Rituali aromatici

RITUALI AROMATICI
NON C’E’ FUMO SENZA DEI *

A shaman uses smoke from a juniper twig to clenase a patient of evil spirits.
Siberia. Republic of Tuva.

La pratica di bruciare vegetali aromatici sugli altari risale ai primordi dell’umanità ed è attestata in tutte le civiltà.Non c’e fumo senza dei , osserva Roberte Hamayon in uno studio sui rituali di fumigazione con vegetali aromatici presso i Buriati. Fu pubblicato nella rivista L’Ethnographie (n. 74-75,1977) e l’etnologo francese citava specialmente il serpillo ( una specie di timo), le scorze dell’abete rosso, le bacche di ginepro. Questi vegetali aromatici svolgono un ruolo di purificazione nello sciamanesimo siberiano. Svolgono anche un ruolo di emblema e vengono considerati oggetti capaci di rendere esseri e cose culturali atte a stabilire un contatto con il sovrannaturale. Questa pratica di purificazione tramite fumigazioni di serpillo, bacche di ginepro, scorze di abete e altri legni la si trova anche nei rituali del buddhismo del Tibet, il vajrayana.

Nei vari studi sui rituali sciamanici, così come delle varie pratiche di culto, l’attenzione di solito è posta specialmente sulla funzione che vi svolgono invocazioni, danze, suoni e colori, meno sulle fumigazioni. In uno studio per la rivista Altrove n.3, I profumi della notte ghnaoua, ho individuato le sostanze aromatiche usate in un rituale di possessione nordafricano, la derdeba dei Ghnaoua del Marocco. Indipendentemente dalla loro natura più e meno psicoattiva, si tratta di profumi che svolgono una funzione fortemente simbolica. Se per i Buriati si tratta di purificare esseri e cose, ‘caricandoli ‘ in un certo senso di significati sovrannaturali, nei riti di possessione nordafricani si tratta invece di ‘nutrire gli spiriti o jinn con i fumi dei vegetali aromatici ; oltre che con gli effluvi che si levano dal sangue degli animali, come galline, capre o tori, talvolta anche cammelli, sacrificati per sgozzamento. Anche in paese musulmano, come in numerose altre culture, non c’e ; festa senza sangue. Le fumigazioni segnano il passaggio dalla fase profana a quella sacra del rituale. Solo dopo le fumigazioni, la harraba , lo spazio in cui si verificheranno le possessioni, è considerato ‘aperto’.
Nello studio sulle fumigazioni rituali nei riti di possessione in Marocco, recensivo per la prima volta, grazie all’erborista Luigi Cristiano e al compianto Georges Lapassade, i vegetali aromatici che venivano usati. Fra questi, oltre alla resina di benzoino, citavo i semi di ruta siriaca (Peganum harmala), una pianta che è stata proposta da Flattery e Schwarz come fonte originaria dell’haoma iraniano. La ruta siriaca è una pianta che da sola non parrebbe essere in grado di produrre i profondi stati visionari indotti dall’haoma, ma che tuttavia, per avere sperimentati gli effetti del fumo prodotto dai semi bruciati, produce un effetto leggermente ipnotico. Quando si studiano i vegetali in uso nei rituali, prima o poi spunta qualche pianta che porta altrove.
Porta cioè a una zona intermedia tra uomini e dei, terra e cielo, corpo e spirito, che è ben rappresentata, mi pare, dal trittico ‘Il giardino delle delizie ‘ di Bosch (1480-1490) ora al Museo del Prado, a Madrid. Si vuole che nel pannello centrale del Giardino delle delizie, Bosch abbia dipinto il paradisus voluptatis della tradizione teologica, l’ hortus deliciarum celebrato dai mistici. Così lontano dalla nostra sensibilità, così difficile da decifrare, quel trittico del XVI secolo sembra, tuttavia, parlarci di un’esaltazione dei sensi che sfocia nel suo contrario, nella triste parodia del piacere fine a se stesso e del desiderio ridotto a bisogno corporeo . Ma a parte i significati che vi si possono trovare, quello che colpisce è la proliferazione di particolari apparentemente incongrui, motivi fantastici, scene bizzarre, come per esempio quel fragolone in primo piano, che giocando con il simbolismo dei frutti, forse allude alla lussuria. In ogni caso, si tratta di un « altrove » fantastico che sfida qualsiasi interpretazione.

“Il giardino delle delizie” di Bosch, part. del fragolone in primo piano, che giocando con il simbolismo dei frutti, forse allude alla lussuria.

“il quadro si organizza in modo da ‘provocare e deludere’ qualsiasi traiettoria interpretativa”. L’osservazione è di Michel de Certeau (intellettuale gesuita, storico antropologo psicanalista, tra i fondatori dell’Ecole freudienne de Paris di Jacques Lacan) che al Giardino delle delizie ha dedicato un capitolo del suo studio sul misticismo (Fabula Mistica, 1987). Questo ‘ altrove’, questo ‘non luogo’ sembra essere proprio lo spazio, a un tempo « provocatorio e deludente », dell’arte e di un’eccedenza mistica che forse è proprio il segreto dei rituali e del linguaggio.
Nei rituali, le fumigazioni aromatiche aprono a uno spazio ‘ altro ‘, d’interpenetrazione tra il basso e l’alto, il vicino e il lontano, il visibile e l’invisibile. Questo spazio separato( che oggi è, in parte, quello dell’arte) è lo spazio del ‘ sacro ‘ – nozione che implica il puro/impuro e vari riti di approccio a una zona tremenda, maiestatica, affascinante. Il punto, intenso e feroce, in cui – generalmente tramite un sacrificio – la vita va al di là, è ben rappresentato dal fumo delle vittime e delle sostanze aromatiche che sale verso l’alto, stabilendo una ‘comunicazione ‘ con l’invisibile.
Non è solo un effetto visivo, ma anche olfattivo. Il fumo che si leva negli incensieri simboleggia la preghiera, mentre l’atto di inalare quell’odore è partecipazione mistica al sacro mistero che si celebra. A differenza della vista, che è il senso della distanza e della teoria, l’olfatto è il senso della vicinanza e della confusione. Quando vedo – diceva Adorno – resto me stesso. Con l’annusare ci si perde… . L’olfatto è il senso più « arcaico », legato al sistema limbico, la parte più antica del cervello che presiede alla fame, al sesso e alle emozioni, ed ha poche connessioni con la corteccia e i centri del linguaggio. Basta una zaffata, ed eccoci immediatamente coinvolti con tutto il corpo, senza poter scegliere. Anche per questo, tutta la tradizione filosofica occidentale ( con qualche eccezione, p.e. Nietzsche) ha ritenuto l’olfatto un senso ‘primitivo’ o animale’ ( come lo definiva Aristotele), non coinvolto nella conoscenza. Che è fondamentalmente apollinea, legata cioè alla vista e a uno spazio teorico, suscettibile di mettere in prospettiva idee distinte.
Il mito fondatore della funzione delle piante aromatiche, per quanto riguarda la civiltà occidentale, resta quello di Prometeo. Tutto – secondo quanto racconta Esiodo – inizia all’età dell’oro, quando uomini e dei vivevano e banchettavano insieme. A un certo punto, nasce la questione di cosa spetta agli uomini e cosa agli dei. Prometeo, l’inventore del primo sacrificio, gioca d’astuzia e propone agli dei le ossa mascherate da un velo di buon grasso, e agli uomini la carne coperta da una brutta pelle di bue. Naturalmente Giove si accorge dell’inganno e sceglie il grasso e le ossa, lasciando agli uomini il nutrimento carneo e sanzionando così la loro natura di esseri mortali. Gli dei non hanno bisogno di carne, si nutrono del fumo delle ossa e del grasso degli animali sacrificati e del fumo delle piante aromatiche. Esiste tutta una vasta mitologia greca degli aromi e del loro statuto ambiguo, in quanto sia riservati agli dei e alla cucina sia – una volta distolti dagli altari e dal fuoco domestico – strumenti di seduzione.
L’apertura di un altro spazio tramite fumigazioni con vegetali aromatici sembra una pratica universale. Probabilmente la prima idea di sacrificio viene dalla scoperta del fuoco. Agni, il dio del fuoco, è invocato a ogni linea dei rituali vedici. L’importanza del fuoco per la conservazione della vita è tale che i primi uomini hanno preso l’abitudine di circondare la nascita e la cura del fuoco con le stesse parole, gli stessi gesti, diventati in seguito dei riti indispensabili. Quando si costituisce la scienza sacra delle relazioni dell’uomo con l’invisibile, il fuoco fisico diventa il segno di numerosi fuochi più sottili : il fuoco elementare, il fuoco etereo, il fuoco del firmamento, il fuoco solare, il fuoco intellettuale, il fuoco cosmico. Queste sette fiamme, combinandosi con altre forze universali, generano le quarantanove fiamme di Agni – più la cinquantesima fiamma, indicibile e inattingibile, in quanto assolutamente altra e identica al Brahman. Secondo le scritture del Çatopatha, l’intera Creazione è un immenso e continuo sacrificio, in un ardere continuo di esseri, cose e forme. Il fuoco sottile di Agni è il divoratore di interi universi. Il sacrificio costituito dall’ardere dei mondi creati è il modello e il termine di ogni altro sacrificio. Perché il Signore (Pradjapati) vi presiede come prete, come vittima, come agente ( il fuoco) e come destinatario. Fatte salve le dovute differenze, ritroveremo concezioni simili nella teologia e i riti liturgici della chiesa cattolica e di quella ortodossa. 
INCENSO E FUMIGAZIONI LITURGICHE
 Le fumigazioni fanno parte della liturgia, le cui forme conservano tracce dei più antichi riti con vegetali aromatici . Si tratta di seguire gli spostamenti storici e simbolici di un « orologio rituale », in cui la nuova vita del cristianesimo si esprime nei termini delle tradizioni già esistenti – vediche, greche, egiziane, ebraiche, romane – dando loro allo stesso tempo un nuovo significato. Nella chiesa cattolica viene usato un solo tipo di vegetale aromatico : l’incenso, la resina della Boswellia, per distinguersi dalla molteplicità di sostanze in uso nei culti politesti.
Tra i molteplici significati dell’offerta d’incenso il più antico è forse il simbolo scritturale della preghiera che, a somiglianza della colonna profumata dell’incenso ( già presente, ma con altri significati, nei templi dell’antico Egitto e poi all servizio del Tempio di Gerusalemme), si leva dalla terra verso il cielo al cospetto di Dio. (“Salga a te la mia preghiera come incenso », Salmo 140 ). Questo sacrificio di adorazione è presente nella chiesa bizantina, nelle funzioni dette dei Presantificati, nelle quali, il turibolo fumante viene deposto e lasciato sull’altare, mentre il sacerdote leva alte le mani.
Il termine profumo deriva da pro fumum , pro fumum tribuere – rendere tributo attraverso il fumo. L’offerta d’incenso all’imperatore, questo atto d’idolatria che costò al cristianesimo numerosi martiri a causa del loro rifiuto del tributo di fumo dovuto all’imperatore, fu presto tradotto anch’esso nei termini cristiani di omaggio all’Onnipotente. Ha questa origine l’incensazione liturgica dell’altare, del libro dei Vangeli, delle Oblate all’Offertorio e, ogni qualvolta sia esposto, del santissimo Sacramento.
 Come riferisce Cristina Campo, nel suo studio sull’uso dell’incenso,i bizantini incensano persino il velo del calice prima che questo ne venga ricoperto e tutti i paramenti del vescovo, via via che egli li indossa. Il tempio bizantino viene del resto incensato completamente, icona per icona, all’inizio e nel corso di molte cerimonie in presenza del volto e delle figure dei santi. Le persone dei celebranti e degli assistenti sono anch’esse incensate in entrambe le Chiese. Ai Vespri conventuali latini si incensa l’altare della Vergine al canto del Magnificat. Nelle antiche abbazie benedettine l’incensazione si ripete tre volte, a ogni Notturno dell’ora canonica di Mattutino.
L’interpretazione mistica tradizionale dà all’offerta dell’incenso ulteriori significati. Esso si brucia:
1) per rendere omaggio, onore e gloria al Dio trinitario tramite la rimemorazione del sacrificio dell’Agnello. Un sacrificio, cioè, di Dio stesso che, diventato uomo, osa innalzarsi sulla croce ( svelando così – secondo l’interpretazione che ne dà René Girard – lo scandaloso non-detto, ovvero il sacrificio della vittima alla base del costituirsi del gruppo umano cosiddetto civilizzato) ;
2) per imitare in terra ciò che gli Angeli fanno in cielo, dove san Giovanni , nell’Apocalisse, li vide offrire a Dio molti incensi bruciati in turiboli d’oro (Ascendit fumus aro matum in conspectu Domini, de manu angeli);
3) per profumare lo spazio in modo da renderlo uno spazio altro, sacro – un tratto purificatorio, comune all’uso più arcaico del fumo fragrante dei vegetali aromatici;
4) per insegnare ai fedeli a bruciare e consumare anch’essi la loro vita per la gloria di Dio e diffondere ovunque il buon odore del Cristo. Del Cristo Gesù che, nei bestiari medievali, viene paragonato alla mitica pantera profumata della quale si diceva che attirava le prede con il suo buon odore. Allo stesso modo Gesù-pantera cattura le anime con il suo profumo.
 L’ idea di bruciare e consumare la vita come un incenso che glorifica Dio, deriva invece probabilmente da una fonte scritturale. Nei salmi, per esempio, dove si parla della vita del Messia come una vita di sofferenze per gli altri. E nel vangelo di Matteo (9 :17), dove la natura della sofferenza è paragonata a un’otre sul fumo. L’immagine è quella di una tenda, al cui interno è sospesa un’otre esposta al fumo che si leva da un braciere. Per effetto del calore e del fumo l’otre di legno si restringe e annerisce, mentre il vino non ne soffre. Anzi, per effetto del calore del fuoco diventa più buono, più commestibile. Il fumo, sgradevole per l’otre, è salutare per il suo contenuto. Insomma, sarebbe l’immagine del credente che soffre. Sofferente ma felice !
Oltre al tempio, alle cose sacre e ai vivi ( in quanto corpi che con il Battesimo divennero membra del Cristo e templi dello Spirito santo), la Chiesa incensa anche i morti, per mostrare che, come i fedeli morti hanno già fatto olocausto della loro vita al Signore, così i viventi debbono farne olocausto ogni giorno nel servizio di Dio.
NON C’E FUMO SENZA SPIRITI
Se il Dio dei cristiani si manifesta – come gi dèi greci – in odore di soavità, la presenza degli spiriti del male è invece segnalata o simboleggiata da uno sgradevole biglietto da visita : il puzzo. Secondo la tradizione , infatti, Mefistofele, aureolato dal tanfo infernale, prende il nome dalla puzzola (in latino mephitis). Il diavolo, il ‘puzzone’ per eccellenza, sa di zolfo. L’odore di putrido è universalmente ritenuto sgradevole, allarmante, pericoloso. E’ il tipico odore delle cose cattive da mangiare ed è anche l’odore tipico del cadavere e della morte. L’odore fetido della putrefazione è fonte d’angoscia. Di contro all’odore putrido si usano odori di resine ritenute solari, immarcescibili, come la mirra, l’olibano o l’incenso. Così l ‘incenso, fragrante e benedetto dal celebrante col segno della Croce, si oppone alla presenza maligna e mortifera, creando un cerchio di benedizione e operando nel regno dell’olfatto quello stesso esorcismo che la campana opera nel regno dell’udito, l’acqua benedetta in quello del tatto. Tale potere esorcistico è dimostrato dalla triplice incensazione circolare della salma nella cerimonia dell’assoluzione e in quella della sepoltura. Questo viene dichiarato esplicitamente da papa Innocenzo III in De sacrificio missae: “Fumus incensi valere creditur ad effugando daemones“.
Tale pratica risale probabilmente all’antico Egitto, all’origine della profumeria riservata inizialmente ai sacerdoti e agli imbalsamatori. Si trattava non solo di mascherare gli odori cadaverici, ma anche di restituire integrità al corpo del defunto e fornirgli il buon odore, l’odore degli dei. Il dio della profumeria era Nefer, il cui emblema era il loto e il buon odore del loto blu (Ninfea caerulea ), simbolo delle origini della vita . Per gli Egiziani, così come anche per i Greci, gli dei avevano un buon odore ( euodia).
Quanto al cattivo odore degli spiriti maligni, più che di esorcismo si trattava di adorcismo. Gli spiriti maligni puzzano, non fuggono davanti ai cattivi odori, anzi se ne nutrono. Secondo la teoria occultista, offrire cattivi odori agli spiriti maligni li distrae, li distoglie dall’attaccarsi alle energie vitali dei vivi. Questa pratica sopravvive in Marocco, dove durante i funerali si brucia il  fasukr - il succo rappreso di un’euforbiacea dall’odore pestilenziale. Gli spiriti che si raccolgono attorno al cadavere, succhiano il cattivo odore del fasukr , invece di indebolire e danneggiare i vivi. Non c’è fumo senza dei, e, aggiungerei, non c’è fumo senza spiriti.
Anime erranti, larve astrali, gandharva ( gli angeli musicisti dell’induismo, fatti solo di profumo o gandha ), ginn diversi dell’islàm, cattivi diavoli, diavoletti e spiriti elementali giocano, a loro modo, la sarabanda degli odori e dei quattro elementi come nel Giardino delle Delizie di Bosch. Le ondine odorano d’acqua, le salamandre di fuoco, le silfidi d’aria, gli gnomi sanno di terra e di funghi. I grimoires, i libri di magia, sono pieni di formule per evocarli sia con parole sia con fumigazioni di questa o quella pianta aromatica. I più gentili e simpatici sono gli gnomi. Pare che siano molti servizievoli verso chi riesce ad evocarli con fumigazioni apposite. Somigliano un po’ ad alcuni tipi di djinn, affrits e m’louk del Marocco, anch’essi guardiani naturali dei pozzi e di favolosi tesori sepolti. Chi di noi non ha sognato di diventare improvvisamente ricco, senza sforzo, magari passando la schedina del superenalotto sul fumo di benzoino o di mirto ? Sono molto generosi, gli gnomi. 
Ci sarebbe ancora molto da dire sui vegetali aromatici in uso nelle pratiche magiche. Qui, anche per dare spazio agli altri interventi, mi sono limitato a evidenziare la funzione sia di purificazione sia di collegamento con l’invisibile che l’uso dei vegetali aromatici svolge da tempi immemorabili, dal sacerdote egizio alle tradizionali fumigazioni liturgiche.
 ;  *Trascrizione del testo della comunicazione presentata da Gianni De Martino al Convegno « Il giardino delle delizie. Piante sacre e saperi tradizionali », Ecomuseo di Coazze, 29 Agosto 2009.

 

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Miro Silvera, scrittura dell'esilio

LIBRI
SCRITTURA DELL’ESILIO
“Il passeggero occidentale” di Miro Silvera edito da Ponte alle Grazie è un romanzo che narra le avventure di viaggio di un giovane ebreo di Boston che alla vigilia dello sconvolgente e terribile 11 settembre 2001 si mette sulle tracce del fantasma paterno, un hippie degli anni settanta del quale il figlio ha con sé i quaderni di un romanzo che ha ritrovato in un cassetto. Esploratore a un tempo delle frontiere geografiche del mondo e dei margini fisici e spirituali dell’amore, l’io narrante è combattuto tra due amori : quello per Amanda, la fidanzata che rappresenta la cellula familiare codificata dalla morale, e quello per l’ arabo Abdy, un giovane musulmano che rappresenta l’avventura, se non il sogno di una fraternità perduta, dal momento che finirà con il tradirlo.  
 
Come ogni letteratura che racconta la passione e la meraviglia degli incontri, la scrittura oscilla quasi ai margini della percezione tra il mondo chiuso e il viaggio : la camera dove ( come nel quadro di Jhon Kock, End of day, che figura in copertina) s’inabissa l’attesa dell’altro, il nomadismo dove si consuma il desiderio e  “tutto è deviazione e scarto, inciampo e salto nel vuoto”.
 
Il viaggio attraverso luoghi come Essaouira, Marrakech, Casablanca, Alessandria d’Egitto, Tel Aviv, Beirut, Mosca , diventano la metafora dell’attraversamento di vere e proprie zone interiori di confine e di una interrogazione su come essere in un mondo sognato come un "Pianeta fresco", un luogo di tranquillità mentale e fisica, che poi – da quando l’immagine del mondo non viene più offerta dagli scrittori ma dai terroristi in mondovisione – si rivela cosparso di sangue. « Ma – come suggerisce l’autore – le porte non si sono del tutto richiuse. Mi sembra che uno spiraglio sia rimasto aperto. E vi filtra una debole luce ».
 
  UN BRANO
« Dalle strade ventose di Essaouira, l’antica Mogador, che conobbe le smanie di molti pirati e i tormenti di Orson Wells per l’Otello, se n’è andato da poco l’italiano Gianni che mi ha detto di aver forse conosciuto mio padre. Partendo, mi ha lasciato un libro scritto da lui in cui aveva sottolineato questo passaggio : “Di questo movimento psichedelico, planetario, che è potuto sembrare anacronistico, confuso, se non un po’ folle a uno spirito cartesiano, noi oggi non abbiamo altro ricordo che quello dei fiori, di qualche grido d’amore universale e un ritornello dei Beatles. Abbiamo voluto dimenticare che si trattava di uno sconvolgente movimento mistico dove, nel tentativo di spalancare le porte della percezione, si alleavano gli psichedelici e il nome di Dio“ ».
 
La citazione è tratta dall’ Introduzione al libro di Karim Kobra, Voglio vedere Dio in faccia, Promolibri, Torino, 1996, p. 9. Naturalmente, come tutti i romanzi, anche il nuovo libro dell’autore del Senso del dubbio ( 2001) e del toccante I giardini dell’Eden (1998) sulla vita del Gesù giovane, del Gesù nascosto, il Gesù ebreo, è opera della fantasia dell’autore. Tuttavia fa una curiosa impressione ritrovare a pag. 24 del romanzo di Silvera traccia di quanto abbiamo veramente vissuto a Essaouira tra la seconda metà degli anni sessanta e i primi anni settanta, quando eravamo tutti giovani e belli, e credevamo di poter superare come per magia – senza mai scegliere questo o quello, ma sempre questo e quello – le barriere delle religioni, delle razze, delle classi, dei sessi e delle lingue. Per poi ritrovarci dentro un libro. Un libro scritto da uno dei pochi narratori veri.
 
IL LIBRO
Miro Silvera, Il passeggero occidentale,  Ponte Alle Grazie, Milano, 2009.
 
 
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Addio a Fernanda Pivano

GRAZIE NANDA
Genova 18 luglio 1917 – Milano 18 agosto 2009
Ma grazie a Dio ci sono questi ragazzi di 18 anni che mi mandano le loro poesie, i loro racconti, i loro auguri e mi chiedono suggerimenti su come fare a superare le tragedie della vita. Ahimè. A 92 anni ancora non so cosa rispondere. Dico loro di sperare. Di battersi per vivere in un mondo senza guerre volute solo da capitani ansiosi di medaglie. Di sorridere senza il rimorso di non aver aiutato nessuno. E proprio questi giovani sono una grande, meravigliosa, consolazione. Il segno che qualcosa di ciò che hai fatto ha lasciato un piccolo segno, un piccolo seme. ( F. Pivano, dal  suo ultimo testo scritto per il Corriere )
 
Ho sempre cercato di non far assomigliare questo blog a un seguito di necrologie o a un cimitero. Tuttavia non posso non segnalare, non onorare, a modo mio, la scomparsa ieri sera di Fernanda Pivano alla quale, in parte, debbo il mio amore per la letteratura e la scoperta dei « libri di vita » che venivano dall’America. Fu uno dei miei primi incontri meravigliosi  quando giovanissimo, nel 1967, scoprivo  nella casa di Nanda in via Manzoni, dove si era da poco trasferita con Ettore Sottsass, un angolo di Milano colta e cosmopolita. Per il resto, la città – a parte gli ultimi fuochi « esistenzialisti » del  quartiere dei pittori di Brera e le case degli amici – era piuttosto inospitale, specialmente per gli autostoppisti, i ragazzi che viaggiavano,  i cosiddetti « capelloni » che  senza ricerche estetiche, formali, soltanto con ansie umane e rinuncia a corazze e difese, inondavano la casa di Nanda i di manoscritti, di disegni coloratissimi e di poesie, ansiosi di sapere tutto su quel caldo venticello erotico che soffiava dalla costa ovest degli Stati Uniti, sugli hippies  e sulla “beat generation” – della quale la Pivano, americanista allieva di Cesare Pavese, aveva tradotto i libri in italiano e della quale era amica personale (dopo esserlo stata di Ernest Hemingway, di Francis Scott Fitzgerald, di Henry Miller, di Gore Vidal, eccetera – al punto da esserne diventata – come dirà qualche iena del piccolo mondo letterato italiano, medio-italiano, « la sempiterna groupy » ). Come scriverà Seymour Krim, si trattava di “letteratura di protesta, nuova, folle, stramba cupa onesta liberatrice. ”
A interessare Nanda era anzitutto la letteratura che parte dalla vita e la promessa di un reale più largo che si trova nei libri – perlomeno nei  « libri di vita » degli scrittori decisivi. “In fondo – scriverà Nanda – anche i miei entusiasmi o quelli che furono chiamati i miei fanatismi non erano né per le persone che stavano davanti a me né per quello che mi poteva succedere intorno, ma per quello che persone ed eventi, parole e canzoni, costumi e fallimenti potevano significare nel presente e nel futuro (voglio dire politicamente e sociologicamente, oltre che esistenzialmente). E il mio lavoro non consisteva nel dare manate sulle spalle, neanche nel fumare hashish o scopare in tenda, ma consisteva nel capire e trasmettere (quando ne ero capace) i significati politici e sociologici, le speranze e anche le delusioni e i disastri esistenziali delle energie generazionali che mi circondavano” (Pivano F., C'era una volta un beat, Roma, Arcana, 1976 p. 98 ).
“La nuova libertà era il decondizionamento globale fino all'irresponsabilità: la vita del desiderio sprigionata in un annullamento totale di Super Io o di qualsiasi vincolo o controllo, unica legge l'energia vitale, unico stimolo l'amore della vita, unica realtà l'ansia di sopravvivenza, senza posto per la scalata al potere, per la competizione economica, per la preoccupazione per il futuro…( C'era una volta un beat, op. cit., p.11).
Fu un disastro. Specialmente per i tanti giovani drop out, esistenze erranti che spesso finivano interiormente disfatte dalla droga. Ben presto, già l’anno dopo, nel 1968, la « contestazione » era diventata ideologica e neoviolenta. « Nel dicembre 1968, – scrive Fernanda Pivano – quando Ravi Shankar è venuto a Milano, il loggione del Lirico sembrava una sala d'aspetto di autostoppisti, ma di quelli seri, che fanno l'autostop da Milano a Calcutta con diecimila lire in tasca quando tutto va bene. Si rivedevano in piccole serie i capelli lunghi e le casacche, ormai sommersi nelle strade dalle barbe alla Fidel e i golfini contestatari, e per l'occasione i neoviolenti, anche loro ammassati in loggione, riprendevano con gli antichi amici pacifisti il discorso troncato mesi prima dalla piroetta con cui le metodologie partitiche sono riuscite a inquadrare l'ambita massa preelettorale trasformando in greggi violenti ma controllabili e schedati le incontrollabili tribù pacifiche ma mobili »( Pivano F., Beat Hippie Yippie, Roma, Arcana, 1972, p. 194. Per una più approfondita analisi delle vicende del beat italiano e del suo contrasto con la dimensione politica si veda C'era una volta un beat, op. cit., ristampato nel 2003 da Frassinelli).
A differenza che in America, in Italia, a parte qualche rara eccezione ( come « Paradiso delle Urì » di Andrea D’Anna) non accadde niente di simile alla controcultura americana. I giovani italiani non viaggiavano, non molto, e a casa di Nanda e di Ettorino ( così lo chiamava lei), quando non erano in viaggio a Bali, arrivarono giovani e giovanissimi sottoproletari fuggiti da casa, studenti marxisteggianti con barbe alla Fidel e situazionisti con molti occhiali – reduci da una scodizolata attorno a Umberto Eco ( per farsi pubblicare il libro) o da qualche happening nel varesotto.
L’Italia era stretta tra la DC degasperiana e il PCI ancora stalinista. Allora se un giovane americano apriva le finestre vedeva grandi spazi, le Montagne Rocciose; se le finestre le apriva un giovane italiano, cosa vedeva? La canottiera del vicino di casa, rintanato in pochi metri di autonomia individuale, rigorosamente sorvegliato dai vicini di condominio, mentre l'espansione della tecnica prometteva il comfort illimitato e crociere da sogno immaginarie. Esisteva, inoltre, tutta una cultura della contestazione di ascendenze strutturaliste e marxiste, un apparato teorico davvero intimidente per un giovane che avrebbe voluto « contestare ». Infatti, nel novembre del 1967, partii per il Marocco e poi per l’ india, alla ricerca di « tribù pacifiche ma nomadi… », iniziando una corrispondenza con la Nanda – con la quale ci rivedemmo nel 1975, frequentandoci fino a pochi anni fa… Quello che resta di più nella mia memoria è però il primo periodo, gli anni sessanta, quando eravamo tutti giovani e belli, pieni di fiducia, pieni di entusiasmo, e credevamo nelle utopie, pensavamo che le utopie si realizzassero e sognavamo di poter superare per magia la barriere  delle classi, dei sessi, delle lingue, realizzare la comunicazione a tutti i livelli per un reale più largo…
  … Cara Nanda, sono tracce di energie che potremmo chiamare, banalmente, generazionali. Intere vite di energie che sembrano essere fluite in pochi istanti… Forse credevamo di esserci “accesi” e di poter ardere senza bruciare. Ma eccoci di nuovo al lavoro, come dicevi l’ultima vosta che ci siamo sentiti, due anni fa, per gli auguri del tuo novantesimo compleanno. Al lavoro, facendo la spola tra il Dentro immenso, dove non abitiamo, e il Fuori impossibile. Nel tentativo di aprire una breccia, un passaggio dall'uno all'altro. Resta il tuo fare essenziale, la tua colpa maggiore e il motore dell'atto di scrivere su quel tuo quadernetto di ragazza che diceva di credere nell’amore, la pace e i fiori. . Tutti lasciamo una macchia, se questa è una macchia. Sono equilibri molto sottili, relazioni molto sotterranee, è il nostro underground invisibile . Il mondo non è in pace, l’amore è ancora inappetenza e crimine, e chissà dove sono finiti i fiori… Però risorge, anche grazie all’amore per la letteratura « della vita » che hai trasmesso ai tanti che ti hanno amato ( sebbene tu non fossi propriamente  « l’angelo degli scrittori», come con qualche esagerazione new age ha scritto qualcuno). Sapevi essere leale, generosa, tenera ed aspra, oltre che garbatamente ironica. Grazie Nanda. L’aria è piena di tuoi ricordi.
  

 
Nella foto, Fernanda Pivano ( a dest.), Mario Spinella, Gianni De Martino, alla discoteca Rolling   Stones di Milano, nel mese di aprile del 1988, durante la presentazione della collana mondadoriana Mouse to mouse di Pier Vittorio Tondelli. ( Foto di Vittorio Pescatori).
CITAZIONI ( LETTERE D’AMORE)  DI FERNANDA PIVANO
"Nell'aereo, sui cieli d'America cantati da Ginsberg e le strade lontane cantate da Kerouac, il manoscritto pesante sulle ginocchia, emozione quasi insopportabile, fantasmi di vent'anni consumati in sogni patetici, libertà e non violenza, disarmo e comunicazione, cittadini del Pianeta e nomadismo senza frontiere, uguaglianza di razza di sessi di classi, melanconici sogni senza teoria, fragili sogni senza ideologia, superingenui sogni senza Avidità di Potere, cantati da prose e poesie, proposti da un Nuovo Stile di Vita, vissuti da paladini innocenti di Spontaneità e Disinibizione, Comunicazione e Energia Vitale, cavalieri senza macchia e senza paura contro i draghi moderni di Super Io e Conformismo, Alienazione e Consumismo, Bomba Atomica e razzismo, teneri corpi capaci di amore senza sesso e di sesso senza amore, librate profezie per una Consapevolezza pubblica ancora incatenata a McCarthy, soffici immagini di salvezza per i cittadini del Pianeta imprigionati nelle Banche, per lo Spazio del Pianeta devastato da ordigni di guerra, per il Pianeta annegato nel petrolio, genocidi e defoliazioni, massacri di massa e Apocalisse moderna, Età dell'Acquario e Kali Yuga…" [F. Pivano, Prefazione, in J. Kerouac, Visioni di Cody, Milano, Arcana, 1995, pp. 17-18 (I° ediz., Roma, Arcana, 1974)].
"Il piccolo borghese americano, che si sente tanto sicuro e potente perché ha quell'automobile frigorifero lavatrice televisione alloggio come tutti, in realtà è solo indebitato fino al collo per pagare le varie rate con cui se li è procurati; ed appena finite quelle, le rate ricominciano, perché automobile lavatrice frigorifero televisione alloggio saranno da cambiare. Allora va a vivere in provincia, dove 'la vita' costa meno e le tentazioni di spese superflue diminuiscono: si alza alle sei di mattina per prendere il treno e andare al lavoro, ritorna alla sera alle sette intontito da una giornata passata a fare un lavoro qualunque (al quale non partecipa se non in vista dello stipendio che gliene deriva), per riprendere forza beve un po' di alcool (poco, perché costa caro), mangia una polpetta di carne ai ferri a una tavola non apparecchiata (o addirittura su vassoi di stagnola riscaldati nel forno e tenuti sulle ginocchia) e guarda la televisione; finché va a letto estenuato, annoiato, immeschinito, smidollato, rintronato dalla martellante propaganda televisiva verso nuovi sogni rateali, nuove schiavitù, nuove miserie camuffate. Ma convinto che il suo sia il migliore dei mondi possibili." [F. Pivano, Introduzione, in A. Ginsberg, Jukebox all'idrogeno, Parma, Guanda, 1992, pp. 14-15 (I° ediz.  Milano, Mondadori, 1965)].
 "Da Melville a Hemingway, da Masters a Anderson, dalla Stein a Kerouac non sono mai riuscita a lavorare a freddo; d'altra parte il mio lavoro non ha mai avuto pretese scientifiche, ma solo l'umile desiderio di aiutare i lettori ad accostarsi ad autori non ancora famosi tra noi, che mi affascinavano per il loro sforzo di svincolarsi dall'apatia del conformismo affrontando i rischi dei non rinunciatari e segnando, a volte inconsciamente, una svolta nella storia della narrativa […] I miei saggi sono stati soltanto lettere d'amore; se in passato hanno scosso dall'indifferenza qualcuno e lo hanno indotto a interessarsi a qualche scrittore, hanno raggiunto il loro solo scopo." [F. Pivano, La balena bianca e altri miti, Milano, il Saggiatore, 1995, p. 484 (I° ediz.  Milano, Mondadori, 1961)].
 
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Festa dell'Assunzione di Maria

FESTA DELL’ASSUNZIONE
DELLA BEATA VERGINE MARIA
Signum magnum apparuit in cælo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim ( Ap. 12, 1)
Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati? (Cant. 6, 10)
 
Antonio Allegri detto il Correggio,  Apostoli e angeli,   
part. dell’ Assunzione della Vergine,
cupola della Cattedrale di Parma ( 1526-1530)
 
Particolari fotografici
 
Munificentissimus Deus qua fidei dogma definitur Deiparam Virginem Mariam corpore et anima fuisse ad caelestem gloriam assumptam.
Testo della costituzione dogmatica con la quale papa Pio XII, il 1° novembre del 1950, ricevuta questa verità di fede dalla tradizione della Chiesa, proclamò il dogma dell’assunzione di Maria al cielo in  anima e corpo.
 
Trattandosi di un mistero, naturalmente non so cosa significhi esattamente. In ogni caso, si tratta di un dogma bellissimo, di una glorificazione del femminile in Dio, segno di un’umanità perfetta in uno spazio di non-morte ( Ianua coeli ).
 

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Vacanze africane

VACANZE
Crociera di sogno nell’immaginario di  una cartolina d’antan.
Avete notato lo sconvolgimento dei pesci?
Eppure ha l’aria gentile e sorridente, la naiade o turista sgambettante… altrove
"Africa! Ripetei la parola e la pronunciai pieno di terrori, di orrore e di aspettative; e il mio sguardo affondò nella notte tentatrice verso una vaga promessa cinta di lampi". André Gide in Viaggio al Congo.
O anche: “Carovane, oh carovane! Poter partire con voi, carovane!” Se non con zia André Gide, convinta che il Congo fosse pazzo di lei, si potrebbe partire in carovana insieme a  quella povera illusa di un romanzo di Pier Vittorio Pescatori (L’odalisco), sbarcata in Tunisia alla ricerca di quell’ “animalo” di  Habib, sedotta dal  famoso pasoliniano “candore dei popoli barbari”.
… deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli occhi azzurri – usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire – scenderanno
dall’alto del cielo per derubare – e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare ad essere liberi,
prima di giungere a New York,
per insegnare come si è fratelli
– distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
 
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno su come zingari
verso nord-ovest
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…
Qui, il pur profetico Pasolini, con quel “poi” sembra prendere una specie di svista, diciamo pure un generoso abbaglio terzomondista. Alla fine – dopo aver profetizzato la seduzione della barbarie che, oggi,  pervade gran parte della classe letterata europea, lancia in aria quelle “bandiere rosse di Trotsky al vento”.
Un po’ come  fa anche Marlene nella scena finale di  Morocco, quando, dopo un attimo di esaltazione o esitazione, con il rischio di prendere una storta, lancia in aria le scarpe per seguire sgambettando con aria svagata il suo Gary Cooper nel  vento  del deserto  jusqu’au bout du monde.

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Morsi e scrittura nel Dracula di Bram Stoker

MORSI E SCRITTURA: I DUE PUNTI DI DRACULA
 
Nel film “Dracula di Bram Stoker” (1992), il dottor Jack Seward è disperato: la sua Lucy sta morendo di una malattia incurabile di origini sovrannaturali, cosi è il momento di far intervenire il professor Abraham Van Helsing (Anthony Hopkins), eccentrico docente universitario olandese che conosce molto bene, perlomeno così crede lui, la natura del vampirismo.
 
L’incontro di Dracula con il corpo di Lucy ha lasciato due piccole tracce che diventano oggetto di una serie di letture da parte di parenti, conoscenti e amici della vittima. Nel film, come nel romanzo ( 1897), vengono più volte descritti in dettaglio i buchini lasciati nella carne. Inizialmente, i due puntini rossi sembrano quasi insignificanti. Quando Mina Murray li scopre sul collo della sua amica Lucy Westenra crede di essere stata lei stessa a provocarli: per distrazione, “con una spilla da balia”.  E’ solo quando le due piccole piaghe non solo non guariscono, ma si allargano, mostrando bordi bianchicci e malsani, che ci si rende conto della gravità del caso. 
 
Il primo piano letterario anticipa quello cinematografico. Il lettore-spettatore è invitato a venire a vedere: occorre sporgersi ai bordi di due piaghe con orli che si allargano a tutto lo schermo. Nel primo piano dei buchini slabbrati si trova un messaggio che dice: Dracula è sbarcato sull’isola, ha penetrato le vie affollate di Londra, è venuto dentro la nostra casa e ha addentato la piccola Lucy, penetrandola con le sue grosse zanne infette. Le due piaghe sembrano costituire una nuova forma di scrittura: la scrittura di un forestiero che ha un’altra lingua, un altro corpo e due dentoni grossi così. Insomma, i due punti incisi nel vivo sono la scrittura di Dracula.
 
 
Si tratta di un morso sulla giugulare che – come si vede nella scena feticcio del romanzo di Stoker riprodotta in maniera quasi caricaturale da Christopher Lee e Barbara Shelley nel film Dracula, Prince of Darkness, di Terence Fisher (1966) – segna con un marchio indelebile il momento dell’estasi, l’istante di un’intrusione nel corpo che ne modifica la grammatica: il desiderio si libera dalle costrizioni borghesi che lo limitano e la vittima diventa, a sua volta, un vampiro furbo e crudele.
 
I due punti, che segnano nella frase un tempo di pausa per un cambiamento di direzione, hanno aperto il corpo del vampirizzato ( e quello dell’incauto spettatore-lettore) verso altri spazi: quelli della notte; anzi di molte notti abitate da una Lucy diventata euforica, trasformata in una fiera seduttrice, lubricamente proiettata verso altri desideri, scambi scellerati e attività sotterranee che resistono alla legge. Dracula è la droga delle sue vittime. Il suo morso è un’ouverture ( ouverture in musica e apertura nella carne). E’ quel che accade alla povera Lucy, che dopo la puntura di Dracula si sottrae alla società puritana dell’Inghilterra vittoriana che la destina al matrimonio e alla fedeltà, e diventa una specie di umbratile punk ante-litteram e orrenda graffitara antagonista.
 
Il primo morso non si scorda più; e il piacere si disegna dal profondo del sangue: sempre sul punto di cominciare e mai di finire. Morso dopo morso, in un vero e proprio delirio di filiazione negativa, i vampiri si generano indefinitivamente… Così come anche i più di mille film e i numerosi rifacimenti delle storie di vampiri. Per non dire dell’espansione dei media e dei blog, di cui Dracula rappresenta la figura: un’espansione indefinita che confonde i sistemi chiusi, le ortodossie di ogni genere – mentre per noia o sazietà, la classe letterata europea si lascia sedurre dalla barbarie e si apre ai multiculturalismi e alla bontà dei meticciati e delle contaminazioni di ogni genere. Forse è solo la ricchezza corrosiva della vita, non il nostro benessere da difendere da ogni minima minaccia, tutta questa ricchezza “ sotto cui – come teme l’amico Vincenzo Consolo, mangiando una razione di piccantissimo zichinì – “finiremo schiacciati, sepolti, bianchi e immobili per sempre” (cfr. “Porta orientale”, in AA.VV., Milano per le strade, Azimut, Roma 2009 – libro pervenutomi grazie alla gentilezza di Mariano Bargellini, autore del racconto, landolfiano e di ascendenze metafisiche, intitolato “L’indossatore morto di freddo”). Ma non è di noi vecchi Europei esangui ed evanescenti che volevo parlare… e neanche della pasta alle sarde, del miele iblèo o della dolcissima cassata …ODDIOOO, nello scrivere, o meglio, nel digitare ti ha forse morso qualche zanzaraaa…? Scusate: il Vampiro non ha solo “scongelato”, per così dire, il corpo e l’anima di Lucy, ma ha anche introdotto un desiderio di far durare la frase, di accumulare, di viaggiare e deviare, di aggiungere proposizioni subordinate: e di dirlo per inciso, grazie ai suoi perversi incisivi.
 
Il cerchio della sinistra congrega dei nosferatu non cessa di allargarsi. Occorre mettere fine a tutto questo, cioè al vampirismo. E’ quel che raccomanda anche Van Helsing a Jonathan Harker (Keanu Reeves) e alla sua fidanzata Mina (Winona Ryder), descrivendo con fanatismo tranquillo la decapitazione di Lucy. Sono tutti e tre a tavola, Mina lo guarda esterefatta e Jonhatan Harker ha appena fatto la spia, rivelando dove si trova il conte Dracula. Ingurgitato in fretta e furia un bicchiere di vino, Helsing improvvisamente si anima e si rivolge alla giovane coppia per una veloce lezione sul vampiro e le sue abitudini : Il vampiro esiste ed è questo che combattiamo, questo affrontiamo. Egli ha la forza di venti e più persone, e voi lo potete testimoniare signor Harker, costui esercita il suo potere anche sugli esseri più infimi, il pipistrello il ratto, il lupo, può apparire sottoforma di bruma, vapore o nebbia e dileguarsi quando vuole. Ora…Dracula puo fare tutto ciò, ma non è libero, per accumulare tutta questa forza malefica deve riposare nella terra del suo paese natio, è li che lo troveremo e lo annienteremo definitivamente”.
 
Nella lotta contro Dracula occorre opporre una chiusura a sempre nuove aperture, doppi e multipli. E’ difficile contrastare il potere dei vampiri, capaci di metamorfosi, replicazioni, teletrasporti, allenamenti agli ultrasuoni ( come i pipistrelli ), comunicazioni telepatiche. Difficile, ma non impossibile: la forza malefica di Dracula può essere annientata con un punto; non il punto e virgola, punto con una piccola colata di sangue, ma un punto fermo e definitivo. Perlomeno così pare. Ad ogni modo, la scrittura di Van Helsing sarà il punto lasciato dall’ago nel braccio di Lucy nel corso delle numerose trasfusioni da lui effettuate per sostituire il sangue contaminato da Dracula con quello dei suoi familiari. A differenza di Frankenstein, inquieto e disperato, in lotta con se stesso ( come ogni buon eroe romantico), il professor Van Helsing – l’ayatollah dei cacciatori di vampiri – appare come uno stupido vittoriano. Come anche Jonhatan ( impiegato di uno studio legale) e sua moglie Mina, egli è convinto di rappresentare il Bene, e ne è soddisfatto. Lo testimonia il paletto – segno dell’autorità dell’uno – conficcato nel cuore del Vampiro.
 
Tecnica patetica dei cacciatori di vampiri. Li si può vedere ogni giorno sfrecciare in automobile o marciare con il cuore in mano alla luce del sole, del grande sole mentitore. Non dormono nella bara, ma quando non organizzano le ronde si rigirano nei loro letti, anche matrimoniali, minimizzando i buchini che si aprono nelle calze, nelle lenzuola e nel corpo. Oh, dicono, non sono altro che buchini quasi insignificanti, piccole ferite, anche narcisistiche, volendo. Eppure vi soffia dentro un vento terribile, sentimentale, che li spinge a correre dove porta il cuore, il più delle volte a rottadicollo. Neanche il loro accumulo, l’accumulo di tante piccole ferite e rotture permanenti della spina dorsale, potrebbe convincerli di una gravità. Loro, i  cacciatori di vampiri, rappresentano il Bene tranquillo, e ne sono soddisfatti.
 
 I veri vampiri sono quei “virtuosi” masochisti che chiudono un occhio e gli occhi sui bordi slabbrati, si tappano il naso, la bocca, le orecchie e l’uretra, per non dire dell’ano, ben stretto, o dei seni rifatti – in modo che tutto sia ben chiuso e sigillato dall’uno. Insomma, i veri vampiri non cessano di riempire e chiudere i buchi, proprio come fa la morte… La morte: ? Se il Vampiro, sia pure mor(d)endo qua e là, potesse parlare, forse direbbe: “Contro le sofferenze dell’amore, il più sicuro rimedio è il disprezzo: quando non c’è più confidenza né stima, la piaga del paletto di quello sciocco professore olandese si cicatrizza subito”. Per fortuna o sventura, con quel bugiardo di Dracula c’è sempre un seguito. Punto. Anzi, due punti :
 BIBLIOGRAFIA
 
  Gilles Deleuze e Felix Guattari, Mille Plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Minuit, Paris 1980; tr. it. G. Passerone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987;
  Gianni De Martino, L’ultima lettera di Vlad il Vampiro, con quattro tavole di Giorgio Bertelli, coll. “Chirografie” , edizioni di Barbablù, Siena, 1993;
  Sara Thornton, Écriture et morsure : l’extase de la ponctuation dans Dracula de Bram Stoker, in “Savoirs et clinique. Revue de psychanalyse”, n.8, Éditions Ér Ramonville-Saint-Agne. 2007. 
 Scars of Dracula, di Roy Ward Baker ( 1970)

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Jane se ne va

JANE SE NE VA
Un altro mito che se ne va. Brenda Joyce, la bionda attrice americana che ha interpretato il ruolo dell’intrepida Jane in cinque film di Tarzan, è morta il 4 luglio scorso, alla bella età di 92 anni,  in un ricovero per anziani a Santa Monica, California, a quanto riferisce un amico dell’attrice al Telegraph.
Joyce, il cui vero nome era Betty Leabo, ha interpretato più di 20 film, ma conquistò la fama quando negli Anni Quaranta prese il posto di Maureen O’Sullivan nel ruolo di Jane accanto a due Tarzan cinematografici: Johnny Weissmuller e, più tardi, Lex Barker.
La ricordiamo con un video tratto dal film Tarzan e le sirene del 1948.

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Il fascino delle Ninfe

PHANTASMA
 
IL FASCINO  DELLE NINFE
 
 
 
 

 “La storia dell'ambigua relazione fra gli uomini e le ninfe è la storia della difficile relazione fra l'uomo e le sue immagini. […]

Come gli spiriti elementari di Paracelso, le immagini hanno bisogno, per essere veramente vive, che un soggetto, assumendole, si unisca a loro; ma in quest’incontro – come nell’unione con la ninfa-ondina – è insito un rischio mortale. Nel corso della tradizione storica, infatti, le immagini si cristallizzano e trasformano in spettri, di cui gli uomini diventano schiavi e da cui sempre di nuovo occorre liberarli”.  Giorgio Agamben, Nymphae
 
 

Uno scopitone ninfale  – regia di Claude Lelouch (1963)
 
Numphe significa [… ] anche «fonte» o «acqua sorgiva». L’equivalente sostantivo latino lympha, e soprattutto l’aggettivo lymphaticus («folle») rivelano l’autentica natura del liquido ninfale. Si tratta, scrive Salustio, di un principio cosmico generativo: «le Ninfe sono preposte alla generazione, giacché tutto ciò che è generato è in flusso». Di qui l’analogia tra le Ninfe e le anime che si ritrova in Plotino e in Porfirio. Ma di qui, soprattutto, la follia delle Ninfe. Coloro che abitavano nei dintorni degli antri delle Ninfe erano detti nympholeptoi, «posseduti dalle Ninfe». ( da Il fascino delle Ninfe. Bellezze in fuga  di Alessandro Stavru, "l'Unità" 28.2.07).
 
Immagine
       Apollo con le Ninfe di François Girardon (Versailles, grotta di Teti)
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Leggere ? Fa sognare!

LEGGERE ? FA SOGNARE !
 
 
Si legge nel Talmud che  «il mondo si regge sull’alito dei bambini che studiano». Contrariamente al titolo del celebre quadro di Greuze ( « Il piccolo pigro »), mi piace pensare che il  bambino si sia addormentato dopo aver molto letto e studiato. L’importante è che, insieme al bambino che sogna, non si addormenti la luce.
 
 Immagine
Le petit paresseux (1755) , Jean-Baptiste Greuze
Musée Fabre (Montpellier – France)
 
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Iran, terrorizzare il popolo

REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN
 
TERRORIZZARE IL POPOLO
 
 
 
La pena di morte, considerata da alcuni imam « uno degli ordini di Allah » e applicata secondo i dettami metafisici della sharī‘a a numerosi crimini-peccati, costituisce, in Iran, lo strumento di una politica che mira a far pesare un clima di terrore sulla popolazione.
 
Evocando la versione ufficiale del regime, secondo cui  la Repubblica iraniana sarebbe sotto l’attacco di « complotti » interni ed esterni, il capo della magistratura iraniana ha chiesto che vengano avviate azioni giudiziarie nei confronti delle persone che lavorano per emittenti televisive e siti web. "Il continuo aumento di emittenti tv sul satellite di siti web contro il regime mettono in evidenza la necessità di misure per arginare questo fenomeno", ha riferito la tv di Stato citando un provvedimento diffuso dall’Ayatollah Mahmoud Hashemi-Shahroudi, tra i fautori della "linea dura" oggi al potere.
Vengono in mente, facendo salve le differenze, gli « eccessi » del tribunale rivoluzionario aumentati con il controllo di Robespierre sul Comitato di salute pubblica, che nel giugno 1794 divenne il più efficace strumento del Regime del Terrore …In entrambi i casi si tratta di terrorizzare i dissidenti e  – in nome di un pricipio astratto e unificante realizzare la Felicità del Popolo.
 
La crudeltà è l’applicazione pratica di un’idea di purezza rivoluzionaria "nel nome dell’islàm", di un’idea khomeinista di islàm. In Iran il 70% della popolazione ha meno di trentanni ed è sorvegliata  dalle "Forze di sicurezza per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio"! Se qualcosa li opprime, i giovani, nella maggir parte dei casi, si ribellano. Forse neanche i giovani musulmani iraniani desiderano vivere in un regime oscurantista, fra continue mortificazioni del desiderio di una vita più libera e più felice, arresti di dissidenti,  tagli della mano ai piccoli ladri, lapidazioni di adultere, impiccagioni di minorenni e presunti o suggeriti « nemici di Dio », e botte per tutti.
 
 
La Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) ha pubblicato un rapporto sulla pena di morte in Iran: Le rapport et le dossier de presse en Français.La versione inglese s’intitola "The death penalty in Iran: a state terror policy" e può essere consultato qui : Rapporto in inglese.
 
Link >
 
         Iran in fiamme: stanno arrestando tutti i giornalisti e i blogger Panorama.it – Mondo – oggi
 
Un documentario di France2. La vita sotto i mullah di Philippe Visseyrias, Jean-François Monier.
 
 
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