non è possibile un’omogeneizzazione, gli uomini si ribellano».

Renato Farina: C’è il modello americano: il meticciato. Una cultura dominante, quella cristiana, sa assorbire e lasciarsi modificare da apporti diversi. Potrebbe essere questo il modello italiano?

Magdi Allam: «In Italia non si è scelto nessun modello. Si reagisce in modo passivo alle emergenze. È la logica delle sanatorie. Oggi gli stranieri sono circa 3 milioni e mezzo, di essi un terzo musulmani. Da noi c’è solo il modello umanitarista del volontariato».

Renato Farina: Per evitare la guerra in Italia, che cosa proponi?

Magdi Allam: «Lo propongo per tutto l’Occidente: una riscossa. Dopo l’età del vuoto, è il caso di riscoprire cosa costituisce la tradizione di questo popolo occidentale».

Renato Farina: Un amico mi raccontava di avere aperto a Torino una “scuola dei mestieri”, pasticceri, falegnami e così via. Un gruppo di islamici voleva togliere il crocifisso. Ha detto: se lo togliete, togliete me, il motivo per cui abbiamo aperto questa scuola e voi potete studiare. Quelli si sono arresi: non ha contrapposto un’ideologia, ma la sua vita.

Magdi Allam: «Proprio così! Se l’Occidente non riscopre l’amabilità della sua vita buona, è finita per i cristiani e per gli islamici come me».
Renato Farina: Che fare?

Magdi Allam: «Partiamo dal buon senso, e da un punto fermo: nessuna deroga al rispetto delle leggi, ai valori percepiti come fondamentali dalla società. Un’identità forte dello Stato, a livello istituzionale. Sul piano religioso, forte riferimento identitario del cattolicesimo. Su quello culturale, la necessità di imparare la lingua italiana».

Renato Farina: Tu pensi che la cultura cristiana sia baluardo di libertà per tutti.

Magdi Allam: «Certo. Dev’essere dominante ma non dominatrice. Allo stesso tempo è necessaria la ferma repressione di chi rema contro, chi costruisce nelle moschee e nei centri culturali islamici uno Stato teocratico nel nostro Stato. Dobbiamo bonificare quei terreni sia fisici sia mentali oggi terreno di cultura del radicalismo islamico: moschee, banche islamiche, associazioni caritatevoli, scuole».

Renato Farina: Chiuderle?

Magdi Allam: «No. Vanno riscattate alla legalità trasformate da centri di potere politico a luoghi di preghiera, togliere le moschee a chi le usa per potere e darle per pregare».

Renato Farina: Scusa. Ma perché non lo fate voi islamici antifondamentalisti questo lavoro, visto che siete la maggioranza, tu dici addirittura quasi il 90 per cento.

Magdi Allam: «Hai ragione. Finora, si è preferito non avere casini. Non è facile per una famiglia islamica tranquilla uscire alla luce del sole: si rischia, e di brutto. Ma ora abbiamo il dovere di esporci. Però per favore dovete essere nostri alleati. Questa maggioranza di musulmani va salvaguardata e consolidata, bisogna darle visibilità mediatica».

Renato Farina: Posso essere scettico? Ho amici islamici come te. Ma non vedo dietro di loro il popolo che segue invece gli imam.
Magdi Allam:
«Siamo minacciati. Per favore evitate di ridicolizzarci».

Renato Farina: Daresti il voto agli immigrati?

Magdi Allam: «Per me il diritto di voto coincide con la cittadinanza. Ed essa non deve essere esito burocratico, ma la maniera in cui ci si riconosce in una società dove i valori comuni sono forti e cristiani».

Renato Farina: Questa guerra si vince se si ha il coraggio della nostra identità?

Magdi Allam: «Bisogna essere durissimi, possono esserci identità diverse, ma bisogna scegliere. O la civiltà o la barbarie».

( Renato Farina Libero)

COMMENTO: Purtroppo per lunghi anni a venire avremo la civiltà e la barbarie.

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– Quando i pacifisti con diplomazia fermeranno i terroristi:

DIPLOMACY”( film) ( Grazie a Sorvegliato Speciale)

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Islamisme contre Occident, ou la méduse et le requin

La lotta mortale tra Al-Qaïda et gli Stati Uniti mette alle prese avversari diametralmente opposti nei loro obiettivi, i mezzi e i loro metodi. Una metafora tratta dal mondo animale illustra queste differenze e i loro rispettivi comportamenti ( in francese).

Près de 3 ans après les attaques du 11 septembre 2001, le contexte de la lutte mettant aux prises le fondamentalisme musulman et les démocraties occidentales apparaît plus clairement. L’une des principales différences entre les protagonistes de ce conflit global réside ainsi dans leur emploi et dans leur perception du temps.

Schématiquement, les islamistes se réfèrent constamment à une histoire millénaire, fourbissent lentement leurs armes et projettent d’avancer peu à peu vers un succès inéluctable, alors que les occidentaux se focalisent sur l’instantané, réagissent au quart de tour et peinent à poursuivre des objectifs lointains.

Pour emprunter une métaphore au monde animal marin, on pourrait écrire que la méduse et le requin symbolisent les acteurs au centre de cette guerre : Al-Qaïda et la mouvance islamiste d’une part, les Etats-Unis et l’Occident d’autre part.

Fonte:

http://www.checkpoint-online.ch/CheckPoint/Actuel/IndexActuel.html

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I RIFUGIATI DEL SILENZIO

l’esodo degli ebrei dai Paesi arabi dopo la fondazione di Israele



Quasi un milione, fuggiti, espulsi, cacciati. Questo è il numero incerto degli ebrei che hanno dovuto lasciare i paesi arabi in un esodo silenzioso che la falsa storiografia del medio oriente non ha voluto vedere. Saggi, romanzi e film stanno ora per rompere un silenzio durato quasi un secolo, smontando menzogne e luoghi comuni, rompendo anche la dolorosa reticenza delle vittime: perché è una storia che noi, ebrei dei paesi arabi, abbiamo raccontato sottovoce.

Se ne è discusso ieri sera a Milano: Fiona Diwan e Luisa Grego, nate in terre arabe, hanno presentato il film documentario “L’esodo silenzioso” di Pierre Rehov, regista francese nato in Algeria, e hanno poi invitato ad una “riflessione” altri tre figli del medio oriente, Magdi Allam, Gad Lerner e il sottoscritto, nella scomoda veste di testimonee di autore di un romanzo che racconta la stagione dei pogrom antiebraici e dell’intolleranza arabo-islamica. Unico europeo “doc”, Carlo Panella. Più di mille persone hanno assistito una discussione non banale, anticipata dalla visione di un film crudo, dalle tinte forti, pregio e difetto di un documentario di denuncia (…).

Victor Magiar da Il Foglio 17.11.2004, convegno del 15.11.2004 a MIlano per la presentazione del film documentario THE SILENT EXODUS “ di Pierre Rehov:

Fonte: http://www.google.it/search?q=cache:_cLqoM8m71wJ:ilsignoredeglianelli.ilcannocchiale.it/default.asp+%22The+silent+exodus%22&hl=it

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SEPOLCRI IMBIANCATI

Intervista di Ulderico Munzi a Pierre Rehov ( «Figli di un Dio ferito, vi mettterò in un film», Corriere della Sera 12 nov. 2004)

PARIGI — Pierre Rehov è un regista che condivide gli stessi giorni di un’umanità sofferente, insanguinata e fatta a pezzi dal terrorismo. Un regista sur le terrain, che “va sul posto” con la cinepresa in spalla e che ha un gran cuore coraggioso. Forse bastano queste poche parole per capire che con Rehov, 50 anni, ebreo nato in Algeria, bisogna parlare senza perdersi in sottigliezze e arabeschi.

Il suo film Silent Exodus, l’esodo silenzioso, che narra come nel 1948 un milione di ebrei furono depredati ed espulsi dagli arabi, evoca un dolore che si protrae, che ha perso date e riferimenti, una saga dolorosa out of time, out of space come nei versi di Poe.

«Il mio film — dice Pierre Rehov — è stato proiettato al Festival dei diritti dell’uomo a Parigi e alle Nazioni Unite, a Ginevra, più o meno nello stesso quadro. Nel ventesimo secolo l’espulsione degli ebrei dai Paesi arabi non era una risposta alla creazione dello Stato d’Israele, ma qualcosa di più complesso che faceva seguito a odio diffuso, umiliazioni e pogrom nati ed esplosi nella società islamica nei secoli passati. Quei rifugiati venivano dal Marocco, dalla Siria, dalla Tunisia, dalla Libia, dallo Yemen e dall’Egitto. Molti hanno taciuto per pudore, altri per dimenticare l’esperienza subita, specie le donne violentate e chi ha subito sevizie vergognose. Come una sorta di contraltare, la seconda parte del film parla dei rifugiati palestinesi. In sostanza volevo sfatare una mitologia vittimistica che dipinge i palestinesi che da cinquantacinque anni vivono nei “campi”. In realtà si tratta di periferie e il termine “campo” è usato per motivi politici. Sono chiamati rifugiati quando non lo sono più. Ho puntato la mia cinepresa sulle complicità che hanno creato tale situazione».

Signor Rehov, il suo nuovo progetto, invece, parlerà dei figli prediletti di un dio feroce, dei kamikaze del terrorismo, delle bombe umane.

«Arrivato ormai agli ultimi metri di pellicola, il film vuole indagare nei recessi più intimi, più profondi di coloro che sacralizzano la strage in Occidente e in Oriente. La psicopatologia degli islamikaze, immagine che preferisco. Cioè, come nella vicenda di un serial killer, abbiamo un individuo, in un determinato contesto socioculturale, un essere umano che è stato bambino coi suoi giochi, poi adolescente su un terreno di football… Come può un bel giorno decidere di “farsi esplodere” morendo e portando con sé giovani della sua stessa età, donne, vecchi e bambini? Per concludere l’opera mi mancano le interviste di due candidati suicidi, non perderò nemmeno una sequenza».

Taluni sostengono da tempo, signor Rehov, che il terrorismo sfrutti dei “sepolcri imbiancati”. Lei ha citato poco fa le complicità per i rifugiati palestinesi. Vuole essere più chiaro?

«Prendiamo la Francia che, sotto la maschera del diritto d’asilo, ha la sua parte di responsabilità nelle azioni di Khomeini, che era suo ospite prima di andare in Iran. La Francia non ha accolto Abu Nidal e il dottor George Habbash, alfieri del terrore? Ha ospitato, sempre in nome dei diritti dell’uomo, un terrorista della peggior specie come Arafat, inventore del terrorismo moderno. Io accuso non solo la Francia, ma anche l’Europa per il modo come, attraverso i media, è trattato il problema israelo-palestinese. Contesto le menzogne dei giornalisti di solito rifugiati in un grande e famoso albergo e ricattati dagli stessi giovani palestinesi che vanno a fare ricerche per loro conto sugli avvenimenti. E per finire dico che la Francia non ha una democrazia sana».

Intende dire una Francia filoaraba?

«Io direi una Francia araba. Si poteva definire “filoaraba” all’epoca di de Gaulle, prima che ci fossero dieci milioni di immigrati nella società francese ormai di fatto occupata».

Ma ci sarà bene un arabo che lei apprezza, a parte il filosofo Averroè che insegnava filosofia a Cordova nel XII secolo?

«Io non sono antiarabo. Sono nato in Algeria, i miei compagni di scuola erano arabi, sono fiero di avere molti amici nei territori palestinesi, arabi laici e progressisti. Non ce l’ho con l’Islam, con la lettera maiuscola. Faccio la guerra all’integralismo islamico, agli islamisti. Per ora guerreggio intellettualmente, ma presto temo, ahimè, che mi batterò fisicamente. Il mio primo bersaglio è la vigliaccheria del mondo occidentale».

Lei, dunque, prevede questa guerra tra due civiltà.

«C’è poco da prevedere. Siamo già in guerra, anche se nessuno osa dirlo. L’Occidente si è perso di vista, si sta cercando, si trova alla fine della propria visione materialistica ed esistenziale. Va alla deriva verso la decadenza, trascinato da ondate di paura. Ricorda com’era fiero l’Occidente della conquistata libertà sessuale? La gioia si è spenta con la diffusione dell’Aids. E i valori di libertà individuale, di fronte, per esempio, a quello specchio deformante che era l’Urss? Ci cullavamo nella democrazia liberale, tutta luci come una kermesse, poi ecco che il nemico comunista scompare. La nostra scienza non basta più, la nostra tecnologia, nemmeno, in realtà noi non “ci” amiamo più… Ricordo che restava l’illusione di un mondo arabo da “coltivare”. E il mondo arabo, con il quale avevamo “amoreggiato” negli Anni Quaranta per strapparlo ai nazisti e più tardi, in Afghanistan, per strapparlo ai russi, rifiuta il nostro modernismo. Non può accettarlo perché mette in causa i suoi stessi valori. Maometto è l’ultimo profeta e dopo di lui nulla può essere aggiunto. Abbiamo trovato un Islam retrogrado, in Indonesia, in Sudan, in Kosovo, in Medio Oriente… Ormai siamo circondati se non invasi».

Quindi lei teme che ogni arabo (per intenderci: l’arabo della porta accanto) da un giorno all’altro possa trasformarsi in un guerriero fondamentalista?

«La differenza tra un musulmano estremista e un musulmano moderato non è basata su una nozione dogmatica, ma su una nozione temporale. Il primo crede nella profezia che l’Islam sarà la sola religione nel mondo perché Allah lo vuole, quindi è suo dovere combattere subito per accelerare il corso degli eventi. Anche il secondo pensa che l’Islam diventerà la sola religione nel mondo, ma ciò avverrà, direi, naturalmente, man mano, quindi tollera ebrei e cristiani.

In termini più cronistici, bin Laden e i suoi seguaci attaccano prima le statue di Buddha a Bamyan, grande simbolo religioso, e poi, circa due mesi dopo, il World Trade Center che non è il simbolo dell’Occidente, ma il simbolo del giudeocristianesimo. I grattacieli appartengono agli ebrei e si ergono a New York, prima città ebraica del mondo, il tutto inoltre si trova nel cuore del business cristiano.

Il risultato di tutto ciò è che su un miliardo 350 milioni di musulmani (che prima delle statue di Buddha e delle Torri gemelle potevano essere divisi in un miliardo di moderati e 350mila estremisti) in poche settimane Bin Laden è riuscito a convertirne alla jihad forse il venti per cento. Ha creato cioè duecento milioni di nuovi seguaci. Bin Laden ha vinto, anche se provvisoriamente. Il suo Islam può essere annientato solo da una sconfitta totale delle truppe del terrore arabo-islamista».

Non credo che nessuno possa offrire una ricetta per debellare il terrorismo islamista, nemmeno un esperto come Walter Laqueur del Center for Strategic and International Studies.

«L’Europa è il ventre molle della strategia arabo-islamista, fino a poco tempo fa si faceva ancora la distinzione tra l’Hamas sociale e quello guerriero. Terrorizzare il terrorismo? Non si potranno mai terrorizzare i terroristi perché sono dei fanatici per i quali la morte vale più della vita. La fede musulmana è molto più forte della fede occidentale. Restano solo due bastioni contro il terrorismo islamico, Israele e gli Stati Uniti. In Europa l’Islam ha già vinto».

Fonte:

http://www.informazionecorretta.it/showPage.php?template=rassegna&id=4519

Il sito web del regista:http://www.pierrerehov.com/

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Beh, volete proprio che ve lo dica? Vivere da ebreo significa vivere in trincea. Ancora oggi, che tutto pare cambiato. Eppure lì, nella nostra condizione, quasi nulla è mutato. Siamo ancora un popolo trasversale dalle mille lingue e dalle mille nazionalità. Però abbiamo una storia comune, comuni ferite, comune orgoglio e comuni tradizioni. Una comune etica, soprattutto, che con i secoli ha dato filosofi e scrittori, e anche rivoluzionari. E per tutto questo tempo, non abbiamo fatto altro che combattere. Dapprima contro l’ignoranza, poi contro l’idolatria, la menzogna, la falsità, il pregiudizio. E in termini di morti abbiamo pagato il prezzo più alto. Ma di qualcosa si deve pur morire. Dunque tanto vale morire in piedi, da accusati, non da togati seduti sul lardoso culo del potere, sprofondati negli scranni a decretare l’omicidio legalizzato, il progrom, il massacro di religione o di Stato, lo sterminio. Intingerò la penna nel veleno di un cuore offeso. Dapprima mi sono dato il tempo di tacere e di osservare. La mia tregua la dichiaro finita. Chi tace acconsente. E io non posso più acconsentire…”.

Così inizia “Contro di noi, un viaggio personale nell’antisemitismo” dell’amico scrittore  Miro Silvera, di antica famiglia livornese memore di anni e anni di pellegrinaggi, di cacciate e di approdi e rifugi sempre provvisori, in Spagna così come in Portogallo, in Marocco così come in Siria, ad Aleppo, dove il nonno aveva eretto una sinagoga, poi bruciata dai fanatici arabi antisionisti nel 1948, quando lui se n’era già venuto via a Livorno con il resto della famiglia. Pubblicato da Frassinelli, “Contro di noi” è un libro doloroso e necessario, specialmente in periodi di malattia come quello che il mondo arabo e islamico in pieno marasma sta attraversando, mentre l’Europa sembra ancora chiusa nel ghetto invisibile di secolari pregiudizi. Insomma, un libro color d’inchiostro, di fughe, d’imboscate e di aperture, che ho trovato davvero illuminante e che consiglio di leggere (gdm) .

Contro di noi. Un viaggio personale nell’antisemitismo

http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?be=zu&isbn=8876847480

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Gli arabi senza gli ebrei
(di Magdi Allam, Corriere della Sera 19 novembre 2004)

In realtà The silent exodus testimonia che l’antisemitismo e i pogrom degli ebrei in Medio Oriente sono precedenti la nascita di Israele e anche l’avvento delle ideologie panislamica e panaraba. Che l’odio e la violenza contro gli ebrei possono avere un riferimento ideologico in un’interpretazione fanatica e decontestualizzata del Corano e della vita del profeta Mohammad (Maometto).

Certamente sarebbe sbagliato generalizzare. Non tener conto del fatto che per lunghi periodi la convivenza tra gli ebrei, i cristiani e i musulmani è stata possibile in Medio Oriente, proprio mentre in Europa gli ebrei venivano repressi dall’Inquisizione cattolica e sterminati dall’Olocausto nazista. Così come non si può ignorare la responsabilità di Israele, unitamente a quella dei leader arabi, nell’esplosione del dramma di milioni di profughi palestinesi e nell’irrisolta questione di una patria per i palestinesi.

Resta il fatto che del milione di ebrei, che fino al 1945 erano parte integrante delle popolazioni arabe, ne sono rimasti solo in 5 mila. Quegli ebrei arabi cacciati o fuggiti precipitosamente sono diventati parte integrante della popolazione israeliana. E continuano a rappresentare il segno di un’ingiustizia umana e di una tragedia storica. Ma soprattutto danno la misura della catastrofe identitaria e civile degli arabi.

Ecco perché riconoscendo il torto commesso agli ebrei arabi, come incredibilmente ha fatto recentemente l’imprevedibile leader libico Gheddafi, riscoprendo in modo obiettivo il proprio passato e le proprie radici millenarie, riscattando la propria identità che storicamente è stata plurale e tollerante, riconciliandosi sinceramente e totalmente con se stessi, gli arabi potranno emanciparsi dall’oscurantismo ideologico che li ha trascinati ai livelli bassi dello sviluppo umano e li ha trasformati nella regione più problematica e conflittuale della terra.”

Fonte:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/11_Novembre/19/magdi.shtml

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Non piangete per Arafat

di

Massimo Introvigne

(il Giornale,

11 novembre 2004)

Ci dispiace, ma proprio non ce la sentiamo di unirci al coro funebre che canta le lodi di Yasser Arafat. Dei morti non si dovrebbe dire che bene, ma in un momento politico così delicato bisogna anche evitare di dire bugie.

Non è vero che con Arafat scompare il padre del popolo della Palestina. Se il popolo palestinese dei Territori resta uno dei più poveri del mondo, la colpa è in buona parte di Arafat e della sua avida famiglia. Secondo la Cnn gli Arafat – negozianti e piccoli impiegati quando comincia l’ascesa di Yasser – sono tra le venti famiglie più ricche del mondo. Arafat e una quarantina di familiari – moderna versione di Alì Babà e dei quaranta ladroni – sono più ricchi di molte dinastie imprenditoriali europee. Personalmente, Yasser Arafat era il sesto capo di Stato o di governo più ricco del pianeta secondo la rivista Forbes: subito dopo la regina Elisabetta ma molto più avanti di Silvio Berlusconi.

Da dove vengono questi soldi? Non più dall’Arabia Saudita, che da tempo ha tagliato i fondi ad Arafat e preferisce sostenere Hamas. Il grosso viene dall’Unione Europea, che negli anni 2000 ha versato in media all’Autorità Nazionale Palestinese 232 milioni di Euro all’anno, senza contare i contributi indiretti passati tramite l’Onu. Un autentico fiume di denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti europei, italiani compresi, che si è disperso per conti bancari di tutto il mondo e ha permesso al “padre del popolo” di diventare uno dei grandi miliardari internazionali mentre i suoi “figli” continuano a vivere di stenti. Si comprende come, quando si parla di lotta per l’eredità di Arafat in corso senza esclusione di colpi tra collaboratori e familiari, non si tratti solo di un’eredità politica.

Non è vero che Arafat era un uomo di pace. Certo, si può affermare che non utilizzava il grosso dei fondi europei per finanziare il terrorismo, visto che la parte più cospicua rimaneva nelle tasche sue, della moglie e di una variopinta corte dei miracoli. E tuttavia rimaneva abbastanza per sostenere gli attentati. Due avvocati che rappresentano i i familiari dei morti di nazionalità francese negli attentati suicidi in Israele in una causa davanti al Tribunale di Parigi dove chiedono che si accertino le responsabilità personali del leader palestinese nel terrorismo hanno appena pubblicato presso la casa editrice Albin Michel LE DOSSIER ARAFAT un’impressionante compilazione di documenti che attestano pagamenti sistematici da parte del raìs e dei suoi più diretti collaboratori a terroristi delle Brigate dei Martiri al-Aqsa (la branca laico-nazionalista del terrorismo palestinese, concorrente di quella religiosa di Hamas) e alle loro famiglie.

Emergono anche documenti politici, secondo cui Arafat incoraggiava consapevolmente gli attentati per rendere più difficile una pace che, favorendo una Palestina democratica, avrebbe permesso ai palestinesi di spazzare via il suo regime di corruzione. Non manca neppure qualche sordida storia di coltivazione e commercio di droga, in aggiunta al contrabbando e ai contatti con la criminalità organizzata di mezzo mondo.

Infine, non è vero che Arafat garantisse la Palestina dal caos. Ormai non controllava più gran che. Il caos era già scoppiato non perché gli ultra-fondamentalisti islamici fossero migliori di lui sul piano morale o politico, ma perché gli infiniti scheletri nell’armadio del raìs gli impedivano di condannarli, e tra le sue stesse truppe era scoppiata la guerra per dividersi il tesoro dei quaranta ladroni.

FONTE: http://www.cesnur.org/2004/mi_arafat2.htm

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IL LIBRO DI CUI NESSUNO PARLA

Come spiegare l’esplosione dell’ondata terroristica dopo gli accordi di Oslo ? Esiste un piano d’azione? Quale ruolo gioca Yasser Arafat? Chi decide gli attentati ? Chi li finanzia?

Per rispondere a tali questioni, due giuristi, Karin Calvo-Goller e Michel A. Calvo, hanno condotto in proprio un’inchiesta, in seguito a una denuncia presentata al Palazzo di giustizia di Parigi in merito alla morte di numerosi francesi negli attentati-suicidi palestinesi in Israele.

Grazie ai documenti raccolti da numerose organizzazioni non-governamentali, la realtà della macchina terrorista palestinese viene illuminata da una luce troppo cruda e molto scomoda per la “buona coscienza” occidentale e in particolare europea.

Per l’acquisto, il libro può essere richiesto ad Amazon : http://www.amazon.fr/exec/obidos/AS…8672502-8798519

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Come il terrorismo ha usato i soldi dell’Unione Europea

 L’Autorità Palestinese ha usato decine di milioni di dollari ricevuti da donatori quali l’UE per finanziare il terrorismo, mentre l’Arabia Saudita ha donato un totale di 550 mila dollari a più di 100 famiglie di terroristi palestinesi..

Lo si legge nel rapporto intitolato “Il coinvolgimento di Arafat, degli alti funzionari e degli apparati dell’Autorità Palestinese nel terrorismo contro Israele, corruzione e crimine”. Il documento, preparato dai servizi di sicurezza è stato reso pubblico il 6 maggio 2002 dal Ministero degli Esteri israeliano e presentato al Presidente americano Bush in occasione della visita a Washington del Primo Ministro Ariel Sharon.

Compilato per lo più sulla base di documenti sequestrati negli uffici della Amministrazione Nazionale Palestinese di Ramallah, il dossier indica le prove del coinvolgimento e della responsabilità di Yasser Arafat e degli apparati dell’ANP in una serie di attività terroristiche contro Israele.

Secondo il Ministro senza portafoglio Dan Naveh, che ha presentato il Dossier ad una conferenza stampa del 5 maggio, i documenti fornirebbero la prova inequivocabile del coinvolgimento diretto di Arafat negli attacchi terroristici degli ultimi 18 mesi, in quanto “leader supremo” delle Brigate di Al Aqsa, filiazione della sua fazione politica Fatah.

Inoltre il rapporto spiega come centinaia di attivisti di Fatah che operano nel suo braccio armato, Tanzim, e le Brigate di Al Aksa, siano di fatto state pagate con i 9 milioni di dollari in trasferimenti mensili versati dall’UE all’Autorità Palestinese.

I fondi della UE, che secondo il rapporto ammonterebbero a mala pena al 10% del totale dell’attuale budget dell’Autorità Palestinese, insieme ai 45 milioni di dollari al mese provenienti dagli Stati Arabi, sarebbero stati trasferiti ai terroristi dall’Autorità Palestinese “inserendone i nomi nella lista del personale di sicurezza nazionale, nonostante il fatto che questi operino nel quadro delle branche di Tanzim e delle Brigate militari di Al Aksa.”

I documenti direttamente approvati dal leader palestinese e recanti la sua firma includono:

-lo stanziamento di 350 $ per 4 terroristi a Betlemme, firmato il 9 luglio 2001

-lo stanziamento di 600 $ a 3 alti comandanti di Tanzim, compresi quelli coinvolti nell’attacco terroristico alla cerimonia religiosa di Hadera (attacco del 17 gennaio 2002: 6 morti e 35 feriti), approvato il 19 settembre 2001

-trasferimento di 350 $ ad ognuno dei 12 terroristi di Fatah/Tanzim di Tulkarem che avevano partecipato ad attacchi mortali contro israeliani.

Inoltre, un documento non datato preparato dal Capo delle finanze palestinesi Fuad Shubaki e probabilmente approvato da Arafat stanziava 80 mila dollari per la costruzione di un vasto laboratorio per la produzione di armi, incluso un tornio e altri attrezzi per la lavorazione dei metalli necessari nella produzione di armi quali razzi e mortai. Tutte queste armi sono proibite dagli Accordi di Oslo.

Il rapporto contiene anche lettere di ringraziamento scritte da funzionari dell’Autorità palestinese al presidente irakeno Saddam Hussein per il suo sostegno finanziario all’Autorità palestinese.

Contenuti del dossier

  1. La dimensione ideologia e indottrinamento da parte di alti ufficiali dell’Autorità Palestinese

  2. Finanze e finanziamenti del terrorismoda parte di membri di ANP

  3. Gli apparati di sicurezza con cui ANP e Fatah sostengono il terrorismo

  4. Le Brigate di Al Aksa e Fatah sono in realtà un unico ente sotto la gestione di Yasser Arafat.

  5. L’approvvigionamento di armi da parte di ANP in violazione degli Accordi Internazionali

  6. Cooperazione tra ANP e gli Stati sponsor del terrorismo

  7. Corruzione in ANP

APPENDICE

Caratteristiche delle infrastrutture terroristiche sviluppate da ANP:
Jenin
– la capitale di terroristi suicidi.
Nablus
-la principale infrastruttura del terrorismo.
Betlemme
-ingiustizie verso la popolazione cristiana

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Il coinvolgimento di Arafat, degli alti funzionari e degli apparati dell’Autorità Palestinese nel terrorismo, corruzione e crimine”.

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LIBERALI ARABI CONTRO IL TERRORISMO

Il 24 ottobre 2004, i siti arabi liberal http://www.elaph.com e www.metransparent.com, hanno pubblicato un manifesto in cui si presenta una petizione all’ONU per l’istituzione di un Tribunale internazionale per l’incriminazione di persone o organizzazioni, in primo luogo di esponenti religiosi musulmani estremisti, che incitino al terrorismo.

L’idea di appellarsi all’ONU con tale richiesta fu avanzata dallo scrittore e ricercatore giordano dottor Al Shaker al Nabulsi all’inizio di settembre 2004 come reazione alla fatwa proclamata dallo sceicco Yousef Al Qaradhawi – uno dei leader del movimento dei Fratelli Musulmani e una delle più prestigiose autorità religiose degli ambienti islamici – che aveva invitato al rapimento e all’uccisione di cittadini americani in Iraq. L’idea fu sviluppata e stilata da Al Nabulsi, dall’intellettuale tunisino Al ‘Afif Al Akhdhar e dall’ex ministro iracheno per la programmazione dottor Jawad Hashem.

La traduzione in italiano del manifesto si trova in : http://www.memri.org/italian/

Alcuni esempi di fatwa

  • Quando il giudice che presiedeva il Tribunale egiziano chiese allo sceicco Mohamed Al Ghazali (uno dei capi del movimento egiziano dei Fratelli Musulmani) di esprimersi sull’assassinio di Faraj Foda (intellettuale laico egiziano) avvenuto nel 1992, l’opinione dello sceicco fu la seguente: “L’assassinio di Faraj Foda fu in realtà l’attuazione della punizione di un apostata che l’imam (lo stato) ha mancato di mettere in pratica (incaricarsene)”. Quando l’imputato sentì l’opinione di Al Ghazali, esclamò: “Ora morirò con la coscienza pulita (per aver ucciso Foda)”.

  • Il 13 febbraio 2002, il giornale londinese Al Hayat pubblicò una fatwa emessa dallo sceicco saudita Ali Bin Khodair Al Khodhairi con cui si approvavano e si perdonavano gli attentati qaedisti dell’11 settembre a New York e Washington. Nella sua fatwa lo sceicco disse: “Sorprende che si piangano le vittime americane come se fossero innocenti. Questi morti si possono classificare come infedeli americani che non meritano di essere pianti perché ogni americano, per quanto riguarda il suo rapporto col governo americano, è un combattente o un simpatizzante col suo denaro e col suo giudizio. E’ legittimo uccidere ognuno di loro, che sia combattente o non combattente, come i vecchi, i ciechi o i non musulmani […]”.

  • Sempre lo stesso giorno, Al Hayat pubblicò anche un’altra fatwa emessa dallo sceicco saudita Safar Bin Abdulrahman Al Hawali in cui descriveva gli attentati dell’11 settembre come equivalente ritorsione per l’attacco missilistico del presidente Clinton ai campi di addestramento di Al Qaeda, dopo l’attacco terroristico all’ambasciata americana di Nairobi, in Kenia. Egli proseguiva giustificando l’attacco al World Trade Centre e al Pentagono, descrivendoli come centri per il riciclaggio del denaro sporco, nidi di demoni, cellule spionistiche e covi di mafia.

  • La fatwa emessa dallo sceicco Yousef Al Qaradhawi che autorizzava l’uccisione dei “feti” di ebrei (non nati) perché (secondo lui) una volta che sono nati e cresciuti gli ebrei entreranno a far parte dell’esercito israeliano. Inoltre, il 3 settembre 2004 (all’Unione Giornalisti egiziani), Al Qaradhawi emise una fatwa che spingeva a uccidere tutti i civili americani che lavoravano in Iraq.

  • E il 3 luglio 2004 egli promulgò un’altra fatwa (pubblicata su Al Ahram Al Arabi ) che autorizzava l’uccisione di intellettuali musulmani in quanto apostati, sostenendo che l’Islam giustifica l’uccisione di tali apostati. La fatwa emessa dal tunisino Rashid Al Ghannoushi autorizza l’uccisione di tutti i civili in Israele in quanto, secondo la sua fatwa, “non esistono civili in Israele. La popolazione – maschi, femmine e bambini – sono soldati riservisti, perciò si possono uccidere”»

. FATWA del 27 Settembre 2001

di : Sheikh Yusuf al-Qaradawi [Grand Islamic Scholar and Chairman of the Sunna and Sira Council, Qatar]
Judge Tariq al-Bishri [First Deputy President of the Council d’etat, Ret., Egypt]
Dr. Muhammad S. al-Awa [Professor of Comparative Law and Shari’a, Egypt]
Dr. Haytham al-Khayyat [Islamic Scholar, Syria]
Mr. Fahmi Houaydi [Islamic Author and Columnist, Egypt]
Sheikh Taha Jabir al-Alwani [Chairman of the North America Fiqh Council, Sterling, Va.]

Fatwa of Rajab 10, 1422 AH / September 27, 2001
Click
here for English version; click here to return to Islamic Responses to Terrorism.

FONTE:http://www.unc.edu/~kurzman/Qaradawi_et_al_Arabic_page_3.jpg

La legalità islamica della fabbricazione e dell’uso di uomini-bomba per operazioni di martirio e strage

Fatwa del Dottor Youssef Al-Qardawi (riassunto dal francese, verifica del testo arabo )

Nel nome di Allah il Clemente e il Misericordioso

Molti di quelli che che dopo le operazioni effettuate a Gerusalemme, a Tel Aviv e a ‘Asqalane, nelle quali diversi giovani di Hamas hanno perso la vita, hanno posto le seguenti domande:

Queste operazioni « suicide » sono da considerare come Jihad [ sforzo, anche estremo, sulla via di Allah ] oppure terrorismo?

I giovani che si uccidono in queste operazioni sono dei martiri ? Oppure sono semplici suicidi, dal momento che si danno la morte e il Corano dice: « Non vi lanciate, con le vostre proprie mani, nella distruzione » ( 2 : 195) ?

Sono lieto di affermare che queste operazioni rilevano del terrorismo legale così indicato nel Corano: « E preparate, contro di loro [ i nemici] , tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare ( turhiboona ) il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati » ( Corano, Al-‘Anfâl, 8:60 ).

Non sono degli atti sucidari. Colui che si suicida è un essere senza alcuna speranza, si uccide per fuggire i suoi problemi. Mentre il Moujahid, il combattente, utilizza tale metodo come una nuova arma, come una bomba umana che esplode in un luogo e in un momento prestabilito contro i nemici di Allah e della patria : un nemico che resterà, davanti a lui, senza potere [ malgrado le sue armi sofisticate ] …

Il testo integrale in : www.palestine-info.cc/ french/

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NASSIRIYA , UN ANNO DOPO

A Nassiriya, sud dell’Iraq, sono le 10:45 del 12 novembre 2003. Un camion forza il posto di blocco all’entrata di una base dei carabinieri e prosegue la sua corsa fino a una palazzina che ospita il dipartimento logistico italiano. C’è una sparatoria. Dietro al camion irrompe un autobomba di shaid ( martiri-killer) che finisce la sua corsa esplodendo e causando una strage. Vittime della perfidia dei terroristi 19 italiani tra carabinieri, militari e civili

Roma 18.11.2003 i funerali di Stato delle vittime del terrorismo suicida

Le foto dei caduti

Fonte: www.logifranchi.it/…/ 6_nassiriya.htm

I messaggi inviati al Ministero della Difesa

–  I morti di Nassiriya. Perché

Documento

DAL TESTO DELL’OMELIA DI RUINI

…Cari fratelli e sorelle, Gesù nel Vangelo ci ha avvertiti che il criterio in base al quale saremo giudicati è quello dell’amore operoso, che sa riconoscere la sua misteriosa presenza nel più piccolo e più bisognoso dei nostri fratelli in umanità. Abbiamo perciò ascoltato con intima commozione le parole della sposa di uno dei caduti che, dopo aver letto un altro, molto simile brano del Vangelo, quello nel quale Gesù ci invita ad amare anche i nostri nemici, ci ha detto con semplicità che di quella parola di Gesù lei e suo marito avevano fatto la regola della propria vita.

E’ questo il grande tesoro che non dobbiamo lasciar strappare dalle nostre coscienze e dai nostri cuori, nemmeno da parte di terroristi assassini. Non fuggiremo davanti a loro, anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, anzi, non ci stancheremo di sforzarci di far loro capire che tutto l’impegno dell’Italia, compreso il suo coinvolgimento militare, è orientato a salvaguardare e a promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione.

Questi primi anni del nuovo secolo e del nuovo millennio appaiono particolarmente duri, crudeli e tormentati. Troppe popolazioni inermi sono colpite, da ultimo gli ebrei delle sinagoghe di Istanbul. Ma proprio in questa circostanza chiediamo a Dio, con umile fiducia, di rinsaldare nei nostri animi la convinzione e la certezza che il bene è più forte del male e che anche nel nostro mondo, segnato dal peccato, è possibile, con il suo aiuto, costruire condizioni di libertà, di giustizia e di pace.

Mentre affidiamo alla misericordia di Dio le anime dei nostri fratelli caduti a Nassiriya, confermiamo e rinnoviamo il sincero proposito di essere degni della grande eredità che essi ci hanno lasciato.

Vorrei aggiungere un’ultima, sommessa preghiera: la tragedia di Nassiriya ha sollevato in tutta Italia una grande onda di commozione e ci ha fatti sentire tutti più vicini, ma ha anche istillato in noi una sensazione di freddo e di paura, di fronte all’incertezza della vita e alla ferocia che può annidarsi nell’animo umano.

Voglia il Signore riscaldare i nostri cuori, donare speranza e serenità soprattutto a coloro che in questa tragedia hanno perduto i loro cari e devono ora disporsi ad affrontare un futuro non previsto, più triste e più duro. E voglia dare al nostro Paese e alle sue istituzioni efficace e duratura determinazione di non dimenticarli e di non lasciarli soli. Il Signore benedica e protegga il nostro popolo e i nostri soldati”.

(18 novembre 2003)

Il testo integrale dell’omelia di Ruini

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